http://www.corriere.it/economia/13_lugl ... e012.shtml
TRA CRESCITA E RIGORE
Quei vincoli (nascosti) nella lettera Ue
Cosa significa concedere «scarti temporanei dalla traiettoria del deficit» per poi precisare che «in ogni caso» il disavanzo non potrà superare la soglia limite del 3%?
Solo nei prossimi giorni potremo misurare la reale apertura di credito che Bruxelles è disposta a concederci. Le parole di Barroso sono caute, fino all'ambiguità. Che cosa significa concedere «scarti temporanei dalla traiettoria del deficit strutturale» per poi precisare che «in ogni caso» il disavanzo non potrà superare la soglia limite del 3 per cento sul prodotto interno lordo? Onestamente oggi si possono solo fare congetture: dovremo aspettare la «lettera di istruzioni» cui sta lavorando il Commissario agli Affari economici, il finlandese liberale Olli Rehn. Forse, nella migliore delle ipotesi, il governo guidato da Enrico Letta potrà contare su un tesoretto di 10-12 miliardi per il prossimo biennio. Vale a dire la quota del cofinanziamento nazionale sui programmi di investimento spesati con i fondi di coesione europei.
Poche o tante che siano queste risorse avranno un vincolo di destinazione (almeno su questo Barroso è stato chiaro): «politica strutturale e di coesione» o «reti transeuropee o di interconnessione in Europa». Per l'Italia ci possono essere due interpretazioni. La prima, riduttiva: investimenti da realizzare nelle regioni meridionali (ancora coperte dal cosiddetto «obiettivo 1») oppure nelle tre grandi opere già incluse nella lista delle 30 priorità europee (le cosiddette Ten): l'asse ferroviario che da Berlino arriva fino a Palermo; la ferrovia Lione-Torino-Trieste; le «autostrade del mare». La seconda interpretazione, più generale, aprirebbe il ventaglio delle scelte anche ad altri 79 progetti locali (dalla strada Brescia-Treviglio al rinnovamento tecnologico dei porti) e, forse, anche ad altre opere in campo energetico.
Come si vede, non sarà affatto semplice selezionare quei progetti che assicurino non solo «un effetto positivo sul bilancio a lungo termine, diretto e verificabile», come chiede Barroso, ma, soprattutto, la capacità di creare posti di lavoro solidi e, anche loro, destinati a durare. Ora, dunque, smaltita l'euforia, deve arrivare il momento della difficile pianificazione.
Sarebbe, però, un grave errore allentare la pressione sull'Unione Europea. La concessione di Barroso è molto distante dalla richiesta italiana di scorporare semplicemente gli investimenti dal calcolo del deficit pubblico (la cosiddetta golden rule ). Un'idea che ha vent'anni esatti (Piano Delors del 1993) e che di recente è stata ripresa prima dal governo Monti e ora dall'esecutivo Letta. Intanto i Paesi europei sono cambiati: qualcuno in meglio, qualcuno, come l'Italia, in peggio. Tanto che oggi nemmeno la golden rule applicata in modo integrale basterebbe per risollevare la nostra economia. Conosciamo tutti le sbarre della nostra gabbia: lo squilibrio dei conti pubblici, il peso del debito. E sappiamo anche quanto la politica del rigore europeo continuerà a metterci in difficoltà nei prossimi mesi, anche se siamo appena usciti dalla procedura di infrazione sul deficit. Basta ricordare la norma del trattato sul fiscal compact che impone ai Paesi come l'Italia un drastico taglio dell'indebitamento (un ventesimo all'anno della quota eccedente la soglia del 60 per cento sul prodotto interno lordo). In moneta vuol dire una manovra di 40-50 miliardi di euro all'anno.
È interessante notare come il dibattito sulla golden rule sia nato proprio in parallelo a quello sui parametri di Maastricht. In fondo sono figli della stessa epoca e dello stesso compromesso politico-culturale tra liberismo e dirigismo. Un governo di larghe intese potrebbe anche porre all'Europa la richiesta di aggiornare i fondamentali del patto di stabilità. Il rapporto tra deficit e pil fu fissato al 3 per cento tenendo conto della media degli investimenti pubblici realizzati nel periodo 1974-1991 e considerando la media della crescita nominale, allora intorno al 5 per cento. Le cifre di oggi (investimenti pubblici stagnanti, crescita zero) suggeriscono che, forse, è venuto il momento di rimetterci mano.
Giuseppe Sarcina4 luglio 2013 | 16:19