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Diritti umani, informazione e comunicazione

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Arabia Saudita: decapitazione e crocifissione

Messaggioda flaviomob il 06/06/2013, 15:36

Saudi Arabia: Five beheaded and ‘crucified’ amid ‘disturbing’ rise in executions
Executions in Saudi Arabia are usually carried out by beheading with a sword





Saudi Arabia continues to breach a multitude of applicable international standards.


Amnesty International's Philip Luther

Saudi Arabia must halt a “disturbing” rise in death penalty usage that has resulted in at least 47 state killings in the country already this year, Amnesty International urged after six more people were executed today.

Five Yemeni men were beheaded and “crucified” this morning in the city of Jizan, while a Saudi Arabian man was executed in the south-western city of Abha.

“Saudi Arabia’s increased use of this cruel, inhuman and degrading punishment is deeply disturbing and the authorities must halt what is a horrifying trend,” said Philip Luther, Amnesty International’s Middle East and North Africa director.

“The Kingdom must immediately establish a moratorium on executions with a view to abolishing capital punishment.”

Pictures today emerged on social media appearing to show five decapitated bodies hanging from a horizontal pole with their heads wrapped in bags.

The beheading and “crucifixion” took place in front of the University of Jizan where students are taking exams.

In Saudi Arabia, the practice of “crucifixion” refers to the court-ordered public display of the body after execution, along with the separated head if beheaded. It takes place in a public square to allegedly act as a deterrent.

A sixth execution today was carried out in Abha, where the Interior Ministry reported that a Saudi Arabian man was executed for murder.

There have been at least 47 executions in Saudi Arabia so far in 2013 - an increase of 18 compared to this time last year, and a rise of 29 compared to the same period in 2011.

Today’s six executions mean at least 12 people have received the death penalty in Saudi Arabia in May alone. Of those killed this year, at least 19 are foreign nationals.

Saudi Arabia’s Interior Ministry today said the five men executed in Jizan were found guilty of forming an armed gang, armed robbery and the murder of a Saudi Arabian man. It is unclear if all five were convicted of the murder.

Saudi Arabia applies the death penalty for a wide range of crimes including “adultery”, armed robbery, “apostasy”, drug smuggling, kidnapping, rape, “witchcraft” and “sorcery”.

Some of these so-called offences, such as “apostasy”, should not even be criminalized under international standards.

The increase in executions for drug-related offences appears to be continuing, with at least 12 executed so far in 2013.

Twenty-two people were executed for such offences last year, compared with three in 2011 and just one in 2010. Non-lethal crimes such as drug-trafficking are not accepted as “most serious crimes” under international standards applicable to the death penalty.

Rates of executions in the country are feared to be higher than declared, as secret and unannounced executions have been reported.

Authorities in Saudi Arabia routinely flout international standards for fair trial and safeguards for defendants, who are often denied representation by lawyers and not informed of the progress of legal proceedings against them.

They may be convicted solely on the basis of “confessions” obtained under torture or other ill-treatment.

Saudi Arabia also continues to execute individuals for crimes they allegedly committed while under the age of 18, in breach of international law.

In January 2013, a Sri Lankan domestic worker who was 17 when she allegedly killed an infant in her care, was beheaded. Rizana Nafeek had no access to lawyers and claimed she was forced to make a “confession” under duress.

In March 2013, seven men, two of whom were under 18 when arrested, were shot in a public square, also in Abha.

They were not officially informed of their execution, but found out about it through friends and relatives who had sent them photos of seven mounds of earth being erected in the public square.

“States have an obligation not to practise the death penalty in secrecy, nor to apply it in a discriminatory manner,” said Philip Luther.

“Saudi Arabia continues to breach a multitude of applicable international standards.”

Amnesty International opposes the death penalty in all cases without exception.

http://amnesty.org/en/news/saudi-arabia ... 2013-05-21


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 09/06/2013, 19:43

globalist.it

Siria: ribelli islamisti uccidono un 15enne perché blasfemo

Accusato di blasfemia e ucciso a sangue freddo sotto gli occhi di genitori e fratelli. Il gruppo di assassini farebbe capo a jihadisti stranieri.

I ribelli islamisti che stanno combattendo il regime di Bashar al-Assad hanno giustiziato un 15enne sotto gli occhi dei genitori e dei fratelli perché accusato di blasfemia: lo riferisce l'Osservatorio Siriano sui Diritti Umani con base a Londra.

È accaduto ad Aleppo e il ragazzino, secondo il direttore dell'ong legata all'opposizione Rami Abdel Rahman, lavorava come venditore di caffè. Abdel Rahman ha aggiunto che nel gruppo ribelle probabilmente c'erano jihadisti stranieri: "Parlavano arabo classico, non il dialetto siriano. Hanno sparato al ragazzo due volte, in bocca e sul collo, di fronte sua madre, suo padre, i suoi fratelli e sorelle".

L'Osservatorio ha definito l'esecuzione come "criminale" e "un regalo al regime di Bashar al-Assad: e' esattamente questo tipo di criminalità ciò che fa temere alla gente la caduta di Assad".


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 10/06/2013, 15:12

Muore a 13 anni per infibulazione: polemiche in Egitto
Operata clandestinamente, è morta dopo esser stata sottoposta alla mutilazione genitale, che è tornata a diffondersi in Egitto pur essendo fuori legge.

Una bambina di 13 anni, Suhair al-Bata'a, è morta in Egitto dopo essere stata circoncisa da un medico in una clinica privata nel governatorato di Daqahliya, a nord est del Cairo. Lo hanno denunciato i genitori della vittima e il Consiglio nazionale delle donne egiziane, che ha parlato di atto criminale di "estrema ferocia" chiedendo che i colpevoli vengano puniti dalla giustizia.

Anche l'Unicef ha condannato il fatto, affermando che l'infibulazione non ha giustificazioni, né religiose né mediche. "Voglio solo che il medico sia riconosciuto responsabile e voglio giustizia per mia figlia", ha detto la madre della vittima, Hasanat Naeem Fawzy, al quotidiano "al-Masry al-Youm".

La polizia ha convocato il medico e ordinato l'autopsia sul corpo della giovane. Nel rapporto dell'ispettore sanitario si legge che il decesso è stato provocato da "un brusco calo della pressione sanguigna derivato dal trauma", ha riferito l'avvocato della famiglia ad al-Masry al-Youm.

Abdel Wahab Suleiman, sottosegretario del ministero della Salute a Daqahliya, ha ricordato che le mutilazioni genitali femminili sono contrarie alla legge. Nel 1996, infatti, l'Egitto ha dichiarato fuorilegge le mutilazioni genitali femminili, ma molte famiglie chiedono ancora che le proprie figlie vengano circoncise illegalmente.

Nel 2009 le autorità egiziane hanno arrestato per la prima volta un uomo da quando è stato introdotto il veto per aver circonciso illegalmente una bambina di 11 anni nel governatorato di Minya, 600 chilometri a sud del Cairo.

Globalist.it


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 11/06/2013, 19:15

Turchia: continua incontrollata l'accresciuta repressione della polizia

Le manifestazioni in Turchia potrebbero aumentare se le autorità non si impegnano in discussioni significative con gli attivisti, ha dichiarato Amnesty International dopo che la polizia antisommossa stamattina ancora una volta ha usato gas lacrimogeni e cannoni ad acqua contro manifestanti pacifici in piazza Taksim e nel Parco Gezi, a Istanbul.

L'ulteriore azione della polizia contro i manifestanti ha contraddetto le dichiarazioni del governatore di Istanbul di questa mattina che non sarebbero intervenuti nel parco.


Attivisti protestavano contro la costruzione di un centro commerciale nel Parco Gezi, che è adiacente alla piazza e che è uno degli ultimi spazi verdi del centro di Istanbul.


In una dichiarazione agli organi di stampa, il governatore Hüseyin Avni Mutlu ha detto che l'intervento in piazza Taksim veniva eseguito per rimuovere striscioni dalla statua di Atatürk e dal Centro di cultura Atatürk nella piazza e che la polizia non sarebbe intervenuta nel Parco Gezi.


"Le proteste in piazza Taksim e nel Parco Gezi sono state totalmente pacifiche e hanno il diritto di continuare. L'intervento delle autorità deve essere eseguito solo per motivi legittimi, voler tirare giù qualche striscione semplicemente non è una giustificazione adeguata" - ha detto Andrew Gardner, ricercatore sulla Turchia di Amnesty International, attualmente a Istanbul.


"Quando abbiamo incontrato il governatore questo pomeriggio, insisteva che la polizia aveva usato la forza appropriata nel perseguimento di obiettivi legittimi. Nessuna di queste affermazioni è coerente con la realtà sul campo".


Amnesty International ha inoltre appreso che 72 avvocati sono stati arrestati intorno alle 12 ora locale mentre erano riuniti nel tribunale di Çaðlayan per elaborare una dichiarazione sulla situazione nel Parco Gezi. Inizialmente sono stati trattenuti nel tribunale e poi trasferiti nella stazione di polizia di via Vatan.


Da quando le proteste sono iniziate a Istanbul e nel resto della Turchia, circa due settimane fa, migliaia di manifestanti pacifici sarebbero stati feriti a causa degli interventi della polizia. Tre persone sarebbero morte durante le proteste: una a causa dell'uso eccessivo della forza e due, compreso un agente di polizia, in seguito a incidenti.


L'Associazione medica turca ha rivelato che il numero dei feriti sarebbe più alto dopo l'attacco di oggi della polizia ai manifestanti. Tra questi, nove persone ferite da proiettili di gomma, con diversi arti rotti, e un certo numero di casi di trauma alla testa e al torace e una frattura al cranio.


Finora, le autorità turche non sono riuscite a indagare sulle denunce di abusi e nessuno è stato portato davanti alla giustizia.


"Invece di continuare a reprimere attivisti pacifici, le autorità turche dovrebbero iniziare a guardare alle azioni della loro polizia e portare davanti alla giustizia i responsabili degli scioccanti abusi che abbiamo visto nelle ultime due settimane" - ha concluso Gardner.


Firma l'appello "Turchia: stop all'uso eccessivo della forza contro i manifestanti!"

http://www.amnesty.it/turchia-continua- ... la-polizia


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Virilitalia

Messaggioda flaviomob il 13/06/2013, 11:30

http://www.bbc.co.uk/news/magazine-22856586

A gay island community created by Italy's Fascists
By Alan Johnston BBC News, Italy
San Domino

Seventy-five years ago in Fascist Italy, a group of gay men were labelled "degenerate", expelled from their homes and interned on an island. They were held under a prison regime - but some found life in the country's first openly gay community a liberating experience.

Every summer, tourists are drawn to the beauty of a tiny string of rocky islands in the Adriatic.

But just recently a group of visitors came to the Tremiti archipelago not so much to enjoy the peace and calm of this remote place as to remember.

These were gay, lesbian and transgender rights activists.

They had come to hold a small ceremony during which they would mark a shameful episode that unfolded in the islands more than 60 years ago.
Tremiti Islands

Back in the late 1930s the archipelago played a part in the effort by Benito Mussolini's Fascists to suppress homosexuality.

Gay men undermined the image that the dictator wanted to project of Italian manhood.

"Fascism is a virile regime. So the Italians are strong, masculine, and it's impossible that homosexuality can exist in a Fascist regime," says professor of history at the University of Bergamo, Lorenzo Benadusi.

So the strategy was to cover up the issue as much as possible.



This evil needs to be attacked and burned at its core”

Mayor of Catania, in Sicily

No discriminatory laws were passed. But a climate was created in which open manifestations of homosexuality could be vigorously suppressed.

And one particular police prefect in the Sicilian city of Catania took full advantage of the official mood.

"We notice that many public dances, beaches and places in the mountains receive many of these sick men, and that youngsters from all social classes look for their company," he wrote.

He said he was determined to halt this "spreading of degeneration" in his city "or at least contain such a sexual aberration that offends morality and that is disastrous to public health and the improvement of the race".

He went on: "This evil needs to be attacked and burned at its core."

So in 1938 around 45 men believed to be homosexuals in Catania were rounded up and consigned to internal exile.

They eventually found themselves about 600km away on the island of San Domino, in the Tremitis.
In Italia Sono Tutti Maschi (C) 2008 Luca de Santis, Sara Colaone, Kappa Edizioni Sr The 2008 graphic novel In Italia Sono Tutti Maschi tells the story of gay people exiled under fascism

The whole episode has been largely forgotten.

It's thought that nobody who endured this punishment is still alive today, and there are few detailed accounts of what went on there.

But in their book, The Island and the City, researchers Gianfranco Goretti and Tommaso Giartosi talk of dozens of men, most but not all from Catania, enduring harsh conditions on San Domino.

They would arrive handcuffed, and then be housed in large, spartan dormitories with no electricity or running water.
Benito Mussolini Unwittingly, Mussolini had created a corner of Italy where you were expected to be openly gay

"We were curious because they were called 'the girls'," says Carmela Santoro, an islander who was just a child when the gay exiles began to arrive.

"We would go and watch them get off the boat... all dressed up in the summer with white pants - with hats.

"And we would watch in awe - 'Look at that one, how she moves!' But we had no contact with them."

Another islander, Attilio Carducci, remembers how a bell would ring out at 8pm every day, when the men were no longer allowed outside.

"They would be locked inside the dormitories, and they were under the supervision of the police," he says.

"My father always spoke well of them. He never had anything bad to say about them - and he was the local Fascist representative."

The prisoners knew the exposure of their homosexuality would have caused shame and anguish for their families back home in deeply conservative towns and villages.

Some of that mood is captured in a letter from the son of a Sicilian peasant, who had been training to be a priest when he was rounded up.

Begging the judicial authorities to let him go home he wrote: "Imagine, Your Honour, the grief of my beloved father. What a dishonour for him!

"Internal exile for five years.

"It makes me mad just to think about it."

The prisoner, identified only as Orazio L, pleaded for a chance to be allowed to leave the island and "serve the Fatherland" in the army.
Continue reading the main story
“Start Quote

We did theatre, and we could dress as women there and no-one would say anything”

Giuseppe B San Domino inmate

"To become a soldier, and then return to the seminary to live in retirement, is the only way in which I could repair the scandal and dishonour to my family," he wrote.

But some of the few accounts given by former exiles make clear that life was not all bad on San Domino.

It seems that the day-to-day prison regime was comparatively relaxed.

Unwittingly, the Fascists had created a corner of Italy where you were expected to be openly gay.

For the first time in their lives, the men were in a place where they could be themselves - free of the stigma that normally surrounded them in devoutly Catholic 1930s Italy.

What this meant to the exiles was explained in a rare interview with a San Domino veteran, named only as Giuseppe B - published many years ago in the gay magazine, Babilonia - who said that in a way the men were better off on the island.

"In those days if you were a femmenella [a slang Italian word for a gay man] you couldn't even leave your home, or make yourself noticed - the police would arrest you," he said of his home town near Naples.

"On the island, on the other hand, we would celebrate our Saint's days or the arrival of someone new... We did theatre, and we could dress as women there and no-one would say anything."

And he said that of course, there was romance, and even fights over lovers.

Some prisoners wept, Giuseppe said, when the outbreak of World War II in 1939 led to the end of the internal exile regime on San Domino, and the men were returned to a kind of house arrest in the places where they came from.

Ivan Scalfarotto: Italy lags behind the rest of Europe on LGBT rights

A number of gay men were interned along with political prisoners on other small islands, such as Ustica and Lampedusa, but San Domino was the only one where all the exiles were gay.

It is deeply ironic that in the Italy of that time, they could find a degree of freedom only on a prison island.

The party of gay and lesbian rights activists who gathered on the archipelago the other day put down a plaque in memory of the exiles.

It will be a permanent reminder of Mussolini's persecution of homosexuals.

"This is necessary, because nobody speaks of what happened in those years," said one of the activists, Ivan Scalfarotto, a Member of Parliament.

And the suffering hasn't ended for Italy's gay community, he says. They are no longer shackled and shipped off to islands - but even now they are not regarded as "class A" citizens.

There is still no real social stigma attached to homophobia in Italy, Scalfarotto says, and the state doesn't extend legal rights of any kind to gay or lesbian couples.

Their struggle for equality goes on.


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 15/06/2013, 15:28

Immagine

A Milano, Porta Nuova


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Come le carceri

Messaggioda flaviomob il 16/06/2013, 11:21

Nyt critica i Cie: sono come le carceri
In un reportage il New York Times racconta la drammatica condizione di chi vive nei Cie, come quello romano di Ponte Galeria: non sono delle prigioni, ma si vive come in carcere.

domenica 16 giugno 2013 10:30


I centri di identificazione ed espulsione (Cie) degli immigrati clandestini, come quello romano di Ponte Galeria, sono in realtà delle carceri. Lo ha scritto oggi con ampio rilievo il New York Times, in un reportage dal titolo Italy's Migrant Detention Centers Are Cruel, Rights Groups Say. Sul Cie di Ponte Galeria, non lontano dall'aeroporto di Fiumicino, la corrispondente del Nyt Elisabetta Polovedo ha raccontato in particolare che Ponte Galeria "non è una prigione, ma la differenza è in realtà soprattutto semantica".

Il quotidiano della Grande Mela ricorda che i centri di questo tipo, in Italia e in Europa, sono sempre più criticati dalle organizzazioni di difesa dei diritti umani che li definiscono "inumani, inutili e costosi".

In Italia, aggiunge la Polovedo, "i più critici sostengono che i centri sono il riflesso delle politiche che assimilano immigrazione a criminalità, dimenticano i benefici economici che gli immigrati possono portare e non prendono in considerazione la crescente natura multiculturale della società".

In base ad un rapporto recentemente pubblicato dal ministero dell'Interno, ricorda infine l'inviata, il governo giudica i centri, gestiti da società private, "indispensabili" pur riconoscendo una serie di problemi, tra cui "l'assenza totale di attività all'interno dei centri", un fatto che "porta ad un aumento dell'aggressività e del disagio, accrescendo la tensione tra immigrati e polizia".

Globalist.it


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Non riconosco il Parlamento europeo

Messaggioda flaviomob il 17/06/2013, 15:36

Turchia, Erdogan: “Non riconosco il Parlamento europeo”

L'Ue giovedì scorso ha approvato una risoluzione critica sulla brutalità della polizia turca e sul comportamento del governo e del premier. Che dal 2005 negozia invano l'adesione della Turchia all’Ue. Il presidente del Consiglio aveva già criticato duramente il provvedimento di Strasburgo

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 17 giugno 2013

Più informazioni su: Erdogan, Parlamento Europeo, Scontri Turchia, Strasburgo, Turchia, Unione Europea.

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Il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha detto di “non riconoscere” il Parlamento Europeo. La dichiarazione è riportata dall’agenzia Anadolu. L’assemblea Ue giovedì scorso ha approvato una risoluzione critica sulla brutalità della polizia turca e sul comportamento del governo e del premier. Erdogan, che dal 2005 negozia l’adesione della Turchia all’Ue, i cui cittadini eleggono a suffragio universale l’Europarlamento, aveva già reagito duramente alla risoluzione di Strasburgo: “Non riconosco alcuna decisione presa dall’Europarlamento sulla Turchia” aveva affermato. “Il Parlamento Europeo ha il diritto di adottare una tale decisione sulla Turchia?” ha chiesto oggi polemicamente, prima di affermare “non riconosco questo Parlamento Europeo”.

L’Europa aveva espresso preoccupazione per l’uso sproporzionato della forza da parte della polizia e critiche al premier per non voler fare dei passi di conciliazione verso i manifestanti che continuano a subire violenze. Strasburgo aveva inoltre manifestato i tuoi timori per il deterioramento della libertà di stampa e per gli atti di censura e autocensura nei media turchi.

Gli eurodeputati avevano anche chiesto che i responsabili delle azioni violente fossero consegnati alla giustizia e mettevano in guardia Ankara dal prendere misure severe contro i manifestanti pacifici. Appello inascoltato anche in considerazione degli ultimi eventi: lo sgombero di piazza Taksim con l’uso di sostanze urticanti nell’acqua degli idranti e il fermo di un fotografo italiano.

La risoluzione presentata dai gruppi popolare, socialisti e democratici, liberaldemocratici, verdi e Europa della libertà e la democrazia, invitava inoltre ”le autorità turche a garantire e rispettare la libertà di espressione e il diritto di riunione e di manifestazione pacifica di tutti i cittadini”. Nel testo veniva espresso apprezzamento per il ruolo conciliante del presidente Abdullah Gul mentre parole dure venivano spese contro il primo ministro: “La sua riluttanza a prendere iniziative finalizzate alla riconciliazione, a scusarsi o a comprendere” la popolazione turca ”ha contribuito solamente a un’ulteriore polarizzazione”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06 ... eo/628483/


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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda franz il 26/06/2013, 23:03

Usa, la Corte Suprema spiana
la strada ai matrimoni omosessuali


E’ incostituzionale la legge che definisce il matrimonio come l’unione fra un uomo e una donna, e il bando delle nozze gay in California deve essere abolito: con queste due sentenze, emesse a pochi minuti di distanza l’una dall’altra, la Corte Suprema di Washington consegna altrettante vittorie alla campagna per la parità dei diritty fra gay e etero negli Stati Uniti.

La prima sentenza riguarda la legge “Defense of Marriage Act” del 1996. Con un verdetto di 5 a 4, scritto dal giudice Anthony Kennedy, viene definita “incostituzionale” perché affermare che il matrimonio è solo l’unione fra un uomo e una donna “viola la pari tutela davanti alla legge di tutti i cittadini che il governo deve garantire”. Inoltre, secondo il testo scritto da Kennedy e sostenuto dai quattro giudici liberal della Corte Suprema, “il Defense of Marriage Act viola il diritto degli Stati di legiferare sul tema del matrimonio”.

L’altra sentenza, scritta dal giudice John Roberts che è anche il presidente della Corte Suprema, riflette un’opinione bipartisan su “Proposition 8” ovvero il bando delle nozze gay approvato con un referendum in California nel 2008. La tesi espressa da Roberts è che a decidere su “Propotision 8” deve essere una Corte della California ma l’indicazione data è a favore dell’abolizione, destinata a consentire il ritorno alla legalità delle nozze gay. Su questa posizione, che accomuna la difesa del diritto degli Stati a legiferare sul matrimonio e il sostegno alle nozze gay, si è ritrovata una maggioranza di 5 giudici che include oltre al presidente il conservatore Antonin Scalia e i liberal Ruth Bader Ginsburg, Stephen Breyer, Elena Kagan.

Fuori dalla sede della Corte Suprema i militanti per i diritti gay hanno reagito alle sentenze con espressioni di giubilo. Il presidente americano Barack Obama ha saputo delle sentenze della Corte Suprema mentre era a bordo dell’Air Force One in volo verso il Senegal. “Applaudo la decisione della Corte Suprema di abolire il Defense of Marriage Act perché si tratta di una legge che discrimina - dichiara Obama - trattando le coppie gay e lesbiche come se fossero di una classe inferiore. La Corte Suprema ha corretto quanto era sbagliato ed ora l’America è un posto migliore”. Da qui l’omaggio alle “coppie che si sono battute a lungo per ottenere il riconoscimento della parità dei diritti” e la disposizione al ministero della Giustizia per “mettere in atto legalmente” il pronunciamento della Corte Suprema.

www.lastampa.it
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Re: Diritti umani, informazione e comunicazione

Messaggioda flaviomob il 08/07/2013, 10:36

Israele, attiviste palestinesi perseguitate per le proteste pacifiche
di Riccardo Noury | 8 luglio 2013

Domani Nariman Tamimi, un’attivista palestinese, sarà processata per “ingresso in una zona militare chiusa” dall’esercito israeliano.

La “zona” è quella della sorgente di Al-Qaws, nei pressi dei villaggio di Nabi Saleh, in Cisgiordania.

Dal 2009, l’insediamento di Halamish occupa le terre su cui si trova la sorgente. I coloni israeliani, protetti dall’esercito, vi hanno libero accesso, vietato invece agli abitanti di Nabi Saleh, compresi i proprietari dei terreni.

In quattro anni, nelle proteste settimanali, sono stati uccisi due palestinesi e centinaia sono rimasti feriti. Per impedire o sciogliere le proteste, l’esercito israeliano ha impiegato proiettili letali, granate stordenti, spray al peperoncino e gas lacrimogeni a iosa. Ha fatto incursioni notturne nel villaggio, effettuato perquisizioni nelle abitazioni, eseguito arresti su arresti.

Il 28 giugno, nel corso della consueta protesta settimanale degli abitanti, Nariman Tamimi è stata arrestata insieme a un’altra attivista, Rana Hamadi.

Le due donne hanno trascorso la notte in un’automobile, coi ceppi ai piedi, per poi essere spostate in un furgone, dove un prigioniero israeliano le ha insultate e minacciate di aggressione fisica.

Il 1° luglio sono state rilasciate su cauzione. Il 4, tuttavia, è stato emesso nei loro confronti un provvedimento di “arresti domiciliari parziali” veramente particolare: il divieto di lasciare la loro abitazione tra le 9 e le 17 del venerdì, ossia quando ha luogo la protesta settimanale degli abitanti di Nabi Saleh.

Nariman Tamimi ha già subito arresti e irruzioni nell’abitazione di famiglia. Suo marito Bassem è stato arrestato almeno due volte.

Suo fratello Rushdi è morto nel 2012, due giorni dopo essere stato colpito alle spalle dai proiettili dei soldati israeliani, nel corso di una manifestazione. Secondo le testimonianze degli abitanti di Nabi Saleh, l’esercito israeliano ritardò l’arrivo dei soccorsi.

(Il Fatto)


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