da pierodm il 23/12/2008, 16:01
Guido
I cittadini, le persone, non sono tutte uguali, sia in un piccolo villaggio, sia - tanto più - in una nazione di sessanta milioni di persone.
Quindi esiste una differenza tra diversi gruppi, oltre che tra individui.
Immaginare un livello minimo di moralità - oltre che di tante altre virtù - è non solo lecito, ma estremamente suggestivo nella sua bellezza: ma irrealistico.
Quello che io, però, mi auguro è che ognuno pensi che la propria parte sia migliore di quella avversa, e che la sostenga e la voti per questo motivo: ciò garantirebbe, almeno, che esista una "illusione condivisa", con tutti gli evidentissimi limiti, ma anche con il modesto valore positivo di una tale illusione.
Se gli elettori di questa destra coltivassero questa illusione - questa convinzione - sarebbe già una buona base di partenza per poter dialogare, discutere e magari anche litigare con qualche utilità.
Invece - oltre alle mie personali constatazioni - ricordo bene una lettera che un elettore berlusconiano scrisse a Scalfari, una decina d'anni fa: "so benissimo che Berlusconi è un traffichino, ed è probabilmente tutto quello che Lei dice, caro direttore, ma io l'ho votato perché penso che possa combinare comunque qualcosa di utile", questa la sostanza della lettera.
Naturalmente, si sta parlando di una convinzione poggiata su elementi politici, e non sul fatto che un leader faccia simpaticamente cucù, o un partito sia affollato di soubrettes.
Però non capisco la ragione per cui sembri così necessario smontare ad ogni costo una realtà, diciamo così, "storica", circa quel "popolo intelligente" della sinistra, come l'ha definito PP Pasolini.
E non capisco perché s'insiste a definire "morale" una diversità che era - come la definizione stessa indica - di natura molto più complessa, e molto più politica e intellettuale, dove per "intellettuale" non s'intende soltanto l'appartenenza alla sinistra della gran parte degli intellettuali di mestiere, ma anche e soprattutto una tendenza a "riflettere" sulle vicende politiche, a "imparare" andando faticosamente al di là dei propri limiti culturali e del proprio orizzonte immediato, a rispettare quello che da altre parti veniva chiamato il "culturame", da parte di persone e classi sociali che fino a quel momento erano state più plebe che popolo, più sudditi che cittadini.
Potrei portare esempi familiari, ma ve li risparmio: quest'accenno vale solo per dire che non parlo per sentito dire, o in preda a vaghe e offuscate nostalgie, ma per esperienze vissute da vicino, che penso però debbano appartenere a tutti - o almeno a tutti coloro che non vogliono riscrivere la storia secondo di come fa comodo nell'attuale.
Anzi, credo proprio che una corretta rilettura del corso delle cose, sia molto utile - diciamo pure necessario - per capire il presente, specialmente in questa sinistra (...?) alla quale abbiamo giustamente intitolato il forum con il sottotitolo riferito alle "radici", ossia al concetto di continuità - o discontinuità.
Comunque - in omaggio alla sempre latente richiesta di "concretezza" e lasciando da parte il discorso sulle "radici" - una domanda s'impone: che si fa, se non c'è questo standard condiso di moralità pubblica? Come vogliamo considerare quel gran numero di elettori che votano Berlusconi, nonostante i sui conflitti d'interesse, i suoi cucù, le sue infelicissime esternazioni, e anzi non solo lo votano ma lo adorano?