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Telecom: un gigante portato al collasso ...

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Telecom: un gigante portato al collasso ...

Messaggioda franz il 24/09/2013, 7:40

Un gigante portato al collasso
da vizi di capitalismo tricolore
di ALESSANDRO PENATI

Per capire che cosa significhino espressioni come "l'Italia è un Paese in declino", "vige un capitalismo asfittico e di relazioni", basta ripercorrere le vicende di Telecom Italia. Oggi si guarda alla prossima scadenza del patto tra gli azionisti di Telco, la holding che controlla Telecom, e al consiglio di amministrazione del 3 ottobre, come all'inizio di una nuova era. Eppure, quindici anni di lenta agonia suggeriscono scetticismo e, forse, rassegnazione.

LA MADRE DI TUTTE LE PRIVATIZZAZIONI

Telecom Italia nasce con la privatizzazione del 1997 voluta dal governo Prodi. E parte con un difetto d'origine: uno Stato dirigista o, ancor peggio, che vorrebbe esserlo, ma non ne è capace. A prescindere dal colore dei governi. Così le privatizzazioni si fanno solo per far cassa e perché lo impone l'ingresso nell'euro. Pertanto Telecom viene collocata come un monopolio integrato, perdendo l'occasione per creare concorrenza in un settore agli albori della liberalizzazione e nella sua fase di massima crescita. Ma il Tesoro riesce ad incassare 12 miliardi di euro per il 42%, più di quanto oggi valga l'intera società. E si perde l'occasione per promuovere il mercato dei capitali, perché lo Stato vuole pilotare il controllo in mani amiche. Si sceglie l'approccio del nocciolo duro, con Agnelli primo azionista (e un investimento risibile, come d'abitudine) e Guido Rossi presidente. Per facilitargli il controllo, non si convertono le azioni di risparmio (senza diritto di voto), sopravvissute fino a oggi. Cambiano i vertici: Rossignolo e poi Bernabè (l'attuale presidente, non suo figlio). Ma l'interesse dei nuovi azionisti privati è solo di incassare il dividendo della rendita monopolistica. E l'azienda rimane un pachiderma sonnacchioso e pieno di soldi.

I CAPITANI CORAGGIOSI

L'avvento dell'Euro, nel 1999, elimina la barriera del rischio di cambio, spalancando all'Italia le porte del mercato internazionale dei capitali. Cade così uno dei principali vincoli strutturali alla crescita nel nostro Paese: fino ad allora, il risparmio nazionale era obbligatoriamente incanalato verso il finanziamento del debito pubblico; e poiché il rischio lira scoraggiava l'ingresso degli stranieri, i gruppi italiani dovevano operare in uno stato di razionamento dei capitali, dal quale Mediobanca, che agiva da surrogato al mercato finanziario, traeva la propria forza. Con l'Euro tutto questo finisce. Colaninno & Co. sono rapidi a sfruttare questa opportunità, e raccogliere all'estero gli ingenti prestiti necessari a lanciare un'Opa su Telecom. Quello che poteva essere l'inizio di un mercato dei capitali efficiente, dove il controllo delle aziende va a chi è più bravo a gestirle, scardinando dirigismo e capitale di relazioni, e permettendo ai gruppi italiani di crescere in competizione con quelli stranieri, si trasforma presto in una cocente delusione: invece di fondere holding e società operative create per scalare Telecom, concentrarsi sulla gestione industriale e ripagare l'enorme debito contratto, i capitani coraggiosi si comportano da vecchi capitalisti nostrani, perpetuando la lunga catena societaria creata con l'Opa per valorizzare il premio di controllo nella holding Bell (lussemburghese, naturalmente). La preoccupazione resta il controllo, con il minimo dei capitali e il massimo del debito. Ma la bolla della dot.com scoppia, e con essa le valutazioni insensate che il mercato attribuiva alle telecomunicazioni. Per Colaninno & Co. è un brusco risveglio: il valore di Telecom crolla, ma i debiti rimangono; e i creditori bussano alla porta. In Italia, però, c'è sempre qualcuno pronto a strapagare il controllo (coi soldi di banche amiche) pur di soddisfare voglie di impero.

LA VOGLIA DI IMPERO DI TRONCHETTI

Liquido perché baciato dalla fortuna durante la bolla Internet, Tronchetti Provera vede nelle difficoltà dei capitani coraggiosi l'occasione per costruire il proprio impero. Ma l'ambizione acceca. Nel 2001 strapaga il controllo di Telecom; naturalmente il premio va alla Bell (quasi tax free), non al mercato come da italica abitudine. E perpetua gli errori di Colaninno & Co., esercitando il controllo con una catena societaria ancora più lunga (Olimpia al posto di Bell, più Pirelli, Camfin eccetera), e ancora più debito, ovviamente con il sostegno di Intesa e Unicredit, socie in Olimpia. Poi infila una serie incredibile di errori. Per far fronte ai debiti vende tutte le attività che la Telecom dei capitani coraggiosi aveva acquistato all'estero, in mercati a forte crescita (unica decisione giusta); salvo poi accumularne di più per fondere Tim con Telecom, puntando prevalentemente sulla telefonia mobile in Italia: un mercato in via di saturazione, a bassa crescita e sempre più concorrenziale. E non investe nella banda larga, perdendo il treno di Internet. Così, nel 2006, Tronchetti si trova nella stessa situazione di Colaninno & Co. nel 2001: il valore di Telecom in calo irreversibile; troppo debito; e i creditori alla
porta. Ma questa volta non c'è un altro aspirante imperatore in Italia, così Tronchetti cerca di vendere agli americani di AT&T o al messicano Slim. Orrore!

L'OPERAZIONE DI SISTEMA

In Italia, come nel gioco dell'oca, ogni tanto si torna al via. Nel 2006, Prodi è nuovamente al Governo e il sempreverde animo dirigista impone la salvaguardia di una azienda "strategica per il paese". Se però il mercato dei capitali non funziona (meglio, non lo si crea) e l'Europa impedisce allo Stato di intervenire, ci si inventa "l'operazione di sistema". Al comando torna Guido Rossi (quello del 1997), con il compito far uscire indenne Tronchetti e creare un patto per mantenere il controllo in mani italiane. Ancora una volta, prioritari sono debito, controllo e relazioni con il Governo: le prospettive del settore, e quale sia il modo migliore per valorizzare l'azienda, sono aspetti marginali. Chi allora meglio di Banca Intesa, autoproclamatasi banca di sistema, insieme al salotto buono di Mediobanca e Generali, per un'operazione di sistema gradita al Governo? Con la spagnola Telefonica, comprano il controllo da Olimpia, rinominata Telco (senza che il mercato veda un euro), facendo uscire Tronchetti prima che l'avventura Telecom lo porti al dissesto. E finanziano l'operazione a debito. Nulla cambia nella struttura finanziaria (troppo debito) e proprietaria (controllo in una holding fuori mercato).
Telefonica è straniera, ma non conta: la Spagna ha un capitalismo come il nostro e ci si intende. E poi ha una quota di minoranza. Ma in questo modo le si concede di fatto un diritto di prelazione sul controllo futuro, magari a prezzo di saldo. Infatti sembra che oggi Intesa, Mediobanca e Generali, non potendo più permettersi le perdite che le operazioni di sistema inevitabilmente generano, stiano cercando di vendere a Telefonica la loro quota in Telco (naturalmente fuori mercato); a una frazione di quanto avrebbero incassato cinque anni fa. Come con Air France in Alitalia, o Edf in Edison: le operazioni di sistema non mi sembrano capolavori di astuzia.

LA LENTA AGONIA

Nel 2007, il comando torna a Bernabè (quello del 1998). Da allora sfoglia la margherita. Il debito è rimasto quello di 13 anni prima, ma i ricavi dalla telefonia in Italia, dove l'azienda è concentrata, sono in declino irreversibile e non generano cassa bastante a rimborsarlo. Ci vorrebbe un forte aumento di capitale, ma i soci non hanno soldi. Anzi, vogliono uscire. E, in ogni caso, non si saprebbe come remunerarlo adeguatamente. Non si può vendere Tim per consolidare un mercato nazionale troppo frazionato perché evidenzierebbe una perdita colossale derivante dall'abbattimento del valore dell'avviamento a bilancio. Vendere il Brasile, che pure è ai massimi, significherebbe fossilizzarsi in un mercato in declino. Non ci sono i soldi per investire nella rete e ci sarebbero problemi a remunerare gli investimenti anche perché la regolamentazione impone di spartirne la redditività con i concorrenti. Né si può venderla, perché la Cassa depositi sarebbe il solo compratore accettabile per il governo: una sorta di nazionalizzazione antistorica e impraticabile; e Telecom perderebbe l'asset con le migliori prospettive. Fare l'azienda a pezzi e offrirli sul mercato globale al migliore offerente, approfittando dell'attuale ondata di fusioni e acquisizioni nel mondo equivarrebbe, nella lingua italiana, a una bestemmia.

IL MORTO CHE CAMMINA

Non capisco la frenetica attesa con cui si attende la fine del patto in Telco a fine settembre e l'ennesimo "nuovo piano industriale" (quanti ne sono stati presentati?) nel consiglio del 3 ottobre. Non può essere risolutivo perché il problema, ancora una volta, non è una questione prettamente finanziaria, di controllo, o di chi sia al vertice; ma di un'azienda priva di prospettive, ancorata a un paese senza crescita, incapace di stare al passo con i rapidi e repentini cambiamenti del settore. Definire Telecom un morto che cammina, ridotto in questo stato da una vicenda che è lo specchio delle storture del Paese, sembra quasi un eufemismo.

(23 settembre 2013) www.repubblica.it
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Re: Telecom: un gigante portato al collasso ...

Messaggioda flaviomob il 24/09/2013, 9:21

I capitani coraggiosi: questi basta che tocchino l'oro per trasformarlo in m....

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Telecom Italia passa a Telefonica: il club dei poteri forti affida l’eutanasia agli spagnoli
Dopo essersi contesi per 16 anni il controllo dell'azienda Mediobanca, Intesa e Generali l'hanno consegnata per pochi spiccioli alla società di telecomunicazioni iberica. Che però non investirà un euro per rilanciare il concorrente
di Giorgio Meletti | 24 settembre 2013


I poteri ex forti ormai hanno deciso. Dopo essersi contesi per 16 anni il controllo di Telecom Italia, trofeo ambito nelle loro guerre di potere, l’hanno consegnata, per pochi spiccioli, a Telefónica España. La Telecom è stata una macchina da soldi che ha propiziato arricchimenti e carriere. Adesso non c’è più niente da spolpare ed è un problema di cui liberarsi al più presto. Le cosiddette “banche di sistema” e i profeti dell’italianità riscoprono gli imperativi categorici del mercato. Il governo tace. Il viceministro alle Comunicazioni, Antonio Catricalà, ha detto ieri: “Vorremmo che tutte le aziende fossero italiane, ma non viviamo nel mondo dei sogni”. Altro che Agenda Digitale: l’Italia rischia di restare senza Internet e pure senza telefoni. Un’esagerazione? La complessa partita a scacchi che sta portando all’eutanasia di Telecom rende fondato il timore.

Al centro della scena c’è il presidente di Telecom Italia, Franco Bernabè. Ha bisogno di capitali da investire sulla rete del futuro ma l’azienda non li ha perché è ancora gravata da 40 miliardi di debiti accumulati da Roberto Colaninno (che scalò il colosso a spese della stessa Telecom nel 1999) e da Marco Tronchetti Provera che la rilevò nel 2001. Bernabè punterebbe a a un aumento di capitale, cioè i soci che iniettano denaro nell’azienda.

Ma i padroni di Telecom non vogliono scucire un euro, perché quando hanno comprata lo hanno fatto per il controllo (in italiano corrente: il potere) e non per investire nelle telecomunicazioni. E del resto è comprensibile, basta guardare come è composto il salotto buono denominato Telco. Questa scatola appositamente costituita nell’aprile 2007 ha acquistato dalla Pirelli di Tronchetti le azioni Telecom a 2,8 euro l’una, con un investimento di 4,5 miliardi.

Oggi il 22,45 per cento di Telecom, che basta a Telco per comandare, vale in Borsa circa 750 milioni (ieri il titolo ha chiuso a 0,59 euro: in sei anni hanno perso tre quarti dell’investimento). I soci di Telco sono Telefónica España con il 46,18 per cento, Mediobanca e Intesa Sanpaolo con l’11,62 per cento a testa e Assicurazioni Generali con il 30,58 per cento. Il numero uno di Mediobanca, Alberto Nagel, ha detto a chiare lettere che lui vuole sbarazzarsi dell’imbarazzante investimento, e che certo non si sogna di mettere altri soldi. Il boss di Generali, Mario Greco, è sulla stessa linea: come spiegare agli azionisti che la compagnia ha perso un miliardo e mezzo per giocare con i telefoni? Nagel e Greco hanno dichiarato all’unisono guerra a salotti, patti di sindacato e capitalismo di relazione, e si comportano di conseguenza. Tace con vivo imbarazzo Enrico Cucchiani, capo di Intesa Sanpaolo, che si è autoeletta “banca di sistema” (ha all’attivo il capolavoro della difesa dell’italianità di Alitalia).

Il numero uno di Telefónica si è rassegnato a offrire agli altri soci Telco fino a 1,2 euro per azione, il doppio del valore di mercato (perché loro possono, ai piccoli azionisti invece non tocca niente se il controllo delle società quotate si scambia con meno del 30 per cento delle azioni). Le trattative sono ferventi in queste ore, con varie riunioni nella sede milanese di Mediobanca. In pratica Cesar Alierta pagherà al massimo 800 milioni, probabilmente in due tranche. Per una società che vale in Borsa oltre 11 miliardi è un sacrifico accettabile, soprattutto se serve a paralizzarla.

Alierta non intende mettere un solo euro nella società italiana. Ha già detto a Bernabè che se vuole investire sulle tlc italiane può vendere Telecom Argentina e Tim Brasil, cioè i due unici pezzi del residuo impero che producono utili. Il fatto è che in Argentina e Brasile ci sono anche le controllate di Telefónica, alle quali le società italiane fanno una fastidiosa concorrenza. E la sorte di Telecom Italia senza l’America Latina è segnata.

Gli azionisti italiani in fuga hanno un alibi perfetto: anche se non vendono è uguale. Infatti nel 2007, all’inizio dell’avventura, hanno consegnato ad Alierta un diritto di veto su ogni decisione importante, per esempio gli aumenti di capitale. Quindi Bernabè, anche se Mediobanca, Intesa e Generali non vendessero, non potrebbe mai portare al cda la proposta di aumento di capitale, perché Alierta la bloccherebbe. E neppure un aumento di capitale riservato a un nuovo socio: siccome si parla di 3/5 miliardi, chi paga diventa padrone e Alierta non vuole. Bernabè ha fatto sapere che se le cose vanno avanti così, il suo addio sarà automatico. Ma la Telecom è stata consegnata al suo concorrente Telefónica nel 2007, e la politica se ne accorge (forse) solo adesso che è tardi. Infatti fa finta di niente.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09 ... ia/721278/


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Re: Telecom: un gigante portato al collasso ...

Messaggioda flaviomob il 24/09/2013, 14:21

dal blog di Civati:


Ridenti e fuggitivi


Fatto. Si sono venduti anche Telecom. A Telefonica, sì a quegli spagnoli che teoricamente dovrebbero stare peggio di noi, ma trovano le risorse per consolidarsi nei settori strategici.

Ora, nessun operatore italiano nella telefonia. Se la sono venduta con tutte le attività estere in Sud America. E con tutta la rete. Sì, si sono venduti anche l'infrastruttura. Dice il ‘grande’ Bernabè, l'amministratore delegato che l'ha riempita di debiti, che non c'è problema: l'Agcom non ha motivi di interferire con questa cessione, se il nuovo proprietario rispetterà le regole che impongono la concorrenza per l'accesso alla rete. Forse che in Italia c'è qualche problema nella effettiva operatività delle Agenzie pubbliche che dovrebbero predisporre le regole per la liberalizzazione dei mercati e, soprattutto, controllarne l'applicazione?

E' questa la prima delle privatizzazioni all'italiana di cui parla Letta? Cedere pezzi significativi del Paese per mantenere in piedi ‘questa’ classe dirigente, pubblica e privata? Perdere il controllo di occupazione, ricerca e sviluppo in settori strategici mentre quelli tradizionali vanno a picco: questo è il quadro, mentre i talk show si preoccupano dell'agibilità politica di questo o di quello. Ce lo meritiamo? Io dico di no e non mi rassegno. Ma molti, troppi nostri giovani, sì.

Costretti ad andarsene, per via delle condizioni in cui il Paese è stato messo dalle sue classi dirigenti.


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Re: Telecom: un gigante portato al collasso ...

Messaggioda franz il 24/09/2013, 16:45

dal blog di Civati:
Ora, nessun operatore italiano nella telefonia.

Non vedo il problema o la novità.
Nessun produttore informatico di hard % soft in Italia (avevamo Olivetti)
Nessun produtture di rilievo mondiale in tanti settori (farmaceutico ad esempio)
Abbiamo perso tutti i treni ed i pochi vagoni li stanno comprando gli altri.
Finalmente vedremo se è solo un problema di management o se le condizioni quadro italiane sono quelle che bloccano tutto.
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Telco e Alitalia: “Era ora. Ma che spreco!”

Messaggioda franz il 25/09/2013, 12:50

Telco e Alitalia: “Era ora. Ma che spreco!”
Pubblicato: Mer, 25/09/2013 - 07:45 • da: Redazione di Fermare il Declino

Le storie, diverse ma parallele, di Telecom e Alitalia costituiscono l'ennesima conferma dell'inadeguatezza della classe dirigente italiana pubblica e privata e un altro capitolo del declino italiano.Il tratto comune di questa classe dirigente, spesso nascosta sotto il vessillo di un supposto patriottismo, è la costante repulsione verso il mercato e, al tempo stesso, il totale disinteresse per il bene comune. Sia Telecom che Alitalia sono state oggetto in tempi relativamente recenti, di offerte rilevanti da alcuni dei principali operatori dei rispettivi settori. Si è voluto resistere alle offerte di América Móvil nel 2007 e Air France nel 2008, favorendo i soliti amici a danno dei soliti ignoti. Con perdite pubbliche enormi, specie nel caso di Alitalia, e una probabile cessione del controllo di Telecom a Telefonica a prezzi ridicoli.

La salvaguardia della “italianità” è stato uno dei principali argomenti della campagna elettorale 2008 di Silvio Berlusconi, finanziata, è il caso di dirlo, a colpi di miliardi pubblici. Ora la stessa classe politica ed economica che ha provocato il danno si straccia le vesti per la cessione del controllo di Telecom Italia agli spagnoli e quella, imminente di Alitalia ai franco-olandesi.
Noi di Fare per Fermare il declino non ci uniamo al coro ipocrita di costoro. Con l'amarezza di chi sa di essere stato nel giusto, diciamo “Era ora”, ma soprattutto “Ci serva da lezione”. Questi sono i risultati di chi cerca di sottrarre alla legge dell'efficienza e del mercato i residui pezzi importanti dell'economia del paese con visione miope e senza un disegno di rilancio. Siamo ancora in tempo a invertire la rotta, ma partendo dai fondamentali: un colpo di reni del Paese è ancora possibile. Nel caso di Telecom ci auspichiamo che questa sia occasione per portare a compimento un processo di reale liberalizzazione, a partire dallo scorporo della rete che però non può vedere l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti che farebbe rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta. In un mondo sempre più globale, dobbiamo confrontarci, e non sottrarci, al mercato. Dalla scuola primaria fino ai vertici delle istituzioni ci è richiesto un cambio di marcia radicale.”

http://www.fermareildeclino.it/articolo ... che-spreco
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Re: Telecom: un gigante portato al collasso ...

Messaggioda flaviomob il 25/09/2013, 22:40

dal Fatto:

Telecom e i capitani di sventura
di Stefano Feltri | 25 settembre 2013


Abbiamo perso anche Telecom Italia. Gli spagnoli di Telefónica comprano il controllo su una delle più importanti aziende italiane, che in Borsa vale 7, 7 miliardi di euro, per qualche spicciolo, 300 milioni. Non è un’acquisizione come quella del marchio Loro Piana di qualche mese fa: allora i francesi di Lvmh strapagarono per 2 miliardi l’eccellenza italiana nella moda. Nel caso di Telecom, il sedicente “salotto buono” della finanza regala agli spagnoli i resti di un’azienda che negli anni è stata “spolpata”, come ha detto il presidente Franco Bernabè. È una “storia italiana”, per citare lo slogan di un’altra azienda simbolo di questo nostro capitalismo, il Monte dei Paschi.

Nella cronaca della distruzione di Telecom ci sono tutti: da Gianni Agnelli a Roberto Colaninno a Marco Tronchetti Provera e Corrado Passera. Da Intesa Sanpaolo a Mediobanca, Generali e Benetton. Poco importa ripartire i millesimi della responsabilità. È il risultato che conta: un’azienda divorata dai debiti contratti da chi l’ha scalata senza soldi, privata della possibilità di investire e crescere.

I capitani di sventura che hanno distrutto Telecom sono gli stessi che governavano il grosso del capitalismo italiano di relazione: comandano su Rcs-Corriere della Sera, a un passo dal portare i libri in tribunale, hanno “salvato” l’Alitalia, che domani sarà consegnata ad Air France, con tante scuse; hanno creato mostri finanziari come Romain Zaleski e Salvatore Ligresti, capaci da soli di destabilizzare i bilanci delle grandi banche. E hanno ridotto la Pirelli e la Fiat come sappiamo.

I nostri capitalisti all’impresa hanno preferito la rendita, compiacendosi nelle articolesse encomiastiche che ottenevano sui giornali di cui erano proprietari. Questa classe dirigente è stata definita come una “élite estrattiva”: ha svuotato il Paese che le era stato affidato e, una volta consumato il bottino, ne consegna i rimasugli al primo straniero che passa.


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Re: Telecom: un gigante portato al collasso ...

Messaggioda franz il 26/09/2013, 14:14

L’acquisto di Telecom Italia da parte della società Telefonica è una buona notizia
Pubblicato: Gio, 26/09/2013 - 10:30 • da: Redazione di Fermare il Declino

Da Oltreconfine di Diego Gavagnin

L’acquisto di Telecom Italia da parte della società Telefonica è una buona notizia. Lo è altrettanto la probabile scomparsa di Alitalia, anche se invece che andare ad Air France sarebbe meglio lasciarla fallire. Le due notizie in contemporanea sono ottime perché possono segnare la fine del capitalismo “di bandiera” (cit. da Twitter), quella commistione di interessi privati spacciati come pubblici e di interessi pubblici utilizzati per favorire gli amici privati.

Il tutto sotto la foglia di fico dell’“italianità”!

Un capitalismo privato senza soldi garantito dagli affidamenti (fatti a nome di tutti noi italiani) dei Governi pro tempore e dei partiti, i veri beneficiari – assieme alle banche – di questi pastrocchi, tremendamente simili a quelli del settore energetico, dominato da aziende controllate dallo Stato che quando serve sono autorizzate a spacciarsi per pubbliche e quando no “devono” potersi comportare come private!

Per questo è utile spendere due parole su Telecom e Alitalia, affinché il “senno di poi” possa aiutare nell’analisi del presente e decidere il futuro delle aziende energetiche, tutte incluse, Enel, Eni, Terna, Snam, il conglomerato Cassa Depositi, le ex municipalizzate. Per non ripetere gli stessi errori.

Come in tutte le privatizzazioni dei servizi di pubblica utilità, forniti attraverso una rete in monopolio (perché unica e non replicabile) il vero e unico interesse nazionale è che tale infrastruttura sia completamente separata dagli interessi dei produttori/venditori che devono usarla.

L’elettricità, il gas, i servizi di telefonia fissa, ma anche l’acqua, devono poter circolare liberamente sulle proprie autostrade. Questo perché l’altro interesse collettivo sottostante è quello dello sviluppo della massima concorrenza tra produttori/venditori.

Adesso molti, colpevoli, si strappano le vesti non tanto perché il servizio telefonico di Telecom finisce ad una società straniera, ma perché vi finisce anche la rete fissa, il fatidico ultimo miglio. Rete che fu lasciata in Telecom per favorire gli amici ed aumentare il valore della cessione. È chiaro che vendere un monopolio ai privati vale di più che vendergli una società di servizi in concorrenza con altri.

Fu lo Stato (cioè i governi protempore, cioè i partiti che lo componevano) a speculare su un bene costruito con le bollette telefoniche degli italiani.

La soluzione sarebbe stata invece molto semplice. Sarebbe bastato togliere la rete all’ex monopolista integrato e procedere a privatizzarli separatamente, ciascuno al giusto valore. Ovviamente con il divieto di possesso di azioni della rete da parte di operatori telefonici: l’ideale per le società delle reti è farne delle public company ad azionariato diffuso. Investimento popolare perché garantito dalle tariffe d’uso decise dalle Autorità indipendenti e di regolazione e promozione del mercato.

Si può ancora fare. Lo Stato mantiene un potere sulle infrastrutture energetiche e può esercitarlo, ma non per riportare la rete nella proprietà pubblica. Se l’obiettivo è separare la rete per renderla terza e indipendente dagli operatori (unbundling, in gergo) l’Europa non ha mai avuto niente da ridire e ha sempre autorizzato queste operazioni. La rete separata sia poi venduta e con il ricavato sarà rimborsato il nuovo proprietario di Telecom.

Lo stesso errore di non separare la rete prima di iniziare le dismissioni fu fatto anche con la rete dell’alta tensione elettrica, e dallo stesso D’Alema presidente del Consiglio che “autorizzò” la cessione di Telecom. Anche nel caso di Enel lo Stato (stesso discorso: governo, partiti, etc.) imbrogliò gli azionisti, perché a parole disse che voleva aprire il mercato alla concorrenza ma nei fatti vendeva ai privati un monopolio, speculando sul maggior valore che gli analisti attribuivano all’Enel proprietaria della rete dove i suoi concorrenti avrebbero dovuto far passare i propri chilowattora.

Nel caso dell’Enel l’errore di lasciargli la proprietà della rete fu pagato dagli italiani con il black out di cui domani (26 settembre) ricorre il decennale, ma che portò però alla definitiva separazione e alla nascita di Terna.

Qual è adesso la situazione delle reti dell’energia? Lo scorso anno Snam, che possiede e gestisce la rete nazionale del gas e gli stoccaggi, è stata separata da Eni, sia pure con drammatico e ormai irrecuperabile ritardo, grazie ad una personale iniziativa di Mario Monti. Però, come Enel e Terna, anche Snam è rimasta sotto controllo dello Stato, lo stesso che controlla l’Eni, in pieno conflitto di interesse.

In più è ancora l’Eni a controllare i grandi gasdotti che portano all’Italia il gas dell’Africa del Nord. Sono una delle infrastrutture più importanti del Paese e se per una emergenza fosse necessario vendere l’Eni rischiano di passare ad un nuovo padrone. Come nel caso di Telefonica con la rete di telecomunicazione anche nel caso dei gasdotti i nuovi acquirenti (esattamente come i precedenti), potrebbero voler usare l’infrastruttura per restringere il mercato, e far alzare i prezzi.

È urgente risolvere questa situazione: tutti i gasdotti interni e internazionali di interesse strategico devono essere concentrati in Snam e anche quest’ultima va privatizzata con azionariato diffuso e neutrale. Ogni potere di influenza dei partiti sulle società energetiche va estirpato alla radice. Lo Stato deve recuperare il suo ruolo di regolatore e controllore. E basta.

Un problema analogo e altrettanto urgente riguarda adesso anche la rete di distribuzione dell’elettricità, ancora in mano all’Enel (che attraverso quella rete veicola i chilowattora dei suoi concorrenti e i propri fino dentro le case) e alle ex municipalizzate, monopoli locali come Acea a Roma, A2A a Milano e Brescia, Hera a Bologna, Iren a Torino e Genova e tutte le altre.

È qui che i destini della rete di distribuzione dell’elettricità e dei servizi di telecomunicazioni si intersecano, restituendo all’ultimo miglio di Telecom – checché ne dica il Presidente esecutivo Bernabè, che ne deve sminuire l’importanza per giustificare la cessione a Telefonica – una valenza strategica negli scorsi anni appannata dalla diffusione dei servizi wireless.

Le cosiddette “reti elettriche intelligenti” saranno tali solo se innervate dai servizi che solo la rete fissa di telecomunicazioni può garantire. Si tratta di gestire con alto automatismo flussi e contro flussi di chilowattora e tutto il “big data” di produzione (sempre più discontinua) e consumi (sempre più frazionati) cui va aggiunta la gestione dei grandi impianti, delle grandi reti e dei sistemi di storage (stoccaggi dell’elettricità).

Questo è il futuro di qualità e innovazione tecnologica su cui l’Italia può scommettere e può vincere nel confronto economico mondiale.

Simile agli altri anche il caso Alitalia, società privata alla quale il Governo Berlusconi garantì il mantenimento di una posizione dominante sul mercato nazionale (ad esempio la pratica esclusività della tratta Roma-Milano) per garantire ritorno economico alle imprese che parteciparono all’acquisto della compagnia sull’orlo del fallimento.

Prodi l’aveva invece promessa ai francesi e Berlusconi, visti i sondaggi, giocò buona parte della campagna elettorale sull’italianità della compagnia. Peccato che la stragrande maggioranza degli italiani, ai quali piaceva la bandiera nazionale sulla coda degli aerei, non avesse mai “goduto” dei disservizi di Alitalia!

Sbagliavano sia Prodi che Berlusconi, perché non si chiesero quale fosse il vero interesse degli italiani, ma decisero in base ad altre considerazioni. All’Italia infatti serve avere negli aeroporti le migliori compagnie mondiali in concorrenza tra loro per poter scegliere il meglio e il più economico. E quelli più capaci di portarci beni e turisti.

Per questo ciò che conta non è la nazionalità delle compagnie, ma i diritti di utilizzo delle piste, gli “slot”, l’equivalente delle reti di elettricità, gas e tlc nel settore aereo. Per raggiungere l’obiettivo sarebbe bastato mettere all’asta gli slot uno per uno con un limite di possesso, in modo da avere le 4-5 compagnie mondiali migliori al posto dell’Alitalia ormai decotta.

Certo, questa scelta implicava lasciar fallire la “compagnia di bandiera”, in realtà una fabbrica di debiti, ma non se ne ebbe il coraggio. Che grande lezione sarebbe stata per tutti i nostri pseudo capitalisti pubblici e privati! Ma anche che opportunità di rilancio per i servizi aerei e per il turismo in Italia. E con pochi problemi anche per l’occupazione perché i nuovi entranti non avrebbero che potuto riassumere gli ex Alitalia, oggi ancora in cassa integrazione.

Alcune società elettriche italiane, a causa del crollo della domanda, sono ora in gravi difficoltà. Come fu con l’Alitalia è tutta una gara per tenerle in vita, ovviamente a spese delle famiglie e delle piccole e medie imprese. Alcune centrali sono fuori mercato anche a causa degli incentivi decisi dallo Stato (in questo caso non solo i partiti, anche le banche, che poi sono la stessa cosa) per le rinnovabili. Ebbene, si calcoli il valore di questi standed cost e li si rimborsi. Punto.

Meglio un costo adesso, subito, che poi finisce a data certa, piuttosto che continuare a distorcere il mercato tenendo in vita impianti che non potranno più lavorare. Senza pensare alla miriade di altre rivendicazioni e richieste di protezione – il più delle volte infondate – di tutti gli altri! Che poi vincono sempre i più forti: a spese di famiglie e PMI.

La scelta di lasciar fallire Lehman Brothers nel settembre del 2008 non simboleggiò la crisi finanziaria mondiale, ma l’uscita da essa. Fu il segno della volontà di ripresa. Chi deve pagare paghi, chi deve chiudere chiuda, e poi si riparta. Il mercato dell’energia è soffocato da sussidi, aiuti e aiutini di ogni tipo. È urgente un segnale forte come fu quel fallimento.
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Re: Telecom: un gigante portato al collasso ...

Messaggioda Iafran il 27/09/2013, 18:14

franz ha scritto:Adesso molti, colpevoli, si strappano le vesti non tanto perché il servizio telefonico di Telecom finisce ad una società straniera, ma perché vi finisce anche la rete fissa, il fatidico ultimo miglio. Rete che fu lasciata in Telecom per favorire gli amici ed aumentare il valore della cessione.

Con la cessione di Telecom allo "straniero" ne andrebbe, nientepopodimeno che ... la sicurezza nazionale! :o
Caspita, come se quelli che l'hanno portata in queste brutte acque sono al di sopra di ogni sospetto, come se tutti i nostri politici (a eccezione di quei pochi buoni) o i responsabili del Ministero degli Interni e quello della Difesa o tutti i nostri "coraggiosi capitani d'impresa" (quelli che portano i soldi all'estero) o i servizi segreti o i politici nella trattativa Stato-mafia o il nostro celebre condannato (al momento) per evasione fiscale o etc. garantissero l'osservanza del giuramento di fedeltà alla Repubblica, alle sue leggi o alla parola data!

Forse il cosiddetto "straniero" si comporterebbe meglio dei "pezzi 'e core" (degenerati) di Mamma Italia!
A dire che questa stessa classe politica (e relativo codazzo giornalistico), all'occorrenza, vorrebbe più Europa Unita! :lol:
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Re: Telecom: un gigante portato al collasso ...

Messaggioda cardif il 27/09/2013, 19:45

In verità io credo che non si tratti solo dell'ultimo miglio, ma di tutta la rete fisica.
E credo che c'entri la sicurezza nazionale, anche se solo a livello ipotetico.
Facciamo l'ipotesi che scoppi una guerra tra Italia e Spagna (è solo una ipotesi dell'irrealtà, un ragionamento a limite).
La Spagna statalizzerebbe la società privata proprietaria della rete italiana e potrebbe impedire le comunicazioni sul nostro territorio.
Ma anche senza la guerra, avere la rete telefonica (e sarebbe lo stesso avere la rete stradale, ferroviaria, aeroportuale) in mani straniere sarebbe un problema di sicurezza nazionale, secondo me. Perché le scelte di sviluppo potrebbero essere condizionate da interessi stranieri a svantaggio di quelli italiani. In più per la telefonia c'è il problema che le informazioni passano sulla rete, e quindi problemi di spionaggio industriale, bancario ecc.
Perciò Giacomo Stucchi, presidente del Copasir, ha detto:
"La cessione del controllo di Telecom agli spagnoli di Telefonica pone seri problemi di sicurezza nazionale, visto che la rete Telecom è la struttura più delicata del Paese, attraverso cui passano tutte le comunicazioni dei cittadini italiani ed anche quelle più riservate".

Meno male che c'è l'Europa (e che la Spagna ci sta dentro). Immaginiamo se a comprare Telecom fosse una sociatà della Nigeria, o addirittura del Niger. Povera Lega :D

Questo senza togliere nessun 'merito' all'imprenditoria italiana, per la Telecom come per l'Ilva o l'Alitalia o altre realtà.
Ma mo' mi so' capito bene?
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Re: Telecom: un gigante portato al collasso ...

Messaggioda Iafran il 27/09/2013, 20:15

cardif ha scritto:Facciamo l'ipotesi che scoppi una guerra tra Italia e Spagna (è solo una ipotesi dell'irrealtà, un ragionamento a limite).

Concordo, "una guerra tra Italia e Spagna è solo un'ipotesi dell'irrealtà, un ragionamento a limite" perché una vera e propria guerra i cittadini italiani la patiscono giorno per giorno, internamente, ad opera di una "casta" sociale parassita (legale ed illegale)!
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