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Diseguaglianza = crisi

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Diseguaglianza = crisi

Messaggioda flaviomob il 18/05/2013, 22:27

Crisi, il 10% delle famiglie possiede metà Italia

Uno studio della Fisac Cgil evidenzia una crescente disuguaglianza:dal 2009 al 2012, un lavoratore ha percepito 104 mila euro. Un amministratore delegato più di 17 milioni.

Aumenta sempre di più la forbice delle disuguaglianze sociali. Il 10% delle famiglie italiane detiene poco meno della metà (47%) della ricchezza totale. Il resto (53%) è suddiviso tra il 90% delle famiglie.

A segnalarlo è la Fisac Cgil, sulla base di uno studio sui salari nel 2012. Una differenza che diventa macroscopica mettendo a confronto il compenso medio di un lavoratore dipendente e quello di un top manager: nel 2012 il rapporto è stato di 1 a 64 nel settore del credito, di 1 a 163 nel resto del campo economico. Nel 1970, sempre secondo lo studio del sindacato del credito della Cgil, tale rapporto era di 1 a 20.

«Qui c'è la vera ingiustizia» commenta il segretario generale della Fisac Agostino Megale. In pratica, in 4 anni, dal 2009 al 2012, un lavoratore in media ha percepito 104 mila euro di salario lordi. Un amministratore delegato(dati riferiti ai primi 10 gruppi per capitalizzazione a piazza Affari), nella media dei 4 anni, ha accumulato invece 17 milioni 304 mila euro, con una differenza a favore di quest'ultimi di 17.200.000. Il rapporto calcola in 26mila euro lordi il salario medio di un dipendente, a fronte dei 4 milioni 326mila euro del compenso medio per un top manager.

Per Megale, i numeri del rapporto sottendono «un distacco enorme che richiede subito una legge che imponga un tetto alle retribuzione dei top manager». Infatti, prosegue, «in questi sei anni di crisi il potere d'acquisto dei salari e delle pensioni si è più che dimezzato mentre non hanno subito alcuna flessione i compensi dei top manager, così come nessuna incidenza ha subito quel 10% di famiglie più ricche, incrementando la forbice delle diseguaglianze». La proposta della Fisac è quindi quella di un'imposta patrimoniale per le famiglie che possono contare su una ricchezza complessiva oltre gli 800mila euro, pari a 1 milione 208.000 famiglie, in pratica la metà del gruppo delle più ricche (2 milioni 400 mila, che possiedono mediamente circa 1.600 mila euro).

Nel 2012 il salario netto mensile percepito da un lavoratore standard è stato pari a 1.333 euro che cala del 12% se si tratta di una dipendente donna, e del 27% se è giovane (973 euro). Per i giovani poi la retribuzione in 10 anni non si è mai accresciuta: mille euro mensili circa in busta paga, immutata dal 2003.

http://www.globalist.it/Detail_News_Dis ... eta-Italia


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
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Re: Diseguaglianza = crisi

Messaggioda mauri il 18/05/2013, 22:58

missione impossibile
le famiglie sono le lobby che comandano e corrompono, famiglie mafiose comprese, chi devono governare la nazione persone elette e fatte eleggere che si vendono per denaro e questa notizia se vera è un semplice esemio
ciao mauri

“Deputati e senatori a libro paga dei produttori di slot-machine”
“Ci sono le multinazionali che ogni mese per mezzo di un loro rappresentante fanno il giro dei palazzi, sia al Senato che Camera, incontrano noi assistenti e ci consegnano dei soldi da dare ai rispettivi senatori e onorevoli”. F.Roma: “A che titolo?”, assistente senatore: “Per far sì che quando ci sono degli emendamenti da votare in commissione in aula, i senatori e gli onorevoli li votino a favore della categoria che paga”. F.Roma: “Ma è legale tutto questo?”, assistente senatore: “Che io sappia no”. Ancora Roma: “Ma di quanti soldi si parla?”, assistente senatore: “Per quel che mi riguarda, conosco due multinazionali ed entrambe elargiscono una 1.000 euro e un’altra 2.000 euro ogni mese”.
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/05/ ... ne/232993/
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Re: Diseguaglianza = crisi

Messaggioda Iafran il 19/05/2013, 10:33

flaviomob ha scritto:Uno studio della Fisac Cgil evidenzia una crescente disuguaglianza: dal 2009 al 2012, un lavoratore ha percepito 104 mila euro. Un amministratore delegato più di 17 milioni.

Ai politici, fa molto comodo ignorare questa disuguaglianza economica ... per ampliarla sempre di più.
Chi la dovrebbe risolvere! I politici e gli impresari collusi che sono la causa di questa forbice scandalosa?
Se poi vediamo gli stipendi di dattilografe, commessi, autisti, medici, infermieri, ragionieri, cerimonieri etc. alle dipendenze del Quirinale, della Camera, del Senato, delle Regioni, delle Provincie, delle C.M. ha ragione Civati quando ha scritto che la retribuzione di un dipendente pubblico non può superare quella del PdR.
Non dimentichiamoci, poi, gli incassi illeciti, ma nemmeno i contributi e le elargizioni per le cause più disparate tipo lo studio dei "tapiri orfani del Paranà occidentale" che si inseriscono nei bilanci delle istituzioni.
Una classe politica (quella che governa in Italia anche se teniamo gli occhi chiusi) tanto censurabile quanto più si mostra insensibile ai bisogni ed alle sofferenze della popolazione!
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Re: Diseguaglianza = crisi

Messaggioda ranvit il 19/05/2013, 11:08

Dedicato a chi vuol capire...

http://www.repubblica.it/politica/2013/ ... ref=HREA-1


La proposta rivoluzionaria di Hollande all'Europa

di EUGENIO SCALFARI

Riformisti o rivoluzionari? Questa domanda sta al centro del problema italiano ed europeo, ma può essere declinata in molti altri modi. Per esempio: socialisti o liberali? Progressisti o moderati? Di destra o di sinistra? Innovatori o conservatori? Sostenitori dei diritti o anche dei doveri?

Spaccare la società in due è quasi sempre una semplificazione e semplificare i problemi complessi è quasi sempre un errore. Senza dire che bisogna analizzare con attenzione il significato delle parole. Se restiamo alla prima domanda che tutte le riassume, arriviamo alla conclusione che spesso una riforma fatta come le condizioni concrete richiedono può rappresentare una svolta radicale e quindi una rivoluzione; mentre accade altrettanto spesso che una rivoluzione che abbatta tutta l'architettura sociale preesistente spesso sbocca nel suo contrario, cioè in una dittatura.

Ma applichiamo questa griglia di domande all'Europa di oggi e all'Italia chiamando in soccorso anche qualche esperienza storica che possa aiutarci a capire il presente col ricordo di un passato analogo e quindi attuale.

La moneta unica europea è stata una riforma rivoluzionaria: ha reso impossibili le svalutazioni delle monete nazionali come strumento di competitività, ha unificato il tasso del cambio estero per una popolazione di oltre 300 milioni di persone, ha consentito un mercato libero per le persone, le merci e i capitali.

Un'altra riforma rivoluzionaria è stata quella del servizio sanitario nazionale. Un'altra ancora quella della scuola dell'obbligo. Una quarta il divieto di licenziamento senza giusta causa, una quinta il riconoscimento di pari diritti tra uomo e donna, una sesta quella delle pari opportunità e cioè della lotta contro le diseguaglianze nelle posizioni di partenza. Infine ultima della serie la tutela della libera concorrenza sul mercato degli scambi economici.

È pur vero che alcune di queste conquiste, tutte avvenute nel mezzo secolo trascorso dopo la fine della guerra, sono state in parte vanificate o deformate da interessi precostituiti che ne hanno impedito o limitato la piena realizzazione. Ed è altrettanto vero che nuove esigenze, nuovi bisogni e nuove tecnologie sono nel frattempo emersi rendendo necessari ulteriori mutamenti che spesso sono mancati. La necessità di una continua manutenzione e di mutamenti successivi è una dinamica indispensabile senza la quale le riforme effettuate si trasformano in uno stato di fatto che non progredisce ma invecchia. Il riformismo correttamente inteso coincide con l'innovazione, se diventa consuetudine cessa di esistere.

Purtroppo l'Europa e gli Stati che ne fanno parte versano in questa condizione. Il dinamismo delle riforme è cessato da almeno 20 anni e forse più. Perciò molti invocano la rivoluzione e rimproverano i riformisti di essersi addormentati. Ma che cos'è la rivoluzione quando è sganciata dal riformismo ed anzi gli si oppone?


* * *

La rivoluzione che si oppone al riformismo di solito si ispira all'utopia. I rivoluzionari utopisti si propongono la distruzione dell'esistente, non il suo ammodernamento. Perciò usano il "senza se e senza ma" e dicono di no a tutto. Nove volte su dieci finiscono in una dittatura.

Nel suo libro appena uscito col titolo "E se noi domani - L'Italia e la sinistra che vorrei" Walter Veltroni ricorda e concorda su una frase che Piero Calamandrei pronunciò in un ampio discorso da lui tenuto all'Assemblea costituente il 5 settembre 1946. La frase è questa: "Le dittature sorgono non dai governi che governano e che durano, ma dall'impossibilità di governare dei governi democratici".

Veltroni ricorda anche che l'ultimo governo democratico governante fu quello dell'Ulivo presieduto da Romano Prodi dal '96 al '98. Dopo di allora i governi arrancarono e dal 2001 al novembre del 2011 furono gestiti dal populismo berlusconiano con la breve parentesi del biennio prodiano 2006-2008 che registrò il penoso spettacolo d'una coalizione che andava da Mastella a Bertinotti e un solo voto di maggioranza al Senato.
Per fortuna - aggiunge Veltroni - si susseguirono al Quirinale Scalfaro, Ciampi e Napolitano che sono stati i migliori presidenti della Repubblica che l'Italia abbia avuto ed hanno supplito alle terribili carenze del sistema.
Concordo pienamente con questi giudizi e con la necessità d'un profondo mutamento dei partiti e della società. Siamo percossi da una terribile crisi economica e sociale e in Italia ma anche in Europa da uno smarrimento della pubblica opinione. E siamo schiacciati da due populismi contrapposti e dalla crisi profonda del partito che ha la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera e quella relativa al Senato, ma non è in grado di risollevarsi dalla crisi che l'ha atterrato.

Quanto all'Europa, versa anch'essa in condizioni che dire drammatiche è dir poco: una marea di disoccupati, una recessione che ha colpito quasi tutti i Paesi che la compongono, una politica economica profondamente sbagliata, una politica bancaria in fase di stallo, una lentezza decisionale che aggrava i malanni e vanifica le incerte terapie.

Questa è la situazione. Ci sono speranze di riportarla sulla giusta rotta?

* * *

La speranza (lo dico con le parole di Calamandrei) è un governo che governi e che duri. Quello di Enrico Letta è nato per necessità e si regge su una maggioranza anomala e rissosa ma, allo stato dei fatti, senza alternative. Grillo non è un'alternativa e i suoi voti, quand'anche saltassero ancora in avanti (ma i sondaggi attuali lo danno al 23 per cento) da soli non bastano. Dal bacino elettorale di Berlusconi non succhia più, anzi sta avvenendo il contrario: è Berlusconi che si sta riprendendo i voti dei delusi che erano emigrati dal Pdl verso l'astensione o verso Grillo.

I cinque stelle continuano invece ad affascinare i giovani di sinistra, i delusi del Pd, i sognatori della palingenesi, quelli che sono rimasti schifati dall'apparato chiuso e correntizio d'un partito che nel 2008 si era presentato come una sorta di partito d'azione moderno, aperto, che avrebbe dovuto plasmare una società civile forte e porsi al suo servizio.

Su questi delusi i cinque stelle esercitano la loro tentazione che però ha un punto debole: non esprimono nulla che sia di sinistra, né di quella tradizionale né di quella che pensa in termini di cultura moderna. Ce ne sono ancora nel Pd e molti, ma non pare che abbiano voce o almeno non abbastanza, capace di rovesciare gli equilibri malsani che ancora dominano quel partito.


Un Pd moderato non corrisponde alla sua genesi e soprattutto non riempirebbe alcun vuoto, al contrario ne aprirebbe uno a sinistra con conseguenze letali nel quadro italiano ed europeo.

Il Pd può avere, dovrebbe avere, i voti dei liberali, che non sono affatto moderati nel senso conservatore del termine. Nelle democrazie mature i liberali sono sempre stati alleati della sinistra riformatrice, è sempre stato così dovunque, in Inghilterra, in Usa, in Francia, in Germania, in Spagna. Ed anche in Italia, nei rari momenti di democrazia vincente. Rari, perché una parte rilevante di italiani non ama lo Stato, lo considera estraneo se non addirittura nemico e soggiace alle lusinghe della demagogia e del populismo. Predomina in loro un elemento anarcoide ed un'indifferenza verso la politica che porta inevitabilmente verso forme a volte nascoste e a volte palesi di dittatura.

Questo è il dramma italiano, un risvolto del quale, certamente non marginale, estende l'antipatia verso lo Stato nazionale ad un'analoga antipatia verso l'ipotesi di uno Stato europeo. Da questo punto di vista il populismo berlusconiano coincide con il populismo grillino: lo Stato italiano, per quel che poco che esiste, dev'essere raso al suolo e lo Stato federale europeo non deve nascere. Quel tanto che esiste dell'uno e dell'altro dev'essere completamente abbattuto. Poi, sulle loro ceneri, si potrà forse edificare il nuovo. Ma se li interroghi sul come distruggerli e come ricostruirli, riceverai come risposta una scrollata di spalle e un generico "si vedrà".

* * *

Non è così che si costruisce il futuro dell'Europa e quello dell'Italia che le è strettamente legato. Da questo punto di vista giovedì scorso è avvenuto un fatto nuovo di straordinaria importanza: il presidente francese Hollande per la prima volta nella storia politica della Francia ha abbandonato la posizione tradizionale del suo paese di scetticismo e di ostile distacco verso un'Europa federata ed ha chiesto in modo perentorio la nascita entro il 2015 d'un governo unitario europeo con un bilancio comune, un debito pubblico sovrano comune, una politica economica, estera e di difesa comuni, un sistema bancario ed una Banca centrale con i poteri di tutte le Banche centrali dei paesi sovrani.

Non era mai accaduto prima, la Francia era anzi vista come un ostacolo insuperabile a questa evoluzione, imposta ormai dall'esistenza d'una società mondiale globale. Il progetto di Hollande prevede anche l'elezione del presidente dell'Europa col voto diretto dell'intero popolo europeo.

Il governo spagnolo si è già dichiarato pronto a sostenere la proposta francese. Il nostro presidente del Consiglio Enrico Letta aveva anch'egli sostenuto per primo questa necessità ma non aveva fissato date. Hollande ha rotto gli indugi: due anni di tempo e se gli altri paesi europei (la Germania soprattutto perché a lei è rivolto il messaggio di Hollande) non saranno d'accordo, la Francia andrà avanti con chi ci sta.
I partiti italiani finora non si sono fatti sentire; i giornali hanno riportato la notizia ma senza rilevarne la novità e la fondamentale importanza. Questa sì, sarebbe una rivoluzione: un governo ed un presidente eletto di uno Stato europeo fra due anni. Le elezioni tedesche che avranno luogo in autunno dovranno cimentarsi soprattutto su questo tema e così pure quelle italiane quando avverranno e le elezioni europee che si svolgeranno interamente su questi temi. La messa in comune dei debiti sovrani nazionali fu, non a caso, il primo passo della Confederazione americana verso la Federazione.

Il futuro si può costruire soltanto così e soltanto così può rinascere la speranza nel cuore degli europei e degli italiani.


(19 maggio 2013)© Riproduzione riservata
Ultima modifica di ranvit il 19/05/2013, 14:46, modificato 1 volta in totale.
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Diseguaglianza = crisi

Messaggioda Iafran il 19/05/2013, 13:52

ranvit ha scritto:La proposta rivoluzionaria di Hollande all'Europa

di EUGENIO SCALFARI

Hollande può dire e fare quel che vuole in Francia perché i disonesti li ha in galera e non nelle aule parlamentari ...
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Re: Diseguaglianza = crisi

Messaggioda franz il 19/05/2013, 15:11

flaviomob ha scritto:
Uno studio della Fisac Cgil evidenzia una crescente disuguaglianza:dal 2009 al 2012, un lavoratore ha percepito 104 mila euro. Un amministratore delegato più di 17 milioni.

Aumenta sempre di più la forbice delle disuguaglianze sociali. Il 10% delle famiglie italiane detiene poco meno della metà (47%) della ricchezza totale. Il resto (53%) è suddiviso tra il 90% delle famiglie.

A segnalarlo è la Fisac Cgil, sulla base di uno studio sui salari nel 2012.

Mi sembra che ci sia una grande confusione a sinistra (CGIL) ma la cosa non mi sorprende.
Vengono costantemente confusi redditi e ricchezza (flusso e stock).

Si parla di ricchezza (Il 10% delle famiglie italiane detiene poco meno della metà (47%) della ricchezza totale. Il resto (53%) è suddiviso tra il 90% delle famiglie) e si dice che il calcolo è stato fatto sulla base di uno studio sui salari.

I casi sono due.
a) si analizzano le differenze saliariali (che sono differenze di reddito)
b) su analizzano differenze di ricchezza (che sono differenze su quanto risparmiato durante la vita, vincite e eredità comprese).

Esiste un certo legame tra le due cose, ovviamente, ma una cosa è il reddito ed una cosa è il risparmio.
Ci possono essere persone di elevato reddito ma che non risparmiano (e con il conto corrente prossimo allo zero) ed anche persone con notevoli capitali (mobiliari e immobiliari) ma con redditi modesti.

Ma il punto vero è la tesi, tutta da dimostrare, che le disugualianze creino crisi.
O che la crisi sia originata da un eccesso di disugualianze.
E un mantra spesso ripetuto a sinistra, quella che avendo perso il faro del marxismo si appoggia a qualsiasi cosa gli assomigli vagamente (e non dubito che a furia di ripeterlo ne siano convinti).

Ebbene proprio Krugman, sicuramente un neo-keynesiano, ha da tempo fatto notare che è una palla colossale, tutta da dimostrare e che non esistono evidenze "scientifiche" che le disugualianze creino la crisi. Il motivo per cui un keynesiano dica cio' è chiaro. Loro guardano alla domanda aggregata. Che ci siano 4 persone che consumano 500 oppure che uno consumi 1500 ed gli altri tre si dividano il 500 restante, poco importa in termini di domanda aggregata (2000).

Il problema caso mai è quando la domanda aggregata da 2000 passa a 1800 (-10%) e perché questo avviene.
Il che porta ad analisi molto piu' complesse. Tutto sommato il nostro PIL non è diminuito del 10% (molto meno) e le cause della diminuzione vanno cercate studiando perché le nostre tasche sono piu' leggere (abbiamo meno da spendere) e dove sono finiti quei soldi.

Se lo facciamo si scopre che le nostre tasche sono piu' leggere perché lo Stato preleva sempre piu' soldi in tasse centrali e locali, sul lavoro, sui consumi e sul risparmio. Ed a furia di tassare il lavoro ed il consumo l'economia si ferma, smette di produrre, muore. Cala la produzione di valore aggiunto e per forza di cose calano i consumi.

Chi distrae l'attenzione da questo (blaterando sulle disparità) lo fa priorio per trovare un altro colpevole. Che è uno stato che assorbe il 50% del PIL dando in cambi servizi pessimi. Distogliendo risorse economuiche dai fattori produttivi per indirizzarli verso clientelismo, mafie, corruzione, familismo.

Ora è vero che la redistruibuzione è importante ma per poterla mettere in atto occorre mettere in grado i motori di produrre ricchezza. Se il motore si ferma, non c'è ridistruibuzione. Non esistono pasti gratis.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
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