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La buona squola

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: La buona squola

Messaggioda gabriele il 09/06/2015, 9:56

franz ha scritto:Ritengo che in ogni scuola (o distretto o plesso come cavolo lo chiamano) si possa valutare il lavoro svolto (raggiungimento obiettivi) sul posto.


ok. Sono d'accordo. Ma...quali obiettivi? chi li definisce?

franz ha scritto:Che facciano corsi di aggiornamento, che colmino le lacune oppure lascino il posto ad altri.


Sottoscrivo. Basta che i circuiti di aggiornamento non diventino come gli ecm
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Re: La buona squola

Messaggioda franz il 09/06/2015, 10:58

gabriele ha scritto:
franz ha scritto:Ritengo che in ogni scuola (o distretto o plesso come cavolo lo chiamano) si possa valutare il lavoro svolto (raggiungimento obiettivi) sul posto.


ok. Sono d'accordo. Ma...quali obiettivi? chi li definisce?

Gli obbiettivi ci sono già nella struttura attuale. Conosco il sistema nella scuola elementare.
Ci sono obbiettivi massimi, a livello ministeriale, ed i relativi strumenti di verifica. Ogni docente prende gli obiettivi dalle schede e fa la sua pianificazione personalizzata di classe (quando spiegare, quando verificare) e tiene anche conto del livello della classe (certi obbiettivi in certi casi verranno raggiunti piu' tardi) e la presenza al preside. Inoltre si coordina con altri insegnanti (mi pare un paio di ore la settimana) per la programmazione congiunta. Il sistema c'è già. E tra l'altro la programmazione viene anche spiegata anche ai genitori, in occasione del primo incontro annuale.
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Re: La buona squola

Messaggioda gabriele il 10/06/2015, 9:32

Scuola Italia vs Germania, Spagna e Francia: docenti più vecchi, salari più bassi e meno finanziamenti pubblici
Scuola

Stipendi, entrata nel mondo del lavoro, classi pollaio, licenziamento, valutazione e finanziamenti pubblici: i rapporti annuali Eurydice mettono a confronto i sistemi scolastici in Europa. Il nostro Paese arranca ancora una volta
di Fabrizio Basciano | 10 giugno 2015

Gli insegnanti più anziani e che lavorano per più tempo, i salari più bassi e i minori finanziamenti statali. E’ questa la fotografia della scuola in Italia messa a confronto con i sistemi scolastici di Spagna, Francia e Germania. A scattarla sono i rapporti annuali Eurydice che permettono di farsi un’idea precisa delle condizioni di salute di cui il sistema scolastico italiano gode oggi, nel momento storico in cui il governo Renzi procede a una riforma fortemente contestata da alunni, docenti e sindacati. Anche in Francia è tempo di cambiamenti strutturali: il Consiglio superiore dell’educazione ha infatti da poco approvato un importante provvedimento in materia di scuola media che ha, come in Italia, mobilitato il corpo docente sceso in piazza a manifestare. Parliamo in ogni caso di un sistema scolastico che, insieme a quelli di molti altri Paesi europei, gode di miglior salute rispetto a quello di casa nostra. Ma andiamo per gradi.

Percentuale docenti attivi nell’insegnamento - I docenti italiani sono i più anziani. Se in Francia gli insegnanti attivi prima dei 30 anni sono l’8,2 per cento, in Spagna il 6,1 e in Germania il 4,3, in Italia il dato è quasi senza possibilità di confronto: solo lo 0,4 per cento dei docenti italiani è già professionalmente impegnato prima dei 30 anni. Al preoccupante ritardo col quale si accede alla professione si aggiungono le altrettanto preoccupanti percentuali in uscita: se infatti in Spagna dopo i cinquant’anni è professionalmente attivo solo il 29,3 per cento dei docenti e in Francia il 32.3, l’Italia svetta su tutti i restanti Paesi dell’Unione con un sonoro 59,3 per cento.

Salari minimi e massimi. Ad aggravare la situazione italiana sono anche i dati circa i minimi e massimi salariali, da inizio a fine carriera: se un docente in Spagna viaggia tra i 32mila e i 45mila euro lordi annui e in Germania addirittura tra i 46mila e i 64mila euro, il docente italiano si accontenta di un minimo di 24mila e un massimo di 38mila euro, quasi la metà di quello tedesco e sempre meno del collega francese, che registra un minimo salariale di circa 25.500 euro e un massimo di 47.500. Qualcuno potrebbe sollevare a questo punto l’ipotesi (immaginifica) per cui il docente italiano lavora, di media, meno dei colleghi europei, ma, come sottolinea il Presidente nazionale di ANIEF Marcello Pacifico, i dati confermano altro: “L’orario d’insegnamento annuale dei docenti italiani è in media rispetto ai colleghi degli altri Paesi”. Anche il Papa è intervenuto sull’argomento bollando il tutto come un’ingiustizia, mentre secondo un rapporto Uil del 2012 “le retribuzioni dei docenti italiani sono costantemente al di sotto della media degli altri Paesi Ue, con uno spread che parte dai 4.000 euro annui all’inizio della carriera, per arrivare ai 10.000 a fine carriera (…) le retribuzioni iniziali dei nostri docenti assicurano un tenore di vita al di sotto di quello medio italiano”.

Finanziamento pubblico all’istruzione. Lampante la differenza che si registra nel finanziamento pubblico al mondo dell’istruzione che si registra tra l’Italia e diversi altri Paesi europei: se nel giugno del 2013 il bilancio francese poteva vantare una spesa di quasi 79 miliardi di euro, nello stesso periodo quello italiano si assestava intorno ai 48 miliardi, poco più della metaà del primo, mentre quello inglese, per una popolazione che conta circa 7 milioni di persone in meno rispetto all’Italia, vantava il corrispettivo di ben 80 miliardi di euro di spesa pubblica. Infine, tanto per tirarci su di morale, ragionando in proporzione la Norvegia spende complessivamente per l’istruzione il triplo dell’Italia: se infatti la spesa norvegese, nel periodo da noi preso in considerazione e su una popolazione di circa 5 milioni di persone, si assesta sui 12 miliardi e mezzo d’euro, basta fare le dovute proporzioni per ottenere il risultato già tristemente annunciato.

Valutazione dei docenti. Direttamente collegato al tema delle retribuzioni è quello inerente le nuove proposte del governo circa la valutazione degli insegnanti. I docenti italiani accetterebbero molto più di buon grado la valutazione del proprio lavoro se lo stesso venisse adeguatamente e più equamente valorizzato. Se infatti in Europa sono al momento solo quattro i Paesi, tra cui l’Italia, a non prevedere alcun sistema di valutazione dell’insegnante (insieme a Scozia, Norvegia e Finlandia), in molti riterrebbero più opportuno scegliere il modello più consono al particolare tessuto sociale e culturale italiano. I modelli francese, tedesco e portoghese per esempio si basano tutti su un sistema misto risultante da una valutazione interna del capo d’istituto coadiuvata da quella esterna dell’ispettorato scolastico. In ogni caso la valutazione dei docenti da parte di alunni e genitori, annunciato in questa nuova riforma, non sembra conoscere precedenti nel resto d’Europa.

Licenziamento. In molti negli ultimi temp, hanno invocato la possibilità di licenziamento per i docenti simili a quelle dei lavoratori impiegati nel settore privato. Se però, anche ora, si va a confrontare l’insegnamento pubblico italiano con quelli dei predetti Paesi europei, i dati confermano identiche dinamiche in ordine di licenziamento che, essendo gli insegnanti funzionari pubblici, risulta essere ovunque un evento molto raro (ad es. nel caso di perdita della cittadinanza).

Classi pollaio. Falso invece, sempre in relazione alla situazione europea, risulta l’allarme relativo alle cosiddette classi pollaio: in questo caso la media italiana, di 21,3 studenti per classe, viaggia in linea con quella europea, che si assesta sui 21,1 allievi.

Assunzione. Passando infine a un altro dei temi bollenti di questi giorni, quello del reclutamento dei docenti, l’Europa si divide tra metodi “aperti”, dove cioè la responsabilità del reclutamento spetta alla singola scuola (spesso però congiuntamente all’autorità locale) e metodi centralizzati, dove cioè la responsabilità della gestione delle assunzioni è tutta demandata all’amministrazione pubblica. Il modello verso il quale il nuovo ddl Scuola si indirizza è quello aperto, seppur però con aspetti preoccupanti. Uno su tutti la responsabilità unica, nella cosiddetta chiamata diretta, del dirigente scolastico che, volendo fare un salto nel passato, trova un precedente nero e buio nella riforma della scuola di epoca fascista. In Germania, come anche in Francia e in Spagna, la responsabilità nelle assunzioni non è demandata alle singole scuole ma gestita dalle autorità pubbliche: in Germania il tutto spetta ai singoli Laender, in Spagna entrano in gioco le comunità autonome e in Francia direttamente il ministero.
di Fabrizio Basciano | 10 giugno 2015

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06 ... i/1725015/
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Re: La buona squola

Messaggioda franz il 10/06/2015, 10:28

Grazie, gabriele. Ecco un altro contributo interessante:


Scuola, non c’è qualità senza valutazione
I Paesi avanzati, per migliorare l’insegnamento, compiono molte verifiche sul lavoro dei presidi e dei docenti, con ricadute immediate sulle carriere. La riforma in discussione, che rilancia anche l’autonomia, si muove nella direzione giusta
di Attilio Oliva

Caro direttore, è tempo di affrontare un grande paradosso: la scuola pubblica è di fatto un luogo molto «privato», nel senso che nessuno, al di fuori degli addetti, sa cosa vi avvenga. Ne sanno qualcosa quei genitori che si preoccupano di scegliere una buona scuola per i propri figli. Nei Paesi più avanzati invece si punta su articolati sistemi di ispezione delle scuole che ne rendono pubblici i risultati; si valutano i presidi sulla efficace realizzazione dei piani di miglioramento concordati e si valutano i singoli insegnanti meritevoli con riflessi sulla retribuzione e sulla carriera. L’obiettivo non è la sanzione, ma la spinta al miglioramento, sostenuta da una formazione in servizio obbligatoria assicurata in ogni scuola dai colleghi più esperti e di miglior reputazione.

In proposito il Governo sembra finalmente aver preso la giusta strada, grazie a ricerche e dibattiti sviluppatisi negli ultimi 10 anni: ma incontra grandi resistenze, principalmente da parte dei sindacati che da troppi anni cogestiscono ogni aspetto della vita scolastica, inclusi aspetti chiave impropri come la formazione e l’organizzazione della didattica. Questi ambiti andrebbero riservati a chi deve assicurare la qualità di un vero e proprio «bene pubblico» come la scuola che non appartiene a chi vi lavora, ma alla comunità civile nel suo insieme.

Va detto chiaro che una buona scuola è soprattutto fatta da buoni insegnanti e buoni presidi; ed è tanto migliore quanto più numerosi sono gli ottimi piuttosto che gli onesti esecutori che possono e devono migliorare. Quanto a coloro (per fortuna, pochissimi) che costituiscono un danno per i loro alunni, una buona scuola dovrebbe allontanarli dall’insegnamento per impedire loro di nuocere (cosa che da noi non avviene…). Tutte le indagini internazionali ci dicono che, a parità di contesti ambientali e socioeconomici, le scuole danno risultati molto diversi: evidentemente la variabile decisiva è la qualità di chi le dirige e di chi vi insegna.

Riguardo allo scontro in corso, occorre sfatare alcuni luoghi comuni, tanto diffusi quanto duri a morire.

1) Si dice: «la scuola non è un’azienda». È ovvio, ma si tratta comunque di una «impresa sociale » che richiede lavoro di gruppo, coordinamento ed una guida autorevole e legittimata, in grado di organizzare in modo efficiente le risorse disponibili e di dedicare attenzione allo sviluppo professionale di tutti gli insegnanti.

2) Si dice: «il sistema scolastico rischia di essere privatizzato». Si tratta di un grossolano abbaglio: il 95% delle scuole è gestito dallo Stato e solo il 5% da scuole paritarie. Una percentuale minima, che rischia di azzerarsi in breve tempo per le alte rette che le famiglie non riescono a sostenere. Il rischio vero non è la privatizzazione ma quello del monopolio statale, con tutte le conseguenze dannose dei monopoli, pubblici o privati che siano: rigidità, scarsa innovazione, costi crescenti e servizi sempre meno qualificati.

3) Si grida alla minaccia di un «preside sceriffo»: ma il preside non potrà mai essere un autocrate solitario. Intorno a lui è prevista una rete di quadri, che svolgono funzioni intermedie di natura organizzativa e didattica (la cosiddetta «leadership distribuita») e comunque esiste un Consiglio di istituto (da rinnovare) a cui rendere conto. Certo, occorre migliorare le modalità per il reclutamento dei presidi: e uno dei modi consiste nel selezionarli tra i quadri già verificati per le capacità e per l’attitudine dimostrata ad assumersi responsabilità organizzative e di coordinamento.

4) Si dice ancora: gli insegnanti fanno tutti lo stesso mestiere: come e chi li può valutare e premiare? È vero: fanno tutti lo stesso lavoro, ma sono 700.000 e non sono tutti uguali, né per attitudini, né per competenze, né per impegno. Il nuovo fondo per il «riconoscimento del merito» che il progetto di legge mette a disposizione (200 milioni) sarebbe insignificante se distribuito a pioggia, ma può essere efficace se destinato a quel 10-15% di docenti che svolgono incarichi speciali o godono di indiscussa reputazione. Se ciò accadesse, sarebbe una svolta storica e si supererebbe l’egualitarismo che scoraggia i meritevoli e alimenta una mentalità impiegatizia.

Se alcune misure attualmente al vaglio del Parlamento si realizzassero senza troppe mediazioni al ribasso, la qualità della scuola ne trarrebbe sicuro giovamento, anche grazie al rilancio dell’autonomia che non ha potuto fin qui dare i suoi frutti in assenza dei necessari strumenti di valutazione di sistema. Questi strumenti, seppur con diverse modalità, esistono in tre quarti dei Paesi avanzati di Europa, America e Asia. Sembra più che lecito allora chiedersi se a sbagliare siano i tre quarti del mondo avanzato o se non valga la pena di allineare il nostro sistema a quelli, visto che in tutte le indagini comparative internazionali gli apprendimenti dei nostri studenti risultano al di sotto della media.
Presidente Associazione TreeLLLe
9 giugno 2015 | 10:35
http://www.corriere.it/opinioni/15_giug ... 23f8.shtml
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Re: La buona squola

Messaggioda mariok il 10/06/2015, 13:18

"L'apertura" di Renzi alla minoranza interna mi sembra un chiaro segno di debolezza rispetto alla consueta determinazione del segretario-premier.

E' un'ulteriore conferma che in questo paese le corporazioni sono tanto potenti da impedire qualunque seria riforma che ne metta in discussione il potere. Ciò è vero per i medici, per il mondo dei farmaci, per i magistrati, per gli insegnanti e persino per i taxisti. Da Berlusconi a Monti, tutti i capi del governo hanno dovuto capitolare.

Ora vediamo come va a finire con Renzi "il rottamatore". Ma le avvisaglie che tutto finisca come al solito ci sono tutte.
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Re: La buona squola

Messaggioda Robyn il 17/06/2015, 11:55

Per me la minoranza dovrebbe smetterla di frapporre ostacoli e dovrebbe ritirare i 3000 emendamenti e allo stesso tempo renzi dovrebbe smetterla con gli aut aut anche perche il ritorno del renzi 1 somiglia tanto al ritorno di fantozzi 1 la vendemmia.La parte contrastante sono i poteri del preside.Per l'assegnazione del merito all'insegnante anziche procedere alla burocratizzazione con commissioni paritetiche e quant'altro dovrebbe avvenire attraverso l'acquisizione da parte del Preside di dati certi e verificabili sulla capacità e preparazione dell'insegnante,questo per evitare l'assegnazione di premi e scatti di livello arbitrari e sulla simpatia o raccomandazione.Limitare a sei anni il mandato del Preside mi sembra giusto e non penso che sia oggetto di contrasto.La cosa che rimane è la scelta degli insegnanti quali criteri scegliere se non in base alla preparazione e al merito in modo da svincolare la scelta da altre logiche compresa la burocratizzazione?Per quando riguarda scuola pubblica,scuola paritaria và garantita sempre la libertà di scelta che non deve significare l'indebolimento della scuola pubblica
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Re: La buona squola

Messaggioda mariok il 23/06/2015, 22:17

malgrado tutto, meglio del nulla o del peggio del nulla degli altri

Assunzioni e prof valutati da membri esterni, le novità del maxiemendamento al ddl scuola
Entro il primo dicembre sarà bandito un “concorsone”. I presidi saranno giudicati in base al miglioramento degli studenti

23/06/2015
FLAVIA AMABILE
ROMA
Centomila assunzioni entro il mese di agosto, presidi valutati ma senza incarichi a tempo, prof valutati anche da un elemento esterno, assunzione da settembre anche per gli idonei al concorso 2012 e un concorso per tutti gli altri che sarà bandito entro il primo dicembre sono alcune delle novità del maxiemendamento presentato in commissione Istruzione al Senato dai relatori Francesca Puglisi del Pd e Franco Conte di Ap.

I dirigenti scolastici saranno giudicati in base al miglioramento formativo e scolastico degli studenti, sulla direzione unitaria della scuola, le competenze gestionali e organizzative e la valorizzazione dei meriti del personale dell’istituto. Per la loro valutazione, per il triennio 2016-2018, potranno essere affidati incarichi ispettivi a tecnici del ministero dell’Istruzione. Non è stata inserita nel testo l’ipotesi di cui si era parlato nei giorni scorsi di un incarico a tempo per i dirigenti.
All’interno del comitato di valutazione dei professori i docenti dell’istituto scolastico salgono da due a quattro. Rimane la presenza di due genitori e uno studente, ma viene aggiunto anche un componente esterno individuato dall’Ufficio scolastico regionale. A questo punto, quindi, faranno parte del Comitato tre docenti dell’istituzione scolastica, di cui due scelti dal collegio dei docenti e uno dal consiglio di istituto; due rappresentanti dei genitori, per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione; un rappresentante degli studenti e un rappresentante dei genitori, per il secondo ciclo di istruzione, scelti dal consiglio di istituto; infine, un componente esterno individuato dall’Ufficio scolastico regionale tra docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici.

DOCUMENTO - Il testo integrale del maxi emendamento

Anche gli idonei al concorso a cattedre 2012 rientreranno nel Piano straordinario assunzioni 2015. Saranno, infatti, assunti a tempo indeterminato tutti “gli iscritti a pieno titolo, alla data di entrata in vigore della presente legge, nelle graduatorie del concorso pubblico per titoli ed esami a posti e cattedre bandito” dal Miur nel 2012.

Tutti gli altri dovranno superare il concorso per essere assunti. Verrà bandito entro il primo dicembre. Probabilmente avranno dei posti riservati coloro che hanno più di 36 mesi di servizio e ci saranno posti riservati, addirittura fino al 50%, per i docenti che hanno superato i 36mesi di servizio e per chi ha delle abilitazioni ma i dettagli si conosceranno in seguito.

I presidi proporranno gli incarichi ai docenti di ruolo assegnati nell’ambito territoriale a cui appartiene la scuola. I professori potranno inserire la loro candidatura tra 5 o più province a livello nazionale. Se non ci sarà disponibilità sui posti per le province indicate, non si procederà all’assunzione.

Intanto si fa sempre più strada l’ipotesi della fiducia per il voto di giovedì in Senato.

http://www.lastampa.it/2015/06/23/itali ... agina.html
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Re: La buona squola

Messaggioda pianogrande il 23/06/2015, 22:52

Sono d'accordo con Mariok.

Dalla scuola stanno venendo via tonnellate di ragnatele multistrato.
Che cosa c'è sotto lo dobbiamo ancora scoprire.
Forse lo debbono ancora scoprire anche tanti addetti ai lavori.

Continuo (laicamente) a pregare che Renzi rientri in carreggiata anche su altri discorsi che non ripeto.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: La buona squola

Messaggioda mariok il 25/06/2015, 9:17

“Regina, reginella,quanti passi mi vuoi dare per arrivare al tuo castello?” C’era un gioco, da ragazzini,che cominciava così. E la regina di turno, cioè chi conduceva il gioco,rispondeva di volta in volta: uno da leone,due da capra, 7 da formica e così via. I passi naturalmente erano diversi gli uni dagli altri. così mentre quello da leone consentiva un gran balzo in avanti, quello da formica aveva solo la lunghezza di un piede e così via, quello del gambero permetteva un solo passo in avanti e tutti gli altri all’indietro...


Ritorna lo spettro del preside «burocrate»

di Eugenio Bruno
Giovedí 25 Giugno 2015

Nelle linee guida di settembre veniva definito un manager. Sei mesi dopo, al momento dell’approvazione del ddl Renzi-Giannini, era già diventato un sindaco. Adesso, alla vigilia del voto di fiducia del Senato, rischia di restare il passacarte che è oggi o al massimo di trasformarsi in un burocrate. Guardare all’evoluzione che il dirigente scolastico ha subito in questi nove mesi di dibattito - prima virtuale, poi reale e infine parlamentare - sull’istruzione può aiutare a capire quanto il clima di “trattativa permanente” delle ultime settimane abbia attutito le intenzioni riformatrici della “Buona scuola”.

In questo senso la parabola vissuta dalla figura del preside è emblematica. Se non altro perché è al suo rafforzamento che il disegno originario del governo affidava le speranze di tramutare finalmente in realtà quel principio di autonomia scolastica che sulla carta esiste da 18 anni. Nelle intenzioni dell’esecutivo, la trasformazione della scuola in un’entità autonoma passava infatti dal potenziamento e dalla sburocratizzazione del capo d’istituto. Da realizzare in tre mosse: affidandogli l’elaborazione del piano dell’offerta formativa (il Pof), consentendogli di scegliere i prof da premiare con una quota di retribuzione legata ai risultati e introducendo la chiamata diretta di una parte del corpo docente.

È da qui che bisogna partire per valutare i punti di caduta della riforma. Ebbene, i primi due strumenti di rafforzamento del dirigente scolastico erano già stati ridimensionati durante il precedente passaggio alla Camera. Da un lato, affiancandogli il collegio docenti e il consiglio d’istituto nel varo del Pof; dall’altro, affidando a un comitato di valutazione misto docenti-genitori (che alle superiori aprirà le porte studenti) il compito di fissare i criteri per l’attribuzione dei premi al merito. A completare il dietrofront sui suoi poteri ci sta invece pensando in queste ore il Senato.

Il maxi-emendamento su cui oggi l’assemblea di Palazzo Madama voterà la fiducia introduce infatti ulteriori paletti alla “chiamata diretta” dei docenti. In primis perchè ridimensiona la facoltà del preside di scegliere un insegnante del futuro organico dell’autonomia andando oltre le classi di concorso. Potrà farlo infatti solo se i futuri ambiti territoriali non conterranno alcun prof in possesso di quella specifica abilitazione. Come se non bastasse, nel ricordare che il dirigente avrà la gestione delle risorse umane, materiali e finanziarie del suo istituto il nuovo testo precisa che dovrà rispettare «le competenze degli organi collegiali».

Torna dunque il concetto di collegialità che non sempre fa rima con responsabilità. Che in fondo si è avuto paura di responsabilizzare i capi d’Istituto lo dimostrano anche le sorti del comitato di valutazione. A scegliere gli insegnanti meritevoli sarà sì il preside ma sulla base dei criteri di un “board” composto da 7 membri, di cui almeno tre provenienti dal corpo docente. Se non quattro visto che anche il membro esterno sarà a sua volta un professore. Con buona pace del principio minimo di buon senso che dovrebbe tenere distinti “valutati” e “valutatori”.

di Eugenio Bruno - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/PdXRic
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Re: La buona squola

Messaggioda mariok il 09/07/2015, 12:43

La legge sulla "buona scuola" è dunque legge.

Tra gli emendamenti dell'ultima ora spicca quello relativo alle erogazioni dei privati (pare strappato dalla minoranza di sinistra PD), che oltre a stabilire un tetto di 100.000 euro (per scuola? per erogazione?) prevede un "fondo perequativo": il 10% dei finanziamenti erogati è preso dal Miur che lo distribuisce nelle scuole che hanno avuto meno fondi rispetto alla media nazionale.

In altri termini, le scuole che non prendono finanziamenti, definite "più sfortunate", vengono risarcite attraverso una "tassa" del 10% su quelli destinati alle scuole "più fortunate".

Non è chiaro quale sia il meccanismo di questa ripartizione, ma sembra che non ci sia nessun criterio territoriale (aree più povere e quindi teoricamente svantaggiate rispetto ad altre).

Non passa naturalmente per la mente di nessuno che è possibile che se una scuola prende finanziamenti da privati e quella a fianco no, possa dipendere dalla qualità dell'insegnamento e dalla capacità di farsi apprezzare sul territorio.
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