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Svimez: al Sud pericolo di «sottosviluppo permanente»

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Svimez: al Sud pericolo di «sottosviluppo permanente»

Messaggioda trilogy il 06/08/2015, 12:10

Problema sud risolto..... 5000 assunzioni in un colpo solo.

Il caso dei precari della Calabria tutti assunti per 38 milioni di euro

Il governo cede alla lobby calabra. Con una norma inserita all’ultimo momento nel maxiemendamento al dl enti locali approvato martedì, il governo stabilizza cinquemila lavoratori socialmente utili calabresi per un costo della casse pubbliche di 38 milioni di euro. Dopo il rischio di una sommossa in pieno agosto, l'alzata di scudi del Pd regionale contro quello nazionale e del governatore Mario Oliverio contro il premier, il colpo di scena: tutti assunti, appunto.

http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/C ... 3321.shtml
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Re: Svimez: al Sud pericolo di «sottosviluppo permanente»

Messaggioda franz il 06/08/2015, 13:37

trilogy ha scritto:... il governo stabilizza cinquemila lavoratori socialmente utili calabresi per un costo della casse pubbliche di 38 milioni di euro. Dopo il rischio di una sommossa in pieno agosto, l'alzata di scudi del Pd regionale contro quello nazionale e del governatore Mario Oliverio contro il premier, il colpo di scena: tutti assunti, appunto.

Non solo sommosse, ... direi anche rischio incendi, con forestali all'opera per spegnerli. La stagione è quella giusta.
Tutti assunti, con i soldi degli altri. Naturalmente.
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Re: Svimez: al Sud pericolo di «sottosviluppo permanente»

Messaggioda mariok il 09/08/2015, 9:27

LA ROTTURA CHE SERVE
Le parole sul Sud che nessuno dice
Serve una rottura
Deputati e concittadini del Mezzogiorno devono rivendicare che lo Stato è anche legge e diritti uguali per tutti, non solo sperpero di soldi
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

«Lo Stato non è solo le sue risorse economiche, i finanziamenti pubblici. Lo Stato è anche la legge e i diritti eguali. Cioè il contrario del dominio degli interessi privati o di clan, il contrario dell’evasione fiscale generalizzata, del clientelismo, della logica della raccomandazione a spese del merito, dello sperpero del pubblico denaro. Ci piacerebbe che i nostri concittadini del Mezzogiorno d’Italia se lo ricordassero e ce lo ricordassero più spesso. E che dunque, ad esempio, fossero loro per primi, i loro deputati, le loro assemblee locali, a chiederci sì più spesa pubblica, ma anche un’azione sempre più energica delle forze dell’ordine, un controllo sempre più incisivo da parte degli organi dello Stato sulla vita sociale delle loro contrade, contro quelli di loro, e Dio sa quanti sono, i quali pensano e agiscono in modo ben diverso. Che contro tutti questi ci chiedessero, loro, più severità, più intransigenza. Perché invece ciò non accade ormai se non rarissime volte?
Il problema del Mezzogiorno, del suo mancato sviluppo, non è anche questo silenzio della grande maggioranza della società meridionale, a cui da tempo fa eco colpevolmente il silenzio e il disinteresse del resto del Paese? Non è da qui che bisogna allora ricominciare?».
Sono queste le parole che mi sarebbe piaciuto sentir dire da Matteo Renzi venerdì scorso alla direzione del Pd, parlando delle condizioni del Sud, al posto del «rottamare i piagnistei» e dello «zero chiacchiere» con cui invece ha condito il suo discorso. L a rottura decisa rispetto al passato di cui il nostro Paese ha bisogno dovrebbe essere, infatti, anche una rottura nel linguaggio. E non già, come si capisce, verso il basso, verso i tweet e gli hashtag , bensì verso l’alto, verso la dimensione in cui si esprimono per l’appunto quelle visioni generali nuove e audaci di cui abbiamo bisogno. Di cui ha bisogno in modo tutto speciale il Mezzogiorno.
L’inizio del cui declino attuale coincide con l’inizio della crisi che dagli anni Novanta del secolo scorso - combinando elementi nazionali e internazionali, assommando il post-sessantottismo ai più vari diktat dell’Europa di Bruxelles - va disintegrando lo Stato italiano storico, formatosi con il Risorgimento e durato fin verso la fine della Prima Repubblica. È la crisi che da oltre un ventennio va mangiandosi tutte le strutture amministrative del nostro vecchio Stato, tutti i suoi abituali ambiti d’azione di un tempo (dall’istruzione al controllo sugli enti locali, alla tutela del paesaggio e del patrimonio artistico), per effetto del trionfo delle retoriche (e delle prassi) decentralizzatrici, sindacal-partecipative, democraticistiche, antimeritocratiche. È la crisi che ha inghiottito anche tutte le culture politiche del Novecento italiano, tutte le loro premesse storico-ideali, nonché naturalmente tutti i partiti che esse avevano prodotto. Ed è infine la crisi che ha spinto ad accettare il dogma della privatizzazione, l’«andare sul mercato», di quasi tutte le reti nazionali di servizi (dalla rete ferroviaria e delle stazioni, alle Poste, agli aeroporti, alle autostrade) con il loro crollo qualitativo per il pubblico indifferenziato e il loro riorientamento classista a favore di chi può spendere; che ha spinto a considerare inammissibile qualunque ruolo sociale o economico diretto dello Stato, o quasi.
È in tutti questi modi che nell’ultimo venticinquennio quello che ho chiamato lo Stato italiano classico è andato decomponendosi.
Ora, il problema del Mezzogiorno, la «questione meridionale», era precisamente la questione di quello Stato, la principale sfida alla sua esistenza, il massimo dei suoi problemi storici, a cominciare da quello del consenso. E infatti fino a venticinque anni fa, fin quando quello Stato è esistito, il Mezzogiorno è stato sempre sentito dalle classi dirigenti italiane come un ineludibile banco di prova. Dalle classi dirigenti e, si può ben dire, dall’intera cultura storica e politica nazionale; la quale ha sempre considerato necessario per il progresso del Mezzogiorno due cose: da un lato l’apertura di un forte conflitto sociale e politico all’interno della stessa società meridionale (condizione resa a suo tempo finalmente possibile dall’avvento della democrazia repubblicana), dall’altro l’intervento deciso in tale conflitto di un attore esterno a fianco dei «buoni» contro i «cattivi»: fossero gli operai del Nord alleati immaginari dei contadini del Sud, fosse un’altrettanto immaginaria piccola imprenditoria antinotabilare, ma alla fine sempre e soprattutto lo Stato. Lo Stato i cui protagonisti politici del Novecento, in un modo o nell’altro, non a caso ebbero tutti dietro quella cultura storica e politica che ho appena detto: Mussolini il meridionalismo vociano e nittiano, il popolare trentino De Gasperi l’ispirazione del siciliano Sturzo, il comunista piemontese Togliatti la lezione del sardo Antonio Gramsci.
Il Mezzogiorno è precipitato nell’irrilevanza, si è avvitato nella decrescita, è scomparso come «questione», nel momento in cui si è dissolto questo complesso nodo storico al cui centro c’era lo Stato nazionale italiano: perché innanzi tutto si è dissolto questo Stato e per effetto di una tale dissoluzione.
Ho però l’impressione che per tutti questi discorsi il nostro presidente del Consiglio non abbia molto interesse. Che sia assai lontana dal suo pensiero l’idea che per raddrizzare le sorti del Mezzogiorno la prima cosa da fare sia, come io invece credo, riprendere in mano, ricostruire, dove occorra accrescere, la macchina dello Stato, ristabilire il significato culturale e politico dei suoi tradizionali ambiti d’azione, la sua efficienza, la sua capacità di controllo e d’intervento capillare, anche la sua forza repressiva. A Matteo Renzi, piace di più immaginare che costruire l’Alta Velocità fino a Reggio Calabria, questo sì cambierà le cose (ma perché non le ha cambiate la costruzione dell’autostrada? Perché?). Ai miei occhi è la prova che di quella parte del Paese che governa egli non conosce molto, forse non l’ha mai neppure troppo frequentata. Se avesse visto di persona, infatti, anche una sola volta, come gli abitanti e le autorità dell’intera costa che da Maratea va fino a Pizzo hanno ridotto quei luoghi, gli sarebbe venuto almeno il sospetto, sono sicuro, che il suo Frecciarossa non servirà assolutamente a nulla.
9 agosto 2015 (modifica il 9 agosto 2015 | 09:14)
http://www.corriere.it/editoriali/15_ag ... 7227.shtml
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Re: Svimez: al Sud pericolo di «sottosviluppo permanente»

Messaggioda franz il 09/08/2015, 9:55

EGDL ha scritto:Ho però l’impressione che per tutti questi discorsi il nostro presidente del Consiglio non abbia molto interesse.

Francamente essendo arrivato fin qui anche io concordo: di questi discorsi, meglio ancora di questa impostazione, ben poco mi appassiona. Anzi nulla.
Ammettiamolo, che lo stato italiano si sia dissolto o meno, la politica vero il meridione è stata fallimentare. Non è solo un problema di questi ultimi 20-25 anni, caro EGDL, è un problema da piu' di un secolo.
Trasferimenti economici, spesa pubblica per sussidi e malaffare, convivenza con la malavita, burocrazia come fonte di reddito.
EGDL ha scritto:Che sia assai lontana dal suo pensiero l’idea che per raddrizzare le sorti del Mezzogiorno la prima cosa da fare sia, come io invece credo, riprendere in mano, ricostruire, dove occorra accrescere, la macchina dello Stato, ristabilire il significato culturale e politico dei suoi tradizionali ambiti d’azione, la sua efficienza, la sua capacità di controllo e d’intervento capillare, anche la sua forza repressiva.

Anche dal mio pensiero. Lo ammetto.
EGDL ha scritto: Se avesse visto di persona, infatti, anche una sola volta, come gli abitanti e le autorità dell’intera costa che da Maratea va fino a Pizzo hanno ridotto quei luoghi, gli sarebbe venuto almeno il sospetto, sono sicuro, che il suo Frecciarossa non servirà assolutamente a nulla.

Appunto, ma se questo vale per il freccia rossa vale altrettanto per ogni altra cosa che sia portata dall'alto o da fuori (le cose da fare elencate da EGDL) e che non nasca autonomamente dall'interno. Se c'è una rottura da compiere è quella che mi pare EGDL non prende nemmeno in considerazione, anzi mi pare indichi indirettamente come causa o concausa del declino: decentralizzazione e privatizzazione e quindi riduzione degli spazi della politica a favore dell'iniziativa privata e trasferimento delle decisioni politiche a territori il piu' possibile autoamministrati.
Di certo pero' anche se l'Italia diventasse una nazione federale, le strutture ferroviarie strategiche sarebbero di competenza federale e quindi spetterebbe al governo nazionale decidere di portare il freccia rossa (nel senso di binari) al sud.
Il fallimento dello Stato italiano è quello della visione statalista centralizzata, cara alla DC, alla sinistra ma anche alla destra, che ha il suo naturale complemento nel decentramento amministrativo e nella proliferazione di enti ed agenzie.
La ricostruzione dello stato deve avvenire a mio avviso con un radicale progetto federale, sul piano politico e fiscale.
Tutto il resto ha poco interesse. È la solita frittata, girata e rigirata.
Non so se Renzi su questo sia d'accordo. Alcuni indizi mi dicono di no, altri lasciano diverse porte aperte.
Staremo a vedere.
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Cari conTerronei, facciamo presto (e da soli che è meglio)

Messaggioda franz il 09/08/2015, 10:29

Cari conTerronei, facciamo presto (e da soli che è meglio)
9 agosto 2015 • Massimo Famularo

Posto che ormai il federalismo è passato di moda, in base a quale logica il meridione dovrebbe necessitare di un trattamento diverso rispetto al paese? Si tratta di un'entità dotata di autonomia fiscale, di politica economica indipendente o di una qualche limitata forma di sovranità? E se invece fosse solo la zona dove è più manifesto l'annoso cancro che affligge l'intero paese?

Il contenuto del rapporto Svimez uscito qualche giorno fa non dovrebbe sorprendere nessuno, men che meno chi nel Sud Italia vive o ci è nato o ne ha una seppur vaga conoscenza.

Quel che potrebbe stupire, invece, è l’ingenuità con cui nel 2015 si può lanciare un appello come quello di Roberto Saviano su Repubblica chiedendo al governo di “Fare presto” con tanto di citazione della richiesta d'aiuto in prima pagina sul Mattino dopo il terremoto del 1980!

Ma probabilmente sono io l’ingenuo e, senza la minima speranza di ottenere risposta da qualcuno, vorrei provare a lasciare qualche domanda nel vento come usavano fare alcuni sognatori qualche anno fa.

Fare presto perché?
Quanti bambini devono essere estratti dalle macerie? Quanti secoli deve durare un fenomeno sociale perché si ponga fine, almeno, all’eresia lessicale di chiamarlo emergenza? Cosa è radicalmente diverso da, poniamo, 3 anni fa e cosa succederà nei prossimi 12 mesi in assenza di urgenti salvifici interventi da parte del governo?

Non sarà che in un'area dove i giovani rifiutano il lavoro forse tutta quest’urgenza ancora non c’è? (A questo link una versione differente della stessa storia, che tuttavia non modifica la tesi di fondo).

Non lo chiedo da infame leghista e razzista del Nord che certe cose non le conosce e non le capisce. Lo dico da “con-terroneo” che avendo girato e girando ancora, prima per trovare e poi per mantere il lavoro, pensa di avere un punto di vista privilegiato sulla questione. Non sarà che, forse, nonostante i numeri da tragedia dello Svimez, il mix di posti di lavoro pubblici o fintoprivati offerti dallo stato, insieme ad una certa “elasticità’” nell’applicazione delle regole, a conti fatti rende la situazione sopportabile?

Dobbiamo credere alle preferenze dichiarate di chi si straccia le vesti invocando l’intervento di qualcuno (Franza o Spagna, basta che se magna) o a quelle rivelate dal comportamento dei giovani tra i 15 e i 24 anni che non studiano, non lavorano e non cercano un lavoro (dati in questo articolo del Sole24ore)?

Non sarà che - più che d'una emergenza imminente - dovremmo porci il problema di medio termine di cosa succederà quando certi ammortizzatori che garantiscono la pace sociale oggi verranno meno? Quando i pensionati retributivi (per non parlare degli "invalidi") verranno meno e con loro spariranno i sussidi che oggi ricevono molte famiglie? Della graduale riduzione dei posti di lavoro nella PA (anche al nord verso il quale è da tempo in atto un pendolarismo ad alta velocità) che si renderà necessaria per vincoli di bilancio pubblico che sarà sempre più difficile aggirare o eludere?

Fa sicuramente più scena e notizia scrivere al premier “fate presto”, tanto di fronte a questi appelli sapete il governo che fa? Lo cantava un altro sognatore anni dopo: “si costerna, s'indigna e s'impegna, poi getta la spugna con gran dignità”.

Ma poi fare che cosa?
Qualcuno si rende conto che quando parliamo di ridurre la burocrazia, intendiamo dire che bisogna eliminare un numero rilevante di posti di lavoro pubblici (tra abolizione di enti e organismi inutili ed eliminazione di adempimenti amministativi)? Ma la corruzione, il malcostume, il clientelismo e i politici incapaci sono malattie venute dallo spazio o il prodotto della tolleranza, del voto di scambio e, in ultima analisi, del comportamento e delle scelte operate da chi risiede in una zona?

Al di là di chiedersi di chi è la colpa e del perché realizzare un’autostrada può diventare un serbatoio di lavoro e voti per generazioni, quale tipo di intervento pubblico potrebbe evitare questo stato di cose? L’esercito? Il commissariamento? Chiamiamo i tedeschi a lavorare al nostro posto? Cediamo la sovranità? Posto che

La corruzione più grave non è quella del disonesto che vuole rubare: la vergogna è quella dell'onesto che - se vuole un documento, se vuole un legittimo diritto, se vuole fare impresa o attività - deve ricorrere appunto alla corruzione per ottenere ciò che gli spetta. A sud i diritti si comprano da sempre: e Lei non può non ricordarlo.

Esattamente quale intervento dello stato potrebbe mutare questo stato di cose? Non occorrerebbe forse, un moto di orgoglio da parte della popolazione, una sorta di rivoluzione culturale? O forse esiste un Deus ex Machina che viene dal governo centrale per costringere gli impiegati pubblici a fare il loro dovere?

Quali conclusioni operative dobbiamo trarre dalle affermazioni di questo imprenditore calabrese? Quale intervento pubblico cura questi mali?

Noi oggi siamo il più grosso insediamento industriale delle Serre Calabre con quattro sedi nel comune di Simbario. Produciamo tecnologia medio alta con quote di export fuori area euro prossime al 60%. Allo stesso tempo abbiamo uno dei 5 laboratori privati più grandi e meglio attrezzati di Italia. Lo sapete che i costi per un’impresa del nostro tipo insediata nel nostro territorio sono minimo il 35% superiori a quelli della Brianza? (...)

Se tu impresa calabrese vuoi assumere una figura di basso profilo con competenze basse, magari disoccupata cronica ecco che la regione e lo Stato si mobilitano per farti pagare pochissimo una persona che comunque pagheresti molto poco. Quindi ecco che il modello call center continua a pagare. Ma se devi assumere buoni ingegneri ecco che l’aiuto concesso equivale a zero euro. Peccato che lo sviluppo locale aumenta più con il secondo profilo che con il primo. Risultato dalla nostra apertura zero aiuti. (...)

Finalmente riusciamo ad avere un aiuto di natura industriale. Che vuol dire riuscire ad avere un mutuo al 4% cioè il tasso di mercato. Quindi noi imprenditori calabresi dobbiamo ringraziare l’aiuto pubblico se riusciamo ad avere un mutuo il cui tasso è a valori di mercato perché dobbiamo ritenerci fortunati ed aiutati se una banca ci presta soldi. (...)

Piuttosto che preoccupavi di accumulare posti di lavoro inutili che servono sono per uno squallido assistenzialismo ed un bacino di voto di scambio. Perché come dimostriamo in Calabria si può operare. Il problema è che cominciamo a sembrare degli emeriti coglioni che lavorano 7 giorni su 7 365 giorni all’anno non per crescere a tripla cifra quale è il nostro potenziale ma per sopravvivere. (...)

È ancora tempo di sceneggiate napoletane?

Va bene che l’immagine del gomitolo al porto per gli emigranti sarà anche bella, ma in un paese dove il pendolarismo da tempo si dipana anche per oltre 1000km a settimana, dove anche noi meridionali sappiamo parlare gratis via skype, dove timidamente il lavoro è sempre meno timbrare cartellini e sempre più risolvere i problemi, anche a distanza, non sarà forse anacronistico?

È poi così esecrabile emigrare? A fronte di una collettività che persevera diabolicamente nell'esercizio autolesionista di confermare la propria fiducia ad una classe dirigente e politica incapace e inadeguata - nella migliore delle ipotesi: disonesta nella peggiore - non è forse un esercizio di legittima difesa scegliere di votare con i piedi?

In un mondo sempre più piccolo e interconnesso, dove costa meno viaggiare e zero comunicare, sarà arrivata o no l'ora di scrollarsi di dosso la tristezza dei Malavoglia e aprirsi alle opportunità del mondo contemporaneo?
Restando al paradosso, se anche la Camorra se ne va perché non più ha nulla da spremere, non si tratta di una straordinaria opportunità per chi ha voglia costruire qualcosa da zero senza dover fronteggiare l'invadente presenza di parassiti criminali?

E se i problemi del Sud fossero in scala quelli dell'Italia intera?

Posto che ormai il federalismo è passato di moda, in base a quale logica il meridione dovrebbe necessitare di un trattamento diverso rispetto al paese? Si tratta di un'entità dotata di autonomia fiscale, di politica economica indipendente o di una qualche limitata forma di sovranità? E se invece fosse solo la zona dove è più manifesto l'annoso cancro che affligge l'intero paese?

Se la soluzione per l'Italia tutta risiedesse in una maggiore libertà economica per gli individui e in un ruolo minore per l'intermediazione dello stato? Se anche mali atavici come la criminalità organizzata potessero trovare una cura, anche solo parziale, in una società più libera?

Mentre Saviano e Renzi possono concedersi il lusso di flosofare, anche se lo Svimez non può rilevarlo, un numero sempre maggiore di persone, dovendo affrontare l'imperativo del Primum Vivere, si sta accorgendo che occorre saltare fuori dalla pentola prima che l’acqua arrivi a ebollizione. A quelli che non hanno ancora capito è dedicato questo post: cosa ci vuole ancora per farvi intendere che se non ci salviamo da soli nessuno potrà mai farlo al nostro posto?

http://noisefromamerika.org/articolo/ca ... che-meglio
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Re: Svimez: al Sud pericolo di «sottosviluppo permanente»

Messaggioda trilogy il 09/08/2015, 19:44

Sono passati 60 anni, Compagna è morto da oltre 30 anni, eppure la politica ruota ancora attorno agli stessi temi....

[..]La divisione dell'Italia in due grandi aree, il Nord ed il Mezzogiorno, irrompe prima di tutto con Francesco Compagna, che tra la fine degli anni cinquanta e l'inizio degli anni sessanta, scopre la geografia francese e soprattutto gli studi sulle regioni, sulla pianificazione territoriale e sulla urbanizzazione di Pierre George, Jean Labasse e Jean Gottmann e grazie ad essi viene irrobustendo la linea di Ezio Vanoni, di Pasquale Saraceno e di Ugo la Malfa di concreti riferimenti specifici alla organizzazione del territorio, all'urbanizzazione e alla regionalizzazione. Sono gli anni in cui Francesco Compagna oppone alla visione ideologica e coloristica di un sud destinato alla civiltà contadina e al massimo al turismo la visione di un Sud che dovrà essere industrializzato ed infrastrutturato grazie ad una importante politica straordinaria a favore del Mezzogiorno.[..]

http://www.persee.fr/web/revues/home/pr ... 110_2_4591
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Re: Svimez: al Sud pericolo di «sottosviluppo permanente»

Messaggioda trilogy il 10/08/2015, 8:51

Turismo, ci batte pure la Norvegia

Sedici lingue di benvenuto ai visitatori nel portale turistico della Norvegia e solo due, italiano e inglese, in quello della Sicilia. Basta questo confronto per inchiodare la classe politica isolana, sinistra e destra, alle responsabilità del fallimento di quella che nel bla-bla-bla quotidiano viene spacciata come la Straordinaria Opportunità del Turismo. È quasi tutto il Sud, purtroppo, a faticare.[..]

[..]A farla corta: Renzi può anche mettere 12 miliardi sulla banda larga. Ma senza una svolta culturale rischiamo di restare indietro. Basti vedere, appunto, la distanza abissale nella visione del turismo di oggi e di domani che separa noi, soprattutto il nostro Mezzogiorno, dalla Norvegia. Il Paese scandinavo non sarebbe, sulla carta, votato al turismo. O almeno così appare a chi identifichi la vacanza con spiagge, sole, vino buono, mozzarella e pomodori. Se poi l’unità di misura fossero i siti Unesco sarebbero guai. Ne ha sette, l’ultimo dei quali il sito industriale Rjukan-Notodden. Per capirci: noi potremmo allungare ancora la lista con la cappella degli Scrovegni, Segesta, la fortezza di Palmanova, i portici di Bologna... Quello che hanno, però, a partire dai fiordi, lo sanno vendere.

Il sito ufficiale visitnorway.com, come dicevamo è semplice, ma fatto bene e soprattutto si apre ai turisti di tutto il pianeta con portali in giapponese e in portoghese, polacco e russo per un totale di 16 lingue. La Norvegia ha la stessa popolazione della Sicilia (poco più di 5 milioni di abitanti), un territorio molto più grande, un patrimonio culturale molto più piccolo. Ma nel 2014 ha ricavato dal turismo, dice il rapporto WTTC, cinque miliardi di dollari. Poco meno di quanto incassa dagli stranieri l’intero Mezzogiorno. Quanto alla Sicilia, sul versante estero che rappresenta la metà circa dei propri ospiti, non arriva, compresi viaggi di lavoro, al miliardo e mezzo.

Ma come si vendono, sul web, le regioni meridionali? Malissimo la Campania (italiano e inglese: fine), un disastro il Molise e la Calabria (solo italiano con un pasticcio di rinvii a paginette pdf), decorosamente la Sardegna (5), bene la Puglia e l’Abruzzo che svettano con sei lingue. Costo delle traduzioni? In tutto 70 mila euro, spiegano gli abruzzesi. Diecimila e poco più a lingua. E altri 70 mila di manutenzione annuale di una ventina di presenze importantissime sui social network.

E la Sicilia? Lo dicevamo: italiano e inglese. Manca perfino il tedesco, nonostante siano tedeschi, nella scia di Goethe, gli stranieri che più amano l’isola. «Io ci provai a cambiare il sito», sospira Michela Stancheris, per qualche tempo assessore con Crocetta. «Mi spiegarono che dovevo rivolgermi a “Sicilia Servizi”. Un incubo. Alla fine uscii stremata»[..]

http://www.corriere.it/opinioni/15_agos ... 59fb.shtml
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Re: Svimez: al Sud pericolo di «sottosviluppo permanente»

Messaggioda franz il 10/08/2015, 9:40

trilogy ha scritto:Sono passati 60 anni, Compagna è morto da oltre 30 anni, eppure la politica ruota ancora attorno agli stessi temi....
[..]un Sud che dovrà essere industrializzato ed infrastrutturato grazie ad una importante politica straordinaria a favore del Mezzogiorno.[..]

Ruota male, direi. Senza risolvere nulla. Anzi hanno costruito grandi cattedrali nel deserto che in alcune zone hanno deturpato ed inquinato l'ambiente. Oggi quando chiudono quelle cattedrali si vede che attorno c'è solo il deserto.
Ritengo che la soluzione migliore sarebbe stata quella di dare autonomia politica e fiscale, in modo che potesse essere elaborata una politica economica indipendente che partisse dal basso.
Ma ovviamente i governi DC, via via allargati, preferivano la politica della distribuzione di fondi, dell'intervento straordinario, della politica economica guidata dalla capitale. Paga di piu' elettoralmente e visto che non risolve nulla, è garantito ogni 5 anni che si debba intervenire di nuovo, in cambio di voti.
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Re: Svimez: al Sud pericolo di «sottosviluppo permanente»

Messaggioda Robyn il 10/08/2015, 11:47

La crescita del mezzogiorno deve essere una crescita che parte dai cittadini del mezzogiorno successivamente creando le condizioni può attrarre anche investimenti esteri per esempio il contrasto alla criminalità,e naturalmente il funzionamento della giustizia lo snellimento delle pratiche burocratiche etc.La fiscalità di vantaggio che deve essere permanente e che è una forma di federalismo fiscale non è sufficente perche il mezzogiorno ha bisogno di investimenti infrastrutturali che fruttino e che non si disperdano quindi deve utilizzare bene la liquidità che arriva dell'europa.La cassa del mezzogiorno era utilizzata in modo tale da non creare crescita e lavoro perche il mezzogiorno in passato è sempre stato considerato un grande bacino di voti per il pentapartito quando c'erano le elezioni arrivavano le promesse in cambio di voti,promesse che svanivano all'istante il giorno dopo le elezioni.Per esempio il mezzogiorno potrebbe investire non solo nel completamento di superstrade strade a scorrimento veloce aeroporti porti ma anche nell'ambiente e nel risparmio energetico per esempio il fotovoltaico oppure sfruttare l'energia prodotta dal moto ondoso dei veicoli sulle grandi arterie realizzare il risparmio energetico nelle abitazioni per esempio con fotoresistenze per l'illuminazione i regolatori di temperatura per il riscaldamento,naturalmente proteggere il suo habitat naturalistico con programmi di rinverdimento valorizzare il patrimonio artistico con la partnership pubblico privato,per ex attraverso attività nei castelli abbandonati"ci metto una sala internet ci metto un piccolo pub e in cambio si richiede la pulizia e la manutenzione ordinaria"
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Re: Svimez: al Sud pericolo di «sottosviluppo permanente»

Messaggioda flaviomob il 13/08/2015, 2:38

Con tutto il rispetto, ammesse le criticità del Mezzogiorno (e dell'intero paese per quanto riguarda il turismo), bisogna anche dire che i prezzi in Sicilia sono leggermente diversi da quelli norvegesi, anche doppi o tripli per quanto riguarda vitto e alloggio. Per dire, io in Puglia pagavo un campeggio CINQUE EURO al giorno, più 50 cent per la doccia calda. In AGOSTO.


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