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Sulla tremenda minaccia dell’inglese all’università

Dall'innovazione tecnologica alla ricerca, vogliamo trattare in particolar modo i temi legati all'ambiente ed alla energia, non solo pero' con uno sguardo puramente tecnico ma anche con quello politico, piu' ampio, di respiro strategico

Sulla tremenda minaccia dell’inglese all’università

Messaggioda franz il 26/05/2013, 20:17

Il PD alla ricerca dell’anima


C’era una volta un paese strano, che si piccava di essere quinta, sesta o settima economia mondiale (sempre più in giù), ma dove i giovani non avevano vita facile. La disoccupazione giovanile sfiorava il 40%, nonostante quasi mezzo milione di giovani nell’ultimo decennio il lavoro fossero andati a cercarselo all’estero e molti altri il lavoro nemmeno lo cercavano, o si trattenevano tra le aule dell’università ben oltre i canonici cinque anni necessari per terminare i corsi.

Tutti parlavano di crescita, investimenti e ripresa. Tutti li volevano, ma non arrivavano. Chi possedeva capitali li portava piano piano all’estero e ben pochi si sognavano di venire a investire qui. Tra i tanti ostacoli agli investimenti, qualcuno faceva notare che forse il divario nella conoscenza dell’inglese rispetto agli altri paesi, da tutti riconosciuto ma trattato con un’inconcepibile autoindulgenza, forse c’entrasse qualcosa. Nell’economia globalizzata e iperconnessa, chi si sarebbe sognato di basare la propria attività in questo paese se nemmeno la forza lavoro più giovane, quella che dovrebbe essere più dinamica e al passo con i tempi, faticava a comunicare con il resto del mondo? Doveva aver pensato così anche il professor Giovanni Azzone, rettore di una rinomata scuola d’ingegneria e architettura, il quale un giorno decise che, nel suo istituto, le lauree specialistiche, età d’ingresso anni 22, sarebbero state esclusivamente in inglese. Una scelta per preparare gli studenti al mondo del lavoro globale e attrarre qualche brillante studente dall’estero, magari un geniale ingegnere indiano o africano che inventerà qualcosa di buono o creerà ricchezza in questo paese.

Insomma, deve aver pensato il rettore, in questo paese lo studio dell’inglese è obbligatorio dalla prima elementare. I ragazzi lo studiano cinque anni alle elementari, tre alle medie e altri cinque alle superiori e lo Stato per tutti questi anni paga docenti per insegnare la lingua. Arrivati a 22 anni, degli aspiranti ingegneri dovrebbero sapere l’inglese necessario per affrontare un corso . Da lì, un’esperienza di studio completamente in inglese è il primo passo per una carriera in un mondo del lavoro che assume tutta un’altra dimensione se l’inglese lo si sa per davvero, un primo passo per uscire dall’incubo del 40% di disoccupazione giovanile. Già sentivo applausi e complimenti per l’innovativo e lungimirante rettore.

Invece no. Colleghi professori in rivolta, e ben 150 di essi adiscono le vie legali. « Decisione sciagurata: insegneremo da handicappati a handicappati » proclama tale prof. Matricciani, insolito Masaniello in questa bizzarra crociata. Parli per sé, verrebbe da dire. Si schierano contro anche altri illustri professoroni, linguisti che prendono fior di soldi pubblici per una fantomatica « salvaguardia della lingua nazionale» e il solito premio Nobel che si sente in diritto di sentenziare su tutto. « Scelta di retroguardia ». « Declino della lingua nazionale ». Come se uno dimenticasse la sua lingua madre dopo qualche corso impartito in lingua inglese.

Circa un anno dopo, con la tradizionale celerità della giustizia in questo paese, arriva la sentenza del tribunale, per la precisione il TAR di Milano: il rettore ha torto! Il testo della sentenza ancora non è stato pubblicato. Da quel che riporta la stampa, le motivazioni della sentenza rasentano la supercazzola, altro patrimonio nazionale questo no, non a rischio. Insegnare unicamente in inglese « incide in modo esorbitante sulla libertà d’insegnamento e sul diritto allo studio » (???). Questi corsi « comprimono in modo non necessario le libertà, costituzionalmente riconosciute, di cui sono portatori tanto i docenti, quanto gli studenti » (ancor più ???). Niente corsi in inglese quindi. Chi se lo può permettere vada a studiare all’estero o in una costosa università privata. Gli altri si godano le libertà e i diritti secondo il TAR di Milano.

Benvenuti in Italia.

http://www.lospaziodellapolitica.com/20 ... niversita/
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Re: Sulla tremenda minaccia dell’inglese all’università

Messaggioda cardif il 26/05/2013, 22:41

Commento al volo, senza prima documentarmi meglio.
Se ho capito bene, il Rettore Azzone del Politecnico di Milano voleva imporre l'uso esclusivo dell'inglese come lingua da usare nel corso di laurea specialistica (biennio superiore)
Il TAR, a seguito di un ricorso, ha deciso che i corsi esclusivamente in inglese "comprimono in modo non necessario..."
Bonzanni, autore del testo, scrive: "Niente corsi in inglese, quindi..." e riporta un link che pero' non rinvia alla sentenza.
Non so, ma non credo che la sentenza escluda la possibilita' di tenere corsi in inglese; forse esclude che vengano tenuti 'solo' in inglese.
Fuksas, con tutte le sue esperienze mondiali, dice: "Troppo radicali, o non facciamo nulla o troppo. Prima c'e' la nostra lingua, poi possiamo impararne altre due o tre.Magari il cinese."
Forse non ha torto.
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Re: Sulla tremenda minaccia dell’inglese all’università

Messaggioda pianogrande il 28/05/2013, 1:43

Il fatto è che, dopo tanti anni di studio della lingua, i ragazzi l'inglese non lo parlano e non lo capiscono.
Questo è il dramma e questa è la fine che fanno i tanti soldi spesi per pagare i docenti e per le strutture.
Detto questo, l'inglese lo parla chi lo ha imparato privatamente e normalmente con corsi e soggiorni all'estero.
Qui sta la discriminazione e l'azione contro il diritto allo studio.
Non conosco nessuno (nessuno) che parli (e capisca) l'inglese per averlo imparato nelle scuole dello stato.
Inutile girargli troppo intorno.
Quei corsi solo in inglese sarebbero stati frequentati da chi ha potuto impararlo al di fuori della scuola pubblica.
Il tribunale ha ragione.
Ha solo preso atto di una realtà.
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Re: Sulla tremenda minaccia dell’inglese all’università

Messaggioda franz il 28/05/2013, 7:53

Chi frequenta una scuola politecnica (e di questo nel concerto concreto stiamo parlando) deve conoscere l'inglese. Ed anche decisamente bene. Gran parte dei libri tecnici è in inglese ed i docenti migliori vengono dal resto del mondo e parlano inglese. Un ingegnere che non conosce l'inglese è assolutamente inconcepibile, oggi. Ed infatti non si puo' accedere al Politecnico di Milano se non si conosce l'inglese. È un prerequisito indispensabile. http://www.polimi.it/studenti/percorri- ... uainglese/ ed anche https://didattica.polito.it/cla/inglese.html e per quanto ne so assolutamente normale per qualsiasi politecnico euroeo o asiatico che già non sia situato in un paese di lingua inglese.

Il problema qui era un altro. Stante il fatto che senza l'inglese al politecnico non entri, il discorso riguarda la possibilità che alcuni corsi oppure tutti siano tenuti in lingua inglese.
Per me iniziare con l'inglese al primo anno pare un eccesso. Ritengo che la soluzione piu' pratica sia iniziare il primo anno del bacelor in italiano, gli altri due del triennnio in parte in italiano ed in parte in inglese mentre il master dovrebbe essere fatto esclusivamente in inglese, compresa la tesi, ovviamente. Stiamo sempre parlando di un Politecnico, naturalmente.

Ora quello che è importante definire è che questo cose dovrebbero essere decise liberamente dall'università nell'ambito della sua autonomia. L'aspetto grottesco da repubblica delle banane è che un TAR entri nel merito di una decisione interna e la sovverta.
Questo è l'aspetto politico da discutere, secondo me.
Ultima modifica di franz il 28/05/2013, 13:38, modificato 1 volta in totale.
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Re: Sulla tremenda minaccia dell’inglese all’università

Messaggioda flaviomob il 28/05/2013, 9:50

L'esigenza del Politecnico meneghino di tenere i corsi (di specializzazione) in inglese ha un fondamento.
Le iscrizioni di studenti stranieri sono salite al 17,8%, molti docenti arrivano (e arriveranno) dall'estero.

Bisogna però anche riconoscere che rispetto alla media nazionale (2,5%) il Politecnico di Milano è già molto avanti. Però introdurre l'obbligo di frequentare corsi del biennio in inglese aumenterebbe il valore aggiunto della laurea anche per gli studenti italiani (in passato molte aziende tedesche erano propense ad assumere ingegneri laureati a Milano, ma pochi sapevano il tedesco; ora immagino che anche in Germania vi siano più possibilità di lavorare anche parlando inglese).

Al Politecnico di Torino vi sono già alcuni corsi esclusivamente in inglese e, dove si mantiene, la possibilità di scelta, chi sceglie quelli in italiano paga tasse più elevate.


http://www.lastampa.it/2013/02/20/cultu ... agina.html

http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=2094

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=AbZOFpMF


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Re: Sulla tremenda minaccia dell’inglese all’università

Messaggioda cardif il 28/05/2013, 10:34

Che una ottima conoscenza dell'inglese sia necessaria in molte occupazioni tra quelle dei laureati ad un Politecnico è indiscutibile.
L'imposizione di tenere corsi in tutte le materie del biennio superiore di Laurea Specialistica (il famigerato 3+2 della riforma universitaria) è stata ritenuta problematica da parte da 150 docenti, che hanno fatto ricorso al TAR.
Trattandosi di un così alto numero di docenti, qualcosa ci dev'essere che non va.
Dalle affermazioni che ho letto la difficoltà sta nel fatto che molti docenti non sono tanto padroni della lingua inglese da poter insegnare la loro materia in questa lingua. E che tanti studenti non lo sono altrettanto da poter seguire profiquamente i corsi.
E questo comporterebbe un abbassamento della qualità dell'insegnamento e, di conseguenza, della preparazione degli studenti.
Per mantenere alto il livello, si dovrebbero sostituire i docenti e far seguire i corsi solo da studenti buoni conoscitori dell'inglese.
Insomma, secondo me il problema c'è. E comunque l'inglese che viene insegnato è già ad un livello mediamente accettabile. Solo chi lavora effettivamente per società estere o all'estero ha bisogno di ulteriore studio per una maggiore padronanza della lingua inglese.
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Re: Sulla tremenda minaccia dell’inglese all’università

Messaggioda pianogrande il 28/05/2013, 12:12

Il problema non può che nascere per il fatto che c'è gente che con l'inglese non ce la fa.
Studenti ed insegnanti.
Questo non può che derivare da corsi che non funzionano seguiti da selezioni che non funzionano.
Sono d'accordissimo anche io che l'inglese in quelle professioni sia indispensabile.
Ho fatto il tecnico per una vita in una grossa fabbrica e per una quindicina di anni ho lavorato per una azienda straniera.
Ci mancherebbe che la pensi diversamente.
Prendo però atto che chi sa l'inglese a livello tale da studiare o lavorare usando quella lingua, lo ha imparato a sue spese e non nelle aule della scuola statale.
Qui sta la discriminazione.
Ripeto.
Se ci sono insegnanti e allievi che non ce la fanno con l'inglese, vuol dire che non funzionano né i corsi né le selezioni.

Stabilire se un tribunale possa metterci il becco è un quesito diffusissimo nel nostro paese.

Pare che i tribunali siano diventati gli affossatori della modernità e della efficienza.

Quale modernità e quale efficienza lo vediamo dal fatto che viene fuori un problema che teoricamente non dovrebbe esistere.
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Re: Sulla tremenda minaccia dell’inglese all’università

Messaggioda trilogy il 28/05/2013, 12:43

Non vedo il problema, chi può va a studiare all'estero gli altri, finita l'università andranno a lavorare al TAR
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Re: Sulla tremenda minaccia dell’inglese all’università

Messaggioda franz il 28/05/2013, 14:00

cardif ha scritto:Dalle affermazioni che ho letto la difficoltà sta nel fatto che molti docenti non sono tanto padroni della lingua inglese da poter insegnare la loro materia in questa lingua. E che tanti studenti non lo sono altrettanto da poter seguire profiquamente i corsi.
E questo comporterebbe un abbassamento della qualità dell'insegnamento e, di conseguenza, della preparazione degli studenti.
Per mantenere alto il livello, si dovrebbero sostituire i docenti e far seguire i corsi solo da studenti buoni conoscitori dell'inglese.

Una precisazione sul "mantenere alto". O basso.
Nelle graduatorie internazionali delle migliori università del mondo (100 nel mondo e 50 europee) il politecnico di milano è 244esimo. Il livello quindi è quello che è. E' risalito parecchio (prima era ancora piu' giu' di 115 posti) ed ora nella graduatoria dei politecnici è almeno nelle prime 50 posizioni (prima era assente anche in quella graduatoria). Infatti è trentunesimo.
Un modo per migliorare la qualità sta appunto nel far venire i migliori docenti (ed ora che la posizione è 31° la cosa è possibile) sostituendo quelli che non sanno parlare bene inglese.
Ma se la sostituzione dei docenti è fondamentale, quella degli studenti no. Loro si adeguano ed imparano. Alla loro età lo possono fare e lo devono fare. Se vogliono studiare ad un politecnico. Si fanno corsi di inglese, dentro l'università. Se poi uno è bravo il master lo puo' fare ovunque, con il modello Bologna.

Poi francamente io non parlerei, relativamente all'università, di "diritto allo studio". Tale diritto c'è nella scuola dell'obbligo.
Se uno vuole fare l'università ha il dovere di studiare e sapere bene tutto quello che è previsto debba studiare. Inglese compreso.
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Re: Sulla tremenda minaccia dell’inglese all’università

Messaggioda flaviomob il 28/05/2013, 14:39

Il diritto allo studio non si limita alla scuola dell'obbligo, si estende a tutto il percorso formativo. E' ovvio che chi prosegue negli studi deve essere meritevole; la Costituzione italiana si fonda sul concetto di diritto-dovere ed è chiaro che il compito dello stato è permettere di studiare fino al percorso universitario a chi, avendo pochi mezzi, è meritevole e dotato.


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