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Le province abolite? No, ci sono ancora e hanno più soldi di prima
Le province ci sono ancora come pezzo dello Stato, come uffici dove ogni giorno le persone vanno a lavorare
di LORENZO SALVIA
La premessa è surreale ma necessaria. Le province sono state abolite però ci sono ancora. Non esistono più come organismo politico, non hanno più un presidente eletto dal popolo con relativo codazzo di assessori. Ma ci sono ancora come pezzo dello Stato, come uffici dove ogni giorno le persone vanno a lavorare. La notizia, invece, è che adesso hanno qualche soldino in più.
Dopo anni di tagli continui, dopo un lungo periodo in cui la sola parola provincia comportava l’accusa di malversazione e spreco di denaro pubblico, la settimana scorsa c’è stata un’inversione di tendenza. Piccola e silenziosa. Ma significativa. Nel disegno di legge sugli enti locali, approvato dalla Camera e adesso all’esame del Senato, invece delle solite sforbiciate le province hanno ottenuto una dote aggiuntiva di 148 milioni di euro. Soldi che potranno usare per la manutenzione delle strade e delle scuole, le due funzioni più importanti fra quelle rimaste nelle loro mani. Fosse accaduto qualche anno fa, quando l’austerity sembrava la soluzione e tutti i mali del cielo e della terra, sarebbe scoppiato l’inferno. Stavolta, invece, c’è stata solo una piccola lite condominial/istituzionale, con il mugugno dei Comuni che quei soldi li avrebbero voluti per loro.
La popolarità segue percorsi misteriosi. Ma forse ci si è accorti che a furia di tagliare gli sprechi, che c’erano e forse ci sono ancora, siamo arrivati all’osso. E anche oltre. Secondo i dati del ministero dell’Economia, le province hanno uno squilibrio di 122 milioni di euro. Cosa vuol dire? Che non hanno in cassa nemmeno i soldi per le cosiddette spese ineludibili, quelle che non possono fare a meno di pagare: stipendi, bollette, mutui. La silenziosa inversione di tendenza della settimana scorsa serve proprio a coprire questo buco. Forse la stagione dei tagli è finita. Sicuramente è arrivato il momento di chiedersi cosa fare davvero delle province. Abolite per il grande pubblico. Ma ancora fra noi.
24 luglio 2016 (modifica il 24 luglio 2016 | 23:51)
RIFORME
Cadono i due pilastri degli statali
Addio a posto fisso e scatti automatici
Dipendenti licenziati dopo due anni se «in eccedenza»rispetto ai compiti dell’ufficio o alle risorse disponibili. Le novità nella bozza preparata dal governo per il nuovo testo unico sul pubblico impiego. Visite fiscali automatiche per le assenze al venerdì
di LORENZO SALVIA
Sulla copertina c’è un bel timbro con la scritta «Top secret». E a leggere le 133 pagine che seguono si capisce bene il perché. La bozza del nuovo testo unico sul pubblico impiego cancella due incrollabili certezze dello statale, i due motivi che rendono il lavoro nel pubblico più sicuro di quello nel privato: il posto fisso e l’aumento automatico dello stipendio con gli scatti di anzianità.
Il posto fisso
La fine del posto fisso arriva alla pagina 72 del decreto elaborato dai tecnici del governo, la norma attuativa più attesa fra quelle legate alla riforma della pubblica amministrazione approvata un anno fa. Ogni anno, dice il documento, tutte le amministrazioni devono comunicare al ministero le «eccedenze di personale» rispetto alle «esigenze funzionali o alla situazione finanziaria». Detto brutalmente, i dipendenti che non servono o che la situazione di bilancio non consente di tenere in carico. Le «eccedenze» possono essere subito spostate in un altro ufficio, nel raggio di 50 chilometri da quello di provenienza con la mobilità obbligatoria. Altrimenti vengono messe in «disponibilità»: non lavorano e prendono l’80% dello stipendio con relativi contributi per la pensione. Ma se entro due anni non riescono a trovare un altro posto, anche accettando un inquadramento più basso con relativo taglio dello stipendio, il loro «rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto». Licenziati. In teoria un meccanismo simile c’è già adesso. Ma agli uffici che non comunicano le eccedenze non succede nulla e infatti tutti si guardano bene dal farlo. Con le nuove regole, invece, ci sarà lo stop alle assunzioni e il procedimento disciplinare per il dirigente. Una differenza non da poco.
Gli scatti
Sullo stipendio la novità era nell’aria, visto che gli scatti di anzianità sono stati congelati a lungo. Il nuovo testo unico, però, li cancella per sempre. Ogni anno tutti dipendenti pubblici saranno valutati dai loro dirigenti per il lavoro fatto. E sulla base di quelle pagelle sarà assegnato un aumento, piccolo o grande a seconda delle risorse disponibili, a non più del 20% dei dipendenti per ogni amministrazione.
Buoni pasto e altre novità
Nella bozza ci sono tante altre novità. L’obbligo della conoscenza dell’inglese come requisito per i concorsi pubblici. La visita fiscale automatica per le assenze fatte al venerdì e nei prefestivi. Un procedimento disciplinare più veloce, sull’esempio di quello in 30 giorni per gli assenteisti colti in flagrante. E ancora la fine dell’indennità di trasferta e il buono pasto uguale per tutti, sette euro al giorno. Tutte materie che vengono regolate per legge, togliendo margine di manovra ai sindacati. Restano da capire i tempi, però.
I tempi
La riforma della pubblica amministrazione dice che questo pezzo delle delega può essere esercitato entro febbraio dell’anno prossimo. Finora il governo aveva parlato di settembre. Subito dopo, però, ci sarà il referendum sulla riforma costituzionale. Voteranno anche 3 milioni di dipendenti pubblici. E il documento «top secret» non lo manderanno giù facilmente.
26 luglio 2016 (modifica il 26 luglio 2016 | 10:13)
flaviomob ha scritto:Il problema è che i dirigenti hanno sopra di loro i politici, che sono ancora peggio...
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