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l'Europa e la crisi della Cina

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda mariok il 26/08/2015, 12:00

Prodi e la crisi della Cina: «Tavolo con Pechino o mondo rischia»

di Luca Cifoni

Per affrontare i rischi che il rallentamento della Cina pone a tutto il mondo servirebbe una risposta coordinata, che Romano Prodi però giudica «desiderabile ma non probabile». L’ex presidente del Consiglio e della commissione Ue, osservatore attentissimo di quel che succede nel colosso asiatico, vede per quest’anno una crescita inferiore al 7 per cento delle previsioni ufficiali di Pechino, ma soprattutto teme un contesto di debolezza globale che potrebbe avere conseguenze pericolose.

Le Borse mondiali, esclusa quella cinese, si sono riprese dopo il grande tonfo. Ma questo non vuol dire che sia tutto a posto...
«Non presto molta attenzione ai crolli dei mercati borsistici ed alle successive risalite, preferisco concentrarmi sui problemi reali della Cina. D’altra parte il mercato cinese era cresciuto del 150 per cento in un anno: se si sgonfia un po’ non c’è niente di male».
Qual è allora il problema della Cina?
«Il problema è che il passaggio da un’economia basata su export e investimenti ad una alimentata dai consumi interni si sta rivelando più complicato del previsto. Anche perché il contesto non aiuta. Sono in affanno i Paesi in cui la Cina esportava ed, all’interno, sono aumentati i costi: un saldatore che qualche anno fa a Shangai costava 150 dollari al mese oggi ne costa 800. Poi c’è lo yuan che nel corso dell’anno si era rivalutato di oltre il 15% rispetto alla media delle valute dei paesi con cui la Cina commercia. In questa situazione già varie imprese stavano muovendosi per delocalizzare in Paesi dove il costo della mano d’opera è più basso: Myanmar, Vietnam, Bangladesh, Pakistan. Insomma la crisi dell’export è arrivata troppo presto, in un momento in cui non è ancora possibile rimpiazzare questa componente con la domanda interna, sia per la fase di bolla immobiliare sia per la mancata costruzione di sistemi sanitari e pensionistici, senza i quali è difficile convincere la gente a spendere».


Come giudica la reazione delle autorità cinesi? Qualcuno dice che hanno contribuito a scatenare il panico, mostrandosi non in grado di controllare la situazione.
«Certamente ci sono anche nodi politici. La necessaria lotta alla corruzione ha creato tensioni anche perché questa è molto diffusa: per molti funzionari che hanno una bassa retribuzione le tangenti di fatto erano un modo per integrare il reddito. Nei giorni scorsi le possibili misure di breve periodo erano state adottate ma non erano bastate. Ieri è stato anche annunciato un grande intervento di politica monetaria, una sorta di quantitative easing, che sembra avere tranquillizzato i mercati internazionali. Restano da fare tutte le grandi cose per le quali servirà però più tempo: risanare i bilanci delle imprese pubbliche e delle province, riformare il sistema bancario, regolare la bolla immobiliare. Certo difficilmente si riuscirà a mantenere la crescita del 7 per cento di cui si è parlato: questo tasso di sviluppo non è compatibile con dati come il dimezzamento della domanda di minerali del ferro o la stagnazione del consumo di energia».

Una Cina che non spinge più come prima fa paura al resto del mondo?
«Mi preoccupa che tutto ciò stia avvenendo in un quadro economico mondiale non brillante. In America c’è meno euforia rispetto a un po’ di tempo fa, Paesi emergenti come Brasile e Russia sono in forte difficoltà, mentre in Europa c’è ancora una ripresa miserevole. Io dico di fare attenzione, perché se non c’è una risposta economica coordinata si rischia una deflazione globale. La crisi del 2008 è stata provocata dagli Stati Uniti, la prossima potrebbe venire dalla Cina. Il che paradossalmente vuol dire che Pechino è protagonista nel mondo. Noi europei non siamo nemmeno capaci di provocare le crisi. Ci limitiamo a subirle e a prolungarle facendoci del male da soli. Lo dico sul filo dell’ironia, ma c’è del vero».

Che tipo di risposta coordinata servirebbe?
«Una conferenza mondiale, chiamiamola nuova Bretton Woods o come ci pare. Sicuramente è desiderabile, ma non credo sia realistica, probabile. Non mi pare che l’Europa sia in grado di organizzarla, non so se gli Stati Uniti la vogliano davvero. Certo non aiutano le tensioni con la Russia e quelle che vi sono anche tra gli Usa e la stessa Cina. Però non si può lasciare fuori dal tavolo delle decisioni un giocatore così importante. Questa situazione di tensione danneggia tutti, impedisce di trovare soluzioni anche a problemi come il terrorismo dell’Isis, che potrebbe essere battuto se ognuno collaborasse».

Quanto sta avvenendo in Oriente può avere conseguenze negative anche per la crescita europea ed italiana?
«Certo se la crisi cinese dura nel tempo le già stentate prospettive di crescita dell’Europa sono destinate a ridursi. Mi pare inevitabile. Per la Germania l’export verso Pechino raggiunge il 6,5-7 per cento del totale, per noi italiani solo il 2,5, anche se con una forte presenza di alcuni settori. Ma se si esportano meno auto tedesche sono penalizzate anche le imprese del nostro Paese che fanno i componenti. Tutto è legato. E poi c’è la volatilità dei mercati finanziari che qualche problema in termini di spread lo può dare, anche se per ora fortunatamente non è successo. Quando c’è nervosismo come in questi giorni, le piccole tensioni o delle semplici voci bastano a scatenare allarmi».

I problemi della grande Cina hanno un po’ oscurato quelli della piccola Grecia, che erano al centro delle preoccupazioni mondiali fino a poco tempo fa. Però anche lì restano questioni aperte, come quella del debito che in qualche modo dovrà essere ristrutturato.
«Ho già avuto modo di dire che sulla Grecia l’Europa è riuscita ad evitare il peggio ma ha fatto il male. È chiaro che Atene non è in grado di ripagare quel debito. Una soluzione bisognerà trovarla, che sia dimezzare lo stock o prolungare quasi all’infinito i pagamenti. Ma il punto è che questa Europa deve cambiare. Guardi come sta affrontando la questione dei profughi. I leader tedeschi e francesi l’hanno trattata come un semplice problema burocratico, senza rendersi conto che ormai ha assunto dimensioni bibliche. Cosa vuole che le dica? Noi europei abbiamo fatto un grande passo in avanti dopo una tragedia come il secondo conflitto mondiale. Speriamo che non serva un evento così disastroso per suscitare qualche politico profetico come i De Gasperi e gli Adenauer e spingerci verso una maggiore saggezza».

26 Ago 2015 08:43 - Ultimo aggiornamento: 11:48
http://economia.ilmessaggero.it/economi ... 3344.shtml
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda Robyn il 26/08/2015, 12:39

La crisi del paese del sol levante deriva dal fatto che i piccoli risparmiatori anziche continuare ad ossigenare l'economia reale hanno incominciando ad ossigenare il mercato azionario facendo mancare ossigeno a quella reale al punto da innescare fenomeni speculativi che facevano crescere il valore dei titoli azionari fino al punto che nessuno li ha più acquistati provocando una caduta verticale del mercato azionario.La crisi cinese delinea di più un globalizzazione a pluriaree sempre interdipendenti fra di loro ma meno di prima,finisce cioè la globalizzazione iniziata nel XXI secolo.La crisi cinese è una cosa positiva per i lavoratori perche porta ad una competizione meno esasperata e il fatto che il paese del sol levante punti sulla domanda interna di beni e servizi fà parte del secondo programma cinese che segue al primo fondato solo sull'export
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda pianogrande il 26/08/2015, 13:51

L'economia è fatta di scambi.
Una economia basata prevalentemente sulla esportazione cosa ha portato a casa?
Se i consumi interni non sono aumentati credo significhi che o non è stato portato a casa a sufficienza o ne è stato fatto un cattivo uso.
Il primo pessimo uso sarebbe se è rimasto nelle mani di pochi.
Insomma, l'affermazione che la popolazione va messa in condizione di spendere (gli va data una certa sicurezza e stabilità) mi sembra fondamentale.
Tutto questo fa la differenza tra un oligarca e uno statista.

Trovo abbastanza vero anche che i gradi statisti emergono solo nei momenti duri.
Nei momenti in cui gli oligarchi il danno lo hanno ormai fatto e se ne stanno godendo i frutti da qualche altra parte.
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda franz il 26/08/2015, 14:08

Risposte politiche coordinate sono la chimera di tutti i politici lungimiranti come Prodi ma è all'occhio di tutti che non esistono politiche coordinate. Esistono risposte individali scoordinate e poi quando alla fine dopo molti anni si fa qualche cosa di coordinato si scopre che come minimo è in forte ritardo e, come di routine, sono pure interventi limitati e/o sbagliati. Grecia docet.
Ma forse l'errore alla base di tutto è che si debba dare una risposta (coordinata o scoordinata) alle crisi economiche.
Ai politici, chiaramente, piace pensarlo. Un po' perché tutti tirano la politica per la classica giacchetta (Hei, c'è la crisi, voi cosa fate? Occhio che quando votiamo potremmo anche riflettere su cosa avete fatto o non fatto!) un po' perché alla politica in genere piace pensare e dare intendere di essere il deus ex-machina, quello che in caso di crisi schiaccia un bottone (o se non c'è lo inventa) e risolve tutti i problemi del mondo. Ma così non è. Spesso gli interventi della politica, appunto in ritardo ed erronei, non fanno che aggravare la crisi. Come minimo la diluiscono e la prolungano cosi' tanto che invece di durare sei mesi o un anno, la crisi dura 8 anni. Come nel caso dell'attuale.

Ottima comunque la frase "Noi europei non siamo nemmeno capaci di provocare le crisi. Ci limitiamo a subirle e a prolungarle facendoci del male da soli. Lo dico sul filo dell’ironia, ma c’è del vero." Siamo pero' molto bravi a criticare l'unica locomotiva che potrebbe in Europa trainare gli altri fuori dalla crisi.
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda mariok il 26/08/2015, 14:51

Ma forse l'errore alla base di tutto è che si debba dare una risposta (coordinata o scoordinata) alle crisi economiche.

La tesi secondo la quale bisogna sempre e comunque lasciar fare al mercato sia in tempi buoni che in tempi di crisi, mi ricorda la domanda che mi rivolse un giovane rampollo di una notissima famiglia di imprenditori mantovani: perché mai mi devo preoccupare del benessere generale, anche di quelli che non hanno voglia o non sanno aver successo nella vita?

La mia risposta fu: semplice, perché quello che non spenderesti in tasse per finanziare le protezioni sociali, lo spenderesti, anche in misura maggiore, per pagare squadre di vigilantes che proteggano te, i tuoi beni, i tuoi cari, così come avviene in quasi tutti i paesi sudamericani.
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda franz il 26/08/2015, 15:06

mariok ha scritto:Ma forse l'errore alla base di tutto è che si debba dare una risposta (coordinata o scoordinata) alle crisi economiche.

La tesi secondo la quale bisogna sempre e comunque lasciar fare al mercato sia in tempi buoni che in tempi di crisi, mi ricorda la domanda che mi rivolse un giovane rampollo di una notissima famiglia di imprenditori mantovani: perché mai mi devo preoccupare del benessere generale, anche di quelli che non hanno voglia o non sanno aver successo nella vita?

La mia risposta fu: semplice, perché quello che non spenderesti in tasse per finanziare le protezioni sociali, lo spenderesti, anche in misura maggiore, per pagare squadre di vigilantes che proteggano te, i tuoi beni, i tuoi cari, così come avviene in quasi tutti i paesi sudamericani.

Ottimo argomento per sostenere un buon welfare (pur sempre senza esagerare) in campo nazionale ma non lo ritengo valido per il discorso sulle crisi internazionali. Il welfare è una cosa che esiste sempre (previdenza, assistenza, sanità, etc) e deve essere costante ma le crisi internazionali sono cosa diversa. Le crisi arrivano e passano. Non sono una iattura o la maledizione di montezuma ma il modo di manifestarsi di scelte sbagliate (bolle e tutto il resto) e della necessità di correggere questi errori. Dove è implicito, almeno per me, che ognuno corregge i suoi e che piu' la crisi è ditatata da interventi (pietosi) di sostengo e piu' si mantengono situazioni decotte. Quindi piu' a lungo dura la crisi. Con la differenza che un bel riccone puo' avere fieno in cascina per resistere molti anni, consumando capitale, mentre le persone normali piu' di sei mesi non durano. Quindi intervenire sul mercato, non lasciadolo fare, aiuta i ricchi ed ammazza i poveri.
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda mariok il 26/08/2015, 15:30

Ero convinto che il (notevole) livello di questo forum rendesse superfluo precisare che l'aneddoto era solo una semplificazione del concetto più generale di "sistema" socio-economico, di cui il mercato ed il welfare sono elementi tra i più importanti ma non gli unici.

Non ho dubbi sul fatto che "le crisi arrivano e passano", ma non sono convinto che la miglior cura sia quella di lasciar fare il suo corso alla malattia, se non altro perché non è scontato quale possa essere lo sbocco di una crisi.

A volte, per esempio, la miglior cura per una crisi internazionale è risultata essere una guerra, che ha spesso risolto problemi di occupazione e di recessione. Altre volte lo sbocco è stata una rivoluzione, che ha portato a regimi come quello nazista o comunista. Non credo che siano auspicabili sbocchi di questo tipo e non mi sembra pertanto sensato teorizzare che la politica se ne debba tener fuori.

E' senz'altro sbagliato ritenere che la politica possa determinare le sorti dell'economia, ma credo sia altrettanto sbagliato sostenere che il mercato da solo possa risolvere i suoi problemi. O almeno non è detto che tutte le soluzioni possibili siano auspicabili.

Il fatto che gli interventi della politica hanno spesso l'effetto di aggravare le crisi, non mi sembra un buon motivo per ritenere che sia meglio in linea di principio lasciar fare al mercato, che può fare anche di peggio.

Quello che comunque mi pare sia il senso dell'intervista di Prodi, è che tutti i maggiori stati, ci piaccia o no, assumono le proprie iniziative. La grande assente è ancora una volta l'Europa e ciò è un grande rischio per noi.
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda pianogrande il 26/08/2015, 16:40

Infatti, la debolezza dell'Europa sta proprio nella inconsistenza della sua politica che raggiunge il massimo proprio nella politica comune.
Il fatto che esista un "alto rappresentante" di questa politica comune, ne sono sicuro, può generare solo ilarità nelle controparti.

In relazione al fatto che la politica non debba intervenire nella economia perché fa solo danni, si potrebbe anche dire che se la politica fa danni è perché i politici sono degli inetti o hanno interessi diversi da quelli che dovrebbero avere.
Insomma, la politica deve fare azioni che portino buoni risultati per la collettività e queste azioni non le farà mai e poi mai il mercato che pensa solo all'interesse privato.
Due ruoli e due obiettivi diversi.
Ammissibili ma diversi e da armonizzare.
Non dobbiamo maledire il capitalista ma neanche il politico che cerca di regolare il traffico perché nessuno (capitalista compreso) si faccia male.

Governare un paese e/o fare della politica internazionale tenendosi fuori dall'economia mi sembra una politica più che liberista assolutamente suicida.
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda franz il 26/08/2015, 17:25

Bisogna capire cosa è una crisi.
Se è assimilabile ad una malattia, giusto predisporre diagnosi e prognosi.
Ammesso che si riesca per tempo ad individuare la cura giusta e tempestiva.
Ma se non fosse malattia?

Se fosse semplicemente un errore di diversi investitori che hanno puntato (male) sull'asset che allora sembrava promettente ma che strada facendo ha dimostrato di non essere all'altezza? Se fosse una bolla che scoppia?
L'Intervento pubblico a sostengo dei tapini sarebbe tacciato come "privatizzare i profitti, pubblicizzare le perdite" e naturalmente si darebbe la colpa al mercato ed i capitalisti avidi ed opportunisti, non alla politica sprecona che interviene a capocchia con i oildi degli altri (cioè nostri).

Ripeto, bisogna chiarire il concetto di "crisi", tanto caro ai marxisti e comunque a tutti i politici che non vedono l'ora di intervenire a sostegno per raccattare voti.
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Re: l'Europa e la crisi della Cina

Messaggioda mariok il 26/08/2015, 18:16

Wikipedia è una grande comodità, anche se può far storcere il naso agli espeti di un certo argomento.

In economia la recessione è una condizione macroeconomica caratterizzata da livelli di attività produttiva (PIL) più bassi di quelli che si potrebbero ottenere usando completamente ed in maniera efficiente tutti i fattori produttivi a disposizione, in contrapposizione dunque al concetto di crescita economica.

Una crisi finanziaria, in economia e precisamente in un contesto macroeconomico, si ha quando la domanda di denaro, sotto forma di capitali da parte delle aziende, è superiore all'offerta da parte delle banche e degli investitori.

Naturalmente le cause possono essere le più diverse. Così come sono i più diversi i possibili interventi, che non sono necessariamente "a sostegno dei tapini" o "a capocchia".

Tali non mi sembrano le misure adottate da Roosvelt tra il 1933-1934: ne cito alcune (sempre dal famigerato Wikipedia):

- L’istituzione del Civilian Conservation Corps (CCC), per la manutenzione e la conservazione delle risorse naturali,
- l'abbandono della parità aurea del dollaro statunitense,
- taglio delle spese del bilancio federale, in particolare stipendi pubblici e pensioni ai veterani della prima guerra mondiale,
- abrogazione del proibizionismo,
- National Industrial Recovery Act (protezione dei sindacati, concorrenza leale fra le imprese, grandi opere pubbliche)
- creazione di una apposita agenzia di elettrificazione che ha portato la luce elettrica in tutti gli Stati Uniti,
- Agricultural Adjustment Act a sostegno dei prezzi agricoli,
- divieto per le banche commerciali di operare nel settore finanziario
- assicurazione dei risparmi fino alla cifra di 5000 dollari
- istituzione di una commissione di controllo sulle operazioni di borsa.

In seguito, ci furono molte polemiche tra chi sosteneva l'efficacia di queste misure e chi invece le riteneva sostanzialmente ininfluenti per il superamento della crisi.

Ma certamente non possono definirsi "a sostegno dei tapini" o "a capocchia", così come non possono essere certo confuse con le inconcludenti ricette (quelle sì "a capocchia") degli attuali "keynesiani" nostrani.
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