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La vendetta di Carletto

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La vendetta di Carletto

Messaggioda flaviomob il 17/09/2013, 0:22

La vendetta di Marx. Il Time lo rivaluta: “E' stato un profeta, le sue previsioni si sono avverate”

Il settimanale statunitense dedica una lunga analisi alla rivalutazione delle teorie di Marx, da sempre osteggiate dagli Usa. "Se i politici non praticheranno nuovi metodi per garantire eque opportunità economiche a tutti, i lavoratori di tutto il mondo non potranno che unirsi. E Marx potrebbe avere la sua vendetta".

Karl Marx doveva essere morto e sepolto. Il crollo dell'Unione Sovietica e lo sviluppo capitalistico dell'economia cinese sembravano aver messo in soffitta le idee del grande filoso ed economista tedesco, autore de Il Capitale, vera e propria “bibbia” dei comunisti di tutto il mondo. Eppure, nel pieno della più feroce crisi economica della storia, le idee del grande pensatore stanno tornando in auge. La lettura delle sue opere ha visto un forte balzo, e sempre più spesso economisti anticapitalisti riescono a sviluppare interessanti ragionamenti anche sui media generalisti: cosa che fino a qualche anno fa, quando l'ideologia del libero mercato era al suo apice, sarebbe stato quasi impensabile

Un esempio? Ieri lo “storico” settimanale statunitense Time ha pubblicato un lungo articolo a firma del corrispondente da Pechino Michael Shuman. Di fatto, il settimanale riconosce a Marx un ruolo profetico: “Marx ha teorizzato che il sistema capitalista impoverisce le masse e concentra la ricchezza nelle mani di pochi, causando come conseguenza crisi economiche e conflitti sociali tra le classi sociali. Aveva ragione. E' fin troppo facile trovare statistiche che dimostrano che i ricchi diventano sempre più ricchi, e i poveri sempre più poveri”. A sostegno delle tesi di Marx in effetti c'è uno studio dell'Economic Policy Institute di Washington che rivalea come nel 2011 il reddito medio di lavoratore maschio statunitense a tempo pieno era più basso rispetto al 1973. Tra il 183 e il 2010 il 74% dei guadagni in termini di ricchezza è andatato in mano al 5% della popolazione.

Secondo il Time, tuttavia, “questo non vuol dire che le teorie di Marx erano del tutto corrette. La sua ‘dittatura del proletariato' non ha funzionato come previsto. Ma le conseguenze delle disegualianze sono esattamente quelle che aveva predetto: il ritorno della lotta di classe. La rabbia dei lavoratori di tutto il mondo è in crescita: dagli Stati Uniti alla Grecia, passando anche per la Cina”. E ancora: “Marx aveva previsto un tale esito. I comunisti affermano apertamente che i loro fini possono essere perseguiti solo con l'abbattimento violento dell'ordine sociale esistente. ‘L'unica cosa che i proletari hanno da perdere sono le loro catene'. Ci sono segnali che i lavoratori di tutto il mondo sono sempre più impazienti. A decine di migliaia sono scesi nelle strade a Madrid e Atene, protestando contro la disoccupazione e le misure di austerità che stanno ulteriormente peggiorando le cose”.

Tuttavia, la Rivoluzione auspicata da Marx sembra essere lungi dal vedere la luce: le organizzazioni dei lavoratori sono deboli, e i movimenti sorti negli ultuimi anni (ad esempio Occupy Wall Street) si sono parzialmente sciolti. Colpa, secondo Jacques Rancière, esperto di marxismo presso l'Università di Parigi, delle reali intenzioni dei militanti, che non intenderebbero rovesciare il capitalismo, ma soltanto riformarlo. Tuttavia il Time mette in guardia: “Se i politici non praticheranno nuovi metodi per garantire eque opportunità economiche a tutti, i lavoratori di tutto il mondo non potranno che unirsi. E Marx potrebbe avere la sua vendetta”.

http://www.fanpage.it/la-vendetta-di-ma ... -avverate/


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Re: La vendetta di Carletto

Messaggioda pianogrande il 17/09/2013, 8:42

C'è un meccanismo perverso per cui appena i proletari cominciano a stare meglio, si dimenticano qualsiasi rivoluzione e si imborghesiscono e cominciano a considerare con fastidio qualsiasi coinvolgimento nella lotta.
Insomma, la pace sociale deve essere basata sul benessere.
I capitalisti si sono inventato un altro micidiale trucco.
Basta far stare bene una parte della popolazione a spese dell'altra parte e la pace te la mantengono i privilegiati che si scaglieranno col coltello tra i denti contro chiunque tenti di modificare lo stato di cose.
Nel nostro paese ne abbiamo un esempio brillantissimo con una evasione fiscale che grida vendetta, i privilegi di una certa categoria di dipendenti pubblici e tante altre piccole e grandi prepotenze permesse solo ad una parte della popolazione.

Direi che è questo il meccanismo di base che trasforma gli attuali tentativi di rivoluzione in guerre civili.
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Re: La vendetta di Carletto

Messaggioda annalu il 17/09/2013, 9:49

pianogrande ha scritto:C'è un meccanismo perverso per cui appena i proletari cominciano a stare meglio, si dimenticano qualsiasi rivoluzione e si imborghesiscono e cominciano a considerare con fastidio qualsiasi coinvolgimento nella lotta.
Insomma, la pace sociale deve essere basata sul benessere.
I capitalisti si sono inventato un altro micidiale trucco.
Basta far stare bene una parte della popolazione a spese dell'altra parte e la pace te la mantengono i privilegiati che si scaglieranno col coltello tra i denti contro chiunque tenti di modificare lo stato di cose.

Non mi è chiaro il concetto di "micidiale trucco": ovvio che se una porzione più ampia di popolazione sta meglio (i proletari) cala il desiderio di fare una rivoluzione, che è sempre un fatto cruento, non dissimile da una guerra civile.
Auspicare un superamento del capitalismo mediante riforme graduali e progressive, allargando a tutta la popolazione condizioni di vita migliori, mi sembra il meglio che si possa auspicare. Non mi piace e non mi è mai piaciuta la teoria del "tanto peggio tanto meglio", in quanto se la gente sta peggio è più facile fare la rivoluzione (Quale rivoluzione? A che prezzo, e per ottenere cosa, esattamente? Gli esempi del passato non mi sembrano incoraggianti).
pianogrande ha scritto:Nel nostro paese ne abbiamo un esempio brillantissimo con una evasione fiscale che grida vendetta, i privilegi di una certa categoria di dipendenti pubblici e tante altre piccole e grandi prepotenze permesse solo ad una parte della popolazione.

L'evasione fiscale italiana NON E' un esempio di capitalismo, ma solo un esempio di disonestà rovinosa. Il capitalismo può essere crudele ed iniquo e fare danni enormi esasperando le diseguaglianze, ma l'evasione fiscale all'italiana è solo un esempio di banditismo di bassa lega, tale da portare alla rovina qualsiasi sistema politico/economico, capitalismo compreso.
Contro le frodi fiscali non c'è bisogno di fare la rivoluzione, basterebbe applicare la legge.

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Re: La vendetta di Carletto

Messaggioda franz il 17/09/2013, 9:57

pianogrande ha scritto:C'è un meccanismo perverso per cui appena i proletari cominciano a stare meglio, si dimenticano qualsiasi rivoluzione e si imborghesiscono e cominciano a considerare con fastidio qualsiasi coinvolgimento nella lotta.

In effetti una delle previsioni azzeccate di Marx è proprio questa.
Che il benessere avrebbe eliminato proletariato, contadini e lotta di classe. Temeva moltissimo che questo sarebbe successo. Lo considerava il maggiore pericolo per le sue teorie.
Insomma, la pace sociale deve essere basata sul benessere, come dici.
Ed in 100 anni il benessere è aumentato notevolmente, nei paesi occidentali. Ed ora aumenta anche altrove.
Le cosiddette masse non si sono impoverite, anzi, ma ovviamente i ricchi sono diventati ancora piu' ricchi, mentre ci si dimentica che il "carletto" avrebbe voluto eliminarli e che dove è stato fatto c'è stata la miseria piu' nera.

Naturalmente esiste sempre un aspetto particolare (da una data ad una data, in un certo posto) da esaminare sul piano statistico (per esempio i ricchi lavoratori usa, i per protetti dai loro sindacati) per cercare di avere ragione ma se uno puntasse l'obbiettivo sugli altri, per esempio di quanto è aumentato il reddito in cina, in brasile, in russia, in india e quanto ora sta aumentando in africa, dovrebbe concludere che marx aveva torto. Ed anche l'articolo originale, a leggerlo tutto e non solo le parti riportate, non è tenero con Marx, soprattutto con la sua creatura piu' famosa ... e mostruosa: la "dittatura del proletariato".

Naturalmente gli adepti moderni del carletto, pochi ma buoni, quando leggono queste notizie vanno in eccitazione :lol: ma tanto ormai non fanno piu' danni, salvo a cuba, in corea del nord e pochi posti.
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Re: La vendetta di Carletto

Messaggioda pianogrande il 17/09/2013, 18:48

Annalu.
Sono felicissimo del fatto che almeno una parte della popolazione stia meglio ed il tanto peggio tanto meglio è ben lontano dalle mie aspirazioni e speranze.
Lo stesso vale per le rivoluzioni sanguinose o per le deliranti dittature del proletariato.

Volevo solo evidenziare il fatto che lo star meglio ci porta subito a cambiare appartenenza (o classe o tribù, come dico da un'altra parte).
Fine della solidarietà.

Questa solidarietà che è l'arma più temuta dal capitalismo.

Vabe'.
Per far star bene tutti, ci vorrà ancora un po' di tempo.
Intanto, continuiamo a difendere, ognuno, i suoi piccoli o grandi privilegi che questo è, attualmente, il vero motore della politica (e del consenso).
Consenso Q.B. se vogliamo dirlo in termini chimici.
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Re: La vendetta di Carletto

Messaggioda flaviomob il 17/09/2013, 23:30

E allora, andiamo a cercarlo questo articolo originale del Time...

Marx’s Revenge: How Class Struggle Is Shaping the World

With workers around the world burdened by joblessness and stagnant incomes, Marx’s critique that capitalism is inherently unjust and self-destructive cannot be so easily dismissed
By Michael Schuman March 25, 2013512

Karl Marx was supposed to be dead and buried. With the collapse of the Soviet Union and China’s Great Leap Forward into capitalism, communism faded into the quaint backdrop of James Bond movies or the deviant mantra of Kim Jong Un. The class conflict that Marx believed determined the course of history seemed to melt away in a prosperous era of free trade and free enterprise. The far-reaching power of globalization, linking the most remote corners of the planet in lucrative bonds of finance, outsourcing and “borderless” manufacturing, offered everybody from Silicon Valley tech gurus to Chinese farm girls ample opportunities to get rich. Asia in the latter decades of the 20th century witnessed perhaps the most remarkable record of poverty alleviation in human history — all thanks to the very capitalist tools of trade, entrepreneurship and foreign investment. Capitalism appeared to be fulfilling its promise — to uplift everyone to new heights of wealth and welfare.

Or so we thought. With the global economy in a protracted crisis, and workers around the world burdened by joblessness, debt and stagnant incomes, Marx’s biting critique of capitalism — that the system is inherently unjust and self-destructive — cannot be so easily dismissed. Marx theorized that the capitalist system would inevitably impoverish the masses as the world’s wealth became concentrated in the hands of a greedy few, causing economic crises and heightened conflict between the rich and working classes. “Accumulation of wealth at one pole is at the same time accumulation of misery, agony of toil, slavery, ignorance, brutality, mental degradation, at the opposite pole,” Marx wrote.

A growing dossier of evidence suggests that he may have been right. It is sadly all too easy to find statistics that show the rich are getting richer while the middle class and poor are not. A September study from the Economic Policy Institute (EPI) in Washington noted that the median annual earnings of a full-time, male worker in the U.S. in 2011, at $48,202, were smaller than in 1973. Between 1983 and 2010, 74% of the gains in wealth in the U.S. went to the richest 5%, while the bottom 60% suffered a decline, the EPI calculated. No wonder some have given the 19th century German philosopher a second look. In China, the Marxist country that turned its back on Marx, Yu Rongjun was inspired by world events to pen a musical based on Marx’s classic Das Kapital. “You can find reality matches what is described in the book,” says the playwright.

That’s not to say Marx was entirely correct. His “dictatorship of the proletariat” didn’t quite work out as planned. But the consequence of this widening inequality is just what Marx had predicted: class struggle is back. Workers of the world are growing angrier and demanding their fair share of the global economy. From the floor of the U.S. Congress to the streets of Athens to the assembly lines of southern China, political and economic events are being shaped by escalating tensions between capital and labor to a degree unseen since the communist revolutions of the 20th century. How this struggle plays out will influence the direction of global economic policy, the future of the welfare state, political stability in China, and who governs from Washington to Rome. What would Marx say today? “Some variation of: ‘I told you so,’” says Richard Wolff, a Marxist economist at the New School in New York. “The income gap is producing a level of tension that I have not seen in my lifetime.”

Tensions between economic classes in the U.S. are clearly on the rise. Society has been perceived as split between the “99%” (the regular folk, struggling to get by) and the “1%” (the connected and privileged superrich getting richer every day). In a Pew Research Center poll released last year, two-thirds of the respondents believed the U.S. suffered from “strong” or “very strong” conflict between rich and poor, a significant 19-percentage-point increase from 2009, ranking it as the No. 1 division in society.

The heightened conflict has dominated American politics. The partisan battle over how to fix the nation’s budget deficit has been, to a great degree, a class struggle. Whenever President Barack Obama talks of raising taxes on the wealthiest Americans to close the budget gap, conservatives scream he is launching a “class war” against the affluent. Yet the Republicans are engaged in some class struggle of their own. The GOP’s plan for fiscal health effectively hoists the burden of adjustment onto the middle and poorer economic classes through cuts to social services. Obama based a big part of his re-election campaign on characterizing the Republicans as insensitive to the working classes. GOP nominee Mitt Romney, the President charged, had only a “one-point plan” for the U.S. economy — “to make sure that folks at the top play by a different set of rules.”

Amid the rhetoric, though, there are signs that this new American classism has shifted the debate over the nation’s economic policy. Trickle-down economics, which insists that the success of the 1% will benefit the 99%, has come under heavy scrutiny. David Madland, a director at the Center for American Progress, a Washington-based think tank, believes that the 2012 presidential campaign has brought about a renewed focus on rebuilding the middle class, and a search for a different economic agenda to achieve that goal. “The whole way of thinking about the economy is being turned on its head,” he says. “I sense a fundamental shift taking place.”


The ferocity of the new class struggle is even more pronounced in France. Last May, as the pain of the financial crisis and budget cuts made the rich-poor divide starker to many ordinary citizens, they voted in the Socialist Party’s François Hollande, who had once proclaimed: “I don’t like the rich.” He has proved true to his word. Key to his victory was a campaign pledge to extract more from the wealthy to maintain France’s welfare state. To avoid the drastic spending cuts other policymakers in Europe have instituted to close yawning budget deficits, Hollande planned to hike the income tax rate to as high as 75%. Though that idea got shot down by the country’s Constitutional Council, Hollande is scheming ways to introduce a similar measure. At the same time, Hollande has tilted government back toward the common man. He reversed an unpopular decision by his predecessor to increase France’s retirement age by lowering it back down to the original 60 for some workers. Many in France want Hollande to go even further. “Hollande’s tax proposal has to be the first step in the government acknowledging capitalism in its current form has become so unfair and dysfunctional it risks imploding without deep reform,” says Charlotte Boulanger, a development official for NGOs.

His tactics, however, are sparking a backlash from the capitalist class. Mao Zedong might have insisted that “political power grows out of the barrel of a gun,” but in a world where das kapital is more and more mobile, the weapons of class struggle have changed. Rather than paying out to Hollande, some of France’s wealthy are moving out — taking badly needed jobs and investment with them. Jean-Émile Rosenblum, founder of online retailer Pixmania.com, is setting up both his life and new venture in the U.S., where he feels the climate is far more hospitable for businessmen. “Increased class conflict is a normal consequence of any economic crisis, but the political exploitation of that has been demagogic and discriminatory,” Rosenblum says. “Rather than relying on (entrepreneurs) to create the companies and jobs we need, France is hounding them away.”

The rich-poor divide is perhaps most volatile in China. Ironically, Obama and the newly installed President of Communist China, Xi Jinping, face the same challenge. Intensifying class struggle is not just a phenomenon of the slow-growth, debt-ridden industrialized world. Even in rapidly expanding emerging markets, tension between rich and poor is becoming a primary concern for policymakers. Contrary to what many disgruntled Americans and Europeans believe, China has not been a workers’ paradise. The “iron rice bowl” — the Mao-era practice of guaranteeing workers jobs for life — faded with Maoism, and during the reform era, workers have had few rights. Even though wage income in China’s cities is growing substantially, the rich-poor gap is extremely wide. Another Pew study revealed that nearly half of the Chinese surveyed consider the rich-poor divide a very big problem, while 8 out of 10 agreed with the proposition that the “rich just get richer while the poor get poorer” in China.

(MORE: Is Asia Heading for a Debt Crisis?)

Resentment is reaching a boiling point in China’s factory towns. “People from the outside see our lives as very bountiful, but the real life in the factory is very different,” says factory worker Peng Ming in the southern industrial enclave of Shenzhen. Facing long hours, rising costs, indifferent managers and often late pay, workers are beginning to sound like true proletariat. “The way the rich get money is through exploiting the workers,” says Guan Guohau, another Shenzhen factory employee. “Communism is what we are looking forward to.” Unless the government takes greater action to improve their welfare, they say, the laborers will become more and more willing to take action themselves. “Workers will organize more,” Peng predicts. “All the workers should be united.”

That may already be happening. Tracking the level of labor unrest in China is difficult, but experts believe it has been on the rise. A new generation of factory workers — better informed than their parents, thanks to the Internet — has become more outspoken in its demands for better wages and working conditions. So far, the government’s response has been mixed. Policymakers have raised minimum wages to boost incomes, toughened up labor laws to give workers more protection, and in some cases, allowed them to strike. But the government still discourages independent worker activism, often with force. Such tactics have left China’s proletariat distrustful of their proletarian dictatorship. “The government thinks more about the companies than us,” says Guan. If Xi doesn’t reform the economy so the ordinary Chinese benefit more from the nation’s growth, he runs the risk of fueling social unrest.

Marx would have predicted just such an outcome. As the proletariat woke to their common class interests, they’d overthrow the unjust capitalist system and replace it with a new, socialist wonderland. Communists “openly declare that their ends can be attained only by the forcible overthrow of all existing social conditions,” Marx wrote. “The proletarians have nothing to lose but their chains.” There are signs that the world’s laborers are increasingly impatient with their feeble prospects. Tens of thousands have taken to the streets of cities like Madrid and Athens, protesting stratospheric unemployment and the austerity measures that are making matters even worse.

So far, though, Marx’s revolution has yet to materialize. Workers may have common problems, but they aren’t banding together to resolve them. Union membership in the U.S., for example, has continued to decline through the economic crisis, while the Occupy Wall Street movement fizzled. Protesters, says Jacques Rancière, an expert in Marxism at the University of Paris, aren’t aiming to replace capitalism, as Marx had forecast, but merely to reform it. “We’re not seeing protesting classes call for an overthrow or destruction of socioeconomic systems in place,” he explains. “What class conflict is producing today are calls to fix systems so they become more viable and sustainable for the long run by redistributing the wealth created.”

(MORE: Is It Time to Stop Green-Lighting Red-Light Cameras?)

Despite such calls, however, current economic policy continues to fuel class tensions. In China, senior officials have paid lip service to narrowing the income gap but in practice have dodged the reforms (fighting corruption, liberalizing the finance sector) that could make that happen. Debt-burdened governments in Europe have slashed welfare programs even as joblessness has risen and growth sagged. In most cases, the solution chosen to repair capitalism has been more capitalism. Policymakers in Rome, Madrid and Athens are being pressured by bondholders to dismantle protection for workers and further deregulate domestic markets. Owen Jones, the British author of Chavs: The Demonization of the Working Class, calls this “a class war from above.”

There are few to stand in the way. The emergence of a global labor market has defanged unions throughout the developed world. The political left, dragged rightward since the free-market onslaught of Margaret Thatcher and Ronald Reagan, has not devised a credible alternative course. “Virtually all progressive or leftist parties contributed at some point to the rise and reach of financial markets, and rolling back of welfare systems in order to prove they were capable of reform,” Rancière notes. “I’d say the prospects of Labor or Socialists parties or governments anywhere significantly reconfiguring — much less turning over — current economic systems to be pretty faint.”

That leaves open a scary possibility: that Marx not only diagnosed capitalism’s flaws but also the outcome of those flaws. If policymakers don’t discover new methods of ensuring fair economic opportunity, the workers of the world may just unite. Marx may yet have his revenge.

http://business.time.com/2013/03/25/mar ... the-world/


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Re: La vendetta di Carletto

Messaggioda franz il 18/09/2013, 7:55

pianogrande ha scritto:Volevo solo evidenziare il fatto che lo star meglio ci porta subito a cambiare appartenenza (o classe o tribù, come dico da un'altra parte).
Fine della solidarietà.

Questa solidarietà che è l'arma più temuta dal capitalismo.

L'uomo è ciò che mangia, scriveva Feuerbach, quindi è implicito che il benessere (economico e interiore, dato che siamo piu' istruiti e leggiamo di piu' rispetto a 100 anni fa) comporti un cambiamento delle sue relazioni sociali.

Sulla solidarietà bisogna approfondire ma prima aprirei una breve parentesi. Una cosa è la solidarietà tra individui, altra cosa è unirsi per ottenere risultati o per esempio chiedere protezione alla propria corporazione. Mi pare che il protezionismo e corporativismo siano in antitesi ai valori del liberalismo. Quello che noi chiamiamo "capitalismo" altro non è che il miscugio risultante delle relazioni economiche in parte libere, in parte regolate dallo stato, in parte frutto di protezionismi, sussidi, esenzioni fiscali, evasori fiscali, in parte in presenza di grossi monopoli privati tollerati dallo stato o addirittura pubblici. In pratica in una società mista come la nostra, dove lo stato regola il 50% ed oltre della vita economica e sociale, mi pare che dire capitalismo sia dire tutto e niente.

Il benessere (relativo) che abbiamo oggi non mi pare abbia ridotto la solidarietà tra gli esseri umani ed il terzo settore sta lì ad indicarlo, con milioni di persone che si dedicano al volontariato o all'associazionismo. Cosa possibile proprio perché abbiamo piu' tempo libero e risorse economiche sufficenti per noi e per aiutare altri.
Questo genere di solidarietà non è affatto temuta da alcun capitalista, direi.

Fine della solidarietà invece se pensata come solidarietà di classe, sotto una bandiera politica. Questa si era temuta se la bandiera invocava la dittatura del proletariato e l'espropriazione dei mezzi di produzione. Temuta a ragione, direi.
Oggi nessuno propone questo obbiettivo nei paesi occidentali, salvo movimenti dello zerovirgola.

Rimane ovunque l'unirsi per ottenere risultati economici (solidarietà sindacale) anche se è in calo. Come sappiamo per esempio da noi piu' della metà degli iscritti ai sindacati è costituita da pensionati. Il mondo del lavoro è sempre meno sindacalizzato. Anche qui Marx e soprattutto Engels avevano giustamente intuito che la sparzione del proletariato e l'insorgere categorie di operai specializzati (parlavano di "aristocrazia operaia") sarebbe stato un grosso problema e poi la cosa arrivò al punto tale che fu un'emergenza per Lenin. Oggi sono praticamente tutti operai specializzati (anche i contadini sono specializzati) e la maggioranza di loro puo' contrattare direttamente la retribuzione, che va ben oltre il minimo sindacale. Rimengono sacche di dipendenza dal sindacalismo solo dove il lavoro è poco sviluppato (l'Italia in gran parte è uno di questi casi) e quindi il tecnico specializzato ha poche alternative da scegliere, a meno di emigrare.

Veniamo al tema dell'articolo. L'attuale crisi vede l'europa come il maggior malato del pianeta. L'esito auspicabile per risolvere i problemi è veramente un ritorno della solidarietà di classe tra lavoratori contro il capitalismo oppure è affrontare i motivi che rendono l'europa un'area geografica che cresce poco, anzi quella nel mondo in cui si cresce di meno?
Per non parlare dell'Italia in cui da 3 anni il pil diminuisce?

Io non scrivo dalla Cina, sotto il controllo di un regime molto attento a tutto quello che esce dai suoi confini, quindi posso esporre liberamente idee diverse da Michael Schuman.
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Re: La vendetta di Carletto

Messaggioda pianogrande il 18/09/2013, 10:15

Il fatto che gli iscritti ai sindacati siano sempre più i pensionati è un bruttissimo sintomo.
Nel nostro paese del lavoro precarissimo, iscriversi a un sindacato significa andare a cercarsi dei guai.
Chi si iscrive a un sindacato?
Chi ha il reddito sicuro e non si espone a rappresaglie del datore di lavoro.

La massiccia iscrizione di pensionati ha, tra l'altro, anche una origine piuttosto squallida.
E' semplicemente il risultato del martellante lavoro di proselitismo fatto dai patronati in occasione dell'iter della domanda di pensione.
Cosa ricava un pensionato da questa iscrizione?
Un bel nulla se non le vuote chiacchiere dei periodici a cui questa iscrizione dà diritto.

Il dato dell'adesione ai sindacati non lo vedo rivelatore di altro se non dei meccanismi piuttosto elementari detti sopra.

Ormai, gli uffici sindacali altro non sono che macchine per pompare soldi.

CAF, ufficio vertenze, patronati, associazione consumatori etc. etc.

Così come sono, i nostri sindacati sono completamente superati perché quello che gli viene meglio è difendere chi sta già bene.

Questa società divisa in due è il dato che più mi coinvolge in questo periodo.
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Re: La vendetta di Carletto

Messaggioda flaviomob il 19/09/2013, 1:06

Io distinguerei nelle teorie di Marx gli strumenti di analisi dei rapporti socio-economici all'interno di una tipologia di società (quella capitalista, appunto), la metodologia che propone per superarli, gli obiettivi che intende raggiungere in una società senza ingiustizie.

Considerando quello che scrive il Time e pensando che Marx viene ancora studiato nelle università di tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti, io credo che come strumento di analisi abbia molti punti validi.

La metodologia che propone per superare il capitalismo si è liberissimi di considerarla

1) Fallita (l'URSS e dintorni)

2) Mai realizzata, dato che Marx postulava l'impossibilità della rivoluzione in un solo paese, ma ne poneva come condizione essenziale la realizzazione in tutto il globo.

3) Irrealizzabile e/o utopistica proprio perché impossibile da compiere in tutto il mondo (o perché la collettivizzazione dei mezzi di produzione genera parassitismo o per N altri motivi)

Gli obiettivi che si poneva, se andiamo a guardare le condizioni di vita delle masse proletarie nell'Ottocento, non mi sembrano affatto sbagliati: una vita più dignitosa per tutti, la fine dell'alienazione legata all'essere puri strumenti di lavoro sfruttati e poi gettati, diritti che oggi diamo in buona parte per scontati ma che due secoli fa si sognavano, quando in fabbrica lavoravano bambini, donne per 12 ore, etc. facendo la fame.

Rimane il fatto, oggettivo, che molte analisi del Carletto ancora oggi dimostrano una forte pertinenza alla realtà, il che non è male affatto per un pensatore di due secoli fa...


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Re: La vendetta di Carletto

Messaggioda franz il 19/09/2013, 7:45

flaviomob ha scritto:Gli obiettivi che si poneva, se andiamo a guardare le condizioni di vita delle masse proletarie nell'Ottocento, non mi sembrano affatto sbagliati: una vita più dignitosa per tutti, la fine dell'alienazione legata all'essere puri strumenti di lavoro sfruttati e poi gettati, diritti che oggi diamo in buona parte per scontati ma che due secoli fa si sognavano, quando in fabbrica lavoravano bambini, donne per 12 ore, etc. facendo la fame.

Giusto. Partiamo da questo.
Quello che si è tentato di realizzare è, secondo la tua elencazione, che condivido, fallito, mai realizzato e irrealizzabile.
Eppure possiamo anche considerare le condizioni umane di oggi sono ben lontane da quelle dell'800.
La vita è piu' dignitosa, la fame, l'orario di lavoro, la qualità dell'educazione e della salute, la pensione.
E poi i diritti civili, e libertà (cose che mi pare Marx fosse disposto a sacrificare, nella sua metodologia).
Nulla è perfetto e tutto è migliorabile ma la direzione è quella giusta.

Quindi gli obbiettivi sono stati raggiunti all'interno del sistema capitalistico, mediato da un forte intervento degli stati, in alcuni casi piu' forte, in altri meno. La fotografia scattata alla fine del 1990 mostrava chiaramente che quegli obbiettivi erano stati raggiunti molto di piu' nei paesi liberi, capitalisti, ad economica di mercato, socialdemocratici in alternanza con i conservatori, che nei paesi in cui si tentava di mettere in pratica alcune idee del Carletto.

Non solo. Emerge che a differenza del comunismo ipotizzato da Marx, che teorizzava il suo successo solo se applicato in tutto il mondo (con la forza, naturalmente) il capitalismo si sviluppa gradualmente anche partendo da piccoli nuclei (le nazioni della rivoluzione industriale della seconda metà del '700 e al nord america) ed oggi si è esteso all'oriente, all'africa, al sud america. Oggi la globalizzazione economica e l'estensione delle libertà è planetaria e sono poche le nazioni che la rifiutano.

La differenza è che quindi il comunismo (quello del Manifesto) era un'utopia, l'economia capitalista no.
L'utopia è tentare di dirigere l'economia sulla base di un piano, di una previsione, di un disegno intelligente, totalitario, frutto di un'analisi. Abbiamo già discusso del perché. A causa dell'imprevedibilità dell'innovazione, non è possibile fare previsioni e quindi piani.
La realtà è che l'economia si sviluppa da sola, senza un piano coordinato, si espande e progredisce sotto la spinta apparentemente scoordinata ma sostanzialmente libera di milioni di produttori, di commercianti e di milioni di consumatori, condita dalla salsa dell'innovazione, della ricerca, del progresso tecnologico. E di molto altro ancora ma taglio per brevità.

E qui passo al tema dell'analisi. Il metodo di analisi individuato da Marx sarà anche interessante (contiene pero' errori nella teoria del plusvalore e del capitale) ma visto quanto sopra è perfettamente inutile, o per lo meno sterile. Uno strumento di analisi fatto per studiare la realtà che pero' propone soluzioni irrealizzabili non serve a nessuno, anzi è pericoloso perché dà l'illusione che sia possibile cambiare la realtà costruendo una società radicalmente diversa attraverso una rivoluzione.

In realtà la società muta da sola e sono possibili graduali miglioramenti con il graduale aumento della produttività e del progresso tecnologico. Sono questi fattori che producono e liberano le risorse che poi possiamo convertire in welfare, in meno orario, in benessere. E la politica nei paesi liberi deve saper condurre questa ridistribuzione senza pero' strozzare il motore produttivo con troppe regole burocratiche e troppo prelievo ridistributivo.

Sotto questo aspetto la sconfitta del Carletto, acerrimo avversario della odiata socialdemocrazia, è totale.

Dove sta il problema, posto dall'articolo? Sta che questo processo di sviluppo - come tutti i fenomeni umani - non è mai lineare. Conosce crisi e momenti di recessione durante i quali ci si impoverisce. Non mi interessa stabilire ore se per colpa dell'intervento dello stato o se per errori dei capitalisti. Probabilmente entrambi. Ma nei momenti di crisi ecco che qualcuno puo' tentare di dire che forse il Carletto aveva ragione perché il capitalismo fallisce e torna un certo scontro sociale. Tutto qui. ma se leggiamo in profondità, come abbiamo fatto qui, si vede che è solo l'illusione dell'utopia che ritorna.
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