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Forconi

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Forconi

Messaggioda Giovigbe il 19/12/2013, 9:03

Sta storia dei forconi è finita. 3000 persone a Piazza del Popolo.

Non che sia finita la rabbia e il risentimento delle persone verso una politica sorda e attenta solo al proprio orticello ma credo si sia ridimensionata l'idea delle svolte facili e immediate.
Credo che molti abbiano capito che qualcuno (vedi il trombato del cd oppoure Casapound) alimentava il fuoco della loro rabbia per dirigerlo verso obiettivi almeno discutibili.
Il movimento si è diviso perché questa percezione che questa lotta tendeva solo a mandare a casa alcuni per sostituirli con altri (che magari questi guai avevano generato) si è diffusa anche all'interno del movimento steso.
Ora una parte andrà a San Pietro domenica, vedremo di capire meglio chi sono, quanti sono e che parole d'ordine diverse da quelle di ieri eventualmenet hanno. In ogni caso - di pancia come sempre - che vi debbo dire......non mi spavento di chi và in piazza San Pietro.....in ogni caso dimostra più saggezza di chi era in piazza ieri.

Ciao
Ci sono uomini che usano le parole all'unico scopo di nascondere i loro pensieri. VOLTAIRE
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Re: Forconi

Messaggioda pianogrande il 19/12/2013, 11:00

La gente dimostra di cominciare a ragionare.
Nessuno ti regala niente, forse, comincia a valere anche nell'altro senso (dal popolo ai populisti).
Bella notizia.
Bruttissima notizia per Grillo e Berlusconi e fascistelli e fascistoni e anti stato (nel senso di faccio quello che mi pare, non
rispetto le regole e non pago le tasse) di varia natura.
Anche l'anti europeismo ha lo stesso senso.

Avete visto a Lampedusa?
Se non si muoveva l'Europa chi si muoveva?
La cooperativa (una cooperativa, incredibile) che gestisce quei servizi?
Se inopinatamente saltasse qualche testa di quella cooperativa, non ce li ritroveremmo tutti anti europeisti?

Il disagio della gente è sacrosanto e questo rende ancora più vigliacca l'azione di chi lo strumentalizza per scopi che usano quel disagio come scalino per il potere.
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Re: Forconi

Messaggioda Iafran il 19/12/2013, 12:05

pianogrande ha scritto:Il disagio della gente è sacrosanto e questo rende ancora più vigliacca l'azione di chi lo strumentalizza per scopi che usano quel disagio come scalino per il potere.

"Il disagio della gente è sacrosanto e" dovrebbe essere la prima preoccupazione della classe politica che la rappresenta.
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Re: Forconi

Messaggioda Iafran il 19/12/2013, 16:37

La preoccupazione quasi generale (nelle alte sfere) per le manifestazioni del disagio dei cittadini ad opera dei "forconi" mi porta a fare un'associazione con ciò che è successo dopo il 25 aprile 1945 in Italia.

La mente mi porta a Giampaolo Pansa e a quel che ha riportato nel libro "Il sangue dei vinti". Forse, tanti pensano che l'Autore (Pansa) abbia reso giustizia ai "vinti" del 25 aprile 1945, in Italia e che, parimenti, abbia fatto benissimo a scordarsi il passato e a non prendere in assoluta considerazione gli altri italiani che hanno patito, sotto il ventennio fascista, umiliazioni, persecuzioni, bastonature, morti.
Chissà, forse, per attestare che la "storia" possa dipendere dalla discrezionalità dei vincitori e/o possa esonerare i potenti dalle loro responsabilità verso la popolazione o che ognuno può costruirsi la "storia" che vuole?

La realtà, però, è sempre allarmante: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12 ... ra/819556/

Crisi, allarme Confindustria: “Poveri raddoppiati in sei anni. Danni da guerra”

Il centro studi di via dell'Astronomia sostiene che la recessione è finita, ma "i suoi effetti no". Parlare di ripresa è infatti "per molti versi improprio e suona derisorio". Dal 2007 persi 1,8 milioni di posti di lavoro, gli indigenti sono 4,8 milioni. Gli imprenditori attaccano il governo: "Legge di stabilità? Ha impatto piccolo su Pil". Letta: "Devo tenere i conti a posto e fare calare lo spread"
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Re: Forconi

Messaggioda pianogrande il 19/12/2013, 17:26

La ripresa non può dare i suoi effetti all'inizio.
Li darà col tempo.

Naturalmente, gli imprenditori, abituati a vivere di lacrime e sconti e sovvenzioni invece di darsi da fare per il progresso tecnico e formativo, si guardano bene dall'ammettere che ci possa essere qualche segnale di ripresa.
Squinzi si è anche schierato coi forconi pur di versare qualche lacrima in più e rimanere col cappello in mano davanti all'opinione pubblica.

Abbiamo la classe politica che ci meritiamo.
Abbiamo gli imprenditori che ci meritiamo.
Certo che di peccati dobbiamo averne commessi tanti e gravissimi.
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Re: Forconi

Messaggioda Iafran il 20/12/2013, 8:30

Se la ripresa la si giudica dall'aumento delle tasse (con sigle diverse dalla sera al mattino), l'Italia ha ancora una grossa riserva di entrate per il futuro (IVA al 30-100%, IUC al 20-50%, beni demaniali, pensioni ... sangue e organi anatomici personali da mettere sul mercato) che collocherà la sua "classe politica" al primo posto fra i "vampiri sociali" del mondo. I cittadini che sopravvivranno potrebbero andarne fieri ... fino a quando non arriverà il loro turno!
Se avesse un po' di pudore, questa "classe politica" italiana dovrebbe nascondersi agli occhi del mondo per la vergogna!
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Re: Forconi

Messaggioda flaviomob il 20/12/2013, 18:06

E' vero che le associazioni di imprenditori hanno appoggiato spesso e volentieri, in passato, governi corrotti e compromessi grazie ai quali oggi il paese è in ginocchio. Ma va anche rilevato che molte imprese soffrono fino a fallire a causa di pagamenti omessi o ritardati all'infinito da parte di enti pubblici: stato, regioni, comuni, etc.
E' assurdo che se lo stato non paga una prestazione è "come se" quei soldi sparissero dai passivi dei pubblici bilanci: ciò incentiva a procrastinare all'infinito i pagamenti.


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
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Re: Forconi

Messaggioda pianogrande il 20/12/2013, 19:56

Evidentemente, anche l'imprenditoria (o le sue associazioni) ha applicato la legge del più forte.
Altrettanto evidentemente, il più debole è quello che non viene pagato.
Ecco che, per quella categoria di imprenditori, è più attraente il movimento dei forconi che una delle varie associazioni imprenditoriali.
Squinzi cerca di recuperare un po' di consenso ma dimentica il programma fotocopia e gli applausi a scena aperta (non della confindustria ma della confcommercio ma la famiglia è quella) al berlusca che insultava la sinistra e i suoi elettori.

C'è anche bravissima gente in questo movimento (la dimostrazione è il fatto che ormai sono rimasti quattro gatti a marciare su Roma o a sbraitare contro le tasse e l'Europa e l'Euro).

Sono rimasti quelli che non vogliono regole, che vogliono comandare loro e basta, che non vogliono la democrazia e non vogliono controlli etc. etc.

Sotto questi ultimi aspetti, Squinzi lo vedo un po' perso.
Non mi sembra abbia preso le distanze in modo chiarissimo e ben pubblicizzato.

Non credo che Squinzi durerà ancora per molto.
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Re: Forconi

Messaggioda flaviomob il 13/01/2014, 12:42

L'invisibile popolo dei nuovi poveri

-Marco Revelli, 12.12.2013

Torino è stata l'epicentro della cosid­detta "rivolta dei for­coni", almeno fino o ieri. Torino è anche la mia città. Così sono uscito di casa e sono andato a cer­carla, la rivolta, per­ché come diceva il pro­ta­go­ni­sta di un vec­chio film, degli anni '70, ambien­tato al tempo della rivo­lu­zione fran­cese, «se 'un si va, 'un si vede.». Bene, devo dirlo sin­ce­ra­mente: quello che ho visto, al primo colpo d'occhio, non mi è sem­brata una massa di fasci­sti. E nem­meno di tep­pi­sti di qual­che clan spor­tivo. E nem­meno di mafiosi o camor­ri­sti, o di eva­sori impu­niti.
La prima impres­sione, super­fi­ciale, epi­der­mica, fisio­gno­mica - il colore e la fog­gia dei vestiti, l'espressione dei visi, il modo di muo­versi -, è stata quella di una massa di poveri. Forse meglio: di "impo­ve­riti". Le tante facce della povertà, oggi. Soprat­tutto di quella nuova. Potremmo dire del ceto medio impo­ve­rito: gli inde­bi­tati, gli eso­dati, i fal­liti o sull'orlo del fal­li­mento, pic­coli com­mer­cianti stran­go­lati dalle ingiun­zioni a rien­trare dallo sco­perto, o già costretti alla chiu­sura, arti­giani con le car­telle di equi­ta­lia e il fido tagliato, auto­tra­spor­ta­tori, "padron­cini", con l'assicurazione in sca­denza e senza i soldi per pagarla, disoc­cu­pati di lungo o di breve corso, ex mura­tori, ex mano­vali, ex impie­gati, ex magaz­zi­nieri, ex tito­lari di par­tite iva dive­nute inso­ste­ni­bili, pre­cari non rin­no­vati per la riforma For­nero, lavo­ra­tori a ter­mine senza più ter­mini, espulsi dai can­tieri edili fermi, o dalle boîte chiuse.
Le fasce mar­gi­nali di ogni cate­go­ria pro­dut­tiva, quelle "al limite" o già cadute fuori, fino a un paio di anni fa ancora sot­tili, oggi in rapida, forse ver­ti­gi­nosa espan­sione. Intorno, la piazza a cer­chio, con tutti i negozi chiusi, le ser­rande abbas­sate a fare un muro gri­gio come quella folla. E la "gente", chiusa nelle auto bloc­cate da un fil­tro non asfis­siante ma suf­fi­ciente a gene­rare disa­gio, anch'essa presa dai pro­pri pro­blemi, a guar­darli - almeno in quella prima fase - con un certo rispetto, mi è parso. Come quando ci si ferma per un fune­rale. E si pensa «potrebbe toc­care a me.». Loro alza­vano il pol­lice - non l'indice, il pol­lice - come a dire «ci siamo ancora», dalle mac­chine qual­cuno rispon­deva con lo stesso gesto, e un sor­riso mesto come a chie­dere «fino a quando?».

Altra comu­ni­ca­zione non c'era: la "piat­ta­forma", potremmo dire, il comun deno­mi­na­tore che li univa era esi­lis­simo, ridotto all'osso. L'unico volan­tino che mostra­vano diceva «Siamo ITALIANI», a carat­teri cubi­tali, «Fer­miamo l'ITALIA». E l'unica frase che ripe­te­vano era: «Non ce la fac­ciamo più». Ecco, se un dato socio­lo­gico comu­ni­ca­vano era que­sto: erano quelli che non ce la fanno più. Ete­ro­ge­nei in tutto, folla soli­ta­ria per costi­tu­zione mate­riale, ma acco­mu­nati da quell'unico, ter­mi­nale stato di emer­genza. E da una visce­rale, pro­fonda, costi­tu­tiva, antro­po­lo­gica estraneità/ostilità alla poli­tica.
Non erano una scheg­gia di mondo poli­tico viru­len­tiz­zata. Erano un pezzo di società disgre­gata. E sarebbe un errore imper­do­na­bile liqui­dare tutto que­sto come pro­dotto di una destra gol­pi­sta o di un popu­li­smo radi­cale. C'erano, tra loro quelli di Forza nuova, certo che c'erano. Come c'erano gli ultras di entrambe le squa­dre. E i cul­tori della vio­lenza per voca­zione, o per fru­stra­zione per­so­nale o sociale. C'era di tutto, per­ché quando un con­te­ni­tore sociale si rompe e lascia fuo­riu­scire il pro­prio liquido infiam­ma­bile, gli incen­diari vanno a nozze. Ma non è quella la cifra che spiega il feno­meno. Non s'innesca così una mobi­li­ta­zione tanto ampia, diver­si­fi­cata, mul­ti­forme come quella che si è vista Torino. La domanda vera è chie­dersi per­ché pro­prio qui si è mate­ria­liz­zato que­sto "popolo" fino a ieri invi­si­bile. E una pro­te­sta altrove pun­ti­forme e selet­tiva ha assunto carat­tere di massa.

Per­ché Torino è stata la "capi­tale dei for­coni"? Intanto per­ché qui già esi­steva un nucleo coeso - gli ambu­lanti di Parta Palazzo, i cosid­detti "mer­ca­tali", in agi­ta­zione da tempo - che ha fun­zio­nato come prin­ci­pio orga­niz­za­tivo e deto­na­tore della pro­te­sta, in grado di rami­fi­carla e pro­muo­verla capil­lar­mente. Ma soprat­tutto per­ché Torino è la città più impo­ve­rita del Nord. Quella in cui la discon­ti­nuità pro­dotta dalla crisi è stata più vio­lenta. Par­lano le cifre.

Con i suoi quasi 4000 prov­ve­di­menti ese­cu­tivi nel 2012 (circa il 30% in più rispetto all'anno pre­ce­dente, uno ogni 360 abi­tanti come cer­ti­fica il Mini­stero), Torino è stata defi­nita la "capi­tale degli sfratti". Per la mag­gior parte dovuti a "moro­sità incol­pe­vole", il caso cioè che si veri­fica «quando, in seguito alla per­dita del lavoro o alla chiu­sura di un'attività, l'inquilino non può più per­met­tersi di pagare l'affitto». E altri 1000 si pre­an­nun­ciano, come ha denun­ciato il vescovo Nosi­glia, per gli inqui­lini delle case popo­lari che hanno rice­vuto l'intimazione a pagare almeno i 40 euro men­sili impo­sti da una recente legge regio­nale anche a chi è clas­si­fi­cato "incol­pe­vole" e che non se lo pos­sono per­met­tere.
"Maglia nera" anche per le atti­vità com­mer­ciali: nei primi due mesi dell'anno hanno chiuso 306 negozi (il 2% degli esi­stenti, 15 al giorno) in città, e 626 in pro­vin­cia (di cui 344 tra bar e risto­ranti). E' l'ultima sta­ti­stica dispo­ni­bile, ma si può pre­sup­porre che nei mesi suc­ces­sivi il ritmo non sia ral­len­tato. Altri quasi 1500 erano "morti" l'anno prima. Men­tre per le pic­cole imprese (la cui morìa ha mar­ciato nel 2012 al ritmo di 1000 chiu­sure al giorno in Ita­lia) Torino si con­tende con il Nord-est (altra area calda della rivolta dei "for­coni") la testa della clas­si­fica, con le sue 16.000 imprese scom­parse nell'anno, cre­sciute ancora nel primo bime­stre del 2013 del 6% rispetto al periodo equi­va­lente dell'anno prima e del 38% rispetto al 2011 quando furono por­tate al pre­fetto di Torino, come dono di natale, le 5.251 chiavi delle imprese arti­giane chiuse nella provincia.

E', letta attra­verso la mappa dei grandi cicli socio-produttivi suc­ce­du­tisi nella tran­si­zione all'oltre-novecento, tutta intera la com­po­si­zione sociale che la vec­chia metro­poli di pro­du­zione for­di­sta aveva gene­rato nel suo pas­sag­gio al post-fordismo, con l'estroflessione della grande fab­brica cen­tra­liz­zata e mec­ca­niz­zata nel ter­ri­to­rio, la dis­se­mi­na­zione nelle filiere corte della sub­for­ni­tura mono­cul­tu­rale, la mol­ti­pli­ca­zione delle ditte indi­vi­duali messe al lavoro in ciò che restava del grande ciclo pro­dut­tivo auto­mo­bi­li­stico, le con­su­lenze ester­na­liz­zate, il pic­colo com­mer­cio come sur­ro­gato del wel­fare, insieme ai pre­pen­sio­na­menti, ai co.co.pro, ai lavori a som­mi­ni­stra­zione e inte­ri­nali di fascia bassa (non i "cogni­tari" della crea­tive class, ma mano­va­lanza a basso costo. Com­po­si­zione fra­gile, che era soprav­vis­suta in sospen­sione den­tro la "bolla" del cre­dito facile, delle carte revol­ving, del fido ban­ca­rio tol­le­rante, del con­sumo coatto. E andata giù nel momento in cui la stretta finan­zia­ria ha allun­gato le mani sul collo dei mar­gi­nali, e poi sem­pre più forte, e sem­pre più in alto.
Non è bella a vedere, que­sta seconda società riaf­fio­rata alla super­fi­cie all'insegna di un sim­bolo tre­men­da­mente obso­leto, pre-moderno, da feu­da­lità rurale e da jacque­rie come il "for­cone", e insieme por­ta­trice di una iper­mo­der­nità implosa. Di un ten­ta­tivo di una tran­si­zione fal­lita. Ma è vera. Più vera dei riti vacui ripro­po­sti in alto, nei gazebo delle pri­ma­rie (che pure dice­vano, in altro modo, con bon ton, anch'essi che "non se ne può più") o nei talk show tele­vi­sivi. E' sporca, brutta e cat­tiva. Anzi, incat­ti­vita. Piena di ran­core, di rab­bia e per­sino di odio. E d'altra parte la povertà non è mai serena.

Niente a che vedere con la "bella società" (e la "bella sog­get­ti­vità") del ciclo indu­striale, con il lin­guag­gio del con­flitto rude ma pulito. Qui la poli­tica è ban­dita dall'ordine del discorso. Troppo pro­fondo è stato l'abisso sca­vato in que­sti anni tra rap­pre­sen­tanti e rap­pre­sen­tati. Tra lin­guag­gio che si parla in alto e il ver­na­colo con cui si comu­nica in basso. Troppo vol­gare è stato l'esodo della sini­stra, di tutte le sini­stre, dai luo­ghi della vita. E forse, come nella Ger­ma­nia dei primi anni Trenta, saranno solo i lin­guaggi gut­tu­rali di nuovi bar­bari a incon­trare l'ascolto di que­sta nuova plebe. Ma sarebbe una scia­gura - peg­gio, un delitto - rega­lare ai cen­tu­rioni delle destre sociali il mono­po­lio della comu­ni­ca­zione con que­sto mondo e la pos­si­bi­lità di quo­tarne i (cat­tivi) sen­ti­menti alla pro­pria borsa. Un enne­simo errore. Forse l'ultimo.


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