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La strategia del centro montiano

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: La strategia del centro montiano

Messaggioda ranvit il 27/12/2012, 13:35

Monti ragiona da uomo della cultura di centrodestra, la Spinelli si rifà ai grandi ideali condivisi da tutta la famiglia socialista democratica e liberale europea (e quindi anche da me) che, al momento, ritiene di dover lavorare in quella direzione. Ma senza forzare la mano.

http://www.repubblica.it/politica/2012/ ... ef=HRER3-1

Moderatamente europeo
di BARBARA SPINELLI

Ancora non è chiaro cosa significhi, nelle parole di Monti, il centrismo radicale proposto come Agenda di una futura unità nazionale: un ordine nuovo, addirittura, dove le classiche divisioni fra destra e sinistra sfumerebbero. Non è chiaro cosa significhi in particolare per l'Europa: presentata come suo punto più forte. Punto forte, ma stranamente sfuggente.

Centrista, sì, ma radicale non tanto. Lo stesso titolo dell'Agenda tradisce l'assenza di un pensiero che si prefigga di curare alle radici i mali presenti. "Cambiare l'Italia, riformare l'Europa" promette cambi drastici negli Stati ma in Europa una diplomazia graduale, senza voli alti, senza i radicalismi prospettati in patria. Se Monti avesse voluto davvero volare alto, ed esser veramente progressista come annunciato domenica in conferenza stampa, avrebbe dato all'Agenda un titolo meno anfibio, più trascinante: non riformare, ma "cambiare l'Europa per cambiare l'Italia".

La formula prescelta è in profonda contraddizione con l'analisi cupa di una crisi che ha spinto e spinge l'Italia e tanti paesi su quello che troppo frequentemente, troppo ossessivamente, vien chiamato orlo del baratro. Una crisi che continua a esser vista come somma di politiche nazionali indisciplinate; mai come crisi - bivio necessario, presa di coscienza autocritica - del sistema Europa, moneta compresa. È come se contemplando un mosaico l'occhio fissasse un unico tassello, senza vedere l'insieme del disegno. I problemi che abbiamo, questo

dice l'Agenda, ciascuno ha da risolverli a casa dentro un contenitore - l'Unione - che essenzialmente funziona e al massimo va corretto qui e lì.

L'Agenda propone qualcosa di ardito, è vero: il prossimo Parlamento europeo dovrà avere un "ruolo costituente". Dunque c'è del guasto, nel Trattato di Lisbona: siamo sprovvisti di una Costituzione sovranazionale. Ma resta nella nebbia quel che debba essere la Costituzione a venire, e drammatica è l'assenza di analisi sul perché il Trattato vigente non sia all'altezza delle odierne difficoltà e del divario apertosi fra Nord e Sud Europa. Più precisamente, manca il riconoscimento che stiamo vivendo una crisi economica, politica, sociale dell'Unione intera (una crisi sistemica), che non si supera limitandosi a far bene, ciascuno per proprio conto, "i compiti a casa" come prescrive l'ortodossia tedesca. Nella storia americana, Alexander Hamilton ebbe a un certo punto questa presa di coscienza: decise che il potere sovranazionale si sarebbe fatto carico dei singoli debiti, e fece nascere dalla Confederazione di Stati semi-sovrani una Federazione, dotata di risorse tali da garantire, solidalmente, una più vera unità. È il momento Hamilton - non centrista-moderato ma radicale - che non si scorge né a Bruxelles, né nell'Agenda Monti.

Unici impegni concreti sono il pareggio di bilancio e la riduzione del debito pubblico in Italia: dunque la nuda applicazione del Fiscal compact, del Patto di bilancio del marzo 2012, corredato fortunatamente da un reddito di sostentamento minimo e forme di patrimoniale. Certo, fare l'Europa è anche questo. Certo: è giunta l'ora di dire che la crescita di ieri non tornerà tale e quale ma dovrà mutare, in un'economia-mondo non più dominata dai vecchi paesi industrializzati. Quel che si nasconde, tuttavia, è che non esistono solo due linee: da una parte Monti, dall'altra i populismi antieuropei. Esistono due europeismi: quello conservatore dell'Agenda, e quello di chi vuol rifondare l'Unione, e perfino rivoluzionarla. Tra i sostenitori di tale linea ci sono i federalisti, i Verdi tedeschi che chiedono gli Stati Uniti d'Europa, molti parlamentari europei. Ma ci sono anche quelle sinistre (il primo fu Papandreou in Grecia, e il Syriza di Tsipras dice cose simili) secondo le quali le austerità sono socialmente sostenibili a condizione che l'Europa cambi volto drasticamente, e divenga il sovrano garante di un'unità federale, decisa a schivare il destino centrifugo della Confederazione jugoslava.

I fautori della Federazione (parola evitata da Monti) non si concentrano solo sulle istituzioni. Hanno uno sguardo ben diverso sulla crisi, su come cambia la vita dei cittadini. Hanno una visione più tragica, meno liberista-tecnocratica: non saranno il Fiscal compact e il rigore a sormontare i mali dell'ineguaglianza, della povertà, della disoccupazione, ma una crescita ripensata da capo, e la consapevolezza che le diseguaglianze crescenti sono la stoffa della crisi. L'Agenda è fedele al più ortodosso liberismo: tutto viene ancora una volta affidato al mercato, e l'assunto da cui si parte è che finanze sane vuol dire crescita, occupazione, Europa forte: non subito forse, ma di sicuro. Immutato, si ripete il vizio d'origine dell'Euro. Quanto all'Italia, ci si limita a dire che il rispetto riguadagnato in Europa dipenderà dalla sua credibilità, dalla sua capacità di convincere gli altri partner. Convincere di che? Non lo si dice.

L'idea alternativa a quella di Monti è di suddividere i compiti, visto che gli Stati, impoveriti, non possono stimolare sviluppo e uguaglianza. Se a questi tocca stringere la cinghia, che sia l'Unione a assumersi il compito di riavviare la crescita, di predisporre il New Deal concepito da Roosevelt per fronteggiare la crisi degli anni '30, o la Great Society proposta negli anni '60 da Johnson "per eliminare povertà e ingiustizia razziale". L'idea di un New Deal europeo circola dall'inizio della crisi greca, ma non sembra attrarre Monti. È un progetto preciso: aumentare le risorse del bilancio dell'Unione a sostegno di piani europei nella ricerca, nelle infrastrutture, nell'energia, nella tutela ambientale, nelle spese militari. Non mancano i calcoli, accurati, dei vasti risparmi ottenibili se le spese dei singoli Stati verranno accomunate.

Per tale svolta occorre tuttavia che il bilancio dell'Unione non sia striminzito come oggi (l'1% del pil. Nel bilancio Usa la quota è del 23). Che aumenti alla grande, grazie all'istituzione di due tasse, trasferite direttamente dal contribuente alle casse dell'Unione: la tassa sulle transazioni finanziarie e quella sull'emissione di diossido di carbonio. La carbon tax (gettito previsto: 50 miliardi di euro) segnalerebbe finalmente la volontà di far fronte a un disastro climatico già in corso, non ipotetico. Cosa ne pensa Monti? Sappiamo che vuol tassare le transazioni finanziarie, ma gli eventuali introiti già sono accaparrati dal Tesoro nazionale.

Perché l'Agenda vola così basso? Perché Monti è europeo, ma moderatamente. Perché, scrive Marco D'Eramo nel suo Breve lessico dell'ideologia italiana, la moderazione del centrista "è quella che modera le altrui aspettative e l'altrui livello di vita. Modera la nostra fiducia nel futuro" (Moderato sarà lei, Marco Bascetta e Marco D'Eramo, Manifestolibri 2008). E perché la sua dottrina dell'union sacrée è la fuga patriottico-centrista dalle contrapposizioni anche aspre che sono il lievito della democrazia dell'alternanza.

L'unione sacra che Monti preconizza da anni idoleggia l'unanimità: proprio quel che sempre in Europa produce accordi minimalisti. Non è un inevitabile espediente (come nella Germania citata dal Premier) ma il finale e migliore dei mondi possibili. Di qui la sua ostilità alla divisione destra-sinistra: un'avversione che come oggetto ha la divisione stessa, la pacifica lotta fra idee alternative. È significativa l'assenza di due vocaboli, nell'Agenda. Manca la parola democrazia (tranne un riferimento alle primavere arabe e alle riforme europee "democraticamente decise e controllate") e manca la laicità: separazione non meno cruciale in Italia.

Diceva Raymond Aron di Giscard d'Estaing, l'ispettore delle Finanze divenuto Presidente nel '74: "Quest'uomo non sa che la storia è tragica". Qualcosa di simile accade a Monti, e un esempio è il modo in cui pensa di risolvere la questione Vendola, espellendolo dall'union sacrée perché le sue idee "nobili in passato, sono perniciose oggi". Quel che il Premier non sa, è che Vendola impersona la questione sociale che fa ritorno in Occidente, assieme alla questione dei diritti e di un'altra Europa. Quel che pare ignorare, è che pernicioso non è Vendola. È il malessere che egli denuncia. Della sua voce abbiamo massimo bisogno.

Non sono semplicemente idee, quelle bollate come perniciose. Sono il vissuto reale in Grecia, Italia, Spagna. Roosevelt lo capì: e aumentò ancor più le spese federali, investì enormemente sulla cultura, la scuola, la lotta alla povertà, l'assistenza sanitaria. Non c'è leader in Europa che possegga, oggi, quella volontà di guardare nelle pieghe del proprio continente e correggersi. Non sapere che la storia è tragica, oggi, è privare di catarsi e l'Italia, e l'Europa.
(27 dicembre 2012)© Riproduzione riservata
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Re: La strategia del centro montiano

Messaggioda Giovigbe il 27/12/2012, 13:59

le evidenzizioni sono mie

Dal sito della Stampa: di FABIO MARTINI
Ora è Mario Monti ad attendere un convincente endorsement da parte dei partiti. Certo, per come si sono messe le cose e anche per quel tweet così impegnativo, è molto difficile che il Professore oramai possa negarsi un impegno personale in una operazione che ha già un logo pronto (”Monti per l’Italia”), ma è pur vero che in certi dettagli potrebbero nascondersi insidie. A cominciare dalla questione delle liste, che si profila più intricata di quanto appaia in superfice. Al punto che Mario Monti, confidandosi con uno dei suoi interlocutori politici, ha espresso così il suo pensiero: «Vorrei fare una lista unica, ma non so se ci riuscirò».
Un’istantanea che racconta due cose interessanti. La prima: Monti sta decisamente dentro all’operazione, al punto da preoccuparsi di questioni pratiche e non solo di massimi sistemi. Secondo: se neppure Monti, che è una sorta di Papa di questa area, non sa se ce la farà a far passare la sua linea, questo significa che le resistenze sono forti. Resistenze di due tipi: c’è chi preferisce più liste. Ovvero: pur sposando quella unica, c’è chi punta a garantirsi un ruolo preminente. E’ il caso di Pier Ferdinando Casini: nelle trattative informali con i maggiorenti delle altre anime (Monti, Riccardi, Montezemolo, ex Pdl), il leader dell’Udc lo ha fatto capire: noi puntiamo ad avere il 50 per cento dei candidati. Un modo per alludere alla successiva richiesta: anche metà dei posti sicuri nel listino devono andare all’Udc.


Una richiesta che Casini fonda su ragioni politiche ed organizzative che non sembrano aver convinto i suoi interlocutori. Tra i promotori si agitano molte pulsioni tra loro contrapposte, anche all’interno dei singoli partiti. Nell’Udc, dove Casini non disdegnerebbe la lista unica ma contro l’opinione di Lorenzo Cesa, che è il “capomacchina” e il referente di tanti notabili del territorio. Stessa dialettica nel piccolo di Fli di Gianfranco Fini: l’Udc non lo vuole nella stessa lista. I finiani sembrano costretti a contarsi e a fare liste che rischiano qualche sguardo occhiuto da parte dei partner. Anche alla luce di una considerazione più generale di Andrea Romano, “player” di “Italia Futura”: «L’offerta elettorale dovrà essere molto esigente rispetto alle persone candidate».

In definitiva la scelta dipenderà da Mario Monti, anche per effetto di un superpotere che è lo stesso Casini a definire, quando attribuisce alla presenza del Professore un «valore aggiunto enorme». Ieri sera la soluzione più accreditata prevedeva la coesistenza di quattro liste: una di società civile Monti-Montezemolo-Riccardi, una Udc, una Fli e una sostenuta dagli ex Pdl in uscita o già usciti. La decisione finale di Monti in qualche modo sembra legata anche alla natura della sua ambizione, che ancora oggi resta oggetto di domande senza una risposta univoca. Una personalità come la sua può correre, rinunciando in partenza a vincere? E se invece si contentasse di un “piazzamento”, cosa lo muove? «Un personaggio come lui - sostiene il capogruppo Fli Benedetto Della Vedova, che col premier ha avuto di recente un incontro - è mosso dall’etica calvinista di chi si mette in gioco e non accetta “regali”, allo scopo di contribuire a salvare l’Italia e di segnare la storia d’Europa: questi obiettivi si possono raggiungere vincendo le elezioni e in via subordinata, anche realizzando una “media-coalizione” col Pd. Se non altro per una ragione: non si governa un Paese come l’Italia col 35% dei consensi, anche se si hanno i numeri parlamentari».

E dalle prime mosse, la culla del montismo potrebbe rivelarsi la Lombardia. Non soltanto perché Monti è lombardo, ma perché in questa regione insistono diversi personaggi destinati a moltiplicare i consensi: la candidatura di Gabriele Albertini (amico del premier e allievi dello stesso liceo) a presidente della Regione Lombardia “contro” il Pdl sta riscuotendo significativi riscontri nei sondaggi; lombardi sono alcuni dei montiani già in politica: Pietro Ichino, l’ala ciellina che appoggia Mario Mauro, il finiano Della Vedova, alcuni di coloro che sono già usciti dal Pdl (Gaetano Pecorella e Giorgio Stracquadanio), mentre nei prossimi giorni sono destinati a moltiplicarsi gli appelli per il Professore da parte della Milano che conta.


Al di là dei risultati elettorali Monti, spendendosi così tanto per un raggruppamento che i suoi problemi interni li avrà (come tutti), ridurrà inevitabilmente il suo apparire super partes (e quindi anche il suo appeal).

Peccato sprecare così una immensa risorsa per il paese
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Re: La strategia del centro montiano

Messaggioda franz il 27/12/2012, 15:08

Giovigbe ha scritto:Al di là dei risultati elettorali Monti, spendendosi così tanto per un raggruppamento che i suoi problemi interni li avrà (come tutti), ridurrà inevitabilmente il suo apparire super partes (e quindi anche il suo appeal).

Peccato sprecare così una immensa risorsa per il paese

Il suo apparire super-partes era legato alla essenza di un governo tecnico.
Il prossimo, che sia BE-MO o MO-BE sarà politico e quindi ogni "parte" farà valere il suo peso senza spacciarsi per "super".
Per quanto riguarda i problemi interni (innegabili) è bene che ognuno pensi ai suoi.
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Re: La strategia del centro montiano

Messaggioda ranvit il 27/12/2012, 16:16

Governo BE-MO o MO-BE? Ottimo!!!
......e i poveri Fassina/Vendola?...... :D
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Re: La strategia del centro montiano

Messaggioda Robyn il 27/12/2012, 18:10

Questa polemica Fassina-Vendola ma pare senso senso
L'agenda Monti ripropone pari pari l'austerità berlingueriana che consiste nel taglio della spesa superflua da reinvestire per creare lavoro spingere la crescita.Fino a adesso però la strada è stata un'altra e cioè quello di riequilibrare i conti realizzare il pareggio per portare il paese fuori la zona di pericolo.Quindi fatta questa cosa può partire la fase 2 dell'austerità berlingueriana.Infine è sbagliato parlare di partito socialdemocratico liberale.Può ed esiste un partito lib-lab ciao robyn
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Re: La strategia del centro montiano

Messaggioda Giovigbe il 29/12/2012, 14:48

Dal sito de LA STAMPA
Casini: con Monti coraggio della verità
Ma tra i centristi scoppia il caso Passera


I moderati esultano per la decisione di Mario Monti, che guiderà la coalizione dei centristi alle elezioni. «Grande sodisfazione», commenta Pierferdinando Casini, che non nasconde la gioia per l’accordo raggiunto con il premier ieri sera, dopo un vertice di 4 ore. La soluzione trovata prevede lista unica al Senato e più simboli alla Camera.

Intanto fa discutere la defezione di Passera. Secondo il ministro dello Sviluppo la lista unica sarebbe stato un elemento di innovazione politica molto chiaro verso gli elettori. Il ministro dello Sviluppo, quando si è deciso che non ci sarebbe stata una lista unica ha quindi annunciato, davanti a tutti, il suo passo indietro, e cioè che non si sarebbe candidato. Un passaggio «incorniciato in un dibattito di alto livello su come impostare il lavoro ma mai con toni di scontro», si sottolinea in ambienti del nuovo polo centrista. Tutto è stato chiarito in maniera lineare e trasparente. D’altra parte, si spiega ancora, è cosa nota che anche nei giorni scorsi Passera aveva lavorato con l’obiettivo di questa lista unica e ha confermato questa sua forte convinzione anche ieri sera.

Casini nega ci siano state polemiche con Passera: «Lui la pensa diversamente e ha motivazioni da considerare con gradissimo rispetto, francamente è una delle persone che stimo di più e che mi sono maggiormente amiche. Quando ho letto dello scontro Casini-Passera mi sono messo a ridere», ha assicurato il leader Udc nel corso di una conferenza stampa nella sede del partito a Roma. «Ci mettiamo alle spalle le promesse elettorali, il populismo, la demagogia e le finte rassicurazioni. Si apre una fase di responsabilità all’insegna della verità», rilancia nel day after dell’accorso Casini nel corso di una conferenza stampa. «Non è più possibile prendere in giro gli italiani, dire che si ha la bacchetta magica; il presidente Monti non la vuole avere, nessuno può averla». Ora, rilancia il leader Udc, «è importante che si cambi l’impostazione della campagna elettorale. Si sta aprendo la fiera delle promesse, noi dobbiamo rispondere con il coraggio della verità. Lasciamo le promesse a chi è abituato a farle e a non realizzarle, a chi ha portato l’Italia sul baratro».

Resta aperto il nodo su chi mettere in lista: Monti ieri ha spiegato che sarà lui a «vigilare» sulle candidature, anche delle liste alleate. Il Professore lo farà con l’aiuto di Enrico Bondi che valuterà pendenze penali e eventuali «conflitti d’interesse». Ma intanto arriva l’altolà di Casini: «I candidati dell’Udc li scegliamo noi, come quelli di Fli li sceglierà Fli e come quelli di Italia Futura li sceglierà Italia futura. Noi ci sottoponiamo al vaglio di Bondi sulla base dei criteri stabiliti dal presidente del Consiglio, ma la scelta sarà nostra».

Intanto torna a farsi sentire anche Monti: «Sono convinto che la situazione dell’Italia migliorerà, se tutti lavoriamo a questo scopo», afferma il premier dimissionario rispondendo alle domande dei cronisti a Venezia, dove è in visita privata. In compagnia dei familiari il Professore ha visitato il campanile di San Marco. «Spero che il 2013 sia come questa stupenda giornata di Venezia» ha aggiunto. Ieri iul Professore ha annunciato l’intenzione di candidarsi alla premiership del Paese, dando vita ad una coalizione politica con «vocazione maggioritaria» composta da una “sua” lista elettorale rivolta principalmente alla società civile alleata con partiti politici tradizionali, come Udc e Fli. Al voto, la formazione si presenterà con una unica lista in Senato e più liste alla Camera, ma con un denominatore comune nello slogan «Agenda Monti per l’Italia». Il suo, ha tenuto a spiegare però il Professore, non è un partito perché lui non è «l’uomo della provvidenza». Semmai una «formazione politica», un «rassemblement» di diverse forze, unite da uno «statuto» e «standard» esigenti e molto rigidi.



Che berlusconi abbia fatto rimpiangere i democristiani non credo che ci sia ombra di dubbio!
La Pira, Dossetti e Moro rimangano esempi eccelsi di quella DC
Che al tempo della DC molte cose fossero diciamo " da migliorare" non c'è anche qui dubbio (tanto per dire ...vi ricordate della procura di roma "porto delle nebbie" dove si insabbiava ogni processo....) ................ma vennero i socialisti :lol:
Come le correnti nella DC ora i partiti che sostengono Monti sono alla resa dei conti in vista delle candidature
Nulla di nuovo sotto il sole....... .ma ripeto.......Monti poteva spendere molto meglio e più utilmente al paese il suo carisma e le sue capacità
Ultima modifica di Giovigbe il 29/12/2012, 15:19, modificato 1 volta in totale.
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Re: La strategia del centro montiano

Messaggioda Giovigbe il 29/12/2012, 15:10

dal sito del corriere
strappo di Passera: non sono più disponibile

ROMA - Sin da quando è nato il governo Monti, il 16 novembre di un anno fa, era già per molti «il candidato». Nel senso che tanti, a destra e a sinistra, attribuivano a Corrado Passera il desiderio di fare prima o poi il grande salto dalla finanza alla politica, lui che è stato a capo delle Poste italiane e di Intesa Sanpaolo. E una conferma di questo suo interesse, collocato al Centro della politica italiana, l'aveva dato ancor prima con la partecipazione, nell'ottobre del 2011, alla prima riunione di Todi, il convegno che rappresentò il disagio dei cattolici delle associazioni e del mondo del lavoro nei confronti del governo Berlusconi. Ecco perché, anche se non si era mai legato ad una formazione centrista già esistente, né di partito (come l'Udc), né della società civile (come Italia Futura di Montezemolo), tutti davano ormai per certa la sua discesa in campo. Di questo e di altro, di politica, aveva parlato nei giorni scorsi con Mario Monti.

Fino a ieri, quando, nel corso della riunione che ha segnato la decisione finale su come il nuovo soggetto dovrà presentarsi alle politiche, ha registrato lo strappo: «La mia linea non è passata. Mi dispiace, ma a questo punto non sono più disponibile». Chi è stato attorno al tavolo delle trattative lo ha visto combattere fino all'ultimo per la sua idea, quella di una lista unitaria sia alla Camera che al Senato, a significare la compattezza del progetto montiano. Con Mario Monti che l'ha ascoltato e che, prima di decidere, ha voluto sentire nuovamente il parere di tutti su un tema così delicato, che inciderà sulla campagna elettorale. E l'ha visto discutere lungamente con chi, invece, era contrario all'idea di annullarsi sotto una stessa sigla, là dove, alla Camera, non si è costretti dal Porcellum a procedere uniti. Problema di identità per l'Udc di Pier Ferdinando Casini, problema di chiarezza e novità in campo per il movimento di Verso la Terza Repubblica. Uno scontro di idee che, assicurano tutti gli interlocutori, ha sempre avuto toni civili, senza nascondere però una diversità di vedute e di strategie, a tratti netta.

Le ragioni della lista unitaria alla fine non hanno prevalso, anzi si è parlato della possibilità che nascono anche più di due liste. Per Passera si trattava di una questione «dirimente» rispetto alla sua scelta personale. E, visto che «non c'erano più le condizioni», ha detto chiaramente che non si candiderà. Ai suoi interlocutori ha spiegato ugualmente che le offerte elettorali, diverse anche se collegate tra di loro, daranno a suo giudizio l'impressione di un «franchising» che Monti non riuscirà a controllare pienamente. Convinto che il premier dimissionario propendesse di più per la lista unica, ma che alla fine abbia dovuto prendere atto di una maggioranza dei presenti favorevole invece ad una diversificazione delle proposte centriste.
Che farà ora? Il suo lavoro di ministro che riserva ancora progetti da portare a termine. Poi si vedrà. Resta nel «più candidato» in pectore tra i ministri montiani l'amarezza per la partita persa, come ha detto durante la riunione centrista: «Peccato davvero. Si era ad un passo da un soggetto nuovo che poteva fare la differenza: sarebbe stata una vera svolta». Con gli altri che invece gli ripetevano che il progetto potrà andare avanti anche in questo modo, così come poi l'ha spiegato in conferenza stampa il Professore. Perché comunque al Senato si correrà insieme sotto uno stesso simbolo e poi perché le liste saranno federate e i candidati fortemente controllati da Monti attraverso Enrico Bondi. Ma non è bastato a convincere il ministro. Che alla fine della riunione ha confermato: «Non sono più della partita».

Roberto Zuccolini


a completamento di quanto sopra
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Re: La strategia del centro montiano

Messaggioda Iafran il 29/12/2012, 15:46

"Lista unica o liste separate?".
"Oggi non nasce un partito personale ma una speranza per gli italiani...!'"
Etc. Etc. Etc.

C'è un "tasto" che non viene toccato da nessuno: la riduzione dei costi della politica.
Pizzarotti, sindaco di Parma, fornisce un gesto UNICO, che gli fa onore. Se "lor sognori" lo imitassero darebbero agli italiani la speranza di vero cambiamento!

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12 ... et/456773/

Parma, Pizzarotti si riduce lo stipendio e pubblica la busta paga su internet
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Re: La strategia del centro montiano

Messaggioda ranvit il 29/12/2012, 15:55

Bravo Pizzarrotti!

Ma lo hanno già fatto alcuni comuni campani e soprattutto, la REgione Campania (Caldoro in primis...Pdl).

Se e quando lo faranno anche i Pd a livello nazionale (sarebbe doveroso per un Partito di sinistra), potrei pure votarlo....ma dubito che lo faranno mai :twisted:
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Re: La strategia del centro montiano

Messaggioda franz il 29/12/2012, 17:09

Iafran ha scritto:Parma, Pizzarotti si riduce lo stipendio e pubblica la busta paga su internet


Poverino, altro non puo' fare rispetto agli impegni (o promesse) elettorali.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10 ... ti/375071/
Inceneritore, cemento, debiti e anche il circo: tutti i guai di Pizzarotti
In campagna elettorale aveva promesso una serie di opposizioni. Ma quando il sindaco del Movimento 5 stelle si è trovato a dover firmare autorizzazioni lo ha dovuto fare. Altrimenti sarebbero volate le penali. L'opposizione lo critica, lui: "Strada obbligata"
di Silvia Bia | Parma | 7 ottobre 2012

L’inceneritore, la cementificazione, le società partecipate, il debito e infine perfino il circo con gli animali. A quattro mesi dalla vittoria, per il sindaco di Parma Federico Pizzarotti quelli che nella corsa al Municipio erano punti fermi ora vacillano. A partire dal cavallo di battaglia dello stop al forno di Ugozzolo, che a dispetto delle indagini della Procura e del fatto che da inizio ottobre è scaduto il contratto di gestione rifiuti con la multiutility Iren, continua a crescere alle porte della città per entrare in funzione entro fine 2012. Pizzarotti non si scompone e spera, aprendo la via a un impianto alternativo per il trattamento meccanico biologico dei rifiuti, ma intanto Iren ha chiesto 28 milioni di euro di danni per lo stop imposto nel 2011 dall’ex sindaco Pietro Vignali, e a pagare, in caso di sconfitta, sarà l’amministrazione Cinque stelle.

In campagna elettorale tutto sembrava più facile, ma una volta indossata la fascia tricolore, Pizzarotti ha scoperto a proprie spese che non tutti gli obiettivi che i Cinque stelle si erano prefissati sono così facili da raggiungere. E conti alla mano, quello che per ora è costretto a fare è rattoppare i buchi lasciati dagli altri predecessori, raddrizzare dove è possibile, proseguire progetti in cui un cambio di rotta porterebbe a un ulteriore danno economico del Comune, che ha già un debito di oltre 800 milioni di euro.

Con questa motivazione la giunta che osteggia la grande distribuzione ha dato il via libera a un centro commerciale Decathlon di 9mila metri quadrati nella prima periferia di Parma pianificato in passato. “Un’opera che non ci rappresenta – ha ammesso sconsolato l’assessore all’Urbanistica Michele Alinovi – ma l’approvazione era inevitabile, fermarlo comporterebbe penali troppo alte”. Stessa ragione per cui il sindaco non riuscirà a fermare la tappa parmigiana del circo Rinaldo Orfei di Aldo Martini, che a Imola ha scatenato le polemiche dopo la morte della giraffa Aleksandre. E questo nonostante nel programma i Cinque stelle proponessero di “vietare la sosta a circhi e spettacoli itineranti che facciano utilizzo di animali esotici”. La domanda in questo caso era stata vagliata ad aprile dal commissario e l’iter autorizzativo non si poteva fermare, anche se deve ancora arrivare il via libera definitivo dell’Ausl. “Non potevamo fare altro e dovevamo agire nel rispetto delle norme, per non incorrere in cause legali” chiarisce Pizzarotti, che però promette per il futuro un regolamento per evitare queste forme di sfruttamento degli animali.

Anche sulle partecipate, un buco nero in cui si dividono i debiti milionari del Municipio, le operazioni della giunta seguono la scia di quanto avviato dalla gestione commissariale di Mario Ciclosi, come la vendita delle quote di Stu Pasubio, con cui di fatto il Comune cederebbe a privati una zona della città in via di riqualificazione. E questo fa infuriare la minoranza, che in consiglio comunale chiede condivisione sulle decisioni che riguardano il patrimonio pubblico. Come i 7,2 milioni di debito inseriti fuori bilancio, accumulati tra il 2006 e il 2011 dalle passate amministrazioni, spese previste da contratti o convenzioni per cui non era stata pianificata la copertura economica. L’opposizione voleva “una caccia alle streghe” sui responsabili, una battaglia per dimostrare l’illegittimità di questi debiti. Invece l’assessore al Bilancio Gino Capelli e il sindaco hanno scelto di agire con responsabilità, di coprire i buchi e voltare pagina. “Prendersi la responsabilità non significa diventare corresponsabili” ha detto il primo cittadino, incalzato in consiglio. Ma intanto la denuncia della coalizione di centrosinistra è chiara: “Nel bilancio sembra che siamo ancora una città commissariata e la maggioranza vota per ordine di partito, senza entrare nel merito delle questioni”.

In aula piovono accuse di immobilismo, di mancanza di pianificazione e poco rispetto verso gli organi di rappresentanza democratica, addirittura si punta il dito sulla non trasparenza, da sempre vessillo del Movimento. Pizzarotti non fa fatica a rispondere, perdendo però quel sorriso che lo contraddistingue dal giorno del ballottaggio, perché quello che chiede alla minoranza è collaborazione e soprattutto critiche sì, ma costruttive: “Stiamo seguendo una strada tracciata dal commissario per arrivare ad avere i conti in equilibrio e fino a Natale faremo questo. Fino ad oggi abbiamo bevuto champagne e mangiato caviale, quando forse era il caso di mangiare delle bruschette. Noi siamo al lavoro tutti i giorni per cercare di portare a casa il Comune, non noi, non la nostra facciata”.

Certo i passi in avanti verso il cambiamento, seppur piccoli, ci sono stati: i tagli ai privilegi dei politici, dalle auto blu ai biglietti gratis a teatro e allo stadio, fino alla riduzione dello stipendio dello stesso sindaco e perfino agli esperimenti di democrazia diretta nei quartieri, dove i cittadini, seguiti da una psicoterapeuta, si organizzano in gruppi e manifestano preoccupazioni e proposte per migliorare la cosa pubblica. Per non parlare della battaglia sul Teatro Regio, in cui il Comune è stato lasciato da solo dai poteri forti della città e nonostante tutto è riuscito a tenere in piedi il Festival Verdi e a portare a Parma una nuova dirigenza. Ma su altre promesse la città è ancora in attesa. “Abbiamo cinque anni di tempo per realizzare il nostro programma – assicura Pizzarotti – ma ora non ci sono le condizioni per farlo”. La sfida per il sindaco a Cinque stelle non è semplice e la prima cruciale scadenza è proprio quella del termovalorizzatore. Nonostante gli auspici del leader Beppe Grillo, venuto a fine settembre a Parma per fare la guerra al forno, bloccare l’impianto potrebbe diventare una missione impossibile.


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