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Il montiplicatore

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Re: Il montiplicatore

Messaggioda Iafran il 05/02/2013, 21:17

franz ha scritto:
Iafran ha scritto:È un ragionamento "terra terra", ma è quello che fanno "i lor signori delle alte sfere" e che i cittadini percepiscono, a conti fatti, sulla loro pelle!

Quindi?

Questi non sono "i politici" che i cittadini pensano di votare. Infatti, ad elezione avvenuta, "tirano fuori" l'espressione "non siamo più in campagna elettorale", a giustificare ben altri comportamenti ed obiettivi.

Una proposta che favorirebbe la democrazia e andrebbe contro i "baroni della politica" la vedrei nel divieto di cumulo di cariche: una persona se è consigliere comunale o provinciale o regionale per proporsi ad un'altra carica deve finire il mandato. Non è possibile che si vedano sempre le stesse facce continuamente in ruoli diversificati.
Nella quantità, forse, ci sarà cambiamento.
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Re: Il montiplicatore

Messaggioda flaviomob il 02/03/2013, 16:40

Aumentare la spesa pubblica
per ridurre il debito non è un controsenso

di CARLO CLERICETTI

Aumentare la spesa pubblica per ridurre il debito? Sembra un controsenso, oltre che una bestemmia contro il "vangelo" del risanamento predicato dall'Europa e da molti economisti. Ma in economia non sempre il "comune buon senso" è il metodo più adatto a risolvere situazioni difficili. E ora un esercizio econometrico fatto da alcuni ricercatori del Fondo monetario internazionale mostra che sarebbe ora di andare controsenso, ovvero contro quello che oggi è il modo di affrontare la crisi.

Estate 2007. In America esplode la bolla immobiliare e fa deflagrare una crisi che viene da lontano, da tante idee sbagliate che hanno fatto andare l'economia verso il disastro. Non solo l'economia americana, perché quelle idee sono diventate egemoni in una gran parte del mondo e hanno condizionato il modello di sviluppo degli ultimi trent'anni. E infatti la crisi si espande a macchia d'olio, coinvolge buona parte del pianeta e soprattutto l'Europa.

Oggi i dati congiunturali ci dicono che per l'Europa la crisi non finirà neppure nel sesto anno, anzi, indicano un peggioramento. Nel frattempo gli Stati Uniti, origine ed epicentro della crisi, non hanno superato tutti i problemi: però la disoccupazione è in calo rispetto ai picchi peggiori, 7,9% a fronte di 10, mentre da noi continua a crescere e si avvia al 12%. E mentre il Pil dell'Europa nel 2012 è sceso dello 0,5% (ma nell'ultimo trimestre il calo su base annua è stato dello 0,9), quello americano mostra un non straordinario ma confortante + 2,2%.

Come mai? Sono ancora una volta le idee a fare la differenza, perché la crisi è stata ed è affrontata in modo molto diverso tra l'una e l'altra sponda dell'Atlantico. Là sostegno all'economia, anche a costo di aumentare ancora un debito pubblico già stratosferico, superiore a quello aggregato dell'Unione europea. Qui austerity, il "mettere ordine in casa" imposto dalla Germania e i suoi alleati, che significa tagli - spesso feroci - ai bilanci pubblici e riduzione dei salari, mentre Obama ha appena annunciato un aumento del salario minimo legale.
Ma, si potrebbe obiettare, gli squilibri vanno corretti: troppo alti i debiti pubblici di molti Stati europei, troppo alte - in relazione alla competitività - le retribuzioni dei lavoratori, che dunque debbono scendere finché quella non sarà riconquistata. Troppo alte le tasse in Europa, soffocano la crescita e dunque vanno ridotte; ma, visti i debiti accumulati, per farlo bisogna tagliare ancora di più le spese degli Stati. Sembra un discorso di buon senso, e invece non lo è: è la realtà che si incarica di dirci che è sbagliato. Le teorie economiche, se falliscono nel descrivere la realtà, si degradano in ideologie. E il vero buon senso starebbe nel prenderne atto e cominciare a seguirne altre, come un numero sempre maggiore di economisti sostiene.

Il problema è continentale, dovrebbe essere l'Europa - con il sostegno dei paesi che registrano forti attivi della bilancia del pagamenti, Olanda e Germania innanzitutto - a rilanciare la domanda per far ripartire l'economia. Ma, preso atto di questo, è una e una sola la politica economica che l'Italia può seguire, oppure c'è un'alternativa? La risposta è cruciale, e si può formulare anche in un altro modo: è vero che il prossimo governo, di qualunque colore sia, non ha che una strada da seguire, quella imboccata da Mario Monti?
Ebbene, lo studio di cui si parlava all'inizio afferma che non è vero. Non solo si potrebbe cambiare, ma si dovrebbe: la strada dei tagli di spesa porta solo nuova recessione, dunque aumento del rapporto debito/Pil (visto che quest'ultimo diminuisce) e dunque necessità di nuovi tagli per far quadrare i conti: un circolo vizioso che finirà per uccidere l'economia.

L'alternativa è più spesa pubblica. Non riduzione delle tasse: quella si potrà e si dovrà fare, ma a tempo debito, non ora. Ridurre le tasse significa dare più soldi in mano alle famiglie. Quelle che "non arrivano a fine mese" certamente li spenderanno, ma tutti gli altri non li spenderanno tutti, specie in questa situazione di incertezza: chiunque può ne metterà il più possibile da parte per fronteggiare un futuro fosco. Ciò significa che non li farà circolare nell'economia, e dunque l'effetto dell'iniezione di liquidità ne sarà ridotto, vanificando in parte la manovra. La spesa pubblica, invece, va interamente all'economia, per produrre l'effetto anti-ciclico desiderato. Ovviamente dev'essere una "buona" spesa, orientata ai settori che facciano da volano e gestita con appalti rigorosi e trasparenti. Questo significa niente tagli? No, gli sprechi vanno tagliati; ma il ricavato non deve essere usato per ridurre le tasse o il debito, deve essere speso.

E qui torniamo allo studio dei ricercatori Fmi (Nicoletta Batini, Giovanni Callegari e Giovanni Melina, "Successful Austerity in the United States, Europe and Japan"). Uno dei cui risultati più rilevanti è appunto che, in una fase di recessione, l'aumento della spesa pubblica genera un aumento del Pil più elevato di quanto nuove tasse lo facciano ridurre. Inoltre sappiamo da un altro studio (del capo economista del Fondo, Olivier Blanchard, con Daniel Leigh) che, quando la recessione è forte, i tagli di spesa fanno scendere il Pil in misura più che proporzionale (per ogni 100 di tagli il Pil può scendere anche di 170). Dunque, se si vuole mantenere il deficit invariato, aumentare le tasse per fare investimenti pubblici genera crescita, tagliare in pari misura tasse e spesa genera recessione (e quindi il circolo vizioso...).

Gustavo Piga, economista di Tor Vergata che da tempo sostiene questa tesi, ha chiesto ai tre del Fondo di utilizzare il loro modello per una simulazione sull'Italia: che cosa accadrebbe, se si aumentasse la spesa a parità di saldo primario, al rapporto debito/Pil, che è quello che conta per gli accordi europei? I tre hanno accettato e la simulazione è stata fatta ipotizzando varie percentuali di aumento di spesa, da uno molto piccolo (0,5%) a uno massiccio (5%). I risultati sono piuttosto clamorosi come si può vedere da questo grafico.

Immagine

La linea blu mostra gli effetti della manovra più leggera, le altre di quelle via via più consistenti: la linea viola corrisponde a una manovra del 5%. I numeri in alto in orizzontale indicano i quadrimestri (20 quadrimestri = 5 anni). La manovra è stata ipotizzata in una situazione di netta recessione (Pil negativo per tre trimestri: il nostro è negativo già da 18 mesi consecutivi). Come si vede, con le manovre leggere la situazione migliora, ma di poco: sempre meglio comunque di quanto, secondo le previsioni ufficiali, dovrebbe avvenire in base all'attuale politica. Con quelle più decise, invece, il miglioramento è stupefacente: se si applica quella da 5% alla fine dei cinque anni il rapporto debito/Pil precipita di quasi il 35%. Sarebbe a dire che si passerebbe dall'attuale 126% all'84%!
Magnifico. Ma dove trova Piga questi soldi da spendere, vuole aumentare ancora le tasse? Per fortuna no. L'economista (che è tra l'altro fra i fondatori di un nuovo movimento politico, "I viaggiatori in movimento") spiega che basterebbe mettere in opera una piattaforma unica da cui far passare i dati di tutti gli appalti per risparmiare 50 miliardi l'anno, circa il 3% del Pil. Piga non parla per sentito dire: è stato presidente della Consip, l'organismo per gli acquisti accentrati della pubblica amministrazione che ha fatto risparmiare decine di miliardi. Avrebbe dovuto essere potenziato, invece i governi Berlusconi hanno fatto il contrario.

Cinquanta miliardi: una cifra che, guarda un po', corrisponde a quella da trovare, ogni anno e per i prossimi dieci-quindici anni, per rispettare gli obiettivi del "fiscal compact", l'accordo europeo per la riduzione del rapporto debito/Pil. Attenzione: del rapporto, non necessariamente del debito in cifra assoluta. E dunque quella cifra può essere di tagli, ma così si ricade nel circolo vizioso che alimenta la recessione; oppure di spesa per rilanciare l'economia, come sostiene Piga e come i risultati dell'esercizio Fmi suggerirebbero di fare senza indugio. Vincerà il "vero" buon senso o l'ideologia?

(01 marzo 2013)

Repubblica

http://www.repubblica.it/economia/rubri ... f=HREC1-10


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Re: Il montiplicatore

Messaggioda ranvit il 02/03/2013, 18:53

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=Ab9qitZH


Paul Krugman: il rigore sta uccidendo l'Europa. Olli Rehn? Ha già fatto troppi danni
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Il montiplicatore

Messaggioda trilogy il 02/03/2013, 21:31

Mi lascia un po' perplesso questo articolo :?

flaviomob ha scritto:Aumentare la spesa pubblica
per ridurre il debito non è un controsenso

di CARLO CLERICETTI

[..]L'alternativa è più spesa pubblica. Non riduzione delle tasse: quella si potrà e si dovrà fare, ma a tempo debito, non ora. Ridurre le tasse significa dare più soldi in mano alle famiglie. Quelle che "non arrivano a fine mese" certamente li spenderanno, ma tutti gli altri non li spenderanno tutti, specie in questa situazione di incertezza: chiunque può ne metterà il più possibile da parte per fronteggiare un futuro fosco. Ciò significa che non li farà circolare nell'economia, e dunque l'effetto dell'iniezione di liquidità ne sarà ridotto, vanificando in parte la manovra. La spesa pubblica, invece, va interamente all'economia, per produrre l'effetto anti-ciclico desiderato.


La riduzione delle tasse aumenta il reddito disponibile. Yd= Y-T. Poi la spesa aggiuntiva dipende dalla propensione marginale al consumo e il risparmio dalla propensione marginale al risparmio. Quanto va in spesa aggiuntiva e quanto va in risparmio in pratica dipende quindi da vari elementi. Diciamo che se vuoi avere il massimo impatto in termini di consumi aggiuntivi il taglio delle imposte dirette deve essere strutturale e privilegiare i redditi più bassi. La spesa pubblica va all'economia ma vanno sottratte le importazioni, l'effetto del taglio delle tasse è rapido, quella dell'aumento della spesa pubblica invece richiede tempo.

flaviomob ha scritto:Aumentare la spesa pubblica
per ridurre il debito non è un controsenso

di CARLO CLERICETTI
Ovviamente dev'essere una "buona" spesa, orientata ai settori che facciano da volano e gestita con appalti rigorosi e trasparenti. Questo significa niente tagli? No, gli sprechi vanno tagliati; ma il ricavato non deve essere usato per ridurre le tasse o il debito, deve essere speso.


Qui non c'è nulla di ovvio. Il nuovo equilibrio domanda aggregata e produzione aggregata che si vuole realizzare e una questione algebrica (numeri) .La spesa per una scuola che costa 100, o per una galleria inutile che costa 100 produce nel breve periodo lo stesso effetto numerico. Poi possiamo discutere di moltiplicatori, dell'utilità sociale dell'investimento, di effetti sulla competitività ma sono altri argomenti tutti da verificare

flaviomob ha scritto:Aumentare la spesa pubblica per ridurre il debito non è un controsenso
di CARLO CLERICETTI
E qui torniamo allo studio dei ricercatori Fmi (Nicoletta Batini, Giovanni Callegari e Giovanni Melina, "Successful Austerity in the United States, Europe and Japan"). Uno dei cui risultati più rilevanti è appunto che, in una fase di recessione, l'aumento della spesa pubblica genera un aumento del Pil più elevato di quanto nuove tasse lo facciano ridurre.Inoltre sappiamo da un altro studio (del capo economista del Fondo, Olivier Blanchard, con Daniel Leigh) che, quando la recessione è forte, i tagli di spesa fanno scendere il Pil in misura più che proporzionale (per ogni 100 di tagli il Pil può scendere anche di 170). Dunque, se si vuole mantenere il deficit invariato, aumentare le tasse per fare investimenti pubblici genera crescita, tagliare in pari misura tasse e spesa genera recessione (e quindi il circolo vizioso...).


queste cose le sappiamo dal 1936 quando è stata scritta La Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta. Faccio solo notare gli economisti del FMI parlano di: < l'aumento della spesa pubblica genera un aumento del Pil più elevato di quanto nuove tasse lo facciano ridurre..> Quindi ipotizzano una spesa finanziata dalla tasse e ne valutano gli effetti. Non fanno ragionamenti su spese utili e sprechi.

flaviomob ha scritto:Aumentare la spesa pubblica
per ridurre il debito non è un controsenso

Come si vede, con le manovre leggere la situazione migliora, ma di poco: sempre meglio comunque di quanto, secondo le previsioni ufficiali, dovrebbe avvenire in base all'attuale politica. Con quelle più decise, invece, il miglioramento è stupefacente: se si applica quella da 5% alla fine dei cinque anni il rapporto debito/Pil precipita di quasi il 35%. Sarebbe a dire che si passerebbe dall'attuale 126% all'84%!....


Qua sarebbe interessante capire quali sono le ipotesi a monte della simulazione. Quello che mi lascia un po' perplesso è che si ipotizza (un aumento di spesa?) del 5% per cinque anni e l'effetto finale è 35% di riduzione nel rapporto debito/pil. Mi sembra un effetto molto rilevante in una economia aperta.


flaviomob ha scritto:Aumentare la spesa pubblica
per ridurre il debito non è un controsenso


[..]spiega che basterebbe mettere in opera una piattaforma unica da cui far passare i dati di tutti gli appalti per risparmiare 50 miliardi l'anno, circa il 3% del Pil....


Quindi non c'è aumento di spesa, ma riqualificazione della spesa? Taglia da una parte e li sposta da un'altra e questo produce quell'effetto macroeconomico così rilevante? Boh? ho qualche dubbio soprattutto sul breve periodo 12-18 mesi.
Nel medio periodo se la manovra è: < riqualificazione della spesa a saldi invariati> hai un effetto positivo perchè puoi alzare il tasso tendenziale di crescita del paese. Ma una relazione così lineare sul rapporto debito/pil nel breve periodo, come illustrato nella simulazione, mi convince poco.
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Re: Il montiplicatore

Messaggioda flaviomob il 05/03/2013, 12:09

Stiglitz: “Euro, o cambia oppure è meglio lasciarlo morire”
Pubblicato da keynesblog il 5 marzo 2013 in Economia, Europa, Italia

Il risultato delle elezioni italiane dovrebbe dare un messaggio chiaro ai leader europei: gli elettori non tollerano le loro politiche di austerità.

Il progetto europeo, per quanto idealista, è sempre stato un impegno dall’alto verso il basso. Ma incoraggiare i tecnocrati a guidare i vari paesi è tutta un’altra questione, che sembra eludere il processo democratico, imponendo politiche che portano ad un contesto di povertà sempre più diffuso.

Mentre i leader europei si nascondono al mondo, la realtà è che gran parte dell’Unione europea è in depressione. La perdita di produzione in Italia dall’inizio della crisi è pari a quella registrata negli anni ’30. Il tasso di disoccupazione giovanile in Grecia ha invece superato ora il 60%, mentre quello della Spagna è oltre il 50%. Con la devastazione del capitale umano, il tessuto sociale europeo si sta lacerando ed il suo futuro è sempre più a rischio.

I dottori dell’economia dicono che il paziente deve lasciare che la malattia faccia il suo corso, mentre i leader politici che suggeriscono il contrario vengono accusati di populismo. La realtà tuttavia è che la cura non sta funzionando e non c’è alcuna speranza che funzioni; o meglio che funzioni senza comportare danni peggiori di quelli causati dalla malattia. E ci vorrà un decennio o più per recuperare le perdite generate da questo processo di austerità.

In breve, non è stato né il populismo né la miopia che ha portato i cittadini a rifiutare le politiche che gli sono state imposte, ma è la modalità errata con cui sono state portate avanti.

Le risorse e i talenti dell’Europa (il suo capitale umano, fisico e naturale) sono gli stessi del periodo precedente alla crisi. Il problema è che le cure imposte stanno portando ad un significativo sottoutilizzo di tali risorse. Qualsiasi sia la natura dei problemi dell’Europa, una risposta che comporti uno spreco di quest’entità non può rappresentare la soluzione.

La diagnosi semplicistica dei mali dell’Europa che sostiene che i paesi ora interessati dalla crisi stessero vivendo al di sopra delle loro possibilità, è evidentemente sbagliata almeno in parte. Prima della crisi, infatti, sia la Spagna che l’Irlanda registravano un surplus fiscale ed un rapporto debito/PIL basso, e se la Grecia fosse stata l’unico problema a livello europeo, l’Europa avrebbe potuto gestirlo facilmente.

Ci sono una serie di politiche alternative in discussione che potrebbero funzionare. L’Europa ha bisogno di un maggiore federalismo fiscale e non solo di un sistema di supervisione centralizzato dei budget nazionali. Ovviamente, l’Europa potrebbe non avere bisogno del sistema usato negli Stati Uniti che prevede un rapporto di due a uno della spesa federale rispetto alla spesa statale, ma necessita in ogni caso di una spesa maggiore a livello europeo invece dell’esiguo budget attuale dell’UE (ridotto ulteriormente dai sostenitori dell’austerità).

E’ poi necessaria un’unione bancaria, ma deve essere una vera unione con un unico sistema di assicurazione dei depositi, delle procedure risolutive ed un sistema di supervisione comune. Inoltre, sarebbero necessari gli Eurobond o uno strumento simile.

I leader europei riconoscono che senza la crescita il peso del debito continuerà a crescere e che le sole politiche di austerità sono una strategia anti-crescita. Ciò nonostante, sono passati diversi anni e non è stata ancora presentata alcuna proposta di una strategia per la crescita sebbene le sue componenti siano già ben note, ovvero delle politiche in grado di gestire gli squilibri interni dell’Europa e l’enorme surplus esterno tedesco che è ormai pari a quello della Cina (e più alto del doppio rispetto al PIL). In termini concreti, ciò implica un aumento degli stipendi in Germania e politiche industriali in grado di promuovere le esportazioni e la produttività nelle economie periferiche dell’Europa.

Quello che non può funzionare, almeno per gran parte dei paesi dell’eurozona, è una politica di svalutazione interna (ovvero una riduzione degli stipendi e dei prezzi) in quanto una simile politica aumenterebbe il peso del debito sui nuclei familiari, le aziende ed il governo (che detiene un debito prevalentemente denominato in euro). E con l’implementazione di una serie di modifiche nei diversi settori a velocità diverse, la deflazione a livello mondiale innescherebbe degli stravolgimenti enormi nell’economia.

Se la svalutazione interna fosse la soluzione, lo standard dell’oro non sarebbe stato un problema durante la Grande Depressione. La svalutazione interna unita alle politiche di austerità e al principio del mercato unico (che favorisce la fuga di capitali e l’emorragia dei sistemi bancari) è una combinazione altamente dannosa.

Il progetto europeo è stato ed è ancora una grande idea politica con un elevato potenziale di promozione della prosperità e della pace. Ma invece di migliorare la solidarietà all’interno dell’Europa, sta seminando i semi della discordia all’interno e tra i vari paesi.

I leader europei continuano a promettere di fare tutto il necessario per salvare l’euro. La promessa del Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, di fare “tutto il necessario” ha garantito un periodo di tregua temporaneo. Ma la Germania si è opposta a qualsiasi politica in grado di fornire una soluzione a lungo termine tanto da far pensare che sia sì disposta a fare tutto tranne quello che è necessario.

Ovviamente i tedeschi hanno dovuto accettare con riluttanza la necessità di un’unione bancaria che comprenda un sistema di assicurazione dei depositi comune. Ma il passo con cui sostengono queste riforme è in discordanza con i mercati, mentre in diversi paesi i sistemi bancari sono già attaccati al respiratore. Quante altre banche dovranno entrare in terapia intensiva prima che l’unione bancaria diventi una realtà?

E’ vero, l’Europa ha bisogno di riforme strutturali come insiste chi sostiene le politiche di austerità. Ma sono le riforme strutturali delle disposizioni istituzionali dell’eurozona e non le riforme all’interno dei singoli paesi che avranno l’impatto maggiore. Se l’Europa non si decide a voler fare queste riforme, dovrà probabilmente lasciar morire l’euro per salvarsi.

L’Unione monetaria ed economica dell’UE è stata concepita come uno strumento per arrivare ad un fine non un fine in sé stesso. L’elettorato europeo sembra aver capito che, con le attuali disposizioni, l’euro sta mettendo a rischio gli stessi scopi per cui è stato in teoria creato. Questa è l’unica e semplice verità che i leader europei non sono ancora riusciti a cogliere.

http://keynesblog.com/2013/03/05/stigli ... lo-morire/


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