non si parla di europa federale in questo articolo, quindi non confuta quello che sostengo ma presenta altre cose.
Io sono piu' d'accordo con questa impostazione:
http://www.lastampa.it/2012/01/25/ester ... agina.htmlVi sono altri modelli per distribuire il rischio e assumere maggiore responsabilità?
«Nella crisi attuale gli eurobond non sono una soluzione. Si potrà riflettere su una maggiore responsabilità in comune, solo quando l’Europa avrà raggiunto un’integrazione molto più profonda, non però come strumento per superare la crisi. Un’integrazione più profonda prevede, ad esempio, che la Corte di Giustizia europea controlli i bilanci nazionali, e questo non è tutto. Se un giorno avremo una politica finanziaria e di bilancio armonizzata, allora si potranno trovare anche altre forme di cooperazione e di condivisione della responsabilità».
Il ministro degli Esteri della Polonia Sikorski ha detto di aver più paura di una Germania inattiva che di una Germania che guida. I tedeschi fanno abbastanza?
«Mi fa particolarmente piacere che le parole del ministro degli Esteri polacco esprimano una grande fiducia. Danno prova dell’evoluzione positiva del nostro rapporto. In linea di principio, la Germania è un importante Paese europeo che assume la responsabilità che deriva da questa circostanza. Ma - e ovviamente non mi riferisco ai polacchi - a volta capita che qualcuno chieda che altri assumano la leadership, per non avere responsabilità, essendo noto che la leadership comporta sempre anche dei rischi. La Germania non si tira indietro e per questa giusta causa va incontro anche a rischi, ma in Europa dobbiamo soprattutto concordare una via comune da percorrere».
Ma nelle parole del ministro degli Esteri è espresso anche un timore: la Germania è veramente dalla parte dell’Europa o non starebbe meglio da sola?
«Mi consenta di essere estremamente chiara: in Germania tutte le forze politiche rilevanti sono a favore dell’Europa. “Noi cittadini dell’Unione europea siamo, per nostra fortuna, uniti”, questo è quanto abbiamo detto in occasione del Cinquantenario dei Trattati di Roma, volutamente con un doppio significato, ovvero fortunatamente siamo uniti - ma potremo godere della nostra fortuna solo in un’Europa unificata».
Tuttavia per lunghi anni in Europa è regnata l’armonia?
«Forse, però il prezzo è stato che spesso ci siamo tirati indietro di fronte a decisioni ardue. L’Europa in questo modo non avrà successo, invece questo è proprio quanto vorrei io: un’Europa di successo».
Lei pretende rigore e rafforza al contempo un’immagine che - senza esagerare - non è proprio utile, ovvero l’immagine di una Germania dura, prepotente, dominante.
«Prendo sul serio queste preoccupazioni, ma sono infondate. È inoltre interessante vedere con che velocità vengano risvegliati certi stereotipi - peraltro anche nella discussione tedesca. Stereotipi quindi riguardanti “i” tedeschi, “i” polacchi, “i” francesi, “gli” spagnoli e “i” greci, dei quali crediamo di sapere come sono. Il progresso conseguito in Europa era proprio che avevamo smesso di additare gli altri e di parlare “del francese” o “del tedesco”. Ci sono tedeschi pigri e tedeschi diligenti, ci sono tedeschi di sinistra e tedeschi conservatori. Vi sono amici della competitività e amici della ridistribuzione. La Germania è così varia come lo sono tutte le altre Nazioni in Europa. I vecchi stereotipi li possiamo sotterrare».
A livello personale, come incide su di Lei questa particolare situazione? Raramente, se non mai, un Cancelliere della Repubblica Federale di Germania ha avuto così tanti poteri. Lei viene chiamata Madame Europa, la Cancelliera di ferro, Signora Bismarck. Non si sente a disagio?
«Io agisco secondo scienza e coscienza. Per trentacinque anni ho vissuto in un Paese che, a causa della sua incapacità economica e politica, alla fine - grazie a Dio non ha potuto sopravvivere, che è stato spazzato via dalla volontà di libertà della gente. Sono profondamente convinta che l’Europa, con la sua democrazia, i suoi diritti dell’uomo, i suoi ideali di libertà e i suoi valori abbia molto da dare alle persone che vivono qui e anche al mondo. Noi in Europa rappresentiamo ancora il 7% della popolazione mondiale. Se non saremo compatti, le nostre voci e le nostre convinzioni non si faranno praticamente sentire. Questa idea europea di pace, valori e benessere è il motivo che mi spinge ad agire, per questo non voglio che noi superiamo la crisi alla meno peggio. Non voglio un’Europa museo di tutto ciò che una volta era valido, bensì un’Europa in cui con successo si creano novità. So che per molti questo comporta un cambiamento molto, molto grande, dobbiamo quindi sostenerci a vicenda. Ma se ci tiriamo indietro dinanzi a questi sforzi, siamo solo gentili tra di noi e annacquiamo ogni tentativo di riforma, allora sicuramente rendiamo un pessimo servizio a l’Europa».
In Francia c’è un termine con una forte carica emotiva per il desiderio dell’Europa - le désire de l’Europe. Queste emozioni potrebbero sembrarLe inquietanti. Può collegare un sentimento all’Europa?
«Naturalmente, tutto quello che faccio, lo faccio con la ferma convinzione che l’Europa è la nostra fortuna - una fortuna che dobbiamo salvaguardare. Se non avessimo l’Europa, forse anche la nostra generazione si farebbe la guerra. Per trentacinque anni, fino alla caduta del muro, ho sofferto perché non potevo semplicemente andare nell’Europa dell’Ovest. Per me questo era un grande sogno. Questo è il mio continente. Un continente in cui la gente condivide i miei stessi valori. Un continente con il quale si può contribuire a plasmare il mondo, con il quale si può lottare per garantire il futuro dell’umanità: dignità dell’uomo, libertà d’opinione, libertà di stampa, diritto di dimostrazione, economia sostenibile, protezione del clima. Ma questo sentimento verso l’Europa da solo non sarà sufficiente per dare alla gente benessere e lavoro. Ogni giorno dobbiamo fare qualcosa per quest’obiettivo».
Non sarebbe giunta l’ora della grande visione, il suo piano di dieci punti per l’Europa?
«Legga il mio discorso per l’anniversario dei Trattati di Roma, in cui mi sono professata a favore dell’Europa. Ma, per tornare nuovamente alla sua metafora musicale, al momento non si dovrebbe parlare della bellezza della musica in generale e dell’importanza culturale dell’orchestra. Dovremmo invece suonare nel concerto dei mercati mondiali. Che vogliono sentire qualcosa di accettabile».
Nella sua visione vi sono anche gli Stati Uniti d’Europa?
«La mia visione è l’Unione politica, l’Europa deve infatti percorrere la sua strada. Passo dopo passo, dobbiamo avvicinarci in ogni settore politico. Ci accorgiamo infatti sempre più che ogni tema affrontato ai nostri confini interessa anche noi e viceversa. L’Europa è politica interna. Come si deve rispecchiare questo sul piano istituzionale e strutturale? Nel corso di un lungo processo, trasferiremo sempre più competenze alla Commissione, che poi, per le competenze europee funzionerà, come un governo europeo. In questo quadro rientra un Parlamento forte. La seconda camera è costituita praticamente dal Consiglio con i Capi di Governo. Ed infine abbiamo la Corte di Giustizia europea quale corte suprema. Questo potrebbe essere l’assetto futuro dell’Unione dell’Europa, in un prossimo futuro, come ho già detto, e dopo molti passi intermedi».
Intervista a cura di Javier Moreno (El País), Stefan Kornelius (Süddeutsche Zeitung) e Bastosz Wielinski (Gazeta Wyborcza)
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)