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La caduta italiana

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

La caduta italiana

Messaggioda flaviomob il 17/12/2013, 17:37

http://www.sinistrainrete.info/politica ... liano.html

Articolo di Stefano Perri

Ascesa e caduta del modello economico italiano

[...] [Conclusioni]

Insistere sul modello basato sui bassi costi del lavoro per rilanciare l’economia italiana, come pure da più parti si è tentati di fare, non ci fa uscire dalla spirale bassi salari, scarsa innovazione, bassa crescita della produttività del lavoro. Quello che i fatti stilizzati ci dicono è che questi venti anni si sono aperti con una diminuzione dell’occupazione ed un incremento della produttività oraria del lavoro e si sono chiusi, di nuovo, con un calo delle ore lavorate, ma questa volta con una diminuzione della produttività del lavoro. Nel primo quinquennio l’aumento della produttività del lavoro è stato il risultato di un processo di ristrutturazione e di razionalizzazione dell’esistente. La condizione favorevole che si è creata non è stata sfruttata, soprattutto negli anni successivi, per rinnovare la nostra struttura produttiva. Di conseguenza, quando nella seconda parte del primo decennio del nuovo secolo scoppia la crisi, la struttura produttiva italiana è debole e non è possibile ricreare le condizioni dei primi anni del 1990. Occorre allora ripensare il nostro modello di sviluppo e specializzazione. Ma non è pensabile che il mercato da solo, per quanto si voglia renderlo più efficiente e liberalizzarlo e tantomeno se si insiste sulla flessibilità del mercato del lavoro, con conseguenti ulteriori effetti negativi sui salari, crei gli incentivi sufficienti ad uscire dal circolo vizioso in cui siamo caduti.


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Re: La caduta italiana

Messaggioda Robyn il 17/12/2013, 19:54

Per esempio aprire un'attività in tempi rapidi è una buona idea,come ad esempio può essere positivo estendere la contrattazione locale anche alle piccole e medie aziende che non la usano.Dalle statistiche solo il 10% delle aziende italiane utilizza la contrattazione decentrata.Poco usata e poco conosciuta è la plurisettimanalità e la multiperiodalità che limita l'utilizzo della cassa integrazione e gli straordinari e che fà oscillare l'orario di lavoro dalle 6 alle 9 ore fermo restando le 40 ore settimanali
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Re: La caduta italiana

Messaggioda pianogrande il 17/12/2013, 22:51

Il modello economico o forse più precisamente, il modello imprenditoriale italiano, negli ultimi decenni, ha purtato troppo sul risparmio invece che sulla competitività tecnologica.
Certo, anche il risparmio (dove significa razionalizzazione) migliora la competitività ma non possiamo certo competere con il manifatturiero dei paesi emergenti e pretendere di avere il nostro abituale livello di vita.
Su quella strada, ci avviamo a diventare un paese povero (solo così si riesce a competere con i poveri).
Infatti, questa trasformazione si sta realizzando.
Il numero dei poveri, per quanto contenga una notevole componente di evasione fiscale, sta aumentando e pare che aumenterà ancora.
C'è anche la componente fiscale (per chi le tasse le paga) ma non spero molto che la riduzione del cuneo porti competitività se non abbinata ad un aumento degli investimenti in ricerca e tecnologia.
Soto questi aspetti, Squinzi, dovrebbe dedicarsi ad altro piuttosto che esternare la sua comprensione per i forconi (movimento che ha l'altissimo merito di scagliarsi contro le tasse).
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Re: La caduta italiana

Messaggioda Robyn il 18/12/2013, 0:12

Il problema non è il reddito.il problema è agire sul cuneo fiscale in modo che il costo del lavoro sia più basso per le fasce più deboli che sono i giovani e i cinquantenni che sono quelli che più facilmente rimangono esclusi dal mercato del lavoro rispetto alle fasce centrali.Inoltre bisogna eliminare gli scatti di anzianità e legare una parte del reddito al merito,perche gli scatti di anziani determinano un effetto perverso perche il reddito cresce indipendentemente dal merito.Questo porta a redditi bassi per i giovani o all'esclusione perche la quota di reddito che sarebbe dei giovani finisce negli scatti di anzianità.Inoltre se il reddito cresce indipendentemente dal merito e più facile che un lavoratore che abbia superato una certa età sia vittima di vessazioni per costringerlo ad andare via dall'azienda.I sindacati non possono opporsi a legare una parte del reddito al merito e a togliere gli scatti di anzianità,anche perche sono loro stessi che mettono a rischio l'articolo 18 che le aziende cercano di eliminare se non si riesce a stabilire un reddito a parabola che inizia nella giovane età in cui c'è poca esperienza è massimo nelle fasce centrali d'età per la formazione che si ha e comincia a diminuire superata questa fascia centrale d'età
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Re: La caduta italiana

Messaggioda franz il 18/12/2013, 8:36

Articolo di Stefano Perri
Insistere sul modello basato sui bassi costi del lavoro per rilanciare l’economia italiana, come pure da più parti si è tentati di fare, non ci fa uscire dalla spirale bassi salari, scarsa innovazione, bassa crescita della produttività del lavoro. Quello che i fatti stilizzati ci dicono è che questi venti anni ...

Questi 20 anni si sono aperti con un dato impressionate: le spese dello stato erano arrivate al 56% del PIL
Era esattamente il 1993 e questo grafico parla chiaro: http://www.google.it/publicdata/explore ... &ind=false
Se esiste quindi un "modello economico italiano" era quasi di socialdemocrazia nordica (la svezia nello stesso anno era al 71.7% e la finlandia al 65%) ma senza avere, come è noto, il ritorno in qualità di servizi e socialità. I fatti stilizzati dovrebbero partire dal dato che è piu' macroscopico e quindi dal maggior gestore di risorse collettive. Questo dato poi fa capire come questa storia del basso costo del lavoro (come modello) sia in realtà una bufala. Proprio per sostenere quel 56% di spesa pubblica la pressione fiscale e contributiva rendeva il nostro costo del lavoro (lordo PPP) tra i piu' alti del mondo con il risultato pero' che il netto PPP era tra i piu' bassi, con tutte le ovvie implicazioni sui consumi, sul risparmio, sulla crescita del sommerso. Naturalmente le imposte ed i contributi poi alla fine si riflettono sui prezzi, rendendoli elevati quindi anche qui con tutti gli effetti sui consumi e sulla competitività del made in Italy. Diversamente pero' dalle socieldemocrazie nordiche e dell'europa centrale non abbiamo una struttura scolastica che formi manodopera qualificata, cosa indispensabile in un paese manifatturiero come il nostro che voglia reggere la competizione internazionale.
Anche in questo caso il nosro "modello", se vogliamo chiamarlo cosi', è fruitto di scelelrate scelte pubbliche o meglio di incuria o incompetenza pubblica sui temi della formazione, della ricerca, dell'innovazione.
Dopo 20 anni cosa è cambiato?
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Re: La caduta italiana

Messaggioda flaviomob il 18/12/2013, 16:37

Sarebbe interessante disporre di statistiche in grado di comparare il dato di denaro speso in tangenti, corruzione e costi vari della "casta" con quello relativo all'incremento della tassazione sul lavoro (il divario tra lordo e netto di cui parla giustamente Franz...)


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Re: La caduta italiana

Messaggioda pianogrande il 18/12/2013, 23:20

Insomma.
Lo stato massacra con le tasse (e la mala gestione di quanto incassato).
L'imprenditoria e lo stato non investono in ricerca e tecnologia.
Gli stessi soggetti non investono in formazione ed istruzione in genere.

Ma cosa vogliamo?

Vogliamo essere un paese ricco a spese di chi?

Degli euro bond?
O della BCE?
O della grosse koalition?
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Re: La caduta italiana

Messaggioda trilogy il 04/01/2014, 14:47

Fisco più aspro per il 95% delle imprese.
Confindustria: "Quelle italiane le più tartassate"


Secondo la Cgia di Mestre l'incidenza di tasse e imposte si colloca a un livello tra 53 e il 63%, con un aggravio tra 270 e 1000 euro nel corso del 2013 per le imprese sotto dieci addetti. Gli imprenditori: un'impresa-tipo passa 269 ore l'anno per gli adempimenti burocratici, la competitività è affossata.

MILANO - L'inasprimento del Fisco ha "colpito" il 95% delle aziende presenti in Italia, portando la pressione fiscale su queste imprese a oscillare tra il 53 e il 63%, a un livello mai raggiunto in passato. Lo rileva la Cgia di Mestre, che tira la volata all'ennesimo grido d'allarme di Confindustria: "Le imprese italiane hanno il primato negativo del prelievo più alto del Fisco tra i Paesi avanzati".

Per le microimprese, spiega l'Associazione veneta, si è appena concluso un anno caratterizzato dall'ennesimo aumento delle tasse. Rispetto al 2012, le attività fino ai 10 addetti hanno subito un aggravio che va dai 270 ai 1.000 euro. Importi non particolarmente pesanti, che tuttavia si sono aggiunti ad un carico fiscale complessivo che per le attività di questa dimensione si attesta, secondo gli Artigiani di Mestre, attorno a un dato medio che oscilla tra il 53 e il 63%.

A questo quadro fanno eco i dati di viale dell'Astronomia. Secondo il Centro studi di Confindustria, nel 2012 il complesso delle imposte pagate dalle imprese italiane è il 16esimo più elevato al mondo, pari al 65,8% degli utili, e soprattutto è il più elevato tra i più importanti Paesi avanzati, seguito dalla Francia (64,7%) e dalla Spagna (58,6%) e a distanza dalla Germania (49,4%). Si tratta del cosiddetto total tax rate quantificato dalla Banca mondiale, l'ammontare complessivo delle imposte pagate da imprese aventi caratteristiche standard. Nel calcolo sono incluse le imposte, locali e statali,
su profitti, immobili, autoveicoli e carburanti, tenendo conto di deduzioni e detrazioni e i diversi contributi sociali versati; mentre sono escluse le imposte sui consumi e quelle raccolte per conto delle autorità fiscali in qualità di sostituto d'imposta.

Ma gli industriali non puntano il dito solo contro la pressione fiscale. Ad complicare la vita degli imprenditori c'è anche l'elevato numero dei pagamenti che un'impresa-tipo in Italia deve effettuare in un anno per assolvere agli obblighi fiscali e contributivi: 15, il più elevato tra i principali Paesi avanzati. "Per preparare i documenti necessari ed eseguire materialmente i pagamenti delle imposte sul reddito d'impresa, dei contributi sociali e dell'Iva", spiegano dal Centro studi, "occorrono 269 ore l'anno", più del doppio del tempo richiesto nel Regno Unito (110), in Francia (132) e inferiore solo a quello necessario in Giappone (330) e Portogallo (275).

"In Italia - aggiunge il Csc - non sono soltanto l'evasione e l'alta tassazione a frenare la competitività" ma "queste si associano a un'accentuata incertezza normativa che rende difficile assolvere gli obblighi fiscali e contributivi". La complessità normativa - ricorda Confindustria - è riconducibile all'eccessivo numero di regole che spesso sono confuse e contraddittorie. "Inoltre, le norme vengono cambiate frequentemente e spesso applicate retroattivamente" e ciò, evidenzia lo studio "rende particolarmente onerosi gli adempimenti. Perciò - è la conclusione del Centro Studi - "occorre intervenire urgentemente per semplificare la normativa e alleggerire il carico di adempimenti, che si aggiunge a quello della pressione fiscale nel penalizzare la competitività delle imprese che operano in Italia".

http://www.repubblica.it/economia/2014/ ... ef=HREC1-2
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