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Una lettura keynesiana della crisi

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda franz il 16/09/2012, 9:30

flaviomob ha scritto:Curioso articolo: non sapevo che l'Irlanda facesse parte del Sud Europa... ;)

Ora lo sai :lol:
A quanto pare esiste un'attribuzione geografica che contrasta con quella economica, a mio avviso ingenerosa dato che fino a poco tempo fa l'Irlanda era chiamata la "Tigre celtica". C'è chi sale e c'è chi scende. ;)
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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda trilogy il 16/09/2012, 19:52

franz ha scritto:A proposito di letture keynesiane, un keynesiano vero (Krugman) pare abbia toppato un po' troppe previsioni....


Le previsioni sono difficili per tutti, poi Krugman è un ottimo economista ma non è un analista. Lui analizza il soggetto è tira una conclusione, un analista guarda il terreno e formula degli scenari.
Per capirsi. Krugman vede un ubriaco che avanza barcollando, e cerca di dedurre dove si dirigerà, giungendo alla conclusione che probabilmente cadrà per terra visto che è ubriaco fradicio. Un analista guarda l'ubriaco, ma poi per arrivare ad una previsione non studia l'ubriaco ma analizza il terreno su cui si muove. < A 20 metri c'è una buca, a 30 metri una siepe, a 50 metri inizia un vialetto asfaltato con un corrimano. > Conclusione se supera la buca e la siepe raggiunge il vialetto , si appoggia al corrimano e rimarrà in piedi. Il terreno è più importante del tasso alcolemico. :mrgreen:

La Lituania ha fatto delle riforme strutturali per entrare nell'euro, lo stipendio medio dei lavoratori è la metà di quello europeo. Ha ricevuto inoltre un sacco di soldi dalla politica di coesione europea, e li hanno utilizzati bene (vedi sotto).
E' quindi un paese molto attrattivo per delocalizzare ed investire, in particolare per gli altri paesi del nord Europa: Svezia, Danimarca, Finlandia ecc. Queste condizioni, e il terreno su cui si muove il paese hanno favorito la ripresa economica

il presidente Barroso premierà i vincitori dei premi Regioni di eccellenza. I riconoscimenti più importanti sono stati assegnati a Lituania, Galles (Regno Unito) e Brandeburgo (Germania), che saranno rappresentati rispettivamente dal primo ministro Andrius Kubilius, dal primo ministro Carwyn Jones e dal ministro dell'economia e degli affari europei Ralf Christoffers. Il premio Regioni di eccellenza ricompensa le regioni e i paesi che hanno attuato con successo politiche, programmi e progetti in linea con la strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Le regioni premiate sono quelle che hanno ottenuto globalmente i migliori risultati nei premi annuali RegioStars dal 2008.
fonte: posting.php?mode=quote&f=17&p=51322
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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda flaviomob il 29/09/2012, 0:15

FRANCIA, IL RIGORE LO PAGANO I RICCHI

PARIGI - Una manovra i cui effetti si faranno sentire duramente in un paese in un certo senso spensierato, cioè poco abituato al rigore. La pressione fiscale, passata dal 42,1 per cento del pil nel 2009 al 45 per cento nel 2012, salirà l’anno prossimo al 46,3%: la Finanziaria che il governo Ayrault si appresta a varare rischia di accrescere fortemente l'impopolarità di François Hollande, malgrado lo sforzo di far pagare soprattutto le classi medio-alte. Parigi rispetterà l'impegno a riportare il deficit francese al 3 per cento con una manovra da ben 36,9 miliardi: 4,4 già previsti dalle misure prese in luglio, 2,5 di riduzione della spesa sanitaria, 30 che saranno pagati per due terzi da cittadini e imprese, per un terzo dallo Stato, che stringerà (un po') la cinghia. Il disavanzo del Tesoro dovrebbe situarsi a 61,6 miliardi, quello della protezione sociale dovrebbe scendere da 14,7 a 11 miliardi. Tutto ciò resta però aleatorio: il governo prenderà come punto di riferimento l'ipotesi di una crescita dello 0,8 per cento, giudicata ottimista dagli economisti, che parlano piuttosto di uno striminizito 0,4 per cento. I primi sacrifici, insomma, arrivano, e il 2013 ne porterà probabilmente altri.

Sul fronte della spesa pubblica, le misure non sono molte, tanto che imprenditori ed economisti considerano lo sforzo insufficiente. Ma è difficile chiedere a un governo socialista, che proprio nel settore pubblico ha la sua base elettorale, di tagliare severamente. In ogni caso, alcuni perderanno molti crediti: l’Agricoltura (-7,3%), la Cultura (-3,6%), l’Ecologia (-2%), tanto per citarne alcuni, saranno fra i più colpiti. Vedranno invece crescere le loro dotazioni i dicasteri considerati strategici, come la Pubblica Istruzione, la Ricerca, la Sanità, il Lavoro, la Giustizia. Le riduzioni di personale saranno ridotte ai minimi termini: saranno soppressi 12mila 298 impieghi, ma ne saranno creati 11mila nei dicasteri dell’Interno, della Giustizia e della Pubblica istruzione.

Le aziende vedranno sparire numerose agevolazioni, a cominciare da quella che esonerava dalle imposte gli interessi passivi. Ma saranno riviste le regole per l’imposta sulle società, con l’aumento degli acconti e le minori detrazioni per i deficit accumulati: l’insieme delle misure dovrebbe costare alle imprese 9 miliardi. Quanto ai lavoratori autonomi, vedranno sparire certe agevolazioni sui contributi sociali.

Anche i cittadini pagheranno, soprattutto i più abbienti. Il tradizionale rialzo delle aliquote Irpef in base all’inflazione non sarà più applicato: Fillon lo aveva sospeso, Ayrault conferma il provvedimento. Questo significa un rialzo automatico delle imposte sul reddito per chi le paga (Oltralpe, solo il 53,5% delle famiglie paga l’Irpef). Ma c’è molto di più: i redditi da capitale (interessi, dividendi, plusvalenze) superiori a 2mila euro saranno d'ora in poi tassati come il reddito e non più forfettariamente; chi guadagna più di 150 mila euro sarà sottoposto a una nuova aliquota del 45% (la massima, finora, era del 41%); sarà introdotta la famosa tassa speciale del 75% sui redditi superiori a un milione di euro, forse limitata al prossimo biennio; le aliquote della patrimoniale, pagata a partire da una fortuna di 1,3 milioni in beni mobiliari e immobiliari, torneranno al livello di due anni fa; le plusvalenze immobiliari saranno tassate di più e in generale tutte le numerose agevolazioni fiscali saranno ridimensionate.

Ayrault ha giustificato in tv la scelta di abbassare il deficit dal 4,5 al 3 per cento: "Se rinunciassimo a questo obietivo, i tassi risalirebbero e ci ritroveremmo nella situazione dell’Italia o della Spagna". Ed ha assicurato che lo sforzo fiscale peserà solo sul 10 per cento dei francesi più ricchi. Il ministro delle Finanze, Pierre Moscovici, ha martellato lo stesso argomento: "Rispetteremo l'obiettivo del 3 per cento, perché è l’unico modo per ridurre il debito a partire dal 2014". Su quest’ultimo fronte, le notizie non sono buone: a fine giugno, il debito pubblico è salito al 91 per cento, superando la soglia simbolica del 90 per cento, che molti economisti considerano pericolosa, perché rende particolarmente impervia un'inversione di tendenza.

Arrivare a un deficit dello 0,3% nel 2017, anziché al pareggio come aveva promesso Hollande, richiederà nuovi sacrifici, tanto più che il governo dovrà riformare il finanziamento della protezione sociale, che grava sui salari e mina la competitività delle imprese. L'introduzione, inattesa, di un nuovo prelievo dello 0,15% sulle pensioni ne è una prima avvisaglia. Di questo si parlerà a fine anno: tra le ipotesi di lavoro c'è un aumento dell'Iva o della Csg, un contributo sociale tassabile che grava su tutti i redditi. Ma senza un ritorno della crescita, sarà difficile riuscire a mantenere la rotta.
(28 settembre 2012)

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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda franz il 29/09/2012, 8:14

trilogy ha scritto:Le previsioni sono difficili per tutti, poi Krugman è un ottimo economista ma non è un analista. Lui analizza il soggetto è tira una conclusione, un analista guarda il terreno e formula degli scenari.
Per capirsi. Krugman vede un ubriaco che avanza barcollando, e cerca di dedurre dove si dirigerà, giungendo alla conclusione che probabilmente cadrà per terra visto che è ubriaco fradicio. Un analista guarda l'ubriaco, ma poi per arrivare ad una previsione non studia l'ubriaco ma analizza il terreno su cui si muove. < A 20 metri c'è una buca, a 30 metri una siepe, a 50 metri inizia un vialetto asfaltato con un corrimano. > Conclusione se supera la buca e la siepe raggiunge il vialetto , si appoggia al corrimano e rimarrà in piedi. Il terreno è più importante del tasso alcolemico.

Ottima allegoria della distinzione tra macro e microeconomia! sta difatto che Krugman prevedeva (per stare all'esempio) che l'ubriaco si sarebbe schiantato da li' a poco mentre invece si è ripreso, forse perché ubriaco non era e non per questioni di terreno ma delle decisioni che ha preso per non cadere ed anzi per decollare. Secondo me pero' Krugman non ha sbagliato perché non gli competono le previsioni "micro" ma perché la sua impostazione ideologica (innegabile) gli ha fatto vedere quello che non c'era. Chiaro che anche le visioni più liberali sono ideologiche (innegabilmente) ma nel caso concreto (cosa fare in caso di elevati debiti e crescita debole se non assente) mi pare che ormai il rigore è la soluzione universalmente adottata. Lo sa bene anche Hollande, che per riportare il bilancio in una zona piu' tranquilla (deficit al 3%) ed evitare che il debito cresca troppo (con il 3% di deficit crescerà ma modestamente) deve mettere mano ai conti dello stato anche lui, come riportato dall'articolo postato da Flavio. Lo fa aumentando vistosamente le tasse, (altrimenti che socialista sarebbe?) e non riducendo la spesa e vedremo come questa strategia inciderà sulla crescita (oggi in Francia è zero). 2/3 tasse ed 1/3 meno spesa, mentre come minimo bisognava fare l'opposto ed un liberale avrebbe fatto meno spesa e meno tasse, vendendo qualche gioiello di famiglia per fare cassa e ridurre il debito (e la Francia, che è molto statalista, ne ha di asset mobiliari ed immobiliari da piazzare).
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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda flaviomob il 08/10/2012, 15:12

http://keynesblog.com/2012/10/08/i-dife ... as-kaldor/

I difetti dell’euro spiegati 30 anni prima che nascesse dall’economista keynesiano Nicholas Kaldor


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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda franz il 08/10/2012, 15:26

flaviomob ha scritto:http://keynesblog.com/2012/10/08/i-difetti-delleuro-spiegati-30-anni-prima-che-nascesse-dalleconomista-keynesiano-nicholas-kaldor/

I difetti dell’euro spiegati 30 anni prima che nascesse dall’economista keynesiano Nicholas Kaldor

In effetti è notevole ...
le cause della crisi dell’euro: lo squilibrio commerciale e della bilancia dei pagamenti a causa di un regime di cambi fissi in assenza di regole sui salari, un fisco centralizzato e riequilibratori automatici.

perché ammette di fatto anche il fallimento (crisi) dell'Italia. Vedere una moneta unica (la lira) con evidenti squilibri tra le aree che esportano tanto (il Nord) in regime di cambi fissi, malgado il fisco centralizzato, le regole sui salari, e i riequilibratri automatici. Anzi proprio l'italia, con la sua politica che si è assunta "la responsabilità almeno della maggior parte della spesa" dimostra che non solo è sbagliata l'analisi ma anche la cura.

La risposta completa sta qui: viewtopic.php?f=17&t=5306
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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda flaviomob il 08/10/2012, 15:35

E infatti il Mezzogiorno d'Italia è entrato in crisi con l'Unità d'Italia...


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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda franz il 08/10/2012, 15:47

flaviomob ha scritto:E infatti il Mezzogiorno d'Italia è entrato in crisi con l'Unità d'Italia...

che non era certo un'unione come quella europea attuale.
Quindi non è chiaro cosa si critica.
e' chiaro solo che certe persone prevedono disastri (senza dire dove, come e quando) e visto che prima o poi una crisi si verifica, qualcuno dice che avevano visto giusto, 40 anni fa.
Se permettete, è ridicolo.
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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda flaviomob il 09/10/2012, 11:36

Ti pare? La crisi individuata era proprio quella dell'area europea, ma evidentemente le risposte ideologiche sono più forti delle parole (scritte ed intelleggibili)...

Ora vediamo se questa nuova "previsione" si verificherà:

http://keynesblog.com/2012/10/09/nelle- ... rologeria/

Nelle banche tedesche e francesi è nascosta una bomba ad orologeria
Posted by keynesblog on 9 ottobre 2012 in Economia, Europa


Vladimiro Giacchè da Da Pubblico dell’8 ottobre 2012

Mentre le istituzioni europee e i governi nazionali sembrano ipnotizzati dal problema del debito pubblico, è probabile che la prossima crisi in Europa sarà una crisi bancaria. La cosa, visti i soldi già spesi dai governi per salvare le banche in Europa (all’incirca 4mila miliardi di euro), può sembrare parecchio strana. Ma la cosa più strana è un’altra: probabilmente questa crisi avrà il suo epicentro non nei cosiddetti “paesi periferici” ma nel centro dell’Europa. Ossia in Francia e – soprattutto – in Germania.


In Francia, a dire il vero, una crisi bancaria è già in corso: una banca specializzata (guarda un po’) in mutui immobiliari, il Crédit Immobilier de France, è prossima al fallimento. Quasi certamente non riuscirà a ripagare un’obbligazione da 1,75 miliardi di euro in scadenza questo mese, e dovrà provvedere lo Stato francese. Ma si stima che complessivamente le garanzie pubbliche che dovranno essere messe in campo a sostegno di questa banca saranno dell’ordine di 20 miliardi di euro. Come dire, due terzi della manovra di Hollande. Non c’è male.

Ma il fronte più caldo, almeno potenzialmente, è un altro, e riguarda la banche più grandi del paese: il valore delle attività di trading di BNP, Société Générale, Crédit Agricole e Natixis ammonta attualmente a qualcosa come 2.050 miliardi di euro, una cifra non molto inferiore all’intero prodotto interno lordo della Francia. Le attività di trading in azioni, obbligazioni e derivati sono cresciute del 21% in un anno e per quanto riguarda BNP e Société Générale superano ormai il 30% del totale delle attività di queste banche. Ma se prendiamo il trading in derivati la crescita è ancora maggiore: +48% per BNP, +38% per Société Générale.

Queste cifre significano due cose: che i rischi di mercato assunti da queste banche crescono, e – viste le cifre in gioco – che si può parlare di rischio sistemico. Ma in confronto a quello che accade in Germania i problemi delle maggiori banche francesi impallidiscono. La Germania ha tuttora uno dei sistemi bancari meno concentrati e meno efficienti dell’intera Europa (circa 1200 banche).

Basti pensare alle numerose Sparkassen (tradizionalmente vicine alla CDU), alle Landesbanken (fu una di esse la prima banca a fallire nel 2007, e molte sono tuttora in cattive acque) e alle Volksbanken. Ma il governo tedesco, che mesi fa poneva come condizione per ulteriori interventi europei a sostegno delle banche spagnole la realizzazione di un’unione bancaria europea, non appena questa unione bancaria ha assunto la forma di una concreta proposta di accentrare la sorveglianza bancaria in Europa presso la Bce, ha cominciato a frenare: con il ministro delle finanze tedesco Schäuble che è subito intervenuto chiedendo che questa sorveglianza valesse soltanto per pochissime grandi banche.

È stato fin troppo facile rispondergli che non sono soltanto le grandi banche a esprimere rischi sistemici: basti pensare a quello che è successo dopo il fallimento(con salvataggio governativo in extremis) di Northern Rock nel Regno Unito. E del resto è la stessa situazione spagnola a mostrarci che effetti possono avere i fallimenti di tante banche piccole e medie.

È corretto però affermare che oggi i maggiori rischi del sistema bancario tedesco non vengono dalle banche piccole e medie, ma da quella più grande: la Deutsche Bank. Con un bilancio pari all’80% circa dell’intero prodotto interno lordo della Germania, Deutsche Bank è una delle maggiori banche mondiali. Ma è anche una delle più sottocapitalizzate. Secondo i dati forniti da Bloomberg, il 30 giugno scorso di quest’anno era al quintultimo posto tra le 24 maggiori banche europee quanto a patrimonio (il cosiddetto “Tier 1 capital ratio”).

In apparenza sembrerebbe non pas- sarsela troppo male, con un Tier 1 al 10,1% (le banche italiane, ad esempio, stanno peggio). Il problema però è che questo dato è ottenuto utilizzando “risk-weighted assets”, ossia una ponderazione di rischio diversa a seconda delle attività. Questo tipo di misurazione è apparentemente corretta, perché i rischi di perdita sono effettivamente diversi a seconda delle attività della banca. Ma è anche alquanto arbitraria: basti pensare che sino a non molto tempo fa i titoli di Stato e dell’Eurozona erano considerati tutti indistintamente a rischio zero.

Il modo più corretto per valutare l’adeguatezza del capitale di una banca è quindi un altro: misurare la “leva” (leverage ratio), cioè mettere a confronto il bilancio complessivo della banca con la sua dotazione di capitale. Bene, recentemente Simon Johnson, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale e oggi al Peterson Institute, ha fatto questo esercizio. E il risultato è questo: le attività di Deutsche Bank ammontano a 2.241 miliardi di euro, a fronte di un capitale di 55,75 miliardi di euro. In altre parole, il capitale di Deutsche Bank ammonta a poco meno del 2,5% rispetto agli assets della banca. Che è come dire che perdite del 3% sul totale del portafoglio della banca sa- rebbero più che sufficienti ad azzerare il capitale della banca. Ossia a farla fallire. Né più né meno di quanto è successo a Lehman Brothers, la banca d’affari americana fallita nel 2008, la quale del resto aveva una leva di appena 24 volte il capitale, a fronte del 40 medio delle banche tedesche.

Ma nonostante questo i nuovi coamministratori delegati della Deutsche Bank, Anshu Jain e Jürgen Fitschen, così come il loro predecessore Josef Ackermann, continuano a ritenere che la priorità non sia il rafforzamento del capitale, ma il suo rendimento: e hanno fissato un obiettivo di rendimento annuo del 12,5% dopo le tasse. Questo significa necessariamente continuare ad assumere rischi molto rilevanti.

Al momento il tutto è reso più semplice, tanto per Deutsche Bank, quanto per le altre banche tedesche, dal fatto che il basso rendimento dei titoli di Stato tedeschi (di fatto negativo, ossia inferiore al tasso di inflazione) si riflette positivamente anche sul costo di raccolta delle banche: in con- creto, oggi una banca tedesca ha un costo del capitale inferiore del 2-3% a quello di una banca italiana.

Ma è una situazione che non può durare all’infinito. Un peggioramento della situazione economica europea è tutt’altro che una remota possibilità. È ormai molto probabile che l’approfondirsi della recessione in Europa coinvolga anche la Germania (già ora le previsioni di crescita per il 2013 sono prossime allo zero). Ma più in generale l’economia mondiale è in vistoso rallentamento, e alla luce di quanto sta accadendo in Medio Oriente anche uno shock sul prezzo delle materie prime energetiche non può affatto essere escluso.

Per evitare che tutto questo si traduca in una crisi bancaria, bisognerebbe fare anche in Germania (e in Francia) quello che è stato fatto in Svizzera: dove UBS e Crédit Suisse sono state costrette a fare ingenti aumenti di capitale.

Anche per questo sarebbe importante arrivare quanto prima a una sorveglianza bancaria europea. Ma le mosse più recenti proprio del governo tedesco, dalle schermaglie sulle banche di minori dimensioni per le quali dovrebbero restare competenti organi di vigilanza nazionali, alla richiesta – di pochi giorni fa – di estendere anche ai paesi europei che non fanno parte dell’euro la possibilità di decidere sulla configurazione della sorveglianza bancaria europea, sembrano avere un unico obiettivo: ritardare questo processo per proteggere ancora una volta le proprie grandi banche.


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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda franz il 09/10/2012, 16:08

flaviomob ha scritto:Ti pare? La crisi individuata era proprio quella dell'area europea, ma evidentemente le risposte ideologiche sono più forti delle parole (scritte ed intelleggibili)...

Per una moneta che non esisteva ancora e sulla base di trattati non ancora scritti e firmati.
Il Divino Otelma non avrebbe saputo fare di meglio!

Questa previsione che rilanci ora mi sembra invece azzeccabile, ma speriamo di no.
A furia di adottare politiche del credito facile, sia verso gli stati (comprando titoli di debito pubblico di dubbia credibilità) sia verso imprese e famiglie, per innondare di denaro a basso costo l'economia sperando di rilanciarala (che sono politiche keynesiane) qualcuno ci lascerà lo zampino. Le banche sono ottime candidate. E quelle dell'area Euro prima di tutte le altre.

Penso però che il rigore ridurrà per poco la crescita. Quanto basta a eliminare le precedenti fasi di crescita drogata.
Ad una crescita drogata (denaro superiore al benessere generato dal lavoro) segue una fase di decrescita, fino a tornare all'equilibrio. Poi si puo' ripartire ma stavolta senza trucchi da baraccone, quelli col cerino che rimane in mano al "prestatore di ultima istanza" (vedi banche locali e governi tipo grecia).
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