Va bene lo posto io:
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LA SVOLTA DEL FMI: MENO AUSTERITY, PIU’ TEMPO NEI SALVATAGGI
Il Fondo monetario annuncia che le politiche di salvataggio dei Paesi in crisi devono essere meno austere: gli effetti dei tagli alla spesa pubblica imposti sinora sono più recessivi di quanto si credesse. Una svolta epocale, finalmente.
L’11 ottobre scorso, a Tokyo, si è consumata una rivoluzione copernicana: il direttore del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde ha chiesto ai Paesi dell’Eurozona di accordare più tempo agli Stati in crisi nell’applicazione dei programmi di rigore. In particolare il Fmi è favorevole a concedere due anni in più alla Grecia per il risanamento dei conti pubblici rispetto ai tempi previsti nel piano di salvataggio; la stessa elasticità, poi, andrebbe concessa anche alla Spagna per il rientro entro parametri di bilancio più virtuosi.
La Lagarde ha ammesso in modo inequivocabile che l’austerità indebolisce i Paesi cui viene meccanicisticamente applicata: in un contesto economico mondiale debole, il rapido risanamento dei conti pubblici a prescindere pesa sulla ripresa a breve termine, riducendo le entrate fiscali e quindi peggiorando ulteriormente il disavanzo. Pertanto il Fmi osserva che l’aumento del debito a livello mondiale è dovuto anche alla presenza del circolo vizioso risanamento/recessione indotta. L’enfasi, secondo Washington, andrebbe posta non più solo sul consolidamento fiscale (il rigore a tutti i costi), ma sul bilanciamento tra consolidamento e crescita. Questo ragionamento porta il Fmi alla conclusione che senza sforzi per far ripartire strutturalmente la crescita l’intera economia globale è in pericolo.
In pratica la crisi economica globale è riuscita in un’impresa epocale: far abbandonare al Fmi la ultradecennale ortodossia estrema in materia di austerity, con una virata a centottanta gradi verso politiche macroeconomiche meno inutilmente severe e tese alla ricerca di una maggiore efficacia concreta. Se alle dichiarazioni seguiranno i fatti, il mondo potrebbe essere all’alba di un nuovo, promettente realismo economico: chiaramente non aiuti incondizionati ai Paesi in difficoltà, quanto una sensata elasticità nell’applicazione degli interventi di sostegno internazionale. Può sembrare strano che sia proprio il Fmi, sino ad oggi il fautore più feroce dell’austerità fiscale, a sostenere che di eccessivo rigore uno Stato può morire: in realtà un processo di analisi critica era in corso da tempo all’interno del Fondo, avviato dal precedente direttore Dominique Strauss-Kahn.
IL MOLTIPLICATORE FISCALE
Le nuove convinzioni del Fmi si basano su analisi dettagliate, che mostrano come gli effetti depressivi dell’austerità possono essere devastanti sulla crescita, molto più di quanto ipotizzato in precedenza. Washington ha realizzato uno studio, pubblicato nell’ultimo World Economic Outlook (link
http://www.imf.org/external/pubs/ft/weo ... f/text.pdf, da pagina 41), da cui si evince che i piani di austerità fiscale hanno un impatto negativo sulla crescita sinora sottostimato (e di molto): analizzando 28 economie dallo scoppio della crisi (2008) in poi è emerso, dati alla mano, che il tasso di crescita è stato inferiore alle aspettative (o, meglio, la contrazione maggiore delle aspettative).
La spiegazione sta nell’impatto del cosiddetto moltiplicatore fiscale, ovvero il rapporto fra un cambiamento nel deficit pubblico e la crescita dell’economia. Un esempio: se uno Stato riduce (deve ridurre) il deficit pubblico di 100, il Pil scende di 50 con un moltiplicatore a 0,5, scende di 150 se il moltiplicatore è 1,5.
Finora i modelli econometrici utilizzati dalle istituzioni internazionali quantificavano (in modo assiomatico) il valore del moltiplicatore fiscale a 0,5: a ogni punto percentuale di riduzione del deficit corrisponde mezzo punto di minor crescita del Pil. Anche la Commissione Ue fonda i suoi interventi su tale presupposto: i programmi di aggiustamento dei Paesi in difficoltà e le previsioni di crescita derivano dal moltiplicatore a 0,5.
Il Fondo, sotto la guida del capo economista Olivier Blanchard, ha verificato che in base alle evidenze empiriche il moltiplicatore si colloca in realtà fra 0,9 e 1,7: in sostanza il Fmi si è accorto (con enorme e grave ritardo, riteniamo noi di Economy2050) che gli aggiustamenti fiscali hanno un effetto depressivo sull’economia molto superiore a quanto ritenuto in passato. Se ad ogni punto percentuale di minor spesa pubblica il Pil si contrae dell’1,5%, succede che il bilancio non si risana mai perché il Pil minore a sua volta riduce le entrate fiscali e crea disoccupazione. Pertanto, la sottostima sistematica del moltiplicatore fiscale ha indotto effetti negativi imprevisti per effetto delle politiche economiche fondate esclusivamente sui tagli di bilancio nel breve termine, innescando sistematicamente una spirale negativa tagli di bilancio-recessione.
Non si tratta di discorsi astratti, ma della impostazione (sinora dogmatica, più che scientifica) che sta dietro agli interventi di salvataggio internazionale: concetti che possono fare la differenza fra la cancellazione di migliaia di posti di lavoro o meno, fra il rilancio dell’economia di un Paese o la condanna al duraturo impoverimento senza possibilità di redenzione. Ricordiamo come l’Argentina rifiutò il salvataggio del Fmi, preferendo emarginarsi finanziariamente dalla comunità internazionale piuttosto che adottare lo standard economico del Fondo. I sacrifici e la contrazione brutale dell’economia ci furono subito dopo il default, ma, trascorsi due anni, nel decennio successivo l’economia di Buenos Aires è stata quella a maggior crescita a livello mondiale. La Grecia, sottoposta all’ortodossia austera del soccorso internazionale, oggi è in una contrazione economica che dura da oltre quattro anni e sembra non avere fine.L’INFLUENZA DELLA CRISI ECONOMICA MONDIALE
I risultati del paper del Fmi sono probabilmente influenzati anche dall’attuale contesto economico: la grande recessione è in corso da anni, i tassi d’interesse sono vicini allo zero da tempo, i fattori produttivi sono sostanzialmente inutilizzati (il dato più evidente è l’alta disoccupazione, che sta diventando strutturale), il modello di crescita basato su consumi sempre in ascesa è in crisi, le strette interrelazioni economiche fra i Paesi (globalizzazione) fanno sì che la crisi si estenda ovunque con facilità. In condizioni normali, una politica fiscale recessiva ha un naturale bilanciamento nella politica monetaria espansiva; ma se la politica monetaria è già espansiva (come oggi lo è da tempo nelle economie avanzate), essa non può mitigare gli effetti della contrazione del bilancio pubblico e quindi contenere l’impatto negativo del moltiplicatore fiscale.
Il modello econometrico (peraltro in gran parte basato sull’esperienza relativa a casi isolati e specifici) costruito nel corso dei lunghi anni di crescita mondiale elevata si rivela oggi sempre più pericolosamente inadeguato.
LE CONSEGUENZE TRATTE DAL FMI
Lo studio precisa che le conclusioni non sono definitive, ma il Fmi ne trae comunque due conseguenze sostanziali.
•Innanzitutto che la politica fiscale da applicare nei Paesi in crisi deve essere impostata con un orizzonte di medio termine, in modo credibile e dettagliato. Secondo Blanchard il risanamento dei conti deve essere “una maratona, non uno sprint. Ci vogliono molti anni. È molto importante avere un piano credibile per il medio termine perché così si può procedere più lentamente all’inizio”. Insomma, il nuovo verbo è la gradualità nell’aggiustamento dei bilanci pubblici per non strangolare l’economia: ridurre i deficit in tempi molto stretti è controproducente, in quanto aggiunge ulteriori danni a quelli endogeni che hanno generato la crisi del Paese soccorso.
•La seconda implicazione dello studio è la necessità di concentrare l’attenzione sugli obiettivi strutturali di bilancio, depurandolo dagli effetti del ciclo economico e delle misure una tantum, e non più su target nominali. Questo punto, di puro buon senso, è stato inserito anche nelle recenti riformulazioni dei Trattati europei (fiscal compact) , che hanno previsto il pareggio strutturale di bilancio al netto di eventi che comportino spese non strutturali (come può essere un terremoto o, più frequentemente, una fase depressa del ciclo economico). Secondo Blanchard “concentrarsi sugli obiettivi strutturali e non su quelli nominali implica che, se la crescita risulta peggiore del previsto, il Paese non è costretto ad adottare ulteriori restrizioni fiscali che peggiorano la situazione”. Queste dichiarazioni portano alla mente l’esempio della Grecia, dove si è innescato un circolo vizioso fra tagli di bilancio e caduta del Pil senza soluzione di continuità e senza alcuna possibilità di essere spezzato seguendo l’ortodossia economica attuale. Stesso rischio sta correndo oggi la Spagna, che appare all’inizio di un avvitamento su sé stessa molto simile a quello percorso dalla Grecia.
La virata del Fmi potrebbe avere importanti conseguenze pratiche proprio in Europa, dove tre Paesi contemporaneamente stanno applicando severi programmi di austerità (e due se ne aggiungeranno entro breve).
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.