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Brexit, dopo il divorzio serve accordo commerciale con Ue.

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Brexit, dopo il divorzio serve accordo commerciale con Ue.

Messaggioda gabriele il 12/07/2016, 9:50

Brexit, dopo il divorzio serve accordo commerciale con Ue. Ecco gli scenari, da unione doganale a Londra indipendente
Zonaeuro

Per mantenere accesso al mercato il Regno Unito dovrà trovare un'intesa con gli altri 27. Sul tavolo diverse ipotesi: partecipazione allo Spazio economico europeo ma senza voce in capitolo sulle regole, come la Norvegia, accordi su specifici settori, libero scambio attraverso l'abbattimento dei dazi
di Felice Meoli | 12 luglio 2016

Lasciarsi e poi dimenticarsi oppure lasciarsi e ritrovarsi? Il voto favorevole all’uscita dall’Unione europea impone un cambiamento nelle relazioni commerciali del Regno Unito, che si sta interrogando sull’approccio da adottare nei confronti non solo degli altri 27 Paesi dell’Ue, ma anche dei partner commerciali con cui Bruxelles ha nel tempo stretto accordi. Sono 22 i trattati commerciali tra l’Unione e singoli altri Paesi, mentre sono 5 gli accordi multilaterali firmati dall’Ue che riguardano più Paesi. Complessivamente, dunque, il Regno Unito dovrà rivedere ed eventualmente rinegoziare gli accordi con 52 Paesi se vorrà mantenere l’accesso privilegiato che fino a oggi gli è stato garantito dall’appartenenza all’Unione.

“Speriamo che il Regno Unito sia un partner vicino a noi anche dopo l’uscita, ma lo ribadisco: l’accesso al mercato unico comporta l’accettazione di tutte e quattro le libertà, compresa la libera circolazione delle persone”, ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Sulla stessa linea il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker: “Non si può avere il mercato unico senza assicurare le quattro libertà, tra cui quella di movimento. Su questo punto sono d’accordo con il Consiglio europeo”. Sul tavolo ci sono diversi possibili modelli di accordo. Alcuni prevedono la libertà di circolazione, altri no. Ecco le ipotesi allo studio di Londra.
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Il modello norvegese: accesso al mercato unico ma senza decidere le regole - Oslo, come Islanda e Liechtenstein, fa parte dello Spazio economico europeo, e ha pieno accesso al mercato unico ma non ha voce in capitolo sulle sue regole. In cambio dell’accesso, la Norvegia contribuisce al budget dell’Unione. I cittadini europei sono liberi di vivere e lavorare nel Paese scandinavo, che recepisce la maggior parte delle leggi Ue, a eccezione di quelle riguardanti agricoltura, pesca, giustizia e affari domestici. La Norvegia ha rifiutato l’ingresso nell’Unione con due referendum, l’ultimo nel 1994.

Il modello svizzero: accordi su settori specifici - La Svizzera aderisce all’Associazione europea di libero scambio, creata nel 1960 come alternativa per gli Stati europei che non volevano, o non potevano ancora, entrare nella Comunità economica europea, poi trasformatasi in Unione. Oggi ne fanno parte Norvegia, Islanda, Liechtenstein e proprio la Svizzera, l’unica a non aderire allo Spazio economico europeo, dopo il voto contrario del 1992. Il Regno Unito ne ha già fatto parte fino al 1972, anno dell’ingresso nella Comunità economica europea insieme alla Danimarca. L’accesso al mercato unico da parte della Svizzera è regolato da una serie di accordi bilaterali che riguardano settori specifici. Esclusi il settore bancario e una parte di quello dei servizi, che nel caso del Regno Unito riguardano circa l’80% della sua economia. Dopo il voto contro l’immigrazione di massa del 2014, la Svizzera ha avviato dei negoziati con l’Unione riguardanti il numero di ingressi dei cittadini europei nel Paese, ma in vista del voto Brexit sono rimasti in stand-by e Berna dal prossimo anno potrebbe unilateralmente approvare un piano di riforme.

Il modello balcanico: l’ipotesi più remota - Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia, Montenegro e Serbia sono firmatarie del cosiddetto Accordo di stabilizzazione e associazione, cioè il primo passo per aderire all’Unione europea. Tale accordo si basa sull’acquis comunitario, ovvero l’insieme dei diritti e degli obblighi che i Paesi Ue condividono, che garantisce l’accesso al mercato unico. È l’ipotesi più remota e a tale proposito il primo ministro albanese Edi Rama ha dichiarato: “Non posso credere che sia nell’interesse del Regno Unito emulare lo status corrente delle relazioni tra Albania ed Europa. Noi stessi non vogliamo lo status quo, perché qualcuno dovrebbe volerlo in Gran Bretagna?”.
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Il modello turco: l’unione doganale – Ankara è fuori sia dall’Associazione europea di libero scambio che dallo Spazio economico europeo, ma dal 1996 è in vigore un’unione doganale tra Unione europea e Turchia. Non ci sono tariffe o quote per l’esportazione dei prodotti turchi in Europa, mentre vengono applicate dalla Turchia le tariffe Ue all’importazione di prodotti provenienti fuori dall’Unione. Lo scorso anno il commissario Ue al commercio Cecilia Malmstroem e il ministro dell’Economia turco Nihat Zeybekci hanno avviato un percorso per l’ampliamento dell’unione doganale ai servizi, agli appalti pubblici e ai prodotti agricoli. Il 9 giugno, intanto, si è chiusa la consultazione pubblica lanciata dalla Commissione Ue per raccogliere opinioni e pareri sul futuro delle relazioni economiche e commerciali tra i due partner. In attesa di sviluppi sull’ingresso effettivo della Turchia nell’Unione: il Paese è candidato ad aderire dal 1999.

Il modello Ceta: abbattere i dazi - È l’accordo di libero scambio, non ancora approvato, tra Unione europea e Canada. Il Comprehensive economic and trade agreement, che dovrà essere ratificato dalle 28 assemblee parlamentari delle nazioni della Ue, prevede l’abbattimento del 98% dei dazi tra i due partner ma copre solo parzialmente il settore dei servizi, cruciale per l’economia britannica. Boris Johnson, ex sindaco di Londra, in prima linea nella campagna per il Leave ma sfilatosi dopo la vittoria del referendum, aveva dato sostegno a questa soluzione.

Il modello Hong Kong: Londra indipendente con politica di libero scambio – C’è tuttavia un’ulteriore opzione, la più radicale di tutte. Alcuni brexiteers guardano con favore all’approccio di Hong Kong e Singapore, che hanno unilateralmente adottato una politica di libero scambio, scevra di dazi, sia in entrata che in uscita. Per un Paese che non fa della produzione il suo punto di forza sarebbe un’opzione interessante, e, con adeguati correttivi, potrebbe paradossalmente guadagnare fascino anche tra i londinesi, che in larga maggioranza hanno votato per il Remain. La capitale del Regno si è infatti schierata contro l’isolazionismo, e oltre 175mila persone hanno firmato una petizione su change.org perché Londra si dichiari indipendente, trasformandosi in una città-stato simile ai due esempi del sud-est asiatico. Il sindaco laburista Sadiq Khan, pur non facendosi alfiere della cosiddetta “londependence”, ha già chiesto più autonomia per la capitale, per proteggere affari, ricchezza e posti di lavoro.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... e/2889072/
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Re: Brexit, dopo il divorzio serve accordo commerciale con U

Messaggioda pianogrande il 12/07/2016, 13:19

Tante possono essere le ipotesi ma sono d'accordo sul fatto che non debbono essere premianti per UK pena lo sfascio dell'Unione.
Sfascio che, alla fine, non è interesse neanche di UK che, quindi, si deve dare una calmata e diventare un paese più affidabile prima di bussare di nuovo alla porta della UE che ha appena tradito.

Non lasciano indifferenti le ipotesi di utilizzare gli immigrati della UE come merce di scambio nei trattati né gli episodi di intolleranza seguiti alla risicata vittoria della Brexit.

Londra, più che essere di idea contraria perché più moderna e multiculturale, ha una paura folle della bolla immobiliare dovuta al riciclaggio di soldi delle mafie investiti in appartamenti che ormai costano un occhio e un orecchio e che con l'uscita potrebbero costituire un mercato meno attraente.

Non ultimo poi (e non solo per Londra) il fiorentissimo mercato dell'apprendimento dell'inglese; lingua che addirittura sparià dalla lista delle lingue ufficiali della UE.

Cari inglesi.
Il mondo va avanti anche senza di voi e la vostra decisione è stata provinciale e anti storica.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Brexit, dopo il divorzio serve accordo commerciale con U

Messaggioda mariok il 12/07/2016, 18:22

Al di là delle complicazioni dei dettagli, i principi per un possibile accordo sono semplici:
1) libertà di circolazione di beni e servizi corrispondente ad un'analoga libertà di circolazione delle persone
2) adesione ad un libero mercato, basata sul rispetto delle regole dettate dagli "owner" del mercato a cui si intende aderire.

E' semplice. Chi la vuole fare più complicata ciurla nel manico.

Ma la vera sfida dell'Ue non è questa, ma quella della realizzazione una buona volta di un vero e proprio stato federale, con tanto di budget, autonomia politica rispetto ai singoli stati, legittimazione democratica dei suoi rappresentanti.
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Re: Brexit, dopo il divorzio serve accordo commerciale con U

Messaggioda gabriele il 12/07/2016, 18:49

mariok ha scritto:Ma la vera sfida dell'Ue non è questa, ma quella della realizzazione una buona volta di un vero e proprio stato federale, con tanto di budget, autonomia politica rispetto ai singoli stati, legittimazione democratica dei suoi rappresentanti.


Una sacrosanta verità!
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Re: Brexit, dopo il divorzio serve accordo commerciale con U

Messaggioda flaviomob il 12/07/2016, 23:25

Ci sono elementi razionali ed componenti irrazionali, motivazioni reali ed argomenti irreali nella spinta di massa al voto che ha determinato la Brexit. Di massa perché l'affluenza al referendum è stata ben superiore a quella delle elezioni politiche.

Di fondo, il malessere di alcune classi (o ceti) sociali non viene elaborato politicamente ma si espande come materiale grezzo di peso sempre crescente. In ogni paese europeo questo strato di società emerge con caratteristiche ambivalenti ma con alcuni aspetti comuni: ìl senso di distanza e ostilità rispetto alle istituzioni comunitarie, viste come fonti di controllo che non possono essere controllate (lontane, oligarchiche, onnipotenti), la reazione a questa spersonalizzazione rappresentativa in senso localistico, chiuso, identitario (Catalogna, lepenismo, Ukip, Salvini, le destre al potere in Polonia ed Ungheria, esondanti in Austria): la valvola di sfogo diventa l'immigrato, ma manca l'analisi dei motivi del flusso migratorio, ovvero le "guerre giuste" e il traffico di armi che fa PIL in occidente, la pressione demografica (ché avere più giovani e bambini non ci nuocerebbe affatto, anzi), gli squilibri economici e lo sfruttamento delle risorse da parte dei paesi più ricchi.

Il continente più ricco del mondo esprime periferie sempre più povere e degradate; gli emarginati e gli esclusi/espulsi dal mondo del lavoro con gli iper-precari percepiscono un'insicurezza sociale angosciante, crescente ed endemica in un sistema politico che pare irriformabile, ed allora esplodono i movimenti "antisistema" e si scatena la guerra tra poveri in concorrenza per le briciole delle risorse: la provenienza extracomunitaria viene vissuta in maniera ostile, nascono le leggende metropolitane sul fatto che ogni immigrato percepisca X euro al giorno dallo stato mentre i "nativi" stringono la cinghia. Il tutto poi amplificato da attentati nelle metropoli europee (anche qui privi di un'analisi seria sulle cause) che rendono iperbolico il senso di paura e lo indirizzano in odio verso il diverso (per provenienza, cultura, religione).

Le geometrie variabili della politica UE, in cui ormai i riferimenti percepiti come determinanti non sono più comunitari ma tedeschi, esprimono un linguaggio incomprensibile e irritante: si parla di stabilità e austerità dopo una crisi che ha avuto conseguenze sociali ed economiche paragonabili ad una guerra mondiale. Ai più forti, come Berlino, si concede sempre più potere a discapito della rappresentatività democratica dei cittadini dell'Unione, mentre le periferie (come la Grecia ma anche il Sud Italia, o la penisola iberica con dati drammatici sulla disoccupazione) crollano devastate.

La vera sfida dell'Ue sta nella determinazione di parametri precisi, perentori e inderogabili di elevata qualità e universalità delle politiche sociali vincolanti per tutti gli stati membri, con ricadute immediate su tutti i cittadini dell'Unione.


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Re: Brexit, dopo il divorzio serve accordo commerciale con U

Messaggioda mariok il 13/07/2016, 14:52

La vera sfida dell'Ue sta nella determinazione di parametri precisi, perentori e inderogabili di elevata qualità e universalità delle politiche sociali vincolanti per tutti gli stati membri, con ricadute immediate su tutti i cittadini dell'Unione.

Sono quelle frasi che suonano belle, ma il cui senso concreto risulta quasi impossibile capire.

E' evidente che con "parametri precisi, perentori e inderogabili di elevata qualità e universalità delle politiche sociali vincolanti per tutti gli stati membri" si raccoglie il consenso di grandi masse.

Ma poi? Se passiamo appena a definire il come si rendano "vincolanti" questi parametri "perentori e inderogabili di elevata qualità e universalità delle politiche sociali", chi e con quale autorità possa imporne il rispetto, come si riescano a realizzare e con quali risorse, ci si accorge della superficialità di tali proclami, buoni a raccogliere applausi, non certo ad indicare politiche dotate di un minimo di credibilità.

Ma a me sembra che, per alcuni, non sia tanto importante misurarsi concretamente con le sfide del mondo di oggi, quanto piuttosto proclamare, rivendicare, lasciando agli altri il compito di sporcarsi le mani nella ricerca di non facili soluzioni.

Non a caso, quelle forze della sinistra che hanno sempre puntato su tale approccio, oggi sono ai minimi storici.
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Re: Brexit, dopo il divorzio serve accordo commerciale con U

Messaggioda flaviomob il 14/07/2016, 0:57

Il senso concreto di una frase è abbastanza semplice da capire se si è in grado di farlo. Altrimenti, effettivamente, è arduo. Proviamo con alcuni esempi concreti.

La UE viene percepita come distante e autoritaria: sarà forse perché i media ci raccontano che Bruxelles si diletta a definire le misure standard di curvatura per il cetriolo e di lunghezza per le banane.

Non è una battuta:

ii) Categoria I:

I cetrioli di questa categoria devono essere di buona qualità.

Essi devono:

- aver raggiunto uno sviluppo sufficiente,

- essere di forma abbastanza regolare e praticamente diritti (altezza massima dell'arco: 10 mm per 10 cm di lunghezza del cetriolo).

Sono ammessi i difetti seguenti:

- una leggera deformazione, esclusa quella dovuta allo sviluppo dei semi,

- un lieve difetto di colorazione, in particolare la colorazione chiara della parte del cetriolo che è stata in contatto con il suolo durante la crescita,

- lievi difetti della buccia dovuti allo strofinamento, alla manipolazione o a basse temperature, purché siano cicatrizzati e tali da non compromettere la conservazione del prodotto.


http://eur-lex.europa.eu/legal-content/ ... 31988R1677

Anche se pare che la direttiva non sia più in vigore dal 2008.

Allora proviamo con un altro esempio concreto e meno faceto: lo stato italiano fissa i LEA, livelli essenziali di assistenza del sistema sanitario. In questo modo, pur restando regionale la gestione, si fissa l'obiettivo che vengano garantiti a tutti i cittadini i diritti inerenti alla salute.

https://it.wikipedia.org/wiki/Livelli_e ... assistenza

Non è detto che questo sistema funzioni alla perfezione, ma se ci fosse un sistema sanzionatorio e di controllo adeguato il cittadino sarebbe più tutelato.

(L'ho scritto per raccogliere il consenso delle grandi masse che frequentano questo forum, immagino mediamente quattro o cinque iscritti al giorno).

Dato che siamo cittadini europei, per quale motivo questi livelli essenziali (che possono riferirsi alla sanità, allo stato sociale, alla tutela di chi è senza lavoro, dei minori in famiglie povere, etc) non possono / devono essere fissati dall'Unione Europea?

Quale autorità può imporne il rispetto? E' semplice: le leggi approvate dal parlamento europeo vincolano gli stati membri ad adeguare le proprie legislazioni. La magistratura nazionale ne impone il rispetto ai privati cittadini, quella comunitaria (ed altre istituzioni) agli stati membri, che altrimenti vengono sanzionati.

Non è detto che le risorse richiedano costi aggiuntivi per tutti i paesi: ad esempio una norma comunitaria sul reddito minimo garantito / reddito di cittadinanza avrebbe effetto solo su Grecia e Italia. L'Europa ce lo chiede dal 1992, ma non con una norma di legge comunitaria "perentoria".

Peraltro anche il legame tra politiche sociali di alto livello e costi è smentito dai fatti: la pressione fiscale in Italia è elevatissima e le prestazioni sociali poco incisive e a macchia di leopardo soprattutto verso giovani, disoccupati, studenti, minori, malati psichiatrici.

(applausi)

Altrimenti, le "sfide del mondo di oggi" quali sarebbero?

Ah, dove recuperare i soldoni:

La Commissione europea ha quantificato il costo dell’evasione fiscale per gli Stati dell’Unione a 1 trilione di euro l’anno.


http://www.limesonline.com/rubrica/tass ... -in-europa

Quei comunisti di Bruxelles, senti cosa dicono. Ma se aspettiamo che intervengano Juncker e la Merkel...

Del resto, viviamo nel migliore dei mondi possibile. Anche l'Europa morirà democristiana:

http://it.ibtimes.com/evasione-fiscale-italia-e-ue-percentuali-dati-e-numeri-da-incubo-1435808

Evasione fiscale in Italia e in UE: percentuali, dati e numeri da incubo


La sinistra è in crisi? Certamente, dove ha inseguito la destra per venti trent'anni. Se deve scegliere, la gente preferisce l'originale. Le analogie con gli anni Trenta non mancano: chissà se a Berlino se ne sono accorti.


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Re: Brexit, dopo il divorzio serve accordo commerciale con U

Messaggioda mariok il 14/07/2016, 9:14

Complimenti. Aggiungendo quattro norme (a quelle che già ci sono come per esempio in campo sanitario) abbiamo risolto la crisi in cui versa l'Ue.

Un'unione incapace di darsi una politica fiscale comune, una comune difesa, una politica estera, una gestione dell'immigrazione, una polizia federale, dove le decisioni sono il risultato di trattative infinite tra 28 stati, con quattro regole in più in campo sociale, che ovviamente devono essere mediate tra tutti i partner, risolverebbe tutti i suoi problemi.

Ma come abbiamo fatto a non pensarci!
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Re: Brexit, dopo il divorzio serve accordo commerciale con U

Messaggioda diffidente il 14/07/2016, 23:20

Non é che siano i politici di Bruxelles a non volere piu' unità e piu' uniformità, ma sono i politici ed i capi influenti dei sngoli Stati a NON volere che si proceda ponendo veti e minacciando, con il potere di veto, di bloccare tutte le attività. Per certi aspetti l'UE si trova nella situazione molto precaria della Confederazione Americana sorta subito dopo l'indipendenza dalla monarchia inglese, ma almeno gli apparentemente meno civili, ma piuttosto pragmatici politici yankees decisero di superare il guado fondando un vero Stato federale, superando anche resistenze forti ed in alcuni casi anche rivolte armate.
Purtroppo l'Europa non é come le tredici ex colonie, manca un George Washinghton che abbia il prestigio per portare avanti delle riforme pesanti e manca la consapevolezza di essere una unica nazione, forse perché non lo si é, o non lo si é ancora.
Sull'accordo con Londra, secondo me non deve avere un'impostazione che in un certo senso dia vantaggi alla Gran Bretagna,perché allora darebbe degli svantaggi a chi fa parte a pieno titolo dell'Unione e contribuisce al bilancio comunitario, ma questo potrebbe voler dire uno stallo nelle trattative molto lungo. Sembra certo, con la nomina di Boris Johnson a ministro degli esteri, che Londra voglia fortemente abolire la libera circolazione delle persone,perché il problema dei tantissimi immigrati cmunitari é particolarmente sentito, e non penso che su questo punto farà delle concessioni; mi aspetto che vi saranno delle quote di ingresso,magari di manica larga o un lmite temporale alla permanenza su suolo britannico e temo che sia l'UE a dover mitigare le proprie richieste.
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Re: Brexit, dopo il divorzio serve accordo commerciale con U

Messaggioda Robyn il 15/07/2016, 20:47

non ci può essere libero scambio senza libertà di movimento delle persone.Non è possibile pensare che i beni possano essere scambiati liberamente e le persone non possano circolare liberamente
Locke la democrazia è fatta di molte persone
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