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Ma...come mai nessuno taglia gli sprechi?

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Re: Ma...come mai nessuno taglia gli sprechi?

Messaggioda flaviomob il 09/06/2013, 1:23

Veramente sei stato proprio tu, Franz, ad aver riportato nel forum che il dato sulle pensioni di invalidità erogate in Italia è inferiore alla media europea (od Ocse, non ricordo) e io a quel riscontro mi sono attenuto.

Mi sembra folle pensare che, con un dato del genere, sia plausibile ipotizzare il 25% di falsi invalidi. A meno che un 25% di veri invalidi non rimanga fuori!!!

Ricordiamoci anche che ci sono persone con invalidità inabilitanti anche gravi a cui lo stato non riconosce il 100% ma percentuali di molto inferiori. Ad esempio, una diagnosi di "disturbo delirante cronico" io l'ho vista associare ad una percentuale del 75% e una pensione di invalidità di 250 euro o giù di lì. Ora, dato che è una patologia con cui è molto difficile trovare lavoro ed è quasi impossibile mantenerlo (perché spesso si "fugge" dal posto di lavoro come dai luoghi di socializzazione, almeno per alcuni periodi critici), ti voglio vedere a campare con 250 euro... Poi aggiungiamo che spesso parliamo di persone che magari non riescono autonomamente a fare la spesa, cucinare, etc e lasciate a loro stesse non è raro che finiscano per vagabondare e diventare "senza fissa dimora".

Dato che siamo in tema di ricerche su google, perché non cercare anche "corruzione sanità" così, tanto per gradire?


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Re: Ma...come mai nessuno taglia gli sprechi?

Messaggioda franz il 09/06/2013, 9:59

flaviomob ha scritto:Veramente sei stato proprio tu, Franz, ad aver riportato nel forum che il dato sulle pensioni di invalidità erogate in Italia è inferiore alla media europea (od Ocse, non ricordo) e io a quel riscontro mi sono attenuto.

Mi sembra folle pensare che, con un dato del genere, sia plausibile ipotizzare il 25% di falsi invalidi. A meno che un 25% di veri invalidi non rimanga fuori!!

Ed infatti confermo e ribadisco. 1) la spesa per invalidità è inferiore alla media (anche se non di tanto). Questo è un dato di fatto. Sono numeri. La composizione interna di quelle spesa pero' è altra cosa. 2) Possibilissimo che 1/4 della spesa sia stata erogata in modo clientelare a chi non ne ha diritto e che un rilevante numero di casi che averebbero diritto non sono assistiti. Le affermazioni 1) e 2) non sono incompatibili. La prima è dimostrata, la seconda tutta da dimostrare. Ci sono anche casi di invalidità temporanea che poi non vengono piu' aggiornati. Non so come chi ha fatto il calcolo arrivo a 10 miliardi ma penso che li piu' che risparmiare ci sia da dare il giusto a chi ne ha diritto e se alla fine invece di 40 se ne spendono 48, io non mi lamento. Dubito che si possa spendere 30 e risparmiare 10 ma attendo di leggere su quali dati e studi si è basato Boldrin.
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Re: Ma...come mai nessuno taglia gli sprechi?

Messaggioda flaviomob il 09/06/2013, 14:50



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Re: Ma...come mai nessuno taglia gli sprechi?

Messaggioda ranvit il 10/06/2013, 8:14

http://www.qdrmagazine.it/2013/06/04/106_marattin.aspx


Che fine ha fatto la spending review?


Luigi Marattin | martedì 4 giugno 2013



Circa un anno fa, il 6 luglio 2012, il governo Monti fece debuttare nel dibattito politico l’ennesimo anglicismo destinato a divenire di uso comune: spending review. Questo fu il nome assegnato al decreto legge n.95, poi convertito il mese successivo, il quale conteneva una serie di disposizioni mirate al contenimento della spesa pubblica corrente che avrebbero dovuto – nelle intenzioni – liberare a regime svariati miliardi di euro da destinare alla riduzione della pressione fiscale.

La spending review affrontava con coraggio il tema del personale della pubblica amministrazione, a tutti i livelli. Si tagliava del 20% il numero dei dirigenti statali, e del 10% quello degli impiegati. Gli organici delle forze armate venivano ridotti del 10%. Per quanto riguarda il personale degli enti locali, si stabiliva un concetto virtuoso: il Ministero avrebbe dovuto comunicare un parametro “standard” del numero di dipendenti dell’ente locale, tenendo conto di una serie di parametri tra cui la popolazione residente. Se un ente avesse avuto un numero di dipendenti superiore del 20% a tale parametro, sarebbe scattato il divieto di ulteriori assunzioni; con una dotazione superiore del 40%, invece, sarebbero scattati anche per gli enti locali le misure di esubero che sarebbero valse per l’amministrazione statale, e coincidenti con uno “scivolo” pensionistico secondo i requisiti pre-Fornero e procedure di mobilità volontaria o obbligatoria.

La spending review prevedeva anche un sacco di altre cose: la razionalizzazione del patrimonio pubblico e la rimodulazione dei fitti passivi della pubblica amministrazione, la riduzione delle spese dei Ministeri, l’abolizione delle Province, un ulteriore (e sciagurato) taglio massiccio ai trasferimenti statali agli enti locali (l’unica spesa statale che i vari governi hanno dimostrato di essere in grado di tagliare).

Ma di tutto questo elenco di belle intenzioni, cos’è stato poi effettivamente realizzato? Ad oggi praticamente nulla. Mancano i famigerati “decreti attuativi” di tutti i provvedimenti connessi alla riduzione del personale; l’abolizione delle Province è immersa nel buio più totale, e ancora non è stata stabilita l’articolazione dei tagli agli enti locali per l’esercizio 2013, nonostante siamo ormai a metà anno. Le procedure per la dismissione e valorizzazione del patrimonio pubblico statale procedono ma con estrema lentezza, e ad oggi non hanno conseguito alcun risultato tangibile.

Ma soprattutto, il rischio di fallimento della cosiddetta “spending review” si ravvisa negli stessi documenti ufficiali di finanza pubblica. Il Documento di Economia e Finanza 2013, approvato dal Parlamento poche settimane fa, riporta che i consumi intermedi della pubblica amministrazione (la voce su cui, in teoria, avrebbe dovuto agire la spending review) nel 2015 saranno pari a 132,30 miliardi, praticamente identici (ad essere precisi, un paio di milioni di euro superiori) a quelli del 2012. E nel 2017 voleranno a 138,71 miliardi, realizzando così un aumento del 4,8%. Siamo quindi ufficialmente di fronte al primo caso di spending review che su un orizzonte di cinque anni aumenta la spesa pubblica, invece di diminuirla.

Non è un caso. Questo accade perché mancano tutti e tre gli elementi che invece hanno fatto il successo di analoghe manovre (in Gran Bretagna o in Germania, dove la riduzione di spesa pubblica decisa da Schroeder alla fine degli anni Novanta permise il taglio delle tasse che, assieme alle riforme del welfare, è la vera causa del successivo e attuale boom tedesco). Una manovra di razionalizzazione e riduzione di spesa pubblica ha successo se è fatta da un governo politico stabile che ha davanti un orizzonte di cinque (meglio dieci) anni, perché incidere sui meccanismi di formazione della spesa in questo paese non è tanto una questione economica, bensì dannatamente politica. Il secondo elemento è un’architettura statale che non imbrigli ogni decisione politica (le rare volte in cui vi è) in svariate decine di decreti attuativi e lungaggini amministrative, esclusivo patrimonio di una casta di burocrati statali che è più disposta ad ardere sul rogo di quanto non lo sia ad accettare una riduzione del proprio margine di manovra. E il terzo elemento è il modo in cui la spending review viene condotta: il decreto del governo Monti, a dispetto del nome, è una collezione di tagli lineari, null’altro. La vera spending review presuppone un’azione forte e decisa su ogni capitolo del bilancio statale, euro per euro, voce per voce, con una continua e tenace azione di benchmarking, comparazione dei costi, efficientamento interno, minimizzazione dei costi. Implica entrare nei meandri dei meccanismi di formazione della spesa e agire senza timore di violare santuari di interessi e di rendite da preservare, sulla base di un mandato politico forte. Implica un lavoro microeconomico, più che macroeconomico.

La storia del decreto 95 è una storia tipicamente italiana. La storia di un paese in cui l’importante è parlare delle cose. Non necessariamente farle.
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Ma...come mai nessuno taglia gli sprechi?

Messaggioda franz il 10/06/2013, 8:26

Volevo farne un nuovo thread (storie di ordinaria burocrazia) ma è meglio metterlo qui.

Le aziende e il record della burocrazia

In cinque anni 288 nuove norme fiscali
Pressione tributaria al 68,3%. Allo Stato 1,7 milioni al minuto di tasse


ROMA - «Semplificare»: non c'è politico o governante che non abbia pronunciato almeno una volta questa parola. L'ex ministro leghista Roberto Calderoli, per rafforzare il concetto, si fece immortalare nel cortile di una caserma dei pompieri mentre dava fuoco con un lanciafiamme a 375 mila leggi inutili. Nemmeno troppo tempo fa: il 24 marzo del 2010. Poi è toccato al governo Mario Monti, per bocca del ministro Corrado Passera, lanciare un «urlo di dolore» per le complicazioni della burocrazia, invocando «semplificazioni» al più presto (8 novembre 2012). E ora è la volta del ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, annunciare che l'esecutivo di Enrico Letta «sta lavorando a un'operazione di semplificazione molto forte che dovrebbe vedere la luce a brevissimo» (4 giugno 2013).

Auguri. Perché da quando è cominciata la precedente legislatura, nella primavera del 2008, sono state varate qualcosa come 288 norme fiscali che hanno avuto come conseguenza quella di complicare la vita alle imprese. E' un numero pari al 58,7 per cento di tutte le disposizioni di natura tributaria (491) introdotte attraverso 29 differenti provvedimenti. Oltre quattro volte superiore a quello delle 67 «semplificazioni» fatte nello stesso periodo: ogni norma approvata per snellire la burocrazia ne ha quindi portate con sé 4,3 capaci di riversare altra sabbia negli ingranaggi.

E forse non è un caso, sottolinea l'ultimo rapporto della Confartigianato che contiene questo dato scioccante, che «la pressione burocratica abbia lo stesso ritmo di crescita della pressione fiscale». Ha raggiunto il 44,6 per cento, livello mai visto dal 1990, anno d'inizio della serie storica . Con un picco negli ultimi tre mesi 2012, durante i quali per ogni minuto che trascorreva il Fisco incassava un milione 731.416 euro. L'ufficio studi della Confartigianato ricorda che tra il 2005 e il 2013, secondo le stime Ue, le entrate fiscali sono salite del 21,2 per cento, pari a 132,1 miliardi: cifra esattamente corrispondente all'aumento nominale del Pil, diminuito però in termini reali. Per ogni euro di crescita apparente, dunque, l'Erario ha intascato un euro in più: è l'eredità di quello che nel rapporto viene definito «il ventennio perduto», iniziato nel 1993 e proseguito con 12 differenti governi.

Senza che nemmeno gli esecutivi tecnici siano riusciti a invertire la rotta.
Negli ultimi 600 giorni, 530 dei quali governati da Monti, il numero delle imprese è calato dell'uno per cento, il Pil è diminuito del 3,4 per cento, il credito al sistema produttivo ha subito una flessione di 65 miliardi, il debito pubblico è aumentato di 122 miliardi, la pressione fiscale è cresciuta dell' 1,8 per cento, la disoccupazione giovanile si è ingigantita dell' 8,5 per cento. Il numero delle persone senza lavoro è lievitato di 728 mila unità. La pressione fiscale sulle imprese risulta ben più elevata di quella per le famiglie: è arrivata al 68,3 per cento. Misura che vale il primato europeo e la quindicesima piazza mondiale. In Francia, dove pure non scherzano, il total tax rate sulle imprese è del 65,7 per cento. Ma in Germania scende al 46,8 per cento, per calare ancora in Spagna al 38,7 e planare nel Regno Unito al 35,5 per cento.


«In Italia sembra si faccia apposta per penalizzare il patrimonio produttivo. Non possiamo sempre cercare scuse o alibi. Chi governa deve assumersi le proprie responsabilità. Ci vuole meno fisco, meno burocrazia, più credito, servizi pubblici efficienti. Se muoiono le imprese, muore il Paese», dice Giorgio Merletti. Ma se l'Italia, a sentire il presidente della Confartigianato, è un Paese fiscalmente e burocraticamente ostile all'impresa, non lo è certo meno rispetto al lavoro. Lo dicono chiaramente le tasse. Le imposte sul lavoro sono pari mediamente al 42,3 per cento, sono 4,6 punti al di sopra della media dell'Eurozona. Ancora. Il rapporto sottolinea come a una crescita del 4,5 per cento registrata in Italia a partire dal 1995, ha fatto riscontro un calo europeo di un punto.

Risultato è un ulteriore ampliamento della forbice per il cosiddetto cuneo fiscale e contributivo, salito qui al 47,6 per cento per un dipendente a medio reddito senza figli, contro il 35,6 per cento della media Ocse. Non bastasse, dobbiamo fare i conti anche con un curioso controsenso: l'aumento inarrestabile delle tariffe dei servizi pubblici locali per famiglie e imprese, cominciato proprio dalla seconda metà degli anni Novanta, in coincidenza con l'avvio delle liberalizzazioni. Fatto sta che dal 1997 al 2012 si è assistito a una crescita del 66,4 per cento, 26,7 punti in più dell'inflazione.

La tassa sui rifiuti, per esempio, recentemente inasprita con l'introduzione della Tares alla fine del 2011 con il decreto «salva Italia»: negli ultimi dodici anni le imposte sulla spazzatura hanno mostrato una progressione del 76,3 per cento. Su alcune categorie di imprese, poi, l'impatto della Tares è pesantissimo, con aumenti dell'imposta sui rifiuti che arrivano fino al 301,1 per cento.

E di nuovo è avvilente il paragone con la Germania, dove dalla fine del 2007 all'inizio di quest'anno quella tassa è calata mediamente dello 0,2 per cento, mentre in Italia saliva del 22,9 per cento. Ma si capisce il perché confrontando l'andamento della spesa pubblica nei due Paesi. Mentre in Germania, considerando il periodo che va dal 2001 al 2011, diminuiva di 1,7 punti di Prodotto interno lordo, qui al contrario cresceva di 4 punti.

Se la spesa pubblica italiana avesse seguito l'andamento tedesco, avremmo potuto risparmiare in un decennio 93,9 miliardi, quasi 9,4 l'anno. Perché non ci siamo riusciti? Si dice che la nostra spesa pubblica sia in larga misura «incomprimibile». Sarà. Resta però «incomprensibile» il fatto che nelle venti Regioni, le cui uscite incidono per oltre un quarto sul totale, ci siano livelli tanto differenti. Ecco allora che allineando semplicemente i livelli di spesa per le retribuzioni dei dipendenti e le forniture a quelli degli enti più virtuosi si potrebbero ottenere risparmi rilevantissimi. L'ufficio studi della Confartigianato li cifra in 20 miliardi 193 milioni. Ovvero, l'intero gettito previsto lo scorso anno per l'Imu dal governo Monti.

Sergio Rizzo 10 giugno 2013 | 8:17 www.corriere.it
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Re: Ma...come mai nessuno taglia gli sprechi?

Messaggioda flaviomob il 10/06/2013, 10:48

Ecco, questa mi sembra un'analisi più seria.

RIemerge anche il tema delle "liberalizzazioni" all'italiana:

dobbiamo fare i conti anche con un curioso controsenso: l'aumento inarrestabile delle tariffe dei servizi pubblici locali per famiglie e imprese, cominciato proprio dalla seconda metà degli anni Novanta, in coincidenza con l'avvio delle liberalizzazioni. Fatto sta che dal 1997 al 2012 si è assistito a una crescita del 66,4 per cento, 26,7 punti in più dell'inflazione.


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Re: Ma...come mai nessuno taglia gli sprechi?

Messaggioda Manuela il 10/06/2013, 11:57

A me sembra che una risposta molto razionale sia quella di Marattin

- un governo politico stabile che ha davanti un orizzonte di cinque (meglio dieci): non c'è. A ben pensarci, non c'è mai stato

- un’architettura statale che non imbrigli ogni decisione politica (le rare volte in cui vi è) in svariate decine di decreti attuativi e lungaggini amministrative, esclusivo patrimonio di una casta di burocrati statali che è più disposta ad ardere sul rogo di quanto non lo sia ad accettare una riduzione del proprio margine di manovra. ESATTO!!!! e figuriamoci se questa casta, molto più potente e inamovibile di quella dei politici, accetterebbe di vedere diminuiti i propri privilegi, in assenza delle condizioni 1) e 3)!

- ...implica entrare nei meandri dei meccanismi di formazione della spesa e agire senza timore di violare santuari di interessi e di rendite da preservare, sulla base di un mandato politico forte. Nemmeno questo mandato c'è... e non ci sarà mai se restiamo legati alle politiche di coalizione.
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Re: Ma...come mai nessuno taglia gli sprechi?

Messaggioda trilogy il 10/06/2013, 13:24

ranvit ha scritto:http://www.qdrmagazine.it/2013/06/04/106_marattin.aspx


Che fine ha fatto la spending review?


Luigi Marattin | martedì 4 giugno 2013


[..]Ma di tutto questo elenco di belle intenzioni, cos’è stato poi effettivamente realizzato? Ad oggi praticamente nulla. Mancano i famigerati “decreti attuativi” di tutti i provvedimenti connessi alla riduzione del personale; l’abolizione delle Province è immersa nel buio più totale, e ancora non è stata stabilita l’articolazione dei tagli agli enti locali per l’esercizio 2013, nonostante siamo ormai a metà anno. Le procedure per la dismissione e valorizzazione del patrimonio pubblico statale procedono ma con estrema lentezza, e ad oggi non hanno conseguito alcun risultato tangibile.

Ma soprattutto, il rischio di fallimento della cosiddetta “spending review” si ravvisa negli stessi documenti ufficiali di finanza pubblica. Il Documento di Economia e Finanza 2013, approvato dal Parlamento poche settimane fa, riporta che i consumi intermedi della pubblica amministrazione (la voce su cui, in teoria, avrebbe dovuto agire la spending review) nel 2015 saranno pari a 132,30 miliardi, praticamente identici (ad essere precisi, un paio di milioni di euro superiori) a quelli del 2012. E nel 2017 voleranno a 138,71 miliardi, realizzando così un aumento del 4,8%. Siamo quindi ufficialmente di fronte al primo caso di spending review che su un orizzonte di cinque anni aumenta la spesa pubblica, invece di diminuirla. .....



Andranno avanti con questo andazzo, finchè l'economia produttiva non crolla definitivamente, comunque siamo sulla buona strada:

Produzione industriale -4,6% ad aprile. E' il ventesimo calo consecutivo.....

articolo: http://www.repubblica.it/economia/2013/ ... ref=HREA-1
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Re: Ma...come mai nessuno taglia gli sprechi?

Messaggioda flaviomob il 10/06/2013, 13:35

Io continuo a pensare che non siamo in grado di reggere con un euro a questi livelli.

Squinzi invece fa altre ipotesi:

http://www.globalist.it/Secure/Detail_N ... 69&typeb=0
Squinzi: l'austerità mette in ginocchio la tenuta sociale
Il presidente di Confindustria rilancia il suo allarme: rischiamo che altri facciano lo shopping delle nostre imprese.

«Se il rigorismo e l'austerità mettono in ginocchio la tenuta sociale e il patrimonio delle nostre imprese affinchè altri possano fare shopping portandosi a casa i nostri pezzi migliori a prezzi di saldo, dobbiamo dire no». Lo ha detto il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi.

Sulle riforme non ci sono orizzonti chiari - Di riforme e cambiamenti istituzionali per la semplificazione «per ora se ne parla, senza orizzonti chiari e con tempi non ancora al passo delle necessità» ha poi aggiunto il presidente di Confindustria, all'assemblea di Assolombarda. Sul governo, ha detto «c'è dialogo e ne apprezziamo le intenzioni, ma misureremo con animo equo quanto farà per la crescita e l'occupazione».


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Re: Ma...come mai nessuno taglia gli sprechi?

Messaggioda franz il 10/06/2013, 14:34

flaviomob ha scritto:Ecco, questa mi sembra un'analisi più seria.

RIemerge anche il tema delle "liberalizzazioni" all'italiana:

dobbiamo fare i conti anche con un curioso controsenso: l'aumento inarrestabile delle tariffe dei servizi pubblici locali per famiglie e imprese, cominciato proprio dalla seconda metà degli anni Novanta, in coincidenza con l'avvio delle liberalizzazioni. Fatto sta che dal 1997 al 2012 si è assistito a una crescita del 66,4 per cento, 26,7 punti in più dell'inflazione.

A me non pare assolutamente un controsenso.
Prima, nel magna manga generale, le tariffe pubbliche erano basse, tanto si scaricavano i costi sulla fiscalità generale. Erano prezzipolitico bassi, slegati dai rali costi del servizio erogato.
Con la privatizzazione di servizi che vanno pagati da chi li consuma (ferroovie, acqua, gas, energia,...) il prezzo è diventato un fattore di mercato non piu' un "prezzo politico". Visto che pero' anche prima non esistevano pasti gratis, c'era sempre qualcuno che pagava, anche solo con calderone del debito pubblico, che paghiamo oggi.
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