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I paradossi italiani del caso Sallusti

Garantire insieme: sicurezza e giustizia uguale per tutti; privacy e diritto del cittadino all'informazione

Re: I paradossi italiani del caso Sallusti

Messaggioda Robyn il 28/09/2012, 16:15

Per Sallusti e Farina serve o il provvedimento retroattivo o la grazia anche perchè in mancanza potrebbero trasformarsi in martiri della libertà di stampa,quando non è così.Inoltre l'eliminazione della detenzione non elimina il reato che diventa solo amministrativo o con la radiazione temporanea o perpetua dalla professione in caso di diffusione a mezzo stampa di informazioni false o contrarie al buon costume come ad esempio incitare alla pena di morte.Se per libertà significa poter scrivere e fare anche tutto ciò che illecito si creerebbe uno squilibrio.Significherebbe avere la massima libertà togliendola agli altri che magari chiedono di essere difesi dalle diffamazioni ,si creerebbe cioè un buco nello stato di diritto ciao robyn
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Re: I paradossi italiani del caso Sallusti

Messaggioda flaviomob il 28/09/2012, 16:21

Martiri professionali, come cantava De Gregori... ;)


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Re: I paradossi italiani del caso Sallusti

Messaggioda flaviomob il 28/09/2012, 16:26

Bisognerebbe capire se fu diffamazione o se la pubblicazione di notizie palesemente false configuri il reato di calunnia.
In questo caso, ad esempio, il codice penale svizzero prevede il carcere. Per la diffamazione, no.

http://www.admin.ch/ch/i/rs/311_0/a174.html


Art. 174

Calunnia

1. Chiunque, comunicando con un terzo e sapendo di dire cosa non vera, incolpa o rende sospetta una persona di condotta disonorevole o di altri fatti che possano nuocere alla riputazione di lei,

chiunque, sapendo di dire cosa non vera, divulga una tale incolpazione o un tale sospetto,

è punito, a querela di parte, con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria.

2. Se il colpevole ha agito col proposito deliberato di rovinare la riputazione di una persona, la pena è una pena detentiva sino a tre anni o una pena pecuniaria non inferiore a 30 aliquote giornaliere.1

3. Se il colpevole ritratta davanti al giudice come non vero quanto egli ha detto, può essere punito con pena attenuata. Il giudice dà all’offeso atto della ritrattazione.


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Re: I paradossi italiani del caso Sallusti

Messaggioda flaviomob il 28/09/2012, 16:32

Su LA STAMPA le risposte che cercavamo!

---
http://www.lastampa.it/2012/09/28/cultu ... index.html

Diffamazione: come
si punisce all’estero?

Il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti
Mercoledì la Cassazione ha confermato per il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, i 14 mesi di reclusione senza condizionale comminati dalla Corte d’Appello di Milano per un articolo uscito su «Libero» nel febbraio nel 2007. Ma che cosa prevedono, in casi come questo, le legislazioni degli altri Paesi nel mondo?

Come è punita la diffamazione in Germania?
Con una pena pecuniaria o carcere fino a 2 anni, che salgono al massimo a 5 se avviene a mezzo stampa. In realtà spesso le indagini vengono archiviate con le scuse o il pagamento di una somma e gli esperti non ricordano nessun caso alla Sallusti. In Germania, spiega Tim Hoesmann, avvocato specializzato in diritto dei media, si sceglie la strada del diritto civile: il ricorrente punta a ottenere una «Unterlassungserklärung», con cui il giornale si impegna a non ripetere le frasi incriminate. Poi c’è la particolare difesa della libertà di stampa. Inoltre «i tribunali tedeschi hanno difficoltà a condannare i giornalisti, anche per ragioni storiche», nota Hoesmann. Poi ci sono ragioni etiche: è difficile immaginare un direttore che finisca in carcere per diffamazione, spiega Rolf Schwartmann, professore di diritto dei media a Colonia: la diffamazione a mezzo stampa richiede che si dichiari il falso sapendo di mentire, ma questo sarebbe un suicidio pubblicistico. (Alessandro Alviani)

E in Francia?
In Francia la legge sulla stampa risale al 1881. Con molti aggiustamenti, è tuttora in vigore. Il regime è molto simile a quello italiano: il direttore è responsabile di tutto quello che pubblica il suo giornale ed è garantito il diritto di replica («Droit de réponse»), in sostanza alla rettifica di informazioni sbagliate. L’ordinamento è più severo di quello italiano sia nella tutela della vita privata dei cittadini (fra le informazioni sensibili, per esempio, oltre allo stato di salute e l’orientamento sessuale c’è anche la religione) sia nella tutela del segreto istruttorio: nessun giornale pubblica, come in Italia, i verbali di interrogatori. I «Délits de presse» sono giudicati dalla Diciassettesima camera del Tribunale di grande istanza di Parigi, detta appunto «Chambre de la presse». Le pene sono pecuniarie: fino a 12 mila euro per la diffamazione, che salgono a 45 mila se il diffamato è una persona o un’istituzione pubblica o se la diffamazione ha un contenuto razziale. Ma generalmente il tribunale condanna all’ammenda simbolica di un euro.
(Alberto Mattioli)

In Inghilterra?
L’obiettivo della legge sulla diffamazione a mezzo stampa è trovare un equilibrio tra il diritto alla libertà d’espressione e la protezione della reputazione individuale. Il giornalista colpevole di avere esposto all’odio, al ridicolo o al biasimo sociale una terza persona attraverso un articolo falso o malevolo, rischia una pena pecuniaria proporzionale all’entità del danno causato (ma in genere rapida e molto salata), ma non il carcere. La pena può essere estesa al giornale, a chi lo distribuisce e anche a chi riprende la notizia. L’uso di uno pseudonimo (se non utilizzato per motivi di sicurezza) è considerato un’aggravante. La diffamazione a mezzo stampa è stata depenalizzata nel 2009 con l’introduzione del «Coroner and Justice Act», una norma diretta a sostenere dibattiti di pubblico interesse su temi delicati che altrimenti potrebbero essere trascurati o trattati solo lateralmente.
(Andrea Malaguti)

E cosa succede in Spagna?
In Spagna il codice penale prevede una pena da sei mesi a due anni per il reato contro l’onore (comprendente sia la calunnia che l’ingiuria), se commesso «con pubblicità», ossia la nostra diffamazione. Al fine del pagamento dei danni il codice civile considera solidale la persona fisica o giuridica proprietaria del mezzo di comunicazione. «Benché teoricamente possibile, nessun giornalista o direttore di quotidiano è mai stato condannato per quel reato», dice l’avvocato Jacinto Gil, specializzato nei reati per mezzo stampa. Diverso il discorso per il reato di partecipazione e collaborazione con banda armata: nel 2001 sono finiti dietro le sbarre Pepe Rey, redattore capo delle rivista filo-Eta «Ardi Belza», e nel ’98 Xabier Salutregi e Teresa Toda, direttore e vice-direttore del quotidiano di San Sebastian «Egin», megafono fino ad allora legale dei terroristi baschi.
(Gian Antono Orighi)

E negli StatiUniti?
Le leggi contro la diffamazione a mezzo stampa sono moderate dal Primo emendamento alla Costituzione, che tutela la libertà di espressione, voluto espressamente per proteggere la libertà di stampa. Si spiega così la sentenza della Corte Suprema nel caso «New York Times contro Sullivan» del 1964, che stabilì la possibilità di condannare un reporter per diffamazione di un personaggio pubblico solo potendo dimostrare «reale malizia», ovvero che editore e giornalista «erano a conoscenza della falsità della notizia, indipendentemente se la notizia era falsa o meno». Non esistono dunque reati federali a mezzo stampa che comportino pene detentive mentre 17 Stati li prevedono: dal 1965 al 2004 vi sono state 16 condanne, nove delle quali hanno portato a detenzioni per una media di 173 giorni. Nella maggioranza dei casi la condanna è stata a 1.700 dollari di multa, a 120 ore di servizio pubblico o alla semplice redazione di una lettera di scuse.
(Maurizio Molinari)


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Re: I paradossi italiani del caso Sallusti

Messaggioda franz il 28/09/2012, 17:30

ranvit ha scritto:Come ci (si) comporta in altri paesi europei per i casi di diffamazione?


Chi ne è a conoscenza? Mi piacerebbe saperlo.

Non lo so ma sto indagando.
Per ora trovo che in europa le cose sono diverse (e quando mai?)
http://archivi.articolo21.org/4083/noti ... la-di.html
http://www.huffingtonpost.it/2012/09/25 ... 11850.html

I dati piu' utili per ora trovati sono nel secondo link che ho indicato:
Nel resto del mondo le cose stanno diversamente. In Gran Bretagna la diffamazione non è più un reato dal 2009, da quando è stata varata una riforma che introduce la depenalizzazione di tutti i reati che riguardano l’opinione. In America è considerato diffamante un contenuto chiaramente falso, per l’Italia il colpevole del reato di diffamazione non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa ( art. 596, c.p.). In Svezia e Germania le sanzioni sono solo pecuniarie, come anche in Francia, anche qui c'è la possibilità,come da noi, del processo penale. Anche in Svizzera chi diffama è punito con la multa, ma il giornalista non incorre in alcuna sanzione se dimostra di aver agito in buona fede, se si appella cioè alla verità putativa della notizia.

Leggo anche su wikipedia che
La categoria che più di tutte subisce la denuncia per diffamazione è quella dei giornalisti. Un'indagine svolta dall'Ordine dei giornalisti della Lombardia ha rilevato che la maggior parte delle querele che si sono poi tradotte in rinvii a giudizio è stata presentata da magistrati. Relativamente al biennio 2001-2002, le cause giunte al Tribunale Civile di Milano sono state avviate nel 18% dei casi proprio dai magistrati; la percentuale sale al 45,6% se si fa riferimento ai procedimenti esaminati dalla Corte d'Appello. In media, il risarcimento danni chiesto dall'appellante è di circa 9 milioni di euro. Anche in sede penale, la categoria più querelante è quella dei magistrati.[7]
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Re: I paradossi italiani del caso Sallusti

Messaggioda Robyn il 28/09/2012, 19:15

In realtà si deve realizzare un provvedimento che da un lato tuteli la
libertà di informazione e dall'altro tuteli chi è diffamato.Un pò come nelle
intercettazioni dove bisogna garantire le indagini,la riservatezza di chi è
indagato,la libertà di informazione ciao robyn
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Re: I paradossi italiani del caso Sallusti

Messaggioda flaviomob il 29/09/2012, 16:02

Sallusti e Farina sul corpo delle donne



I fatti

Il direttore del Giornale Alessandro Sallusti è stato condannato a 14 mesi di reclusione in Cassazione per reato di diffamazione nei confronti del giudice tutelare Giuseppe Cocilovo per un articolo uscito su Libero nel 2007 e firmato con uno pseudonimo (Dryfus), quando Sallusti dirigeva quel giornale.
Nel corso della puntata di Porta a Porta di ieri, Vittorio Feltri afferma pubblicamente che è Renato Farina l’autore del pezzo firmato Dreyfus per cui Sallusti è stato condannato per omissione di controllo, essendo lui il direttore del giornale che lo pubblicò.
Oggi Renato Farina (ora deputato del Pdl ma radiato dall’Ordine dei giornalisti anni fa per aver ammesso di aver lavorato con i Servizi segreti italiani fornendo informazioni e pubblicando notizie false in cambio di denaro), ha fatto la sua confessione alla Camera, ammettendo di aver scritto lui quell’articolo e chiedendo la grazia per il giornalista o la revisione del processo a suo carico e aggiungendo: “Chiedo umilmente scusa al magistrato Cocilovo: le notizie su cui si basa quel mio commento sono sbagliate”. Ma ha anche detto: “Non provo un senso di colpa e moralmente non mi sento responsabile della condanna di Sallusti. Se io avessi saputo per tempo e il magistrato me l’avesse chiesto avrei detto di averlo scritto io”.
Oggi pomeriggio il presidente Napolitano e il ministro della Giustizia Paola Severino, hanno espresso l’esigenza di modifiche normative in materia di diffamazione a mezzo stampa, non escludendo ricadute sul caso Sallusti.
Il provvidemento, per cui il direttore vuole dare le dimissioni dalla direzione del Giornale (rifiutate dall’editore del quotidiano Paolo Berlusconi), non significherà per Sallusti materialmente il carcere perché, essendo incensurato, avrà pena sospesa (il carcere ci sarà per lui solo in caso di una seconda condanna penale in cui si prevede un cumulo di pena).
L’opinione

La condanna in penale sul reato di opinione è spregevole e nessuno deve andare in carcere per quello che pensa, e su questo non ci sono dubbi, ma per essere certa di quello che scrivo sono andata a vedere i motivi contenuti nell’articolo di Renato Farina – e che il direttore Sallusti non ha impedito di pubblicare – che hanno fatto decidere il giudice tutelare Cocilovo di ricorrere in penale. E scopro con orrore che, come dice il giornalista tedesco Michael Braun nel suo articolo “Libertà di diffamazione” apparso oggi su Internazionale online: “in veste di direttore, Sallusti si è reso complice di un reato grave, e che prima di assurgere al ruolo di martire ha vestito i panni dell’autore di un atto illecito”. Ma cosa avrà pubblicato Libero nel 2007 di così terribile? L’articolo di Farina parla di un fatto accaduto un po’ di anni fa e riguardante una situazione molto delicata in cui il giudice tutelare Cocilovo ha autorizzato una interruzione di gravidanza di una ragazza di 13 anni accompagnata dalla madre (e non dal padre, e per questo l’intervento del giudice tutelare) sulla cui vicenda non entro in merito per ovvi motivi. Il fatto è che Farina non descrive né dà una generica opinione e neanche ci ricama sopra, ma attacca frontalmente il diritto all’interruzione di gravidanza, trattando il corpo della minore come fosse un involucro contenente un qualcosa che non la riguarda, denigrando la capacità genitoriale di questi genitori, la professionalità del ginecologo e del giudice, per cui non solo sembra che la ragazzina sia stata forzata ad abortire contro la sua volontà ma si chiamano questi adulti “assassini” e si richiede a loro carico la pena di morte: altro che 14 mesi di reclusione! “Qui ora esagero. Ma prima domani di pentirmi, lo scrivo: se ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo e il giudice. Quattro adulti contro due bambini. Uno assassinato, l’altro (l’altra, in realtà) costretto alla follia”. Farina inneggia platealmente al diritto alla vita e sempre e comunque in piena sintonia con le crociate antiabortiste fin troppo note a noi donne, ma non si arresta perché poi rincara dicendo, di noi, che “si resta madri anche se il figlio è morto”! (e tra l’altro: ma lui che ne sa?). Sui genitori della ragazza Farina aggiunge testuale: “Strappare in fretta quel grumo dal ventre della bimba prima che quell’Intruso frignasse, e magari osasse chiamarli, loro tanto giovani, nonna e nonno. Figuriamoci. Tutta ’sta fatica a portare avanti e indietro la pupa da casa a scuola e ritorno, in macchina con la coda, poi a danza, quindi in piscina. Ora che lei era indipendente, ecco che si sarebbero ritrovati un rompiballe urlante e la figlia con i pannolini per casa. Il buon senso che circola oggi ha suggerito ai genitori: i figli devono essere liberi, vietato vietare. Dunque, divertitevi, amoreggiate. Noi non eccepiamo. Siamo moderni. Quell’altro che deve nascere però non era nei patti, quello è vietato, vietatissimo”. Io mi sento offesa, offesa profondamente, come donna, ma soprattutto come essere umano, sia da Farina che da Sallusti: il primo perché ha strumentalizzato una vicenda tragica di una ragazzina minorenne per sostenere la sua crociata antiabortista, e il secondo perché aveva il dovere di controllare questo abominio che non è classificabile neanche come “opinione”. La ragazzina, secondo Farina, cosa doveva fare? tenersi il bambino? e il giudice che doveva fare? non autorizzare l’interruzione di gravidanza? E il ginecologo? Rifiutare di effettuare l’interruzione? La correttezza dell’informazione, compresa l’opinione, è anche nel rifiuto della strumentalizzazione del corpo delle donne e nel rispetto delle donne stesse e delle loro decisioni. Chi scrive deve sapere cosa sta dicendo perché non fa una chiacchiera in un bar ma lo scrive su un organo di informazione nazionale, e sono proprio i direttori dei giornali che devono vigilare affinché ciò avvenga in maniera corretta e comunque non offensiva anche quando si esprime un pensiero o una opinione. GiULiA (la rete delle giornaliste autonome nazionale) si è fatta due domande: “Perchè Ordine e Sindacato di fronte a quell’articolo, che conteneva falsità e dunque gravemente lesivo del diritto dei lettori alla verità, pubblicato nel 2007, non erano intervenuti per sanzionarlo? E perché non radiare Sallusti, il che significa per cominciare ed automaticamente, secondo la legge, sospenderne la firma come direttore responsabile?” Ecco infatti: perché?
di Luisa Betti
pubblicato il 27 settembre 2012

http://blog.ilmanifesto.it/antiviolenza/


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Re: I paradossi italiani del caso Sallusti

Messaggioda pianogrande il 29/09/2012, 17:55

Mi rifiuto ancora di capire perché la casta (termine ammuffito ma non ne vedo altri validi) dei giornalisti non solo non attacca Sallusti e complici e mandanti ma, addirittura, lo difende.
Perfino il Quirinale ha attenzionato il caso.
Il potere dei giornalisti e dei loro padroni deve essere veramente qualcosa di terribile.
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Re: Parata di eroi

Messaggioda pianogrande il 29/09/2012, 19:45

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/09/ ... so/205991/

Parata di eroi.
Era questo il titolo di una marcia militare che mi risuona ancora in testa dopo non so più quanti decenni che ho fatto il soldato nei granatieri.

Ecco.
Sallusti si chiede perché Farina si sia rivelato solo ora.
Mi sembra chiarissimo.
Per raccogliere anche lui un po' di gloria.
In fondo, l'aureola di martire ed eroe e cavaliere senza paura (lasciamo stare le macchie) di Sallusti è anche merito suo.
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Re: I paradossi italiani del caso Sallusti

Messaggioda Iafran il 30/09/2012, 1:30


“Con Farina non ho parlato e non ho intenzione di farlo”. Così Alessandro Sallusti dopol’ammissione dell’onorevole Pdl Renato Farina sulla paternità dell’articolo valso all’ex direttore di Libero una condanna a 14 mesi di reclusione per diffamazione aggravata di un magistrato. “È curioso che Farina si sia fatto avanti il giorno dopo”, ha aggiunto Sallusti a margine di un convegno del Pdl a Milano, precisando come lui stesso non avrebbe potuto rivelare l’identità dell’autore, nasconda dietro uno pseudonimo, “se non vendendo il collaboratore”. “Del resto”, continua Sallusti, “cosa si nascondesse dietro allo pseudonimo ‘dreyfus’” – questa la firma dell’articolo incriminato – “non era un mistero”. Secondo il giornalista, infatti, per risalire a Renato Farina “non serviva certo un’indagine dell’intelligence, bastava leggere uno dei suoi libri” di Franz Baraggino
. . . . .

Lo scritto non riporta alcuni concetti nobili, quali: ... quando un direttore responsabile pubblica un pezzo con uno pseudonimo se ne assuma le sue responsabilità ... tradire un codice deontologico ... non avrei avuto la fiducia dei miei redattori ...
Il poverino, però, non poteva sapere che lo pseudonimo copriva un autore radiato dall'ordine dei giornalisti ... a lui sì che sarebbe stata utile una vera indagine dell'intelligence "padronale" (quella della macchina del fango, per esempio).
La sua ingenuità gli è stata fatale, ma potrà condividere la pena con tutti quelli che gli saranno vicino, beato lui, perché "la legge è uguale per tutti ... i salustii del mondo". :lol:
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