Verissimo, Marchionne ha detto una cavolata. Ma torniamo alle disussioni serie.
Zelig Marchionne. Grande manager o capo spregiudicato?
Pubblicato: Mer, 10/10/2012 - 17:30 • da: Luigi Zingales
Da L'Espresso 11 ottobre 2012
Gli italiani amano dividersi: guelfi contro ghibellini, romanisti contro laziali, berlusconiani contro antiberlusconiani. E applicano la stessa passione anche alle questioni economiche. C'è chi tifa per Sergio Marchionne, per passione o per dovere, e chi tifa contro, per passione o partito preso. Ma chi è Marchionne? Il salvatore della Fiat e della Chrysler? Il manager italiano più amato dagli americani? O l'espressione più degenerata dell'avido capitalismo nostrano, che licenzia gli operai, attacca i sindacati, ma poi vive di sussidi statali?
Marchionne il rivoluzionario
Il primo volto di Marchionne è quello del rivoluzionario. Quando arrivò in Fiat, nel 2003, la società era sull'orlo del fallimento. Il debito era stato da poco declassato a spazzatura, i nuovi modelli languivano e la struttura interna, faraonica e burocratica, assomigliava a un ministero. I manager non si parlavano direttamente, ma solo tramite le segretarie, come i dignitari di imperi che furono. In questa corte orientale Marchionne portò il pragmatismo anglosassone. Molti livelli di burocrazia furono eliminati. Tutti i manager furono costretti ad assumere molteplici funzioni in diverse divisioni dell'impresa per favorire lo scambio di informazioni e la fertilizzazione incrociata. Molti modelli, progettati ma mai realizzati, furono lanciati, con grande successo. Questa cura da cavallo salvò la Fiat dalla bancarotta e fece schizzare il prezzo delle azioni. Allora Marchionne era osannato da tutti. Poi venne la crisi.
Marchionne l'opportunista
Fu proprio all'inizio della crisi che incontrai Marchionne, a una riunione promossa dalla Confindustria. Data la sua fama, mi aspettavo un visionario, un manager diverso, non solo nell'abbigliamento, ma nello stile. Restai deluso, Marchionne era lì a domandare sussidi statali per l'auto, come un Cesare Romiti qualsiasi. E sussidi ottenne, secondo il più trito copione della Repubblica Italiana: quando mamma Fiat chiede, il governo dispone.
Marchionne il visionario
Ma mentre in Italia Marchionne operava come aveva fatto Romiti, nel mondo era un visionario. Da lungo tempo l'industria dell'auto soffriva di due problemi: eccesso di capacità produttiva, specialmente nel vecchio Continente, e un costo crescente per sviluppare nuovi modelli. Solo operatori globali potevano giustificare questi costi, ammortizzandoli su un numero superiore di automobili. Ma la Fiat che Marchionne aveva ereditato era un marchio regionale, non globale. Negli Stati Uniti l'acronimo Fiat veniva ridicolizzato come "Fix It Again Tony" (aggiustala ancora Antonio). Senza una presenza in Nord America, Asia e Africa, la casa torinese dipendeva troppo dal mercato europeo (con scarsa crescita). Non era facile risolvere questa impasse, in cui la Fiat era precipitata per la lunga inattività degli Agnelli. La società non poteva espandersi costruendo nuovi impianti, perché avrebbe solo accentuato l'eccesso di capacità produttiva. La sola via erano le acquisizioni. Che però a livello internazionale (da quella di Volvo da parte di Ford, a quella di Chrysler da parte di Daimler Benz) si erano rivelate non solo costose, ma anche disastrose. Che fare? Marchionne ebbe il coraggio di cogliere l'opportunità fornita dalla crisi mondiale. Non è facile investire quando il mondo sta crollando. Marchionne fu capace di farlo. L'offerta per la Chrysler andò in porto, mentre quella perla Opel no, per l'opposizione dei tedeschi. Cogliere l'opportunità è solo una parte dell'equazione, il resto è far riuscire una fusione di culture aziendali che non era riuscita neppure ai tedeschi. Marchionne, dopo aver rivoluzionato la Fiat, rivoluzionò anche la Chrysler, cambiando una cultura aziendale peggiore di quella Fiat. I risultati seguirono.
Promesse da Marchionne
Nel 2010 Marchionne annuncia il famoso piano "Fabbrica Italia": investimenti per 20 miliardi di euro e l'intenzione di espandere la produzione di vetture in Italia a 1,4 milioni. Non è solo un piano di investimenti, ma anche un piano di marketing politico. Marchionne cerca di cambiare le condizioni del contratto dei metalmeccanici. Questo è lo zuccherino per rendere meno amara la medicina. Quando questo piano viene annunciato in Italia si immatricolano 1,9 milioni di auto. Oggi le previsioni per tutto il 2012 sono 1,4 milioni, con un crollo del 26 per cento. Le vendite della Fiat scendono ancora di più. Ma non si tratta solo di una crisi congiunturale. Il consumo di automobili nei Paesi sviluppati sembra in diminuzione. Gli acquisti virtuali, il tele-commuting, l'invecchiamento della popolazione si aggiungono al caro benzina. La domanda di automobili sembra essersi permanentemente ridotta e così le opportunità di investimento. Erano, le promesse del 2010, troppo ottimistiche? Probabilmente sì. Ma di fronte a un crollo del mercato di queste proporzioni ogni imprenditore avveduto rivede i programmi. Non farlo sarebbe un suicidio. Anche per il Paese è meglio una Fiat piccola che una Fiat fallita.
II cartello di Marchionne
Il lato duro di Marchionne non lo hanno conosciuto solo gli operai italiani, ma anche i suoi concorrenti. A luglio, in un'intervista al "New York Times", Marchionne accusa la Volkswagen di essere troppo aggressiva nella riduzione dei suoi prezzi. Marchionne è anche presidente dei costruttori europei di automobili (la lobby dell'auto in Europa). In risposta Volkswagen ne chiede le dimissioni. Ma si tratta, come sempre, di una strategia negoziale. L'obiettivo di Marchionne è di chiedere l'intervento Ue per favorire la riduzione della capacità produttiva: ovvero un sussidio per ridurre le auto prodotte e poter aumentare i prezzi. D'altra parte l'Unione europea è solita farlo in agricoltura, perché non nel mercato delle auto?
Uno, Nessuno, Centomila
Ma allora siamo noi italiani che non capiamo il genio di Marchionne? O gli americani che ne vedono solo un'immagine a tinte rosee? Chi è veramente Marchionne? Il manager amato in America o quello odiato in Italia? Entrambi e nessuno dei due. Marchionne è un manager molto capace, ma anche molto spregiudicato, che sfrutta ogni angolo per guadagnare. Uno Zelig che si adatta all'ambiente per sfruttare ogni opportunità. Finora gli americani ne hanno visto il lato buono, come noi prima del 2007. In Italia, e in Europa in genere, oggi prevale il lato "cattivo". Ma se abbiamo visto questo lato è perché a lui, ora, conviene mostrarlo. In Italia (e in Europa) è più facile fare soldi con il lobbying che competendo nel mercato. Sul Grand Canyon c'è un cartello a caratteri cubitali che dice: «Non dare da mangiare agli animali selvatici». In caratteri più piccoli si spiega che in questo modo gli animali perderebbero la capacità di andare in cerca del cibo, mettendo a repentaglio la loro sopravvivenza nell'ambiente naturale. Sono stati gli uomini a piantare il cartello. Se la questione fosse stata demandata agli animali, avrebbero preferito non esporre alcun cartello. Anzi avrebbero fatto lobby per avere più cibo gratis. Lo stesso vale per le imprese. Individualmente, ogni imprenditore ha vita più facile se foraggiato dal governo: ecco perché si spende così tanto in attività di lobby. Ma nel suo complesso il sistema di mercato peggiora. Come sarebbe pericoloso lasciare che siano gli animali a dettare le regole dei parchi nazionali, è imprudente lasciare che siano gli imprenditori come Marchionne a dettare le condizioni. Non è che non capiamo Marchionne. E che non capiamo come una tradizione di aiuti cambia la prospettiva di tutti gli imprenditori che operano sul mercato. E allora cambiamo il sistema: non solo Marchionne, ma anche gli altri imprenditori, ci faranno vedere il loro lato migliore.
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“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)