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Un referendum di cui non si parla

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Un referendum di cui non si parla

Messaggioda franz il 17/03/2016, 19:21

Referendum trivelle, il Pd si astiene. La minoranza : "Chi l'ha deciso?". La segreteria: "Quesito inutile"
Sul sito dell'Agcom il documento che classifica i democratici tra i partiti astensionisti. Insorgono minoranza e opposizioni, Guerini e Serracchiani confermano

di MONICA RUBINO

ROMA - Il 17 aprile si vota per un referendum abrogativo sulla legge ambientale che regola le trivellazioni in mare, richiesto da nove Consigli regionali (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise). Se vincerà il Sì, le concessioni estrattive entro le 12 miglia dalla costa non verranno più prorogate. Ma oggi la discussione è sull'astensione del Pd in merito alla consultazione, presa di mira dalla minoranza dem e delle opposizioni. Lo certifica un documento dell’Agcom che classifica appunto il Partito democratico tra le forze politiche che si asterranno. "Chi l'ha deciso?", tuona la sinistra del partito.

La risposta arriva dopo qualche ora sottoforma di una nota durissima firmata dai vicesegretari del Pd, Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani: "Questo referendum è inutile. Non riguarda le energie rinnovabili, non blocca le trivelle (che in Italia sono già bloccate entro le 12 miglia, normativa più dura di tutta Europa), non tocca il nostro patrimonio culturale e ambientale. Il referendum voluto dalle regioni costerà 300 milioni agli italiani". La legge prevede, infatti, che non possa essere accorpato ad altre elezioni. "I soldi per questo referendum - conclude la nota - potevano andare ad asili nido, a scuole, alla sicurezza, all'ambiente. E di questo parleremo durante la direzione di lunedì, ratificando la decisione presa come vicesegretari. Se il referendum passerà l'Italia dovrà licenziare migliaia di persone e comprare all'estero più gas e più petrolio. Lunedì vedremo chi ha i numeri - a norma di Statuto - per utilizzare il simbolo del Pd".

Facciamo un passo indietro. Prima del parere positivo della Consulta, che ha dichiarato ammissibile uno dei sei quesiti referendari presentati - quello appunto sulla durata dei permessi a esplorazioni e trivellazioni - il governo aveva cercato di evitare il referendum, introducendo una serie di norme nella legge di Stabilità che hanno ribadito il divieto di trivellazioni entro le 12 miglia mare. Di fatto, quindi, l'esecutivo è sempre stato contrario alla consultazione. Per questo appare abbastanza scontata la "neutralità" del Pd sul tema. Tuttavia la minoranza interna insorge perché la decisione non è stata presa collegialmente: "Apprendo dal sito dell'Agcom che il Pd avrebbe assunto la posizione dell'astensione al referendum di Aprile sulle trivelle in mare - afferma in una nota Roberto Speranza - mi chiedo come e dove sarebbe stata assunta questa scelta".

E Davide Zoggia aggiunge: "Astensione sul referendum 'no triv'? Se fosse confermato ciò che è scritto sul sito dell'Agcom non andrebbe bene per niente. Tanto più che molti nostri iscritti e simpatizzanti in diverse Regioni si sono già schierati per il sì e si rischia di isolarli. Possibile che non si senta il bisogno di aprire un confronto prima di prendere una decisione e di presentarla come la posizione ufficiale di tutto il partito?".

Anche l'opposizione va all'attacco: "È davvero surreale che il partito che governa il Paese si trinceri dietro il vecchio detto 'non vedo, non sento, non parlo'. I petrolieri ringraziano", commenta Arturo Scotto, capogruppo dei deputati di Sinistra italiana.

Michele Emiliano, presidente Pd della Regione Puglia schierato da tempo contro le trivellazioni, spera si tratti di una svista burocratica: "Non mi risulta che il Partito democratico abbia assunto nell'assemblea, che si è svolta pochi giorni fa, alcuna decisione su questo punto. Credo che si tratti di un refuso burocratico, ma se non fosse così deve essere cambiato lo statuto del partito".

Ma la sua speranza viene presto disillusa da Nicola Fratoianni: "Abbiamo appena finito la riunione della Commissione parlamentare di Vigilanza Rai che doveva esaminare le richieste d'accesso alle tribune elettorali per il referendum. E la brutta notizia è che il Pd ha annunciato la propria astensione. Non si tratta quindi di equivoco o di incidente burocratico - conclude l'esponente di Si - bensì di posizione politica ufficiale".

Emiliano risponde allora con un tweet:
Io e @BarackObama siamo contro le trivellazioni petrolifere marine. Il PD italiano che fa? Il 17 aprile vota SI.


Sconcerto anche da parte del mondo ambientalista. Per Legambiente "dopo aver puntato sul silenzio, ora Renzi punta sull’astensione. Il suo partito inviterà gli italiani a non recarsi alle urne. Scandaloso". Anche per Greenpeace è "in atto una strategia di annichilimento del voto referendario".

Reazioni anche dalle altre forze di opposizione. "Il volto del Pd è pro trivelle, questo
è evidente. Il Pd trivella la democrazia boicottando il referendum", commenta capogruppo M5s alla Camera Michele Dell'Orco.
http://www.repubblica.it/politica/2016/ ... 135699495/
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Re: Un referendum di cui non si parla

Messaggioda franz il 18/03/2016, 16:41

“Referendum Trivelle: ecco perché io non andrò a votare”

articolo di Michela Costa, geologa

Referendum Trivelle: ecco perché io non andrò a votare.
E se proprio fossi costretta, voterei NO.

Ho letto tutti i vostri post sulle trivelle. Ho guardato tutte le sfilate delle immagini più o meno toccanti e più o meno simpatiche (l’ultima delle quali, “trivella tua sorella”, oltre che essere sfacciatamente maschilista, è stata proprio un epic fail, complimenti agli ideatori!). Immaginavo già che alcuni dei più famosi brand italiani arrivassero anche ad approfittare del momento caldo per le proprie campagne pubblicitarie (ed ecco infatti che “le uniche trivelle che ci piacciono” hanno per protagonisti un fusillo di pasta che si tuffa nel ragù e un cavatappi che affonda nel sughero di un nero d’avola). Mi rendo conto di quanto possa essere abbastanza facile restare impressionati da una campagna di Greenpeace che ci fa vedere le immagini del povero gabbiano tutto sudicio di petrolio che tenta disperatamente di aprire le ali. Ci vengono le lacrime agli occhi, vero? Ma siccome sono chiamata a dare un voto e mi piace pensare e agire con la mia testa, ho deciso di prendermi del tempo per informarmi e andare oltre le immagini e le informazioni che fonti “orientate” ci propinano in rete, soprattutto in materia ambientale, visto il tipico vizio che hanno certe campagne ambientaliste di puntare i piedi e otturare le orecchie. E quello che ho trovato in rete mi ha molto stupita. Sono partita da un paio di articoli (Il Post e Le Scienze) per poi approfondire saltellando da link a link fino a farmi un’idea mia che, per necessità di chiarezza, sento il bisogno di condividere.

Premetto che ho molto a cuore l’ambiente ma rifiuto la definizione di ambientalista (parola che come “fondamentalista” e “integralista” denota un estremismo spesso privo di qualsiasi tipo di raziocinio). E no, non sono un geologo che lavora in piattaforma, sono un geologo disoccupato che manco ci pensa ad andare a lavorare in piattaforma, per carità. E non ho nessuno in famiglia che lavora alla Eni. Insomma nessun interesse personale nelle mie opinioni.

Lasciando stare le motivazioni occupazionali (in caso di vittoria del SI, circa settemila lavoratori impiegati nel settore perderebbero il posto di lavoro, motivo per cui diversi sindacati si sono schierati a favore del NO) e le motivazioni economiche (dismettere gli impianti prima del tempo significa chiaramente un costo enorme per le spese di ammortamento, perché vuol dire non usare quell’impianto per l’intera vita operativa per cui era stato progettato) voglio discutere di seguito i motivi per cui non andare a votare nella speranza che non venga raggiunto il quorum, mi sembra la soluzione “più sostenibile”:

1) Lo stop che prevede il referendum riguarda più il gas metano che il petrolio. In Italia il petrolio, l’oggetto più demonizzato dalle campagne “No-Triv”, viene estratto per la maggior parte a terra e non in mare. Gli impianti che saranno oggetto del referendum estraggono fondamentalmente metano, che sebbene fossile, è una fonte di gran lunga meno dannosa del petrolio e ancora per molti versi insostituibile (attualmente il 54% dell’offerta energetica mondiale). In questa pagina del sito dell’Ufficio Nazionale Minerario per gli Idrocarburi e le Georisorse, vi è l’elenco completo delle piattaforme oggetto del referendum (quelle entro i limiti delle 12 miglia), la loro profondità di estrazione (dato spesso sottovalutato, ma molto importante) e il tipo di combustibile estratto. Nonostante Greenpeace si faccia portavoce di immagini con ragazzi in costume da bagno ricoperti di catrame e poveri pennuti starnazzanti nel petrolio, scorrere velocemente l’elenco degli impianti farà capire brevemente come la percentuale di impianti a GAS sia in netta maggioranza rispetto a quelli a OLIO. Questo si traduce con una sola frase: Siamo disinformati e pronti ad abboccare a qualsiasi cosa, basta che sia green.

2) la vittoria del SI porterà inevitabilmente alla costruzione di altri impianti. La costruzione di piattaforme entro le 12 miglia è vietata per legge dal 2006 (comma 17 dell’art. 6 del D.Lgs 152/06) e su questo possiamo stare sereni. La vittoria del SI non potrà, però, impedire alle compagnie di spostarsi e costruire nuovi impianti poco oltre questo limite.
Praticamente con il SI quello che vogliamo dire alle compagnie e: << Sentite, anche se avete ancora un botto di gas da estrarre in questo giacimento, chiudete tutti i rubinetti e spostatevi più lontano oppure andatevene in un altro paese >>. Si, significa questo, ridotto ai minimi termini. La compagnia allora potrà scegliere se non cambiare stessa spiaggia stesso mare, dismettere l’impianto entro le 12 miglia e farne, per esempio, uno nuovo a 12,5 miglia (li dove nessuno potrà lamentarsi di nulla) oppure andare a cercare giacimenti altrove, sulla terraferma o in altri paesi. Ma inevitabilmente, altri impianti saranno costruiti e altri saranno potenziati, per sopperire al fabbisogno energetico. Se vietiamo l’utilizzo degli impianti esistenti, da qualche altra parte questo gas dovremo andarlo a prendere, no?

3) La vittoria del SI non scongiura un rischio ambientale, anzi, contribuisce ad aumentare l’export petrolifero e quindi anche l’inquinamento. Ora, immaginiamoci un disastro ambientale, un grave incidente a una piattaforma petrolifera posizionata “correttamente” e cioè oltre il limite delle 12 miglia. Pensate davvero che un miglio, 5 miglia o anche 20 miglia possano fare la differenza? Sarebbe comunque una catastrofe e nessun vascello di Greenpeace o panda del WWF potrà correre avanti e indietro e fare da barricata all’avanzare del petrolio verso le coste. In più lo stop delle piattaforme esistenti si tradurrebbe in un maggiore traffico di petroliere che vanno a spasso per i nostri mari per portarci i combustibili che noi abbiamo deciso di non estrarre più ma di cui avremo ancora bisogno. Petroliere alimentate a petrolio, che trasportano petrolio e che possono esplodere o essere soggette a perdite e sversamenti. Senza dimenticarci che, sempre in Adriatico, anche la Croazia e la Grecia trivellano e, in futuro, potrebbero attingere ai giacimenti che l’Italia abbandonerà in caso di vittoria del SI. Insomma, a livello di rischio ambientale non cambia proprio nulla.

4) La vittoria del SI non si traduce in una politica immediata a favore delle energie rinnovabili che a conti fatti da sole non possono ancora bastare. Cosa vi aspettate, che all’indomani della cessazione delle attività nelle piattaforme, l’Italia magicamente si sosterrà solo con le rinnovabili? Siamo d’accordo che l’utilizzo dei combustibili fossili non sia una pratica sostenibile. Ma appunto per questo bisognerebbe puntare non alla costruzione di altri impianti, bensì allo sfruttamento residuo di quelli già esistenti che devono fare da supporto alle energie rinnovabili sempre più in crescita ma non ancora autonome. In un futuro (credo ancora troppo lontano) si auspica l’utilizzo esclusivo di energie rinnovabili ma ciò deve essere fatto un passo alla volta, con la consapevolezza che un periodo di “transizione” è fisiologico e l’utilizzo delle fonti fossili, soprattutto del gas, ci dovrà accompagnare in questo passaggio. In poche parole, se togliamo il gas e il petrolio dobbiamo essere in grado di sostenere subito “la baracca” in un altro modo altrettanto efficiente. Le stesse Greenpeace, Legambiente, Marevivo, Touring Club italiano e WWF hanno detto: “quello che serve per difendere una volta per tutte i nostri mari è il rigetto immediato e definitivo di tutti i procedimenti ancora pendenti nell’area di interdizione delle 12 miglia dalla costa e una moratoria di tutte le attività di trivellazione a mare e a terra, sino a quando non sarà definito un Piano energetico nazionale volto alla protezione del clima e rispettoso dei territori e dei mari italiani”. Ok, siamo d’accordo, ma nel frattempo che definiamo il Piano energetico, l’Italia come vivrà?

5) Il referendum è illeggittimo, fa leva sulla disinformazione dei cittadini e sulla cattiva immagine che una trivella ha nell’immaginario comune. Non è un referendum lo strumento più adatto per risolvere un tema così complesso e così tecnico. O meglio, potrebbe esserlo se fossimo tutti degli esperti di coltivazione d’idrocarburi, ma non lo siamo. Trivellare non vuol dire necessariamente essere contro le politiche green, anzi, la normativa di settore è piuttosto severa e restrittiva nei confronti delle concessioni e degli adempimenti a cui le compagnie devono prestare attenzione.

6) Non è vero che la presenza degli impianti abbia ostacolato il turismo… Se così fosse, il litorale romagnolo (dove ci sono il maggior numero di impianti) non registrerebbe ogni stagione i flussi turistici che sono invece ben noti. Così anche la Basilicata. In poche parole il turista da peso ad altre cose, e non alla presenza delle piattaforme.

7) …e non è vero neanche che l’estrazione di combustibili dal sottosuolo può innescare terremoti come quello avvenuto anni fa in Emilia. Questa è un’argomentazione piuttosto tecnica di cui non auguro la lettura integrale nemmeno al mio peggior nemico, ma se volete trovate le conclusioni del rapporto a pagina 56 e successive di questo documento.

8) La vittoria del SI contribuirà allo sfruttamento dei paesi in via di sviluppo. Dal momento che nel giro di qualche anno verranno dismesse le nostre piattaforme e che il passaggio verso le rinnovabili è ancora qualcosa di molto lento, la vita continua e noi dovremo pur accendere i fornelli di casa e per farlo ci servirà ancora del metano. Metano che le compagnie si dovranno andare a cercare da qualche altra parte e che ci venderanno (a costi più cari, ma questa è un’altra storia che ricorda tanto quello che successe per il nucleare).

E noi lo compreremo questo metano, lo compreremo più caro ma con la coscienza più pulita perché siamo ambientalisti e abbiamo detto che il nostro mare “non si spirtusa”. Il nostro mare, appunto. Per fortuna arriva Claudio Descalzi, amministratore delegato Eni che, a braccetto di Renzi, già un paio d’anni fa esclamava soddisfatto: << In Mozambico l’Eni ha fatto la più importante scoperta di gas della sua storia: 2.400 miliardi di metri cubi di gas che consentirebbero di soddisfare il bisogno degli italiani per trent’anni >>. Inutile dire quanto poco gliene possa fregare del gas agli abitanti del Mozambico, loro che non hanno nè fornelli né automobili. Noi quindi ci prendiamo da loro gas e petrolio e loro si prendono solo gli eventuali rischi più qualche spicciolo che andrà nelle casse del governo locale. Molto comodo essere ambientalisti così, evvero?

Io sinceramente non mi sentirei a posto con la coscienza a votare SI e poi accendere i fornelli con il gas che viene non dall’Adriatico (no per carità, il nostro mare va tutelato) ma dal Mozambico che accoglie le compagnie petrolifere che noi abbiamo cacciato, accollandosi il rischio ambientale perché ha solo gli occhi per piangere e nessun potere contrattuale per dire “no, noi le vostre trivelle qui non le vogliamo”.

Quindi mi auguro semplicemente che chi deciderà di votare SI abbia un comportamento ineccepibile dal punto di vista energetico. Questo non significa solo fare la differenziata e andare in bicicletta. Significa essere pronti, per coerenza personale, a rinunciare all’indomani del referendum a qualsiasi forma di utilizzo dei combustibili fossili. Significa non possedere né auto né moto che non siano elettriche; significa non viaggiare né in aereo né in nave; significa avere una casa totalmente sostenuta da rinnovabili, con stufe a pellet o i raggi infrarossi; significa non comprare tantissimi prodotti che fanno parte della nostra vita quotidiana e per la produzione dei quali vengono usati combustibili fossili. Insomma, significa essere degli integralisti energetici, avere uno stile di vita molto più che green. Ma quanti, tra quelli che voteranno SI hanno una condotta del genere?
qui il link diretto all’articolo
http://ottimistierazionali.it/referendu ... -a-votare/
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Re: Un referendum di cui non si parla

Messaggioda franz il 19/03/2016, 22:15

Non che io sia sempre d'accordo al 100% con il Prof. Qualche (rara) volta dissento.
E anche vigorosamente. E me ne dispiaccio.
E quando sono d'accordo, sono felice.
Questo è uno dei casi in cui sono soddisfatto.


Prodi a favore delle trivelle. "Il referendum? Un suicidio nazionale"

Romano Prodi scende in campo per il no al referendum sulle trivelle del 17 aprile (e quindi per mantenere le cose come stanno ora). L'ex premier risponde alle domande di Affaritaliani.it sulla consultazione che sta dividendo il Partito Democratico e sta scatenando molte polemiche dentro e fuori il Parlamento
Di Alberto Maggi (@AlbertoMaggi74)

Romano Prodi scende in campo per il no al referendum sulle trivelle del 17 aprile (e quindi per mantenere le cose come stanno ora). L'ex presidente del Consiglio, impegnato per lavoro a Mosca, risponde alle domande di Affaritaliani.it sulla consultazione che sta dividendo il Partito Democratico e sta scatenando molte polemiche dentro e fuori il Parlamento. "Non ci ho ancora pensato, attualmente sono in giro per il mondo", risponde Prodi alla domanda se andrà alle urne il prossimo 17 aprile.

Ma poi l'ex premier afferma: "E' un tema importantissimo. Ci ho riflettuto bene e devo dire che mi sono sempre schierato sull'assoluta necessità di avere, ovviamente nella massima sicurezza, una produzione nazionale, come hanno tutti i Paesi. E' assolutamente necessario anche attrarre gli investimenti esteri, come accade in tutte le nazioni del mondo, certamente, come detto, garantendo la massima sicurezza.

E comunque - spiega il Professore - se non lo facciamo noi nello stesso mare lo fanno altri. Poi, sul caso specifico della consultazione referendaria, rifletterò bene quando torno in Italia". Quanto alle polemiche nel Pd, Prodi afferma: "Non ho visto niente di tutto questo e non posso commentare". Ma su un punto il padre dell'Ulivo non ha alcun dubbio: "Se dovessi votare voterei certamente per mantenere gli investimenti fatti, su questo non ho alcun dubbio anche perché è un suicidio nazionale quello che stiamo facendo. Quindi - conclude Prodi - se voto al referendum voto no".

http://www.affaritaliani.it/politica/tr ... 12990.html
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Re: Un referendum di cui non si parla

Messaggioda ranvit il 20/03/2016, 8:51

Non che io sia sempre d'accordo al 100% con il Prof. Anzi, spesso dissento (politicamente ha fatto disastri).
E anche vigorosamente. E me ne dispiaccio perchè ne sono stato un sostenitore nei primi anni dell'Ulivo.
E quando sono d'accordo, sono felice.
Questo è uno dei casi in cui sono soddisfatto. :D
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Un referendum di cui non si parla

Messaggioda mariok il 20/03/2016, 13:32

Prima "sciagura nazionale". Ora (mi dispiace per Prodi) "suicidio nazionale"

E i catastrofisti sarebbero gli ambientalisti! :D

La morte “fossile” dell’Italia
Pubblicato il marzo 20, 2016 di dariofaccini

Nel dibattito sul referendum del 17 Aprile, mancano domande fondamentali.

Quanto petrolio e gas rimangono ancora da estrarre in Italia? Ha senso estrarli alla massima velocità possibile?

I motivi per cui dobbiamo conservare questo “tesoro in molecole”, proprio come conserviamo le Riserve Auree e la Primavera del Botticelli.


Di Dario Faccini


Per gli effetti sul settore gas e petrolio di un vittoria dei SI si veda il precedente articolo “le bufale sul referendum del 17 Aprile“. https://aspoitalia.wordpress.com/2016/0 ... 17-aprile/

A TUTTO GAS
Il 1994 è l’anno in cui l’Apple lancia il primo Macintosh, a Sarajevo una granata serbo-bosniaca uccide 68 persone in un mercato e in Africa si compie il massacro sistematico dell’etnia Tutsi in Ruanda (mezzo milione di morti solo nei primi 100 giorni).

In Italia si raggiunge il record produttivo di Gas Naturale, ma non fa notizia. Il consumo di metano ha superato la produzione a partire dagli inizi degli anni ’70. L’autosufficienza energetica in Italia è un sogno svanito da molto temp (Fig. 1).

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Fig. 1. Dati storici di consumo, produzione e importazione (calcolata come differenza delle prime due quantità) in Italia, in MTep. Fonte: BP Statistical Review 2015.


La corsa dei consumi si arresterà invece dieci anni dopo, nel 2005, quando sarà raggiunto il Picco “lato domanda”. Nel 2014, la produzione interna di gas naturale ha coperto meno del 12% dei consumi, con una quota del 67% proveniente da giacimenti a mare (soprattutto dall’Adriatico Veneto-Romagnolo).

Se il gas naturale italiano è in un declino irreversibile, il petrolio estratto mostra un trend diverso, a prima vista più ottimista.

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Fig. 2. Dati storici di produzione di Gas Naturale e Petrolio in Italia, in MTep. Fonte: BP Statistical Review 2015.


Come per il Gas, la produzione di Petrolio in Italia copre solo poco più del 10% (2014) dei consumi interni, ma è rimasta piuttosto costante dalla fine degli anni ’80 sino ad oggi.

RISERVE: IL LIVELLO DEL SERBATOIO ITALIA
Qualsiasi forma di ottimismo si infrange però di fronte alla cruda realtà delle quantità di gas e petrolio ancora estraibili (riserve).

Il Rapporto Annuale 2015 del DGRME, riporta le stime ufficiali delle riserve di gas e petrolio, disaggregate in base alla probabilità (certe, probabili, possibili) [1]. Per ottenere la stima delle riserve recuperabili, si devono considerare per intero le riserve certe, per metà quelle probabili e per un quinto quelle possibili [2].

Per il Gas Naturale si scopre così che le riserve ancora recuperabili sono pari a 88,5 MTep e non bastano neppure per coprire il fabbisogno nazionale per un anno e mezzo (Fig 3).

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Fig. 3. Confronto tra: Riserve certe, probabili e possibili ufficiali di Gas Naturale (a fine 2014); riserve recuperabili (ottenute come somma del 100% delle certe, del 50% delle probabili, del 20% delle possibili); consumo di Gas Naturale nel 2014. Fonti: MISE-DGRME, Rapporto annuale 2015 e MISE, bilancio di Gas.


La situazione per il petrolio è solo lievemente migliore: la quantità che rimane da estrarre è pari a 142MTep e coprirebbe poco meno di due anni e mezzo di consumi nazionali. (Fig. 4)

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Fig. 4. Confronto tra: Riserve certe, probabili e possibili ufficiali di Petrolio (a fine 2014); riserve recuperabili (ottenute come somma del 100% delle certe, del 50% delle probabili, del 20% delle possibili); consumo di Petrolio nel 2014. Fonti: MISE-DGRME, Rapporto annuale 2015 e MISE, Consumi Petroliferi.


NON SI CERCANO NUOVI GIACIMENTI
Ma non potrebbero esserci altre riserve di gas e petrolio da scoprire? Si, ma poche, perché la ricerca d’idrocarburi è sottoposta alla legge dei ritorni decrescenti: vengono scoperti prima i giacimenti più grandi e accessibili, poi quelli più piccoli e difficili da coltivare. Così con il passare del tempo le scoperte rallentano sempre più (mentre i costi di estrazione aumentano).

L’Italia segue bene questa legge: il numero di pozzi esplorativi perforati si è ridotto sempre più sino a quasi ad annullarsi.

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Fig 5. Numero dei pozzi perforati in Italia, ripartiti tra pozzi esplorativi e di sviluppo. Fonte: MISE-DGRME, Rapporto annuale 2015.


Negli ultimi sei anni nessun pozzo esplorativo è stato perforato in mare, e nel 2014 neppure a terra è stato perforato alcun pozzo per la ricerca di idrocarburi. Anche il ritmo di perforazione dei giacimenti già scoperti è in crollo negli ultimi 4 anni. (Fig. 5)

Colin Campbell, uno dei padri di ASPO, ha costruito un semplice modello per l’esaurimento delle risorse fossili, che proponiamo in fig. 6 per il petrolio italiano. Da questo modello si ricava che circa i 2/3 del petrolio estraibile è già stato prodotto e che le riserve ancora da scoprire sono piuttosto esigue.

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Fig. 6: Rispettive frazioni di petrolio già estratte, scoperte da scoprire in Italia. Se si traccia un segmento verticale a partire da un dato anno si individuano tre valori in ciascuna area. Per il 2015 la linea azzurra indica come i 2/3 delle riserve petrolifere Italiane sia già stata estratta. Fonte: Campbell Atlas of Oil and Gas Depletion.


Quindi ci rimane poco petrolio e ancor meno gas, e non ci sono prospettive ragionevoli di scoprirne molto di più. Ma in tutto questo, cosa centra il referendum del 17 Aprile?

PERCHE’ TENERE SEPPELLITO IL TESORO
C’è un ottimo motivo per votare SI al referendum del 17 Aprile.

Nel nostro immaginario siamo portati a pensare agli idrocarburi come combustibili che usiamo per scaldare, spostarci e, purtroppo, per inquinare.

Questo è in realtà l’uso meno nobile che se ne può fare: il 12% del petrolio consumato ogni giorno non è bruciato, è utilizzato come materia prima nel settore petrolchimico per produrre polimeri (plastiche) e una miriade di altre sostanze di sintesi; il gas naturale è invece materia prima per produrre i fertilizzanti azotati, fondamentali per mantenere la produttività agricola con le tecniche intensive moderne.

Se è vero che molti utilizzi petrolchimici degli idrocarburi sono in realtà sprechi e potrebbero essere ridotti con stili di vita più sobri (uno tra tutti la plastica che finisce in mare) è anche vero che alcuni utilizzi sono fondamentali per il nostro benessere e lo saranno anche nella transizione alle fonti di energia rinnovabile. Si pensi alle gomme dei mezzi di trasporto, all’utilizzo di dispositivi monouso in ambito sanitario, alle guaine dei cavi elettrici, ai pannelli per la coibentazione degli edifici, ai prodotti per l’igiene e ai farmaci.

In un futuro in cui rinnovabili ed efficienza energetica avranno sostituito i combustibili fossili, petrolio e gas naturale saranno ancora necessari (e insostituibili) come materie prime.

La velocità con cui sinora abbiamo consumato il patrimonio italiano di gas e petrolio dovrebbe farci riflettere e valutare seriamente se non sarebbe più saggio conservare quel poco che rimane per tramandarlo alle future generazioni come materia prima essenziale.

STIAMO SFRUTTANDO TROPPO IL MARE
Torniamo un attimo al Referendum del 17 Aprile. Come abbiamo già scritto, si tratta di non rinnovare via via le concessioni che arriveranno a scadenza entro le 12 miglia marine. L’impatto sulla produzione nazionale di gas non è facile da quantificare. Quello che abbiamo evidenziato è che adesso dalle concessioni che sarebbero coinvolte proviene una produzione di gas pari al 27% di quella nazionale, ma, con la progressività delle chiusure per il raggiungimento delle scadenze, la produzione “persa” sarebbe ben inferiore in quanto nel frattempo i giacimenti continuerebbero ad essere sfruttati e quindi ad esaurirsi.

A prima vista può sembrare comunque uno spreco, ma se confrontiamo le riserve recuperabili di petrolio e gas con la produzione, evidenziando la collocazione tra terra e mare, si scoprono due fatti importanti (vedi Fig. 7 e 8):

stiamo esaurendo le riserve di gas più velocemente di quelle di petrolio;
stiamo esaurendo le riserve di gas marine ad una velocità ben superiore rispetto alle riserve di gas.

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Fig. 7 e 8. Ripartizione delle riserve e della produzione di petrolio e gas, tra mare e terra. Si osservi come l’esaurimento delle riserve di gas marine avvenga ad una velocità quasi doppia rispetto a quelle terrestri. Fonte: MISE-DGRME, Rapporto annuale 2015.
In termini di energia contenuta (Mega tonnellate equivalenti di petrolio), le riserve recuperabili di petrolio sono il doppio di quelle di gas ma la produzione annua di gas e petrolio è praticamente uguale. Inoltre le riserve recuperabili di gas sono ubicate più o meno ugualmente distribuita tra terra e mare, ma la produzione marina è circa il doppio di quella terrestre.

Quindi il referendum avrebbe sia l’effetto di riallineare la velocità di esaurimento dei giacimenti di gas marini a quelli terrestri, sia quello di rallentare complessivamente la produzione di gas, troppo elevata rispetto a quella di petrolio.

CONCLUSIONI
Il gas naturale ha fatto le fortune energetiche ed industriali dell’Italia del secondo dopoguerra, ma sono oltre vent’anni che la sua produzione nazionale è in calo. Ormai le riserve ancora recuperabili non bastano più nemmeno per coprire i consumi italiani di un anno e mezzo. Va un poco meglio per il petrolio, per cui si arriva a due anni e mezzo.

La ricerca di nuovi giacimenti, dopo 70 anni di esplorazione, è avviata verso la sua morte naturale, soprattutto in mare dove da 6 anni non si perforano più pozzi esplorativi.
L’avventura fossile dell’Italia è ormai in declino. Nuovi giacimenti da scoprire ce ne sono ormai ben pochi e pare interessino sempre meno le compagnie petrolifere.

Petrolio e gas naturale saranno materie prime essenziali per la società e la transizione energetica verso le rinnovabili ancora per moltissimo tempo, è bene conservare quel poco che rimane per le generazioni future lasciandolo dov’è.

Gas e petrolio sono rimasti intrappolati per decine di milioni di anni, non scompariranno certo nei prossimi 100. L’occupazione (poca [3]) e i proventi (marginali [4]) li possiamo lasciare anche ai nostri nipoti.

A nessuno con un minimo di visione strategica verrebbe mai in mente di nazionalizzare e vendere alla svelta le riserve auree della Banca d’Italia o la quota ENI ancora detenuta dallo Stato o le terre del demanio pubblico o i beni artistici statali come la Galleria degli Uffizi.

Allora perché c’è questo imperativo di accelerare al massimo la morte fossile del nostro paese? Di rimanere a secco e alla mercé di paesi politicamente instabili come quelli del Nord Africa e del Medio Oriente?

Possiamo escludere con certezza che non ci saranno crisi petrolifere in futuro e che non avremo mai maggior bisogno di quel gas di quanto ne abbiamo adesso?

Se non vogliamo lasciare solo un paese paese pieno di debiti e senza risorse naturali ai vostri figli e nipoti, allora il referendum del 17 aprile rappresenta l’inizio per cambiare strada.

Per iniziare a pensare al futuro del nostro Bel Paese.

Note

[1] Le riserve certe, probabili e possibili sono definite a livello internazionale come le quantità stimate di idrocarburi che, sulla base dei dati geologici e di ingegneria di giacimento disponibili, potranno essere commercialmente prodotte con rispettive probabilità del 90%, 50% e 10% nelle condizioni tecniche, contrattuali, economiche ed operative esistenti al momento considerato. Non sono quindi stime assolute, ma variano in funzione delle informazioni geologiche, delle tecnologie considerate e del prezzo del barile.

[2] Questa è la prassi utilizzata dal DGRME nei suoi Rapporti Annuali. Si veda ad esempio il Rapporto del 2003 a pag 14.

[3] Una delle poche stime citabili dell’occupazione impiegata nel settore dell’estrazione di idrocarburi proviene dalla Fondazione Eni Enrico Mattei, che per la Val d’Agri (Basilicata) da cui proviene il 65% della produzione nazionale, evidenzia un’occupazione, diretta e dall’indotto, di circa 4200 persone.

[4] Si veda le stime nel post precedente “le bufale sul referendum del 17 Aprile“.
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Re: Un referendum di cui non si parla

Messaggioda franz il 20/03/2016, 16:52

dall'analisi dei grafici mi pare che il consumo (sceso di molto) sia sceso molto di piu' della produzione interna (stabile) e questo incrementa il ruolo stategico della produzione italiana rispetto alle importazioni.
Il consumo scende con la crisi dal 2008 ma si spera che prima o poi la crisi finisca.
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Re: Un referendum di cui non si parla

Messaggioda flaviomob il 20/03/2016, 16:59

La Croazia blocca le trivellazioni. Pure gli USA le stanno bloccando / riducendo. Ormai è chiaro che il futuro è nelle energie rinnovabili e in Italia c'è ancora un ampio margine per l'utilizzo di energia solare, visto che siamo abbondantemente dietro a paesi del centro e del nord Europa in cui, evidentemente, l'irradiazione eolica è fisicamente inferiore alla Penisola. Poi dobbiamo ancora imparare a sfruttare l'energia pulita delle maree.


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Re: Un referendum di cui non si parla

Messaggioda mariok il 20/03/2016, 17:48

Insomma, al di là delle diverse interpretazioni dei dati, alcune cose certe si possono affermare:

1) le estrazioni di cui si parla (quelle entro le 12 miglia) rappresentano il 27% del totale (valore decrescente man mano che si avvicina l'esaurimento dei giacimenti)
2) il totale della produzione rappresenta il 10% del consumo, per cui stiamo parlando della eventuale rinuncia a produrre al massimo il 2,7% del nostro fabbisogno
3) comunque la si pensi, si tratta di un dato che non giustifica termini drammatici come "sciagura nazionale" o "suicidio nazionale".

Si tratta di valutare se il gioco dei rischi che comunque ci sono per l'ecosistema (che dovremmo ormai aver capito che è un sistema il cui equilibrio è quanto mai complesso e delicato) vale la candela rappresentata dal 2,7% del nostro fabbisogno. Basterebbe una politica appena un po' più efficace contro le inefficienze termiche per recuperarne una parte ben maggiore.
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referendum

Messaggioda Robyn il 29/03/2016, 8:30

Il referendum sull'estrazione di petrolio può essere imprevedibile.Dare delle indicazioni è sbagliato ed inoltre è patetico e ridicolo il richiamo ai lavoratori,difendere i lavoratori quando si tratta di difendere gli interessi delle lobbyes colpire i lavoratori quando si tratta di difendere gli interessi delle lobbyes.Attualmente il PD non ha più una strategia ambientale di progresso sembra essere un partito amorfo del caballero senza cultura politica.Anche l'unità è un giornale smarrito aveva ragione Walter Veltroni andava chiuso e fondato un nuovo giornale chiamato liberty "giornale del lavoro".Il ministro dell'ambiente attualmente esiste? c'è? è assente e il csx sembra aver preso una deriva di tipo conservatrice.Anche Chiara Braga dov'è?Il solare,il fotovoltaico,l'idrogeno,il recupero di spazi di verde,il materiale biodegradabile,lo sfruttamento dell'energia del vento sulle grandi arterie,la raccolta differenziata,il risparmio energetico con le lampade a risparmio energetico e i regolatori,lo sviluppo del trasporto merci sù ferrovia"trasporto ad alta velocità"dove sono?
Locke la democrazia è fatta di molte persone
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Re: Un referendum di cui non si parla

Messaggioda flaviomob il 31/03/2016, 11:57

Ecco cosa c'è dietro al petrolio mondiale:

http://www.huffingtonpost.it/2016/03/30 ... _ref=italy

Unaoil: la fabbrica della corruzione mondiale. Come l'azienda di Monaco ha corrotto l'industria petrolifera mondiale
The Huffington Post | Di Nick McKenzie, Richard Baker, Michael Bachelard, Daniel Quinlan

Nella lista delle grandi società mondiali, Unaoil non compare da nessuna parte. Ma per gran parte degli ultimi vent’anni, l’azienda di Monaco ha sistematicamente corrotto l’industria petrolifera mondiale, distribuendo diversi milioni di dollari in tangenti per conto dei colossi aziendali Samsung, Rolls Royce, Halliburton e del ramo aziendale offshore dell’australiana Leighton Holdings. Ora, una serie di email e documenti trapelati ha confermato quello che in molti sospettavano sull’industria petrolifera, rendendo note le attività del gruppo che ha comprato funzionari pubblici e truccato contratti in tutto il mondo. Una fuga di notizie consistente in documenti confidenziali ha esposto la reale portata della corruzione nell’industria petrolifera, coinvolgendo dozzine di compagnie di punta, burocrati e politici invischiati in una sofisticata rete mondiale di corruzione e tangenti.

Dopo due mesi di indagini in due continenti, Fairfax Media e The Huffington Post possono finalmente rivelare che miliardi di dollari in contratti governativi sono stati conferiti in seguito al pagamento di tangenti elargite per conto di alcune società, inclusa l’iconica Rolls Royce, il gigante statunitense Halliburton, l’australiana Leighton Holdings e i pezzi grossi della Corea, Samsung e Hyundai. L’indagine ruota intorno al gruppo monegasco che risponde al nome di Unaoil, guidato dall’influente famiglia Ahsani. Dopo l’apparizione di una pubblicità in codice su un giornale francese, una serie di incontri clandestini e telefonate notturne hanno condotto i nostri reporter alla scoperta di centinaia di documenti ed email della famiglia Ahsani. La raccolta di notizie rivela come il gruppo abbia avvicinato esponenti delle famiglie reali, partecipato ad eventi importanti, eluso il controllo delle agenzie anti-corruzione, manovrando una rete segreta di faccendieri e mediatori operanti nelle nazioni produttrici di petrolio.

...


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