di LINO TERLIZZI -
Due capitali europee, Roma e Londra, stanno vivendo in questi giorni in modo diverso un problema che attanaglia peraltro parecchi Paesi sviluppati, quello del debito pubblico. In Italia la questione si intreccia inevitabilmente con quello che sarà l’esito delle elezioni e con la linea che il nuovo Governo vorrà o non vorrà, potrà o non potrà, seguire in tema di conti pubblici. Nel Regno Unito questo versante ora non esiste, il Governo c’è ed ha una linea. Londra ha però subìto il colpo della perdita della tripla A, che l’agenzia di rating Moody’s adesso le nega. Un’altra agenzia, Standard & Poor’s, aveva già negato a Stati Uniti e Francia la massima valutazione, la tripla A appunto.
Intendiamoci, le grandi agenzie di rating che valutano i debiti, privati e pubblici, non vivono il loro momento migliore. Già messe sotto accusa da molti per non aver lanciato i necessari gridi d’allarrme all’epoca dei mutui a rischio USA, sono state più recentemente criticate per aver virato verso una linea di severità eccessiva - quasi a voler dimostrare, dopo i mutui, di non esser morbide - per quel che riguarda le valutazioni delle politiche anti debiti pubblici. Da un estremo all’altro, insomma, questa è la critica sollevata da molti esperti. Detto questo, è comunque interessante vedere le differenze tra Londra e Roma su questo capitolo.
Intanto, le cifre. Qualche problema il Regno Unito, che non fa parte dell’area euro, in effetti ce l’ha. Il suo debito pubblico danza attorno all’80% del Prodotto interno lordo e Londra fa fatica ad abbassare questa percentuale, anzi il timore concreto è che nella prossima fase possa alzarsi ancora un po’ in direzione del 90%. Di ben altro tipo è però il debito pubblico dell’Italia, che continua a ruotare attorno al 120% del PIL. L’Italia, per inciso, è fuori dalla categoria A dei rating, sta nella fascia B sia per Moody’s che per Standard & Poor’s.
Si può obiettare che non è possibile paragonare Regno Unito e Italia e che, più che con Roma, Londra andrebbe paragonata con Berlino e Parigi (entrambe sopra l’80% del PIL). È un’obiezione che può essere accolta solo in parte, cioè per quel che riguarda il grado di stabilità politica, che è tutto a favore di Londra e degli altri maggiori Paesi del Nord Europa.
Bisogna però ricordare, sul versante economico, che l’Italia resta tra i sette Paesi più industrializzati al mondo ed è seconda nell’Eurozona, alle spalle della Germania, per quel che concerne l’industria manifatturiera. L’Italia avrebbe dunque i numeri per giocare sulla carta un’altra partita, anche nel campo dei conti pubblici. Ma, in aggiunta alle cifre, ciò che più impressiona è appunto il differente modo di affrontare il nodo cruciale del debito pubblico nei due Paesi.
Moody’s riconosce la buona situazione complessiva del Regno Unito, ma lo retrocede sia per le prospettive di crescita fiacca causate a suo modo di vedere anche dalla politica di austerità, sia per un debito pubblico ancora elevato. E qui l’analisi diventa difficile da seguire, perché se si vuole ridurre il debito bisogna in qualche modo attuare una politica di rigore. Si può dire, questo sì, che occorre un giusto mix tra misure di rigore e misure di crescita, ma in Paesi in cui il debito è eccessivo occorre pur cercare di tagliarlo gradualmente attraverso il rigore, per determinare poi una crescita più solida.
Si può essere d’accordo o meno con il Governo conservatore-liberal di Londra, ma è indubbia la volontà di questo di ridurre il debito anche e soprattutto attraverso tagli alla spesa pubblica ritenuta eccessiva. Si possono discutere i tempi e i modi di attuazione di questa linea, l’attenzione più o meno marcata agli aspetti sociali, ma la linea è chiara. Si può condividirla oppure no, ma c’è.
La situazione in Italia appare al momento più complicata. Sia che vinca il centrosinistra, sia che vinca il centrodestra, sia che si crea una indesiderabile situazione di stallo, non è chiaro in quale direzione concretamente si agirà per quel che riguarda il debito pubblico. In campagna elettorale si sono viste e sentite molte promesse, ma come si concilieranno queste promesse con un rigore che non è necessario solo per rimanere nell’area euro, ma anche e soprattutto per ricostruire le basi della crescita economica?
Anche gli Stati Uniti, in modo diverso dall’Europa, dovranno trovare un diverso equilibrio sul versante dei conti pubblici. Il rapporto debito pubblico/PIL è attorno al 100% negli USA. Il «precipizio fiscale» è stato evitato all’inizio di quest’anno, ma democratici e repubblicani devono ridiscuterne entro marzo. Nei Paesi, specie europei, in cui la pressione fiscale è già elevata, non si può pensare di risolvere le cose aumentando in goni caso le imposte. Il nodo del debito rimane e va affrontato con ragionevolezza e serietà.
25.02.2013 - 05:00 www.cdt.ch