pianogrande ha scritto:Certamente.
Far pagare le tasse a chi già le paga non richiede un'aquila al governo.
Comunque, diminuirle a chi già le paga è già qualcosa di meglio.
Se poi faceva meglio a diminuire altre tasse invece dell'IRPEF è un ragionamento che si può sempre fare ma senza nulla togliere al fatto che c'è stata una diminuzione che ormai do per certa.
Anche la lotta all'evasione fiscale è un banco di prova della novità Renzi.
Aspetto le prossime statistiche.
Aspetto anch'io e con ansia.
Mi da un minimo di speranza leggere l'opinione che Panebianco esprime in questo
articolo, augurandomi che sia un'opinione fondata.
RAGIONI E RISCHI DELLA ROTTURA RENZIANA
Non si vive di belle parole
di Angelo Panebianco
L’affermazione del presidente del Consiglio secondo cui se a maggio non ci saranno i soldi in più promessi nelle buste paga per effetto della manovra Irpef, allora egli sarà da considerare un buffone, è sembrata a molti la conferma di quanto azzardato sia il suo gioco politico. Ma è forse possibile una diversa interpretazione: quella frase irrituale svela quale sia il vero punto di forza di Renzi. Egli ha intercettato e correttamente interpretato un grande cambiamento (positivo) che si è verificato negli atteggiamenti dell’opinione pubblica. Il fatto è che ormai non è più possibile abbindolare nessuno: nessuno si fida più, non solo degli annunci, ma nemmeno - finalmente! - delle decisioni formalmente e ufficialmente prese da governi e Parlamenti. «Pagare moneta, vedere cammello» è ora l’atteggiamento dominante nell’opinione pubblica.
Fino a poco tempo fa il sistema funzionava così: veniva annunciato un nuovo, meraviglioso, provvedimento. I media, per lo più, lo presentavano come cosa già fatta. Dopo qualche tempo arrivava, se arrivava, la decisione, con i crismi del decreto legge o magari (ma doveva passare molto più tempo) con quelli della legge votata dal Parlamento in pompa magna. Già lì c’era la prima doccia fredda: gli addetti ai lavori scoprivano che fra il provvedimento annunciato e quello varato c’era un grande scarto. Ma questa informazione arrivava attutita all’opinione pubblica. E la cosa non finiva lì. Dopo, scattava il complicatissimo iter burocratico dell’attuazione durante il quale il provvedimento veniva ulteriormente triturato e, spesso, pervertito. Gli scopi iniziali venivano sovente abbandonati e sostituiti tacitamente da altri. Alla fine della fiera, e dopo parecchi mesi, i soliti addetti ai lavori scoprivano che il provvedimento non aveva sortito alcun effetto oppure solo effetti negativi: niente che assomigliasse, neppure alla lontana, alle meravigliose novità a suo tempo annunciate. L’opinione pubblica, ormai distratta da altro, neppure veniva a saperlo.
Adesso, anche i sassi sanno che non bisogna fidarsi: che non bisogna guardare solo alle decisioni che vengono prese ma aspettare di vedere quale ne sarà la attuazione, ciò che conta davvero.Perché questo cambiamento dell’atteggiamento dell’opinione pubblica è positivo? Perché apre la possibilità di imporre anche in Italia ciò che gli anglosassoni chiamano accountability : sei responsabile di ciò che mi prometti e ti giudicherò non per le promesse ma per i fatti che seguiranno, o non seguiranno, alle promesse. E ciò, oltre alla politica, potrebbe finalmente mettere sotto scopa anche «l’infrastruttura amministrativa» (burocrazia e giustizia amministrativa), il cui malfunzionamento è il male più grave da cui è afflitto il Paese. Accountability significa che l’epoca delle furbizie volge forse al tramonto.
Certo, gli umori del Paese potrebbero cambiare di nuovo. L’opinione pubblica potrebbe tornare ad essere ciò che è sempre stata: un impasto di apatia, credulità e voglia di ribellione, unite a ignoranza e disinteresse per i veri meccanismi che condizionano le scelte pubbliche. Ma è già tanto che la «politica degli annunci» non incanti più nessuno e che, inoltre, si sia diffusa la consapevolezza che ciò che blocca il Paese sta nell’intreccio fra una politica impotente e una infrastruttura amministrativa che opera al servizio di se stessa. È questo il vero punto di forza di Renzi. È la più potente arma di ricatto di cui dispone per mettere in riga le lobby parlamentari e la burocrazia a tutti i livelli: tutti quelli che, se si profila all’orizzonte una innovazione, si mettono subito al lavoro per neutralizzarla, distorcerla, edulcorarla. E che fino ad oggi, sfruttando cavilli e procedure complicate, sono sempre, o quasi sempre, riusciti a spuntarla. Basti vedere che cosa è successo a tanti provvedimenti varati dai governi Monti e Letta.
Sbloccherà davvero Renzi il pagamento dei debiti alle imprese? Il provvedimento sui contratti a termine, quando verrà varato, partirà già annacquato grazie al lavoro sottotraccia delle lobby contrarie oppure verrà neutralizzato in sede di attuazione? La riforma del lavoro di Renzi farà la fine di quella della Fornero? Il taglio dell’Irpef risulterà solo un regalo elettorale (in vista delle Europee di maggio) incapace di stimolare la ripresa della domanda interna oppure, sommandosi ad altri provvedimenti pro-crescita, contribuirà a mutare il clima del Paese, a dare il colpo di frusta di cui l’economia italiana ha bisogno? Cosa verrà fatto, a breve, contro quella palla al piede dell’economia che è il malfunzionamento della giustizia civile? Cosa verrà fatto per rendere i ricorsi ai Tar l’eccezione anziché la regola? A seconda delle risposte che potremo dare fra qualche mese a queste e ad altre domande, capiremo - lo capiremo solo allora - se Renzi si rivelerà un autentico vincente oppure un’altra (l’ennesima) promessa mancata.
I vincoli che il premier deve aggirare o allentare sono potenti. Egli ha in mano due sole carte: il rapporto carismatico che ha stabilito con l’opinione pubblica e la paura dei parlamentari che un suo fallimento li porti dritti alle elezioni. Ma sono carte a rischio di deterioramento rapido. Il carisma, per sua natura, è fragile, transitorio, effimero. Renzi ha ragione nel voler fare tutto o quasi tutto in fretta, nel tempo più breve possibile. Deve cambiare le regole del gioco, ivi comprese quelle istituzionali e amministrative, prima che il suo carisma subisca l’inevitabile logoramento. Altrimenti, tutto finirà con il solito «vorrei ma non posso», la vera epigrafe di altre avventure carismatiche che l’Italia repubblicana ha conosciuto.
17 marzo 2014 | 09:19