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C’è un problema di serietà e credibilità del governo?

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Re: C’è un problema di serietà e credibilità del governo?

Messaggioda franz il 22/01/2016, 15:49

ranvit ha scritto:Franz....si è creato un equivoco: in Italia se il risultato di esercizio è negativo e superiore ad un terzo del capitale sociale, devi portare i libri in tribunale.
Tu invece avevi parlato di DEBITI....mi scuso per l'equivoco.

Ma se fosse cosi' la gran parte delle aziende in Italia dovrebbe essere considerata fallita....e francamente ho dei dubbi che anche negli altri Paesi non sia lo stesso :roll:
Tu sei certo di quello che hai scritto?

Certo che sono sicuro. In Svizzera (paese capitalista, non comunista) è cosi'. Quindi almeno un caso esiste.
Non è il risultato d'esercizio (avanzo o deficit) ma il debito (il cumulo dei deficit) che non deve superare metà del capitale sociale. In fondo la razionalità è simile a quella di Maastricht, con il debito che non dovrebbe superare il 60% del PIL.
Cosa non impossibile, diversi paesi ci riescono.

Chiaro che si tratta di una norma severa. Ma non implica per forza il fallimento.
Per esempio l'azienda si puo' ricapitalizzare. Appena il nuovo capitale supera il doppio dei debiti, nessun fallimento.
Ma i soci nuovi che entrano ovviamente chiederanno di cambiare l'andazzo ed i soci preesistenti perderanno potere.
Il capitalismo ha leggi severe. Mi confermate che in Italia non ci sono regole simili.
Sarebbe interessante vedere invece dove questa norma è attiva, anche se non necessariamente con la soglia del 50%.

PS: il capitale sociale di DB è molto piu' alto di 310 milioni. Forse quello è il capitale di DB Italia.
Ho letto di un aumento di 8 miliardi a metà 2014, quindi non puo' essere 310. http://www.ilsole24ore.com/art/finanza- ... d=ABE4VFJB
Leggo di fondi propri pari a 68 miliardi: https://www.db.com/ir/en/download/Table ... ercise.pdf ma non so con esattezza il capitale sociale quale sia. Immagino che per le banche valgano regole diverse (TIER 1 e TIER 2)
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Re: C’è un problema di serietà e credibilità del governo?

Messaggioda ranvit il 22/01/2016, 16:05

In fondo la razionalità è simile a quella di Maastricht, con il debito che non dovrebbe superare il 60% del PIL.

Non vedo il paragone! Il Pil è come il fatturato di un'azienda (non il capitale).

Nel merito continuo ad avere dubbi: stiamo parlando di debiti lordi o netti (al netto di crediti, magazzino, semilavorati, beni mobili ed immobili....).
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Re: C’è un problema di serietà e credibilità del governo?

Messaggioda franz il 23/01/2016, 10:01

ranvit ha scritto:In fondo la razionalità è simile a quella di Maastricht, con il debito che non dovrebbe superare il 60% del PIL.

Non vedo il paragone! Il Pil è come il fatturato di un'azienda (non il capitale).

Nel merito continuo ad avere dubbi: stiamo parlando di debiti lordi o netti (al netto di crediti, magazzino, semilavorati, beni mobili ed immobili....).

Non esiste nella contabilità pubblica il concetto di "capitale sociale" per cui dicevo che il confronto col PIL è "simile", non identico. Il concetto di Maastricht è che il debito non dovrebbe superare il 60% della capacità annuale di produrre valore e che quindi va posta una limitazione all'indebitamento.

Per quanto riguarda il merito, stiamo parlando di debiti lordi. In sintesi le fatture ed altri impegni (obbligazioni) che l'azienda ha ricevuto e non ha ancora saldato. Il fatto che in azienda esistano anche altri attivi (magazzino, beni, gli ordini in essere, la stessa clientela, etc) non viene contato. L'azienda va ricapitalizzaza o fallisce. Essi caso mai faranno parte del goodwill nel caso in cui una azienda terza decidesse di rilevare l'impresa in fallimento. Naturalmente ci puo' anche essere il caso dell'amministrazione controllata. Ma qui entriamo nei dettagli. Il concetto generale è quello di avere nel paese un tessuto di imprese sano, dove il fallimento è prassi di mercato e non un dramma per tutti (i fornitori) che poi magari sfocia in salvataggi pubblici.
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Re: C’è un problema di serietà e credibilità del governo?

Messaggioda ranvit il 23/01/2016, 12:20

Ovviamente so bene che nel pubblico non esiste il "capitale sociale"....ma esiste il patrimonio delle famiglie che se ricordo bene in Italia è ampiamente superiore al debito pubblico, contrariamente a tanti Paesi 8-)
E allora se proprio volessimo fare il 60%, andrebbe fatto sull'aggregato pubblico/privato....ma si sa che questo non conviene ai Paesi "germanici" ed ai suoi amici anche qui sul forum :D


Dopodichè concordo ampiamente sul fatto che sarebbe bene che il debito pubblico non superasse il 60% del Pil. Ma cosi' non è; nessun Governo fin'ora è riuscito a farlo rientrare piu' di tanto (tranne parzialmente Prodi....ma tutto a spese dei lavoratori dipendenti con un aumento della tassazione; mica tagliando spese e sprechi!).

Resta il fatto comunque che il debito è una percentuale.....quindi aumentando il Pil diminuisce. Certo ci sarebbero molte cose da tagliare, a partire dal barbiere della Camera che dopo 20 anni di servizio ha uno stipendio di 143.000 euro all'anno...ma che piaccia o no per fare queste cose ci vuole un po' piu' di tempo. E per aumentare il Pil ci vogliono investimenti, pubblici e privati.....ma l'austerità ce lo ha impedito e le Banche hanno elemosimato il credito.
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Re: C’è un problema di serietà e credibilità del governo?

Messaggioda franz il 23/01/2016, 15:45

ranvit ha scritto:Dopodichè concordo ampiamente sul fatto che sarebbe bene che il debito pubblico non superasse il 60% del Pil. Ma cosi' non è; nessun Governo fin'ora è riuscito a farlo rientrare piu' di tanto (tranne parzialmente Prodi....ma tutto a spese dei lavoratori dipendenti con un aumento della tassazione; mica tagliando spese e sprechi!).

Nessun governo italiano, meglio specificare. Altri ci sono riusciti. Per esempio la Svezia.
Chiaro che tagliare spese e sprechi significherebbe tagliare l'ossigeno (ed il sangue) al sottobosco politico (partecipate, fondazioni, enti inutili etc) ma appunto stiamo o non stiamo parlando di credibilità delle azioni di governo?
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Re: C’è un problema di serietà e credibilità del governo?

Messaggioda ranvit il 23/01/2016, 16:03

1) Siamo in Italia....se vuoi restare al Governo per fare le cose in cui credi devi andarci piano ;)
2) Quando la Svezia ha fatto certi tagli, stava molto meglio dell'Italia di oggi. E comunque la Svezia non è il mondo...e poi la Svezia è un Paese di quattro gatti :D


I tagli in Italia non sono cosi' facili da fare...se ci provi drasticamente, ti fanno fuori in quattro e quattrotto.
E comunque, pensi che un Governo di un Paese di diritto possa tagliare lo stipendio al barbiere della Camera.....quello che dopo 20 anni guadagna 143.000/anno? L'iTalia è piena di queste situazioni.
Ciononostante questo Governo sta facendo molte cose per la modernizzazione e semplificazione del Paese che sono le vere premesse per dare una vera svolta!
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Re: C’è un problema di serietà e credibilità del governo?

Messaggioda Robyn il 23/01/2016, 19:37

Possono esistere anche dei metodi indolore per tagliare la spesa per ex trasferire nel privato i dipendenti pubblici che lavorano nella burocrazia facendogli fare dei servizi per il settore privato oppure nel caso delle pensioni di anzianità,per allinearle alla media europea,trasformare una parte delle prestazioni in previdenza complementare.Invece le partecipate, gli enti unitili e gli sprechi vanno tagliati.Diversamente per il rmg non serve aumentare la tassazione ma si possono recuperare circa 6 mld se si assoggettano tutte le prestazioni erogate all'Isee ,accompagnamento,invalidità e se si unificano le prestazioni in una sola prestazione erogata con l'imposta negativa facendo scomparire l'assegno di accompagnamento di invalidità e altre prestazioni frammentate
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Re: C’è un problema di serietà e credibilità del governo?

Messaggioda mariok il 25/01/2016, 9:35

Ogni tanto una voce equilibrata e di buon senso...

Paolo Mieli ha scritto:VERSO L’INCONTRO MERKEL-RENZI
Italia e Germania
La politica (sbagliata) dei toni alti

Tanto più le classi dirigenti esibiscono i propri successi, tanto meno a queste manifestazioni di autostima corrispondono lodi degli interlocutori. E viceversa
di Paolo Mieli

Venerdì prossimo Matteo Renzi incontrerà Angela Merkel e verrà il momento di fare il punto sullo stato delle relazioni tra Italia, Germania (ed Europa). Già si può immaginare il modo in cui andrà a concludersi: come sempre accade dopo le tempeste, si prenderà atto che i rapporti tra i due Stati sono «eccellenti», che qualche problema rimasto sul tappeto è «in via di soluzione», talché i giornali del giorno seguente racconteranno di «successo» del summit. Sarà più utile, perciò, soffermarci a osservare qualcosa di apparentemente laterale, cioè posture e toni che caratterizzeranno quella riunione. Quelli della Merkel possiamo dire di conoscerli in anticipo: flessibili, quantomeno in apparenza, e garbati. Più imprevedibili saranno quelli del nostro presidente del Consiglio che negli ultimi tempi si è esibito in un crescendo di veemenza laddove ha ribadito in più occasioni che il nostro Paese non si presenta più «con il cappello in mano»,che quando è in campo l’Italia (cioè lui) «non ce n’è per nessuno», che pretendiamo «ciò che ci spetta» e cose simili.
Sono toni non nuovi nella storia d’Italia, che hanno precedenti nelle fasi più instabili del nostro passato e che quasi mai hanno prodotto esiti all’altezza degli enunciati. Dapprincipio, dopo il 1861, le nostre classi dirigenti furono più sorvegliate nel coniugare la retorica risorgimentale con i propositi di affermazione e di grandezza. Anche perché le brucianti sconfitte di Lissa e Custoza nella terza guerra di indipendenza (1866) inducevano ad una qualche prudenza. Alla fine degli anni Settanta, mentre uscivano di scena i grandi che avevano guidato la stagione in cui si era fatta l’unità d’Italia, gli stili e il piglio cambiarono. Mentre il Paese si avviava alla stagione del «trasformismo», forse per compensazione alle difficoltà politiche interne, le voci cominciarono ad alzarsi. Il povero ministro degli Esteri Luigi Corti - un ex diplomatico con ottime credenziali - reo di aver enunciato al congresso di Berlino (1878) la saggia politica delle «mani nette», cioè della non partecipazione alla corsa coloniale, fu sommerso di contumelie. Insulti che presto trovarono qualcuno pronto ad «interpretarli»: il console italiano a Tunisi, Licurgo Macciò, mobilitò armatori e imprenditori per conquistare posizioni nella terra del Bey. Risultato? La Francia si allarmò e nel 1881 con un colpo di mano impose il suo protettorato sulla Tunisia. Le voci in Italia contro la politica delle «mani nette» (presentate adesso come «mani vuote») si alzarono al massimo, ne fu travolto il governo guidato dall’ultimo dei fratelli Cairoli, Benedetto, e da quel momento i nostri politici si dovettero cimentare con le idee di grandezza messe in campo dai più intransigenti, da intellettuali e soprattutto da poeti del calibro di Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli (in contrasto con la sua cifra poetica), fino agli eccessi di Gabriele D’Annunzio.
Mai più un’Italia «con il cappello in mano». Francesco Crispi, deciso a farsi valere, tentò l’avventura africana e ne fu travolto con la sconvolgente sconfitta di Adua (1896). A Giovanni Giolitti andò meglio con la guerra di Libia (1911) ma solo perché nell’immediato furono in pochi a misurare il rapporto tra costi (altissimi) e benefici (pressoché inesistenti) di quell’impresa. Poi quando lo stesso Giolitti si mostrò più esitante all’idea di far entrare l’Italia nella Prima guerra mondiale, mancò poco che venisse linciato. Inutile aggiungere qualcosa sull’uso che di quella retorica avrebbe fatto Benito Mussolini. Nel nome dell’orgoglio italico il nostro Paese prese parte ai due conflitti che nel Novecento sconvolsero il pianeta, uscendone ammaccato e la seconda volta ferito quasi a morte.
Di seguito, iniziò la stagione migliore della nostra storia, quella del secondo dopoguerra, impersonata nella fase iniziale da Alcide De Gasperi. Stagione che produsse un «patriottismo sobrio» atto a favorire un trentennio di clamoroso sviluppo civile ed economico. D’incanto i politici italiani compresero come fosse disdicevole presentarsi nei consessi internazionali battendo i pugni sul tavolo, fare la voce grossa, manifestare in eccesso il loro orgoglio. E quanto più si abbassava il tono delle loro voci, tanto più cresceva la loro reputazione. «Questi italiani hanno un magnifico appetito, ma pessimi denti», aveva ironizzato il cancelliere Bismarck molti anni prima. Adesso invece arrivavano elogi sempre crescenti e non solo dai Paesi alleati; dagli incartamenti segreti venuti alla luce emerge un’equazione che ha il carattere di un dato scientifico: tanto più le classi dirigenti si sentono in dovere di esibire i propri successi, di svelare l’intimità a loro concessa dai partner internazionali, di magnificare le sorti dell’Italia al momento in cui governano (o hanno governato), tanto meno a queste manifestazioni di autostima corrispondono lodi degli interlocutori. E viceversa. Con le crisi degli anni Settanta l’epoca virtuosa di cui si è detto volse al termine e nel decennio conclusivo della prima Repubblica fu la volta di leader, chi più chi meno, propensi a cantare i propri successi sulla scena mondiale.
Negli ultimi vent’anni poi quel vizietto italico è riemerso nei modi presenti alla memoria di chi non ha dimenticato Silvio Berlusconi e qualche suo oppositore. Adesso la tentazione di insistere nell’assunzione di posture baldanzose appare di nuovo forte. Soprattutto nei modi (e non solo quelli della politica) di rivolgerci alla Germania, un Paese che prima e dopo la riunificazione ha realizzato qualcosa che porterà tutti i suoi leader, da Adenauer alla Merkel, ad avere un posto d’onore nei libri di storia. Qualcuno, certo, può cedere alla tentazione di compiacersi per inciampi, come lo scandalo Volkswagen o il capodanno di Colonia, che sono lì a raccontarci come anche i tedeschi abbiano problemi da risolvere. E questo qualcuno può pensare di conseguenza che ci si possa presentare a Berlino con una qualche baldanza. Ma non è saggio. Un debito e una spesa pubblica come i nostri ci mettono in condizioni peggiori di quanto fossero quelle di oltre un secolo fa quando avevamo alle spalle Lissa e Custoza. E per quel che riguarda i nostri successi, il ruolo nuovo che abbiamo conquistato nel consesso internazionale, aspettiamo che siano gli altri a prenderne atto. Le lodi che ci diamo da noi, valgono poco. Anzi, niente.
25 gennaio 2016 (modifica il 25 gennaio 2016 | 08:02)
http://www.corriere.it/editoriali/16_ge ... 3b10.shtml
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Re: C’è un problema di serietà e credibilità del governo?

Messaggioda franz il 25/01/2016, 13:18

mariok ha scritto:Ogni tanto una voce equilibrata e di buon senso...

Concordo.
Per me è solo propaganda. Mostrare i muscoli e poi placare la tempesta. Tanto per poter dire che quando si è trattato di alzare la voce, lo si è fatto. Ritengo anche le le diplomazie europee questo lo sappiano già.
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Re: C’è un problema di serietà e credibilità del governo?

Messaggioda flaviomob il 26/01/2016, 1:33

http://www.corriere.it/esteri/16_gennai ... 1687.shtml

L'Italia manca di strategia diplomatica?


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
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