Per cui è ovvio che la domanda è rivolta a tutti indipendentemente dal sentirsi / identificarsi / appartenere o meno a questo "insieme".
Per quanto mi riguarda, considero il mio essere di sinistra un'anomalia, sia dal punto di vista personale (o biografico), sia dal punto di vista diciamo così teorico o ideologico, per usare una parolaccia!

Ho amici di sinistra ma la mia famiglia, nel complesso, non ha mai espresso idee progressiste. Avevo un padre liberale, ho una madre democristiana (che oggi, guarda caso, vota Renzi), altri parenti vicini vanno dal leghismo (persino quello ticinese!) al conservatorismo anche spinto.
Da giovane mi consideravo socialista (e mi considero ancora tale), ma appena maggiorenne mi accorsi della corruzione che si annidava in quel partito (che solo Repubblica e pochi altri denunciavano, prima dell'esplosione di tangentopoli).
Anche sul piano teorico mi sento piuttosto anomalo. Considero socialista, ante litteram, il cristianesimo delle origini per molte sue manifestazioni, quando si basava su scelte democratiche e libere, sulla condivisione (comunione) dei beni, sulla lotta contro la schiavitù e l'abuso del potere. Al netto però delle posizioni sessuofobiche e ginofobiche di Paolo di Tarso, che tanti danni avrebbero generato dopo, quando il cristianesimo si fosse imposto anche nell'esercizio (scellerato) del potere "terreno", prendendo di fatto una strada ben diversa da quella iniziale.
Apprezzo Marx sul fronte del pensiero critico, ma non condivido l'impianto di una teoria che prevede, seppur "di passaggio", una fase di dittatura del proletariato.
Come può una dittatura costituire consapevolmente ed intenzionalmente una "fase"? Chi otterrà la possibilità di esercitare il potere in maniera tirannica non acconsentirà mai a rinunciarvi consensualmente, ma dovrà essere abbattuto con la violenza o attendere la sua morte (come il caso di Franco in Spagna e dei vari segretari del PCUS in URSS, eccetto Gorbaciov). Tuttavia il marxismo funziona ancora bene come strumento di analisi di molti passaggi, anche della società attuale.
Dunque, che cos'è questa sinistra? E' una delle risposte possibili davanti al dilemma del potere: è legittimo che uno disponga di tutto il potere e un altro ne sia completamente privo? La sinistra dice di no.
E' vero tuttavia che anche il liberalismo delle origini nacque con questo medesimo intento: limitare il potere del sovrano, eliminare i privilegi dell'aristocrazia. Eppure, tolta questa fetta di ingiustizia, il liberalismo non ha saputo affrontare quella maggiore. Chi ha di più, chi possiede di più ha molto potere; chi non ha nulla vive nel bisogno e di fatto non è libero. Per cui anche la proprietà privata andava messa in discussione e questo passaggio, considerandola sacra ed inviolabile, il liberalismo non era in grado di farlo. Il progresso ora era rappresentato dalle idee socialiste, nate in un contesto in cui era peraltro normale il latifondo e persino la schiavitù della gleba (in Russia presente anche nell'ottocento), il lavoro minorile, la mancanza di qualsiasi tutela per le donne incinte, condizioni di lavoro salariato in fabbrica intollerabili, insalubri e spesso mortali.
Un'altro elemento antidemocratico del liberalismo "reale" è stata l'ostilità verso il suffragio universale: poteva votare solo chi disponeva di un reddito minimo e solo i maschi capifamiglia, in Italia. Altrove, è vero, ci furono anche liberali più illuminati, ma ai nostri va imputata anche l'iniziale alleanza parlamentare con il fascismo! Si parla tanto di anomalia della sinistra italiana, ma la realtà è piuttosto il contrario: l'elitarismo e il distacco dalle masse dei liberali italiani, che avrebbero potuto fermare il fascismo degli inizi, insieme alla scellerata monarchia.
Sulla questione dei diritti o delle pari opportunità: mi pare che i diritti non possano che essere universali e vadano garantiti a tutti, altrimenti perché non fare un esame di cultura generale per poter votare o un patentino per poter acquistare una casa?
Le pari opportunità saranno sempre un'utopia, perché in una competizione esisteranno sempre delle ingiustizie (per esempio, chi ha fatto una scuola privata carissima certamente sarà più seguito di chi fa una scuola pubblica magari ottima ma con 30 alunni per classe; poi magari chi fa la privata si diploma anche con un bel calcio nel deretano perché "papino paga"). L'eguaglianza va garantita per i diritti. Lo svantaggio va ridotto per garantire pari opportunità. Tuttavia anche l'assenza di competizione è un'ingiustizia, perché toglie opportunità non solo a chi ha più talenti (che magari ha dalla nascita) ma anche a chi ha più merito e soprattutto a chi ha più stimoli e più bisogno: quanto spesso chi è nato povero ha più motivazione ad impegnarsi di chi è nato con la pappa pronta?
In Italia però esiste una peculiarità negativa. La competizione viene falsata dalle bustarelle e questo genera mostri a non finire. Inoltre la competizione viene mortificata dalle parentele e dalle raccomandazioni, per cui da noi c'è un doppio circolo vizioso che favorisce l'emersione... dei peggiori. Questo mostra anche perché tante persone mostrino odio per la competizione in questo paese: perché parlano di qualcosa che è sempre stato molto lontano dal concetto - quello sì liberale - che dovrebbe rappresentare.
Mentre è socialista il concetto di liberazione dal bisogno, per cui prima di pensare a competere ci sono una serie di passaggi per garantire, come dice Pianogrande, dignità a tutti.