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Isis in Libia: pericolo per l’Italia

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Isis in Libia: pericolo per l’Italia

Messaggioda flaviomob il 20/02/2015, 0:39

L'importante è, per prima cosa, vendergli le armi. Poi diventano "potenziali alleati". Se ti va di culo, i potenziali alleati diventano "mortali nemici" di qualche vicino: allora vendi le armi al vicino. Magari col conto (cifrato) del Ticino. :mrgreen:


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Libia: Islam, questo sconosciuto

Messaggioda franz il 20/02/2015, 9:22

Libia: Islam, questo sconosciuto – di Fabio Ghia

Il Ministro Gentiloni ieri, nella suo intervento urgente alla Camera sulla situazione in Libia, ha insistito sulla necessità di “intervento” diretto attraverso un “Cambio di Passo della Comunità Internazionale”, che nella sostanza è un preludio a quanto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, pressato dalla onnipresente voce del genio della strategia dello Stay Behind, il Presidente Obama, si accinge a esaminare nelle prossime ore.

A Gentiloni ha fatto seguito il Ministro Pinotti, dando assicurazione che le FF.AA. italiane sono pronte a intervenire per una missione in Libia sotto egida ONU. Il Leader Renzi, dopo le sue esternazioni sulla necessità di attenta riflessione e la sua personale contrarietà all’intervento armato, si è chiuso in un anomalo silenzio. Insomma, l’Italia, su quanto sta accadendo nel mondo Islamico, in particolare in Libia, brilla per confusione e indeterminazione. Certamente non è la sola ad avere una visione confusa su quanto in essere. Molte altre nazioni europee dimostrano, infatti, una certa arretratezza culturale nelle valutazioni che vengono via via esternate. Sì, proprio “ARRETRATEZZA CULTURALE” soprattutto nei confronti dell’ISLAM.

Si continua a differenziare l’ISIS, Al Qaeda, Salafiti, Al Qaeda Maghreb, Boko Haram, dal complesso delle “Nazioni” di credo Musulmano, senza comprendere che, ahimè, l’Islam è sempre lo stesso: uno, solo, indistinto e culturalmente unisono ISLAM. Certamente in questo ISLAM esistono nette differenze, sia di comportamento nazionale sia di approccio internazionale, tali da poterle raggruppare in “buoni” e “cattivi”. Ma già con questa semplice suddivisione, a guardare bene, si comprende che quanto sta accadendo, più che interessare il quadro internazionale, è qualcosa che si sta “giocando” all’interno stesso del mondo Musulmano. E’ una “guerra”, un “confronto” generato da uno “scontro culturale” interno allo stesso Islam, che per ora interessa solo marginalmente il coagulo monoteista internazionale, con ogni probabilità a soli fini di “pubblicità”: il preludio per quella che in gergo si chiama “Guerra psicologica e di Comunicazione”!

Per avvalorare questa tesi basti accennare a quanto in atto all’interno di alcuni paesi della “primavera araba” che sono usciti dal periodo “rivoluzionario” e stanno iniziando a vivere i primi passi verso forme nuove di “democrazia islamica”. La Tunisia è d’obbligo, essendo l’unica a essersi guadagnato a suon di sangue il pieno avvento alla Democrazia. Ebbene, la cronaca del solo ultimo mese racconta l’eccidio di 16 civili, barbaramente uccisi da jihadisti salafiti a suon di Kalashnikov su una corriera presso Kasserin; un ufficiale della guardia nazionale “sgozzato” in pubblico a Jandouba; cinque militari dell’Esercito morti in conflitto a fuoco sulle montagne al confine con l’Algeria; e ancora ieri:” Quattro eroi della Guardia nazionale” sono stati martirizzati a seguito di un attentato terroristico nel governatorato di Kasserin, al confine con l'Algeria. L’eccidio è stato rivendicato dal principale gruppo jihadista tunisino: la brigata “Uqba ibn Nafi”, legata ad Al-Qaida Maghreb, che opera al confine montagnoso tra l’Algeria e la Tunisia. Al tempo stesso, da parte delle forze dell’ordine tunisine non manca giorno senza “operazioni antiterrorismo” o arresti cautelativi di Taksiri (sorta di “ispettori” salafiti che hanno potere di vita o di morte su chi non osserva la Sharia!) e di sospetti Jihadisti. Insomma, la “prevenzione” al terrorismo islamico dei tempi di Ben Alì e divenuto un fatto di cronaca nera quotidiana. In Tunisia, si combatte in silenzio una pletora di gruppi Jihadisti che, per fortuna, a tutt’oggi mancano di coordinamento.

Di altre nazioni post rivoluzionarie, mi basti citare, senza dilungarmi oltre, l’Egitto di Morsi e del Generale Al Sissi. Morsi è in carcere sotto attenta protezione, ma i fratelli Musulmani di estrazione Salafita continuano imperterriti il loro percorso di sangue in cerca del Califfato di antica memoria.

La situazione è radicalizzata all’estremo in Libia, dove il Premier Abdallah Al Thani ha confermato che membri dell'Isis e di Boko Haram si sono uniti ai principali gruppi terroristici presenti in Libia. Solo la facilona visione occidentale poteva accarezzare la speranza di una possibile riconciliazione delle fazioni libiche, insistendo per l'istituzionalizzazione del dialogo politico sociale e tribale-regionale. Ma la realtà è ben diversa. Con la benedizione del Qatar (leggi USA e Arabia Saudita) e la Turchia, il più duro jihadismo internazionale si è affermato in Siria e in l'Iraq, ma ben altri focolai sono in corso d’opera. La rivoluzione del 17 febbraio 2011, che ha consentito lo smantellamento del regime autoritario di Muhammar El Gheddafi, ha completamente deviato dal suo corso e dai suoi obiettivi, per dare vita, con l’avvallo del Commissario straordinario delle Nazioni Unite, a una sorta di “militarizzazione” della società e delle varie Istituzioni dello stato, soprattutto a livello locale/tribale. Oggi ci sono più di tre eserciti: quello “regolare”, quanto mai indebolito rispetto alla governance del vecchio regime; quello del generale "Al Haftar" e un terzo di "Fajr Libia". Ma su tutti vigilano una pletora di altri piccoli gruppi che fanno capo a “Ansar Echariaâ” e ora "Daëch (ISIS)".

Le Nazioni Unite, i governi occidentali e la comunità internazionale sono rimasti a guardare l’avvento, negli ultimi due anni, di una derivazione dell’"emirato" islamico in Derna e a Misurata, sotto la supervisione di Ansar Echariaâ, attraverso l’unificazione di differenti forze jihadisti. Di giorno in giorno, nell'indifferenza generale, questi gruppi si sono uniti sotto la sola bandiera nera del Califfato fino a conquistare la capitale, Tripoli, e oggi incominciando a delinearsi sul confine con la Tunisia. Il gruppo di Ansar Echariaâ è certamente quello di maggiore potenza in Libia per composizione, armamento e organizzazione. Il secondo gruppo, quello di Al Haftar non è degno di menzione, visto che nell’ultimo anno ha solo ceduto spazi strategici, in particolare Tripoli, e presto crollerà, purtroppo, anche sul fronte di Bengasi, dove gli Jihadisti di Daëch rinforzano la loro presenza giorno dopo giorno.

Nella sostanza, la Libia appare agli occhi della Jihad, ringraziando anche Sarkozi e Bernard Henry Levy, come un regalo venuto giù dall’alto, ancor più che l’ Iraq e la Siria, perché in questo paese ormai non esiste più uno Stato funzionale: lo Stato in Libia non esiste più! E’ un po’ quanto già accaduto in Somalia e …, anche li, sullo sfondo la lunga mano USA!

Pertanto, il jihadismo legato al Qaeda (Ansar Echariaâ) e Daëch in questo momento sono in netto vantaggio rispetto ai piani ingenui e "surreali" dell'inviato speciale delle Nazioni Unite (rappresentante femminile USA!) che, in barba a ogni avviso, ha continuato a perseguire una soluzione basata su una fine pacifica della crisi con la smilitarizzazione delle milizie jihadiste. Cosa che peraltro è stata da sempre contrata da Daëch.

Inoltre, considerando la pesante reazione aerea egiziana, dopo la decapitazione di 21 dei suoi cittadini cristiani (copti), c’è da aspettarsi un rapido spostamento del fronte Jihadista dello "Stato islamico" verso il confine occidentale con la Tunisia.

La Tunisia, che non ha molte scelte perché non ha né un esercito di due milioni di uomini come l’Egitto, né interessi strategici e energetici da barattare, dovrà rimanere estremamente attenta e vigile per non cadere anche lei nelle sabbie mobili di un magma quanto mai prevedibile. Se l’avanzata di Daëch nei prossimi giorni si orienterà verso la Tunisia con un temporaneo ritiro dall’area di confine egiziana, in barba a ogni editto proferito contro l’Italia e l’Occidente Cristiano, i “danni collaterali” di uno spostamento dell’attenzione Jihadista sulla Tunisia, anche riguardo alla particolare situazione interna di cui ho accennato, saranno “non annunciati” e “pesantissimi”!

Tenendo conto, infine, che Il “califfo” al-Baghdadi non potrebbe sperare di meglio che l’invasione armata di ciò che resta della Libia, condotta da ”Crociati” (italiani, francesi e altri europei) e “Apostati Corrotti” (Egiziani, forse Giordani e qualche altro spaurito arabo e africani vari), sono convinto che il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si esprimerà per un “non intervento” e la continuazione della politica della diplomazia: quella USA che sino ad oggi, per preservare i loro interessi energetici nell’area hanno distrutto il Medio Oriente e ora si accingono a distruggere anche il Mediterraneo!

Allora cosa fare? Prima di tutto, non cadere nella trappola dei richiami per un intervento armato occidentale in terra islamica, accendendo nuovi focolai di guerra senza speranza di vincerla. L’Islam non aspetta altro che denunciare al mondo intero una guerra difensiva in ragione di una “invasione” perpetrata da forze occidentali (cristiane e apostati!).

In secondo luogo, ma non meno importante, usare tutta la forza diplomatica esistente per convincere gli USA, i Sauditi e il Qatar a tagliare definitivamente i flussi di denaro che arrivano ai gruppi armati - operazione tutt’altro che impossibile se si vuole veramente lavorare nell’interesse dell’Europa e del mondo arabo modernista. In terzo luogo, colpire in ogni dove le probabili fonti energetiche jihadiste; quindi con ogni probabilità anche i pozzi ENI in Libia.

Infine, ma non a caso, supportare a pieno in tutti i campi di cooperazione possibili e immaginabili (a meno dell’invio di forze armate su territorio islamico) le nazioni del Mediterraneo del sud che palesano necessità di sostegno, prima tra tutte la Tunisia. In parallelo, aprire un fronte di supporto logistico/mezzi (elicotteri) e di consiglieri militari con l’unico possibile interprete di un’azione di “contenimento” in Libia: le Forze Armate Governative, che al momento difettano anche di leadership. Ma, sia ben chiaro, più affidabile di questa entità, in Libia non c’è nessuno se non l’Islam salafita del Califfato! Sempre nella speranza che l’unico Dio delle tre religioni monoteiste questa volta tenga a proteggere la pace nel mondo anziché una guerra in suo nome all’insegna della “sottomissione”, così com’è scritto nel Corano (da non dimenticare!).

http://www.italiachiamaitalia.it/artico ... -ghia.html
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Re: Libia: Islam, questo sconosciuto

Messaggioda trilogy il 20/02/2015, 10:48

franz ha scritto:
La Tunisia, che non ha molte scelte perché non ha né un esercito di due milioni di uomini come l’Egitto, né interessi strategici e energetici da barattare, dovrà rimanere estremamente attenta e vigile per non cadere anche lei nelle sabbie mobili di un magma quanto mai prevedibile. Se l’avanzata di Daëch nei prossimi giorni si orienterà verso la Tunisia con un temporaneo ritiro dall’area di confine egiziana, in barba a ogni editto proferito contro l’Italia e l’Occidente Cristiano, i “danni collaterali” di uno spostamento dell’attenzione Jihadista sulla Tunisia, anche riguardo alla particolare situazione interna di cui ho accennato, saranno “non annunciati” e “pesantissimi”!
http://www.italiachiamaitalia.it/artico ... -ghia.html



Non ho ben capito cosa vuol dire l'articolo nel suo complesso. Riguardo all'aspetto sopra, sono d'accordo che la Tunisia è il paese potenzialmente più a rischio di sconfinamenti dalla guerra civile libica; ma l'Algeria, che sta guardando con preoccupazione la situazione libica e non permetterà mai la creazione di un califfato alle sue frontiere, gli sta assicurando in qualche modo la copertura militare.
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Re: Isis in Libia: pericolo per l’Italia

Messaggioda pianogrande il 20/02/2015, 13:22

L'impressione che ho io è che, comunque, in campo ci sia una sproporzione enorme di forze. I jihadisti li percepisco come quattro gatti ma ben organizzati e ben decisi (e ben guidati).
Insomma, se il problema non fosse la confusione (di interessi), questa gente potrebbe essere sbaragliata senza problemi.

Anche io non sono d'accordo su un intervento che possa essere identificato come invasione.
Sono però favorevole ad interventi che una volta erano definiti come polizia internazionale o giù di lì.
Se non sbaglio, questa definizione l'aveva inventata la Francia di Chirac.

Interventi chirurgici ma efficaci e definitivi.

Ripeto che i confini si difendono anche da lontano.
Non ci credo che la costituzione ci impedisca di contrastare a casa loro chi si sta preparando ad aggredirci.

La guerriglia non si combatte con la guerra ma con la contro guerriglia.

Dove sono i nostri servizi segreti?
E non mi rispondete con la battuta che essendo segreti.... sono i risultati che vorrei vedere.

Possibile che siano furbi solo loro?

E' una volontà comune e convinta che manca.

Insomma, gli interessi sono contrastanti.
Questo è il vero problema e potrebbe essere la nostra rovina.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Isis in Libia: pericolo per l’Italia

Messaggioda flaviomob il 20/02/2015, 13:54

Non riusciamo a difendere le fontane del Bernini da quattro hooligans... si vede che l'Isis si era spostata a nord di Roma...


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Re: Isis in Libia: pericolo per l’Italia

Messaggioda trilogy il 20/02/2015, 14:11

pianogrande ha scritto:L'impressione che ho io è che, comunque, in campo ci sia una sproporzione enorme di forze. I jihadisti li percepisco come quattro gatti ma ben organizzati e ben decisi (e ben guidati).
Insomma, se il problema non fosse la confusione (di interessi), questa gente potrebbe essere sbaragliata senza problemi........


Tutto sommato è così. In Libia quelli dell'Isis saranno si e no un migliaio. Gli altri gruppi che li combattono sono alcune decine di migliaia. Quello che distingue l'Isis è che sono molto preparati nell'uso dei mezzi di comunicazione. Il motivo probabilmente è legato a Doha in Qatar dove c'è il centro del giornalismo arabo. Attorno alle TV sono nate scuole che formano giornalisti, operatori televisivi, registi, specialisti nei social network ecc.. Nell'Isis ci dev'essere gente che ha studiato da quelle parti, ed è molto preparata nell'uso dei mezzi di comunicazione, e questi sono fondamentali per attrarre nuovi militanti ed ingigantire le loro azioni.
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Re: Isis in Libia: pericolo per l’Italia

Messaggioda mauri il 25/02/2015, 19:31

trilogy ha scritto:Nell'Isis ci dev'essere gente che ha studiato da quelle parti, ed è molto preparata nell'uso dei mezzi di comunicazione, e questi sono fondamentali per attrarre nuovi militanti ed ingigantire le loro azioni.


eppoi più fai casino ed azioni eclatanti, attaccando in più stati. sembri forte e numeroso e ricco di consensi, il classico fumo negli occhi che disorienta
ma mi domando i soldi chi li fornisce per mantenere questo esercito, macchine nuove di zecca e armi?
la siria hai confini violati e perchè sta a guardare e non bombarda?
ma che cacchio hanno speso a fare tutti quei soldi per satelliti se non li usano per colpire anche singoli comandanti?
mah ci sono troppo interessi in ballo e mi sa che sta isis fa comodo a tutti
ciao mauri
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Re: Isis in Libia: pericolo per l’Italia

Messaggioda flaviomob il 28/02/2015, 13:46

I soldi non puzzano mai? Se il Qatar compra il futuro di Milano…
SABATO, 28 FEBBRAIO 2015
(Gad Lerner)

Questo articolo è uscito su “La Repubblica”.

La minuscola, desertica penisola del Qatar ha un numero di abitanti inferiore all’area metropolitana milanese ed è retta da un emirato semifeudale. Ma ormai, come direbbe Salvini, il Qatar è “padrone in casa nostra”. Sono le regole inappellabili della finanza che stravolge la geopolitica e che, da ieri, assegna alla petromonarchia della dinastia al-Thani l’intera proprietà dei nuovi grattacieli di Milano. Le torri d’acciaio di Porta Nuova, sovrastando la Madonnina, regalano ai milanesi l’orgoglio di una sky-line da metropoli del XXI secolo; ma da oggi la loro visione insinua anche il dubbio: ci toccherà un futuro da colonizzati? Così la città che non è riuscita neppure ad allestire una moschea degna di questo nome in vista dell’Expò, a causa dei pregiudizi che tuttora la affliggono, si trova a fare i conti col potere sovrastante di una bolla finanziaria cresciuta ben più in fretta di quegli edifici avveniristici.
Perché il Qatar non è solo il ricchissimo staterello che può comprarsi i bocconi più prelibati dell’economia mondiale, e in sovrappiù squadre di calcio, case di moda, i quadri di Gauguin e Cézanne. Il Qatar è anche un emirato in cui vige un’interpretazione oscurantista della Sharia, la legge islamica, prodigo di finanziamenti ai Fratelli Musulmani, fin troppo attivo nella destabilizzazione del Medio Oriente e del Nordafrica che sta insanguinando l’intero bacino del Mediterraneo.
Chi ha concluso l’affare per conto del Fondo sovrano del Qatar è uno sceicco di 29 anni, Suhami al-Thani, secondo cugino dell’emiro, tifoso milanista e collezionista di Maserati. Si presenta come amante dello stile di vita occidentale e del gusto italiano, ma dietro a quel Fondo si cela anche un substrato politico impenetrabile nella sua ambiguità: un’economia incline a sbarazzarsi della democrazia, favorita dalla convinzione diffusa che i soldi non puzzano mai. E tanto meno puzzano di petrolio.
Chissà cose ne penserebbe Gae Aulenti, cui è intitolata la nuova piazza milanese su cui affacciano la Torre dell’Unicredit e, subito dietro, il Bosco Verticale disegnato da Stefano Boeri. La storia di questo insediamento da 290 mila metri quadri nel pieno centro storico di Milano, comporta certo un omaggio al talento di un’architettura contemporanea, capace però di esprimersi solo all’insegna dell’edilizia di lusso. Ma è anche la storia ingloriosa del declino degli immobiliaristi milanesi che, con la cementificazione e il gigantismo, si sono arricchiti per decenni prima di finire vittime delle loro stesse malversazioni: i lavori di Porta Nuova furono avviati dalla famiglia Ligresti, cui era associato lo stesso Manfredi Catella che ieri ha realizzato il colpaccio della vendita agli arabi. Catella (e non solo lui) ne esce con una ricca plusvalenza. Si dice che parte di questa liquidità sia destinata a un nuovo investimento nel Lido di Venezia. Siamo sicuri che ne beneficerà il sistema economico italiano?
Di certo Porta Nuova qatariota diviene così il simbolo di una parabola discendente della classe imprenditoriale ambrosiana, ormai incapace di creare imprese durature. Accentua un impulso alla finanziarizzazione dell’economia che ha già ridisegnato il tessuto urbano milanese in pericolosi compartimenti stagni: da una parte nuovi insediamenti destinati ai consumi di lusso; dall’altra una metropoli che vive il rapido degrado delle sue periferie, dove i poveri si fanno la guerra, smettono di pagare l’affitto, e il numero delle case popolari inagibili conosce un drammatico incremento. Due Milano ormai completamente separate, incomunicanti. Con i loro arabi di serie A e i loro arabi di serie B, proprio come avviene da sempre sulla sponda sud del Mediterraneo.
A sollevare questi argomenti, fino a ieri, ci si beccava l’accusa di provincialismo: ma come, disprezzi la ritrovata capacità italiana di attrarre investimenti? Non ti fa piacere che succeda a Milano quel che fino a ieri succedeva solo a Londra e a Parigi? Perché dovrebbe dispiacerci se il flusso mondiale della ricchezza, nella sua corrente impetuosa, lambisce anche la nostra penisola che rischiava di rimanerne completamente tagliata fuori?
Solo che oggi il fenomeno ineluttabile della globalizzazione si intreccia con equilibri geopolitici resi fragili dalla guerra. Nel dramma provocato dall’espansione del sedicente Califfato, lo sappiamo bene, le petromonarchie del Golfo sono divenute al tempo stesso nostri infidi alleati, restando apprendisti stregoni. Il predominio da esse conseguito nei gangli della finanza mondiale le rendono protagoniste imprescindibili; ma la loro natura antidemocratica, nonché la loro strategia di burattinai di un islam oscurantista, ne accrescono la pericolosità.
La politica estera del governo italiano, di fronte a operazioni sul nostro patrimonio di tale entità, non può limitarsi a un semplice “benvenuti”. Quando vendi un pezzo di territorio, in gioco non è solo un’operazione finanziaria.
Guardando il filmato diffuso ieri dall’Is sulla distruzione del patrimonio artistico nel museo di Mosul, non ho potuto fare a meno di pensare ai quadri di Gauguin e Cézanne acquistati per centinaia di milioni di dollari dalla famiglia al-Thani e destinati al nuovo museo di Doha, la capitale del Qatar. Nessuno può contestarne la vendita, ma saranno davvero al sicuro, laggiù nel deserto, quelle tele raffiguranti donne polinesiane e giocatori di carte che suggellano un apice dell’arte europea?
Il nostro destino futuro contempla senza dubbio l’intreccio finanziario e la contaminazione reciproca. Che il quartiere del lusso ambrosiano, oltreché cosmopolita diventi anche in parte straniero, sta nel percorso di un’evoluzione storica inarrestabile. Ma Milano ritroverà fiducia in se stessa non certo attraverso il colpaccio di un finanziere-immobiliarista, già socio degli americani, che vende tutto agli emiri. Bensì quando saprà trasformare questa ricchezza in imprese capaci di unire il profitto a uno sviluppo equilibrato. Come bene o male riusciva alla sua borghesia quand’era meno chiusa in se stessa.

http://www.gadlerner.it/2015/02/28/i-so ... -di-milano


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Re: Isis in Libia: pericolo per l’Italia

Messaggioda pianogrande il 28/02/2015, 14:06

La nostra "superiore civiltà" (gaffe storica dell'ineffabile Silvio) è così superiore che non sa più come si lavora e come si guadagna.
E' capace solo di cercare col lanternino difensori a vario titolo di casa nostra della nostra cultura della nostra storia ed altre amenità più o meno virtuali e più o meno zuccherose e inconcludenti.
Perfino lo scrocco che una volta era considerato roba da miserabili mezze cartucce, è diventato, in bocca ai parolai, difesa della sovranità nazionale.

Certo che ci comprano.
I soldi ce li hanno loro.
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