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«Resto in Italia per cambiare le cose. Ma ....

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«Resto in Italia per cambiare le cose. Ma ....

Messaggioda franz il 07/10/2013, 17:23

lo sfogo di un imprenditore di gorizia che ha scritto una lettera al corriere
«Resto in Italia per cambiare le cose
Ma quanto è vicino il confine»

«Mi sento un po’ come il bancomat dello Stato. Inizio a capire chi trasferisce le sue aziende all’estero»

«Il problema è che la mia azienda funziona», esordisce Massimo Santinelli. Goriziano, 49 anni, ha fondato BioLab nel 1991 a 26 anni, «con tanti sacrifici perché all’epoca il biologico non lo conosceva quasi nessuno».

La consapevolezza di aver puntato sulla carta giusta Santinelli l’ha avuta solo qualche anno fa, quando il settore ha iniziato a crescere. Così, mentre tofu, seitan e farro facevano la loro comparsa nei supermercati, la sua azienda si ingrandiva: nel 2008 i dipendenti erano 15, ora sono 48 tra aziendali e interinali. Il fatturato è passato dai 900mila euro del 2009 ai circa 6 milioni di quest’anno.

«Crescite importanti, ma quando ho visto il saldo di novembre e ho scoperto che fra tasse e anticipi devo dare allo stato circa il 70% di ciò che ho guadagnato, non ci ho visto più», racconta. Così ha scritto una lettera al Corriere della Sera (pubblicata nella sezione “Idee e Opinioni” di lunedì 7 ottobre) sfogandosi contro un Paese con un «sistema rigido e obsoleto, che molto spesso ritarda o blocca le iniziative imprenditoriali».

Ma soprattutto raccontando i dubbi
di chi vive e lavora a 500 metri dalla frontiera, oltre la quale lo aspetta uno stato – la Slovenia – che alle aziende offre «un sistema di incentivi e una burocrazia meno pesante della nostra».

Senza contare un fisco più leggero: le srl, oltre confine, pagano circa il 20% di tasse. «I dubbi ho iniziato ad averli quando la mia impresa ha iniziato a crescere – spiega – Ora mi sento un po’ come il bancomat dello stato. Inizio a capire chi trasferisce le sue aziende all’estero, a patto che lo faccia in maniera onesta: perché dobbiamo restare qui a farci spremere dallo stato?».

Le sue difficoltà di ogni giorno Santinelli le riassume in una sola parola: incertezza. L’incertezza del domani, legata al timore di non riuscire a consolidare i successi ottenuti. L’incertezza di potersi permettere investimenti, dato che non vengono detratti dai costi fiscali. L’incertezza di poter assicurare ai dipendenti quei 200 o 300 euro in più, che dovrebbero finire in busta paga ogni mese e non solo nella tredicesima.

L’incertezza, infine, di un Paese che «non premia né distingue coloro che fanno da quanti parlano e basta. Io non mi sento sostenuto dai politici, ma nemmeno dalle associazioni di categoria. Non sono l’unico a pensarla così, eppure il tessuto economico italiano è formato all’80% da pmi: perché siamo allo sbando?», si chiede. BioLab, intanto, continua a crescere.

Niente turnover: i dipendenti più anziani sono con Santinelli da una decina d’anni, «se lavorano bene vengono valorizzati e non ci penso proprio a licenziarli». L’azienda, oltre all’Italia, si sta espandendo anche all’estero: la sua presenza si sta consolidando in Germania e in Slovenia, ma i prodotti iniziano ad essere venduti anche in Croazia, Francia, Svizzera e Inghilterra. Santinelli, oltre alla sua società, si è concentrato anche su progetti per il territorio, lanciando nel 2010 il Festival Vegetariano a Gorizia (una formula che funziona: quest’anno ha registrato 40mila presenze).

Eppure la Slovenia resta una tentazione: a mezzo chilometro dalla sede di BioLab c’è il valico di Salcano, una frazione di Nova Gorica. E di imprenditori che sul trasloco all’estero ci fanno un pensierino ce ne sono parecchi, merito anche di una campagna promozionale ad hoc che da anni la Slovenia sta portando avanti per convincere le imprese a trasferirsi. Malgrado la frontiera sia lì, a portata di mano, Santinelli per ora resiste: «Qualcosa mi ha trattenuto in Italia. Non so nemmeno io cosa: forse gli ideali che stanno alla base di BioLab, e cioè il rispetto e la cura per la terra, per la salute. O forse il fatto che sono convinto che lavorare nel proprio paese è l’unico modo per far davvero cambiare le cose».
07 ottobre 2013
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