La Comunità per L'Ulivo, per tutto L'Ulivo dal 1995
FAIL (the browser should render some flash content, not this).

Una lettura keynesiana della crisi

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda ranvit il 16/05/2013, 7:56

:D :D :D



http://www.repubblica.it/economia/2013/ ... ref=HREA-1

La Merkel cambia rotta: il rigore non basta più

L'Europa in crisi contagia la Germania. La processione a Berlino di capi di governo che chiedono una nuova politica e i moniti di Draghi stanno facendo breccia a Berlino. La nuova parola d'ordine sarà "competitività" di ANDREA BONANNI


Pil Italia, sette trimestri in calo: è record.
La Francia torna in recessione


"La Slovenia non è Cipro, si salva da sola"
Il premier Bratusek ristruttura le banche


Pagni: ''L'economia soffre, le Borse volano''

BERLINO - La Germania è pronta a rivedere le sue posizioni sull'austerità e a dare priorità alla crescita, attraverso aumenti di competitività. Un'evoluzione figlia della crisi di molti Paesi europei, strozzati dalla 'cura Merkel' del consolidamento dei conti pubblici.

La convinzione che il rigore non abbia pagato ha ormai fatto breccia nel governo tedesco. Un cambio di paradigma che arriva in ritardo perché nella logica tedesca il consolidamento dei conti pubblici e il varo di riforme strutturali vanno di pari passo. Per aggiustare i conti pubblici, si erano detti a Berlino, saranno costretti a tagliare le spese inutili e dunque a migliorare la propria competitività. Ma nei Paesi in crisi non è successo perché i governi, ostaggio delle potenti corporazioni nazionali, hanno preferito alzare le tasse, non pagare i fornitori e perdere posti di lavoro piuttosto che tagliare le spese e andare a colpire interessi costituiti che controllano le chiavi del successo elettorale.

Naturalmente questa virata di bordo non significa che il governo tedesco abbia abbandonato la via del rigore e sposato una politica di deficit spending. Ma la relativa calma dei mercati finanziari, che hanno allentato la pressione sugli spread, induce anche i vertici di Berlino ad una visione più serena del problema.

L'ARTICOLO COMPLETO SU REPUBBLICA IN EDICOLA O REPUBBLICA+
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
ranvit
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 10669
Iscritto il: 23/05/2008, 15:46

Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda franz il 16/05/2013, 8:32

Ma nei Paesi in crisi non è successo perché i governi, ostaggio delle potenti corporazioni nazionali, hanno preferito alzare le tasse, non pagare i fornitori e perdere posti di lavoro piuttosto che tagliare le spese e andare a colpire interessi costituiti che controllano le chiavi del successo elettorale.

Ma questi paesi come possono aumentare la propria competitività, se sono veramente ostaggio delle potenti corporazioni nazionali? Occhio che si dice "il rigore non basta" ma non "basta rigore", è detto anche chiaramente nell'articolo (tanto per disinnescare facili entusiasmi). Il rigore è la base, poi servono le riforme (quelle che anche Ranvit dice che qui non si voglioni fare). Si dice "dare priorità alla crescita, attraverso aumenti di competitività" ed io credo che non tutti abbiano capito cosa intende Merkel. Loro i tedeschi la competitività ce l'hanno e possono aumentarla. Noi no, perché abbiamo le "potenti corporazioni nazionali". Merkel ci sta dicendo che visto che la germania cala nella crescita per colpa dei governi ostili al rigore (o che lo hanno interpretato come alzare le tasse invece di abbassare le spese) chi puo' risponderà con piu' competitività. E per chi è poco competitivo le cose si metteranno ancora peggio. L'approccio è competitivo non cooperativo.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda flaviomob il 18/05/2013, 2:14

La crisi si risolve con la democrazia
di PierGiorgio Gawronski | 17 maggio 2013

Due anni fa di questi tempi pranzavo con un alto dirigente pubblico, economista, di area Pd, già vicino a Veltroni. Parlavamo di economia. Facevo presente come il rialzo dei tassi d’interesse, in corso, reagiva a un rialzo transitorio dell’inflazione, e deprimeva inutilmente l’economia europea. La Bce, ignorando la stabilità della ‘core inflation’, stava ripetendo lo stesso errore del luglio 2008, rischiando di provocare una crisi finanziaria del debito sovrano. Facevo inoltre presente che l’austerità che investiva l’Europa era autolesionista: avremmo dovuto fare come Obama.

Il mio commensale riteneva invece ‘naturale’ per una banca centrale reagire all’inflazione. Quanto agli Usa, il loro deficit pubblico, intorno al 12% del PIL, era ‘una follia’ irresponsabile, i cui risultati catastrofici si sarebbero visti nel giro di due o tre anni. Questa discussione è simile a molte altre avvenute fra economisti keynesiani e liberisti in questi anni. Ora abbiamo i dati. Vediamo com’è andata.

Metto a confronto tre paesi che all’inizio della crisi si trovavano in condizioni simili di finanza pubblica. Il primo, gli Usa, ha una sua moneta e una banca centrale non liberista che ha attuato politiche monetarie espansive. Inoltre ha realizzato un moderato stimolo di bilancio: quando il deficit è schizzato all’8% a causa della crisi, invece di fare austerità ha aumentato la spesa pubblica e ridotto le tasse, portando il deficit oltre il 10%. Il secondo paese è il Regno Unito: come gli Usa, ha una moneta e una banca centrale indipendente, non troppo liberista. Ma nel 2010 il governo conservatore ha impresso al bilancio una svolta di austerità: meno spesa pubblica. Il terzo paese, la Spagna, non ha sovranità monetaria; la Bce ha una visione ‘liberista’ della politica economica. E i Trattati Europei le hanno imposto fin dall’inizio politiche di bilancio restrittive.

Risultati. Com’è noto, negli Usa la disoccupazione è al 7,5%, in Europa è al 12,1%, in Spagna al 28%: moltissimi paesi Europei sono oggi in profonda sofferenza. Ma com’è andato il risanamento fiscale? Vediamo. Intanto i tassi d’interesse Usa sono sempre rimasti bassissimi, né c’è mai stata traccia del panico finanziario che ha travolto l’Europa. Perciò non è vero che i mercati finanziari vogliono l’austerità.

La tabella qui sotto mostra i deficit pubblici. La Spagna ha subito cercato di contenere i deficit, senza fare molto meglio degli Usa. All’epoca, due punti di deficit in meno sembravano importanti. Con il passare del tempo, tuttavia, la contrazione della base imponibile ha impedito alla Spagna di rispettare i programmi di rientro. Gli Usa viceversa sembra che non facciano nulla per correggere il deficit: tuttavia nel 2012 c’è il sorpasso nei confronti della Spagna. Il deficit spagnolo nel 2012 sarebbe anzi 10,4%, ma ho escluso il costo del salvataggio delle banche.

Quanto al Regno Unito, fino al 2010 evita le politiche di austerità e ritrova la crescita, più o meno in linea con gli Usa. Ma nel 2010 Cameron impone l’austerità: il deficit 2011 scende al 7,9%. È una scelta lungimirante? Nonostante la svalutazione della sterlina e il quantitative easing della Bank of England, l’economia va in stallo, le prospettive della finanza pubblica precipitano: e nel 2012 anche l’Uk subisce il sorpasso Usa.

Il grafico qui sotto mostra l’andamento del debito pubblico nei tre paesi considerati. Debito pubblico? Non proprio. È il rapporto fra Debito e Pil! I valori decisivi sono due! Il grafico mostra come l’austerità spagnola riesca in un primo tempo a contenere l’aumento del Debito/Pil più degli Usa, a prezzo di grandi sacrifici. Ma nel lungo termine la ‘follia’ degli Usa paga, grazie all’aumento del Pil. Il grafico riporta le previsioni ufficiali: ma le stime Usa continuano ad essere riviste in meglio, le stime della Spagna in peggio. Vedremo.

Conclusione: gli Usa hanno battuto la crisi fiscale con politiche monetarie e fiscali espansive. L’Uk ha limitato i danni dell’austerità grazie alle politiche monetarie espansive. La Spagna del rigore è andata peggio di tutti, anche per il rifiuto della Bce di fare il prestatore di ultima istanza.

Il mio commensale fa parte di quell’élite che dirige il paese, interviene, pontifica, fa e disfa. Pur avendo dimostrato la propria inadeguatezza di fronte alla crisi, non pensa affatto di avere delle responsabilità. Il nostro fallimento io lo riconduco alla mancanza di democrazia: l’élite non si discute. Prendete Napolitano: ha sbagliato tutto, ma non ne ha colpa. Nel 2011 ha sostituito un governo Berlusconi disastroso con un governo di alto profilo, ma ha scelto per presiederlo l’economista più noto, quello sbagliato. Il Presidente si consulta con la Banca d’Italia, l’Istat, la Bce, cioè con i vertici istituzionali. Che lo han consigliato male! Ora, Letta e le larghe intese sono il frutto dell’assenza di una visione alternativa su come sia davvero possibile uscire dalla crisi presto e bene. Ciò chiama in causa i media: Floris, Vespa, Santoro… che invitano sempre quelli che hanno sbagliato tutto, senza un minimo di controllo di qualità. E il Pd: ormai unico baluardo italiano a difesa delle regole suicide dell’Eurozona. E il M5S: che non ha dato spazio politico a questa visione alternativa. E la Bce, la peggiore banca centrale del mondo.

In democrazia – non solo in democrazia – un’élite che presenti risultati così devastanti sarebbe derisa, dileggiata, e cacciata via su due piedi. Ma non per essere sostituita dal primo che passa… Da noi invece l’élite non si critica, se non con il dovuto garbo e una cortina fumogena davanti. Così essa può continuare a celare la sua incompetenza. Nel film 11 Settembre 1683 un principe cristiano chiede al re di Polonia: “Ma perché insistete nel volere il comando?” E il re risponde: “Perché io so come vincere questa battaglia”. Questa è l’unica scusante, l’unica giustificazione morale dei privilegi del potere. In caso contrario il potere è moralmente illegittimo.

(sul sito sono presenti i grafici di riferimento)

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05 ... ia/597071/


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda franz il 18/05/2013, 7:43

Mi sembra che un economista, non importa di quale orientamento "scolastico" non dovrebbe confondere USA e OK, che sono potenze industriali e commerciali, con la Spagna, il cui unico supporto al PIL prima della crisi era una bolla immobiliare.
Piuttosto avrei preso come termine di paragone la Svezia.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda flaviomob il 19/05/2013, 15:48

Paul Krugman: “L’Italia con l’euro si è ridotta ad un paese del Terzo Mondo”

Scritto da: Valerio Spositi in Economia, L'indebitato, Politica Internazionale 17 novembre 2011

Stavolta non sono i soliti “complottisti”, come ormai è solito definire chi racconta fatti e notizie diverse da quelle trasmesse come un mantra dal mainstream globale, a dire che l’euro non è stato un successo. Anzi. La voce che si leva contro la moneta unica viene dal Premio Nobel per l’Economia, nel 2008, Paul Krugman.

Egli in suo articolo sul New York Times dell’11 Novembre 2011, spiega che “questo [la crisi dei debiti europei, ndr] è il modo in cui l’euro finisce. Non molto tempo fa, i leader europei insistevano che la Grecia avrebbe potuto e dovuto rimanere nell’euro mentre pagava interamente il suo debito. Ora, con la caduta dell’Italia da una rupe, è difficile vedere come l’euro può sopravvivere a tutto ciò.”

Krugman continua la sua analisi, smontando quella che è la favola dell’enorme spesa pubblica per il welfare state. Infatti, dice il Premio Nobel, “è vero che tutti i paesi europei hanno più benefici sociali – includendo l’assistenza sanitaria universale – e una spesa pubblica più alta dell’America. Ma le nazioni che ora sono in crisi non hanno un welfare più grande rispetto a quei paesi che invece stanno andando bene. La Svezia, con i suoi famosissimi benefici sociali, è una grande performer, ovvero uno dei pochi paesi il cui PIL è ora più alto rispetto a quanto era prima della crisi. Nel frattempo, prima della crisi, la spesa sociale – spesa sui programmi di welfare – era stata inferiore rispetto al reddito nazionale, in tutte le nazioni ora in difficoltà, rispetto alla Germania, per non parlare della Svezia.”

Questo penso dovrebbe essere sufficiente a smentire le analisi qualunquistiche che sentiamo spesso quando si parla di spesa sociale, ovvero pensioni, sanità ecc… come causa assoluta della crisi e che quindi deve essere tagliata.

“La crisi dell’euro - continua Krugman - non indica nulla sulla sostenibilità dello stato sociale. Ma sarà il caso di stringere la cinghia in un’economia depressa?”
La risposta che da Krugman è in completo disaccordo rispetto a quello che la Troika (FMI, BCE, UE) aveva imposto alla Grecia prima e all’Italia ora, ovvero le misure di austerity.
Krugman infatti spiega che “l’austerità è stata un fallimento ovunque essa è stata applicata: nessun paese con debiti importanti, diciamo, è riuscito a tagliarli tornando così nelle grazie dei mercati finanziari”.

Ed ecco che, infine, il Premio Nobel distrugge completamente il castello del miracolo dell’euro, tanto osannato da Prodi, Padoa-Schioppa ed altri neoliberisti schierati senza problemi nelle file del centro-sinistra.
“Quello che è successo - spiega - è che entrando nell’euro, la Spagna e l’Italia hanno ridotto loro stessi a paesi del Terzo Mondo, che prendono in prestito la moneta di qualcun’altro, con tutte le perdite di flessibilità che tale operazione comporta. In particolare, siccome i paesi dell’area euro non possono stampare moneta neanche in casi di emergenza, sono soggetti a interruzioni di finanziamenti, a differenza dei paesi che invece hanno mantenuto la propria moneta. Il risultato è quello che abbiamo tutti sotto gli occhi.”

A buon intenditor poche parole…

http://www.qualcosadisinistra.it/2011/1 ... rzo-mondo/


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda flaviomob il 27/05/2013, 12:00

Le ipocrisie di Confindustria
Pubblicato da keynesblog il 27 maggio 2013 in Economia, Italia

Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi lancia l’allarme sul “baratro” economico e chiede una grande alleanza pro-impresa. Per continuare le stesse politiche che hanno portato al disastro

di Mario Pianta, da Sbilanciamoci.info

Era il 17 marzo del 2001, Confindustria aveva radunato 4800 imprenditori a Parma per incoronare Silvio Berlusconi come proprio candidato alle elezioni di maggio, quando fece a pezzi Francesco Rutelli. Il capo degli industriali era uno dei peggiori, Antonio D’Amato, e presentò un progetto di centralità dell’impresa fondato su sgravi fiscali, flessibilità, precarizzazione del lavoro. Silvio B. lo definì “la fotocopia di un programma di governo, quello che noi presenteremo agli italiani”. Da allora, quasi tutto di quel programma è stato realizzato – solo la riduzione della tutela dal licenziamento, fermata dall’enorme manifestazione Cgil del 2002, ha dovuto aspettare l’arrivo del governo Monti e i voti del Pd per essere introdotta l’anno scorso.
Confindustria aveva rinnovato l’invito a Berlusconi a Parma il 10 aprile 2010, davanti a 6000 imprenditori, un record di partecipazione. Allora Silvio B. – fresco vincitore del voto del 2008 – le aveva sparate grosse. “Non siamo un paese in declino” e i conti pubblici italiani “sono in ordine grazie a Tremonti”. L’anno prima, nel 2009, la recessione aveva tagliato il Pil italiano del 5,1%, ma gli industriali avevano applaudito Silvio B. che annunciava che non dobbiamo “farci toccare dal pessimismo e dal catastrofismo”.
Ora il catastrofista siede al vertice di Confindustria, si chiama Giorgio Squinzi e pochi giorni fa ha dichiarato che “il Nord è sull’orlo di un baratro” – il Sud vi è precipitato da decenni, ma questo allarma assai meno l’assemblea degli industriali. Lacrime di coccodrillo o retorica dell’emergenza? “Ci aspetta un grande impegno comune: fare una nuova Italia, europea, moderna aperta”, una grande alleanza col governo delle già larghissime intese. Ma contro chi? Contro il fisco, le banche che non danno soldi, il costo del lavoro (proprio così) a livelli insostenibili. Concorda il presidente del consiglio Enrico Letta, che dichiara di essere “dalla stessa parte” delle aziende. Soddisfatti i sindacati.
E’ possibile che i fatti – per non parlare delle responsabilità per le politiche passate – siano così completamente rimossi dai discorsi dell’élite economica e politica di questo paese? Dall’inizio della crisi nel 2008 al 2012 il Pil italiano è crollato dell’8%, la produzione industriale – quella che interessa a Squinzi – di oltre il 20%, gli investimenti – quelli che dovrebbero fare i suoi associati – del 17%. L’Italia è passata nella serie B del sistema produttivo europeo per effetto delle politiche dei governi di centro-destra e di larghe intese e per effetto delle scelte delle imprese italiane di arricchirsi con la finanza, abbandonare innovazione e ricerca, vendere e chiudere gli impianti. Solo in Svizzera ci sono 150 miliardi di euro di capitali italiani trasferiti clandestinamente; se solo il 10% rientrasse in Italia per essere investito dagli associati di Confindustria, la ripresa invocata da Squinzi sarebbe immediata. E’ tragico che non ci sia un ministro, un politico, un sindacalista che offra questa replica, mentre un italiano su sei non trova – o sta perdendo – il lavoro.

http://keynesblog.com/2013/05/27/le-ipo ... industria/


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda flaviomob il 28/05/2013, 13:36

Reinhart & Rogoff attaccano Krugman ma inciampano nei dati sull’Italia
Pubblicato da keynesblog il 28 maggio 2013 in Economia, Italia, Teoria economica

rr

Si infiamma la polemica tra Paul Krugman da una parte e Reinhart e Rogoff dall’altra. Al centro della discussione, proprio il nostro paese. Pubblichiamo un articolo comparso sul sito del Center for Economic and Policy Research di Washington.

di David Rosnick da Cepr.net

Carmen Reinhart [e Kenneth Rogoff]- quella del famigerato errore con Excel – ha scritto una lettera aperta a Paul Krugman evidenziando il suo “comportamento spettacolarmente incivile” e che la sua “caratterizzazione del nostro lavoro è selettiva e superficiale”. [Reinhart e Rogoff si riferiscono specialmente a questo articolo di Krugman, ndr] In particolare, Reinhart risponde a Krugman sull’Italia:

“Tuttavia, [il calo dei tassi di interesse nell' "Italia ad alto debito"] ha significato rinforzare il tuo punto di vista, fortemente sostenuto, circa il fatto che l’elevato debito non è un problema (anche per l’Italia) e che la causalità va esclusivamente dalla crescita lenta al debito. Non menzioni che in questa miracolosa economia il PIL è diminuito di oltre il 2 per cento nel 2012 e si prevede una riduzione di una quantità analoga quest’anno. Altrove hai affermato che sei sicuro che il problema secolare della crescita del rapporto debito/pil, che risale agli anni ’90, è puramente un caso di crescita lenta che causa debito elevato. Questa affermazione è molto discutibile.”

Infatti, Reinhart recentemente ha citato l’Italia come esempio di un “più recente episodio di balzo del debito pubblico”. Ella cita un altro paper per rinforzare sua affermazione sul fatto che le prove dimostrano che la direzione di causalità va dall’alto debito al rallentamento della crescita. Ma persino un esame superficiale dei dati smentisce questo argomento.

La Figura 1 mostra i dati dal paper di Reinhart nel Journal of Economic Perspectives e mostra molto chiaramente che l’Italia incrementa il suo debito dopo che la crescita è rallentata in modo significativo, non il contrario. Infatti, quando la crescita è rallentata nel 1974, il debito/PIL in Italia era solo il 41,3 per cento. L’Italia non ha raggiunto il 90 per cento dil debito/PIL fino al 1988, circa 14 anni dopo.
image1

Figura 1: Indice del PIL reale (Italia dal 1947) (log) Fonte: Reinhart, Reinhart e Rogoff e calcoli dell’autore. Nota: gli anni specificati indicano il primo anno di un episodio ad alto debito (vedi Reinhart, Reinhart and Rogoff)

Infatti, vi è una chiara associazione nei dati del dopoguerra in Italia tra alto debito e crescita lenta, ma essi raccontano chiaramente una storia molto diversa da quella che Reinhart vorrebbe farci credere.

Nel 1947-1974 la crescita economica reale in Italia in media è stata del 5,8% l’anno. Nel corso del periodo 1975-1988 (quando il debito in Italia è cresciuto dal 41,3% al 90,9% del PIL), la crescita economica media è stato solo del 2,7% l’anno, un calo di 3,2 punti percentuali. E’ chiaro, sulla base dei dati di Reinhart, che il debito elevato non avrebbe potuto causare questo rallentamento della crescita economica in Italia, anche se il periodo di basso debito in Italia è associato ad una crescita molto più veloce.

Né l’Italia è l’unico esempio. In tutti e quattro gli esempi recenti di paesi avanzati con episodi di alto debito, il rallentamento precede l’aumento del debito.
image2

Figura 2: Indice reale del PIL dal 1947 (log). Fonte: Reinhart, Reinhart e Rogoff e calcoli dell’autore. Nota: gli anni specificati indicano il primo anno di un episodio ad alto debito (vedi Reinhart, Reinhart and Rogoff)

Anche se meno ovvio, per il Belgio la maggior parte dell’incremento del debito/PIL è avvenuto negli anni ’80 ed è stato in gran parte il risultato di una discontinuità nelle serie dei dati. Secondo i dati sul sito web di Reinhart e Rogoff, il debito pubblico lordo del Belgio era il 62,5% del PIL nel 1970 e la caduta (il debito/PIL si attesta al 57,8% nel 1974, il PIL reale ha raggiunto il picco quell’anno). Tuttavia, dal picco del PIL reale nel 1948 al picco nel 1974, la crescita economica media in Belgio è stata del 4,2% l’anno. Quando l’economia ha toccato il fondo nel 1975, il debito era solo il 54,4% del PIL e non ha raggiunto il 90% fino al 1983. E nel 1975-1983 la crescita media è stata solo il 2,2 per cento all’anno. Per gli altri paesi, è ancora più evidente che le economie hanno rallentato ben prima di raggiungere alti livelli di debito.

Chiaramente, Reinhart dovrebbe guardare con attenzione ai propri dati prima di scagliarsi contro Krugman.

Grafici su:

http://keynesblog.com/2013/05/28/reinha ... m=facebook


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda trilogy il 28/05/2013, 16:57

E' un dibattito po' sterile. Gli economisti americani hanno una tendenza a pensare che la crescita economica sia facile e naturale e dipenda sostanzialmente da uno, o comunque pochissimi fattori validi universalmente e in qualsiasi epoca. Di conseguenza vanno alla ricerca di questa pietra filosofale e la trovano in qualche serie storica di dati. Ora, se prendi un campione di dati abbastanza ampio, una qualche correlazione statistica tra un fattore A e un fattore B la trovi sempre. Poi con una valutazione ex-post stabiliscono che la regola aurea è quella. Bene! Allora tu gli chiedi <<in base alla tua legge del piffero quale saranno nei prossimi dieci anni i 10 paesi che registreranno le migliori performances economiche a livello globale?>> Dopo dieci anni vai a controllare e se ne hanno azzeccato uno su 10 sei fortunato. :mrgreen:
Avatar utente
trilogy
Redattore
Redattore
 
Messaggi: 4746
Iscritto il: 23/05/2008, 22:58

Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda franz il 28/05/2013, 18:32

Gli amici di lavoce.info la pensano diversamente da quanto riferito dai blog keynesiani.

http://www.lavoce.info/e-la-crisi-non-l ... -pubblici/
È la crisi, non l’austerità la causa dei debiti pubblici

In una recente intervista, il vice ministro dell’Economia Stefano Fassina ha dichiarato che l’austerità “ha fatto salire i debiti pubblici in Europa dal 60 al 90 per cento del Pil”. Quella del vice-ministro è un’opinione diffusa. Ma non è confermata dai dati Eurostat disponibili.

DaveriFonte: Eurostat

Immagine

I DEBITI PUBBLICI SONO ESPLOSI CON LA CRISI

Alla fine del 2007, cioè prima della crisi attuale, il debito pubblico era mediamente il 66,4 per cento del Pil nei 17 paesi della zona euro. I debiti pubblici della Germania e della Francia erano vicini alla media euro. L’Italia aveva un debito già superiore al 100 per cento del Pil, pari al 103 per cento del Pil.
Già nel 2010, tuttavia, il debito dei paesi dell’eurozona era salito di quasi 20 punti percentuali, fino all’85,4 per cento del Pil. E fino al 2010 di austerità non si era visto molto, almeno nei più grandi paesi dell’eurozona. Erano gli anni in cui il ministro Tremonti si vantava di non aver fatto macelleria sociale. In effetti, a seguito della crisi 2008-09 e del drammatico crollo dei fatturati aziendali del 2009, un po’ ovunque - molto meno in Italia – sono stati messi in pratica massicci salvataggi con fondi pubblici e sono stati attuati aumenti di spesa pubblica non coperti da paralleli aumenti di imposta, il che, insieme con il crollo della crescita, ha accresciuto deficit e debiti in rapporto al Pil. E così, tra il 2007 e il 2010, in Germania, Francia e Italia il debito è salito di circa 17 punti, fino ad arrivare all’82 per cento del Pil in Francia e Germania e al 119 per cento in Italia.

L’AUSTERITA’ FISCALE HA INCISO POCO SUI DEBITI

L’austerità fiscale è entrata davvero nei bilanci pubblici dei grandi paesi europei a partire dai dati 2011. L’austerità fiscale aveva l’obiettivo di frenare l’aumento del numeratore del rapporto debito-Pil, ma ha anche prodotto effetti negativi – di entità superiore alle attese dei più e soprattutto del Fondo Monetario – sul denominatore del rapporto. Il risultato è che, dal 2010 il debito pubblico nell’area euro nel suo complesso è salito mediamente di cinque punti percentuali, dall’85,4 al 90,4 per cento di fine 2012. In Germania il debito pubblico in rapporto al Pil si è fermato a quota 82, in Francia è salito a 90 mentre in Italia è esploso al 127 per cento del Pil. Nei bilanci di tutti i paesi pesa l’austerità fiscale che ha contribuito, assieme all’incertezza sulle prospettive future, a far scendere il Pil e a causare o almeno peggiorare la recessione 2011-12. Ma sull’accumulo di debito pubblico pesano anche, e per parecchi punti di Pil, i salvataggi europei nei confronti dei paesi indebitati come Grecia, Portogallo e Irlanda. Ad esempio, per l’Italia, il costo dei contributi al fondo salva-stati è stato pari al 2,7 per cento del Pil nel solo 2012.
In sintesi, al contrario di quanto afferma il vice ministro dell’Economia, l’aumento di 24 punti nel rapporto debito-Pil nell’euro zona rispetto ai livelli pre-crisi ai livelli di oggi è spiegato per circa quattro quinti dalla crisi 2008-09 che ha fatto crollare il Pil di tanti paesi europei e dalle risposte keynesiane alla crisi post Lehman – legittime ma costose in termini di finanza pubblica – e solo per un quinto – o meno – dalle politiche di austerità fiscale che sono state adottate più di recente. Non è stata l’austerità fiscale ma la crisi economica a far esplodere il debito pubblico dell’Europa. Le politiche di austerità e i loro effetti recessivi sono arrivate dopo, per mettere una pezza forse inevitabile ma poco riuscita su un buco che stava diventando troppo grande.


Francesco Daveri: Francesco Daveri insegna Scenari Economici presso l’Università di Parma. E’ anche docente nel programma MBA della SDA Bocconi. Ha svolto attività di consulenza per la Banca Mondiale, la Commissione Europea e il Ministero dell’Economia. La sua attività di ricerca riguarda la relazione tra le riforme dei mercati, l’adozione delle nuove tecnologie e l’andamento della produttività aziendale e settoriale in Italia, Europa e Stati Uniti. Il suo libro più noto è Centomila punture di spillo (scritto con Carlo De Benedetti e Federico Rampini, Mondadori 2008). Scrive sul Corriere della Sera. Segui @fdaveri su Twitter oppure su Facebook
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda flaviomob il 15/06/2013, 18:31

LA SPESA PUBBLICA? E’ SOTTO LA MEDIA UE
Tg3 Linea Notte

E’ opinione comune che la spesa pubblica italiana sia “abnorme”, e che si possa quindi ridurla facilmente per favorire un calo delle imposte. In realtà la spesa pubblica italiana totale è sostanzialmente in linea con la media europea: alla fine del 2012 ammontava al 50,6% del Pil, a fronte del 49,9% della media della zona euro. Si tratta di un dato inferiore rispetto al 60% della Danimarca, al 57% della Francia, al 56% della Finlandia, al 52% della Svezia, al 51% dell’Austria e ai livelli di spesa di diversi altri paesi dell’Unione. Se poi guardiamo alla spesa pubblica al netto degli interessi, in Italia questa ammonta al 45,2% del Pil, addirittura un punto e mezzo al di sotto della media dell’eurozona. Si tratta di un livello ancor più basso rispetto a molti dei principali paesi europei, che si situa persino al di sotto del 45,5% fatto registrare dal Regno Unito. A commento del dibattito politico in corso su IMU e IVA, ne discutono Alessandro De Nicola (Adam Smith Society) ed Emiliano Brancaccio (Università del Sannio). Conduce Maurizio Mannoni

http://www.emilianobrancaccio.it/2013/0 ... -media-ue/


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

PrecedenteProssimo

Torna a Economia, Lavoro, Fiscalità, Previdenza

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 4 ospiti