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Berlino, la BCE, gli spread tra euroforti ed eurodeboli

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Berlino, la BCE, gli spread tra euroforti ed eurodeboli

Messaggioda franz il 21/08/2012, 7:54

Tetto allo spread, Berlino dice no

e dalla Bce arriva la frenata
Fuoco di sbarramento dalle autorità tedesche sull'ipotesi di un limite oltre il quale la Bce interverrebbe con l'acquisto diretto di bond dei paesi in difficoltà. Così la Banca centrale precisa: "Ingannevole parlare di scelte neppure ancora discusse dal board
"

MILANO - "Molto problematico". Con questo giudizio del portavoce del ministro delle Finanze, Wolfgang Schaublee e con la presa di posizione della Bundesbank, Berlino aveva bocciato in partenza il presunto piano della Bce 1 di fissare dei tetti massimi ai tassi di interesse che un paese in difficoltà deve pagare sul mercato per rifinanziarsi oltre i quali la Banca centrale interverrebbe con acquisti diretti. A fronte delle dichiarazioni giunte dalle autorità tedesce, la Bce è dovuta intervenire con una nota ufficiale che di fatto smentisce l'esistenza del progetto così come riportato da Der Spiegel e ripreso da tutta la stampa europea.

In mattinata, nel corso di una conferenza stampa a Berlino, il portavoce di Schaeuble aveva detto comunque di "non sapere nulla" del progetto "rivelato" dal settimanale tedesco, mentre più netto è stato il giudizio della Bundesbank, secondo la quale un progetto del genere potrebbe comportare rischi "significativi" perché la Bce non dovrebbe assumere a scapito del proprio bilancio rischi che devono restare a carico dei singoli Paesi.

"La Bundesbank - si legge tra l'altro nel bollettino della Buba - è dell'opinione che l'acquisto di titoli di Stato da parte dell'Eurosistema debba essere vista criticamente e comporti rischi di stabilità significativi". Il nuovo programma della Bce "potrebbe essere illimitato", scrivono ancora i banchieri centrali tedeschi, aggiungendo che le decisioni sulla potenziale maggiore condivisione dei rischi di solvibilità dovrebbero essere prese dai governi e dai parlamenti, non dalle banche centrali. La Buba esprime quindi le sue perplessità anche sull'eventuale assegnazione a Francoforte della sorveglianza sulle banche europee. Dare alla Bce la responsabilità della nuova autorità, si legge nel bollettino, comporta "il rischio di conflitto con l'obiettivo primario della politica monetaria che è quello di garantire la stabilità dei prezzi".

Secondo la Bundesbank, oltretutto, l'escalation della crisi dei debiti sovrani dell'eurozona rappresenta un fattore di instabilità che potrebbe "fortemente influenzare" anche "l'attività economica della Germania nella seconda metà dell'anno". Le dichiarazioni da Berlino hanno raffreddato la rincorsa dei listini europei, tutti comunque in positivo.

L'intensità del "fuoco di sbarramento" tedesco ha costretto la Bce a intervenire per precisare con una mail del portavoce: "E' assolutamente ingannevole dare notizia di decisioni che non sono ancora state prese dal consiglio direttivo della bce" e che "non sono nemmeno state discusse dal consiglio direttivo". Il consiglio direttivo della Bce, precisa l'eurotower, agirà strettamente nell'ambito del suo mandato ed è sbagliato fare illazioni su quale sarà la forma dei suoi prossimi interventi.

Il consueto balletto di piani, critiche e smentite ha avuto effetto sia sulle Borse che sullo spread. I listini hanno fermato la rincorsa 2 nella quale erano guidati da Milano e Madrid. Il differenziale fra Btp e bond decennali, in deciso calo rispetto alla chiusura di venerdì, è risalito sopra i 420 punti base rispetto ai 413 dei minimi di giornata. E ha chiuso a quota 426.

La linea della fermezza di Berlino sui debiti pubblici è confermata anche sulla vicenda della Grecia, a poche ore dall'incontro fra i ministri degli Esteri dei due Paesi: "Il ministro Westerwelle ha già detto che non ci saranno nella sostanza ammorbidimenti degli accordi presi con Atene", ha anticipato Steffen Seibert, portavoce del ministro degli Esteri tedesco, ribadendo la posizione espressa da Guido Westerwelle nel weekend. Seibert ha anche ripetuto di attendere il rapporto della Troika sulla situazione greca.

(20 agosto 2012) www.repubblica.it
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L'euro break up per l'Economist

Messaggioda franz il 21/08/2012, 7:59

http://fermareildeclino.it/articolo/leu ... eildeclino
Pubblicato: Mar, 21/08/2012 - 05:15 • da: Oscar Giannino

Non so se abbiano ragione Giavazzi e Alesina, per i quali se Monti è costretto agli euroaiuti è finito. Io penso al dopo, e in questa settimana da Spiegel ed Economist ho tratto nuova conferma del perché sperare che vogliate essere in tanti, a sostenere la nostra proposta che trovate su www.fermareildeclino.it

Ieri nuovi scossoni dalla Germania, dopo alcuni giorni in cui l’euroatmosfera sugli spread sembrava distendersi, con l’Italia in discesa verso quota 420 e la Spagna sotto quota 500. Sono state le indiscrezioni rilanciate da Der Spiegel a far alzare la temperatura e ad alimentare le reazioni germaniche. Il settimanale tedesco aveva scritto che sarebbe allo studio in BCE una sorta di meccanismo d’intervento per soglie di spread, sopra le quali per ogni Paese eurodebole scatterebbe un piano calibrato di acquisti da parte della Banca centrale europea dei rispettivi titoli pubblici sotto attacco. Nel giro di poche ore, non è bastata la presa di distanze di Francoforte, che non ha smentito ma ha parlato di decisioni non ancora prese. Il portavoce del ministro delle Finanze a Berlino Schauble ha smentito che il governo tedesco ne sappia alcunché, e ha avvisato Francoforte che si tratterebbe di interventi assai problematici. La Bundesbank, al contrario, che già coi suoi rappresentanti nel Consiglio della Bce da tempo si astiene e pubblicamente dissente dal ruolo proattivo a difesa degli euroStati sotto attacco sostenuto da Mario Draghi, è tornata a criticare pesantemente nel suo bollettino mensile l’idea di tornare ad acquisti di titoli sovrani da parte di Francoforte.

E’ il solito copione già visto da molto tempo, si potrebbe dire. Fino a un certo punto, però. Le ultime settimane hanno visto infatti nel dibattito pubblico tedesco una crescita sostanziale delle critiche a meccanismi eurocooperativi. Contro tale linea – e contro il cancelliere Merkel se la dovesse sposare – si sono espressi esponenti della Spd all’opposizione, liberali della Fdp della coalizione di governo ma sempre più euroscettici pensando a come superare il quorum alle prossime elezioni, e soprattutto esponenti di prima fila sia della Csu bavarese che della Cdu, i due partiti fratelli che rappresentano il pilastro essenziale del governo Merkel. Tanto che è giusto chiedersi, a questo punto, che cosa bolla davvero nella pentola tedesca. In una settimana che vedrà dopodomani a Berlino l’incontro tra la Merkel e il presidente francese François Hollande, venerdì un vertice con il premier greco Antonis Samaras e sempre Angela Merkel, e infine sabato a Parigi ancora Samaras con Hollande.

Teniamo innanzitutto presenti due scadenze in calendario. Quella che conta davvero non è il 6 settembre, quando in Bce si potrebbero esaminare i piani rivelati dallo Spiegel. Bensì il 12 settembre, quando gli otto componenti della Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe dovranno pronunciarsi sulla compatibilità con la Legge Fondamentale germanica dei salvataggi europei. Tenete conto che la Costituzione tedesca da una parte afferma che la Germania è uno Stato “democratico e federale” la cui sovranità e potere si esprimono ”attraverso elezioni e altre procedure di scelta diretta”. Dall’altra afferma che la Germania sostiene “un’Europa unita”, il che dovrebbe implicare implicitamente livelli di unione fiscale e mutua cooperazione.

Il mio amico Charles Sizemore, che amministra fondi americani attualmente “lunghi” sull’azionario europeo e che scrive una rubrica per il Wall Street Journal, manda ai suoi clienti report in cui sostiene che i giudici costituzionali tedeschi non silureranno l’euroarea, affermando che i salvataggi di altri Stati comportano un cambio della Costituzione tedesca vigente mediante referendum. Ma aggiunge ovviamente che, in caso contrario, l’ordine di svendita sarebbe corale.

Nouriel Roubini è di opinione diversa. L’ex consigliere di Clinton, della FED e della Banca Mondiale pensa che i nuovi acquisti di eurotitoli deboli da parte della BCE si limiterebbero ancora una volta a comprare tempo. BCE e governi euroforti affiderebbero sempre più alla crescente bancarizzazione la soluzione del problema della mancata convergenza degli eurodeboli. Ma tutto ciò appare ai mercati come un’illusione. I limiti per Grecia, Spagna e Portogallo di una convergenza attraverso deflazione interna sono ormai toccati, e non oltre percorribili dalla politica dei rispettivi paesi – di qui le richieste di nuovi slittamenti in avanti dei tagli pubblici da parte di Atene e Madrid. Si tratta di una strategia che richiede tempo e pazienza, nonché nuove iniezioni di liquidità a sostegno di quei Paesi. Se la Germania non condivide esplicitamente lungaggini e rischi di tale strada, è ovvvio che i mercati scommettano sull’euro rottura, perché ai loro occhi appare troppo rischioso scommettere la casa – Germania ed euroforti – per salvare il garage- greci, spagnoli, portoghesi.

Personalmente, credo che il ministro degli Esteri finlandese e l’Economist abbiano detto la verità, nell’ultima settimana. Il primo, schierato sulla posizione dell’ortodossia germanica, ha candidamente ammesso che ad Helsinki e non solo lì si stanno valutando piani d’emergenza per affrontare la rottura dell’euroarea, cioè per l’uscita della Grecia e con lei di altri euromembri. L’ultimo numero dell’Economist ha lanciato in copertina l’idea che la Merkel sia tentata dall’ipotesi. E ha pubblicato all’interno la bozza di un – finto? – memorandum in 32 punti sottoposto all’attenzione della cancelliera tedesca. Un memorandum che avanza due ipotesi. La prima è quella dell’uscita della sola Grecia, ipotesi che alla Germania costerebbe fatti tutti i conti circa 120 miliardi, il 4,5% del suo Pil. La seconda è invece l’uscita di cinque euromembri, Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda e Cipro: che ai tedeschi costerebbe circa 385 miliardi, cioè il 15% del Pil. La seconda ipotesi è preferibile, sostiene il memorandum, perché farebbe piazza pulita una volta per tutte dell’idea di continuare a chiedere agli eurodeboli nuovo tagli e disoccupati che non possono realisticamente sostenere. Si tratterebbe per ciascuno di fissare una fascia di oscillazione della propria valuta all’euro senza farli uscire dall’Ue, ma il cuore dell’Unione Monetaria ripartirebbe molto più forte.

Sono due le cose da notare. La prima è che anche il memorandum dell’Economist salva l’Italia, non tanto per le manovre del governo Monti ma perché la posizione netta di indebitamento sull’estero del nostro Paese come somma della componente pubblica e privata è pari solo al 21% del nostro Pil – meno degli Usa che stanno al 27%, e sideralmente meglio degli altri 5 euromembri candidati a uscire, che stanno tra l’80 e il 100% e oltre del loro prodotto interno lordo. La seconda è che l’Economist esclude che la Merkel abbia il fegato di scegliere la strada dell’uscita di 5 euromembri.

E’ la stessa scommessa che faccio io. Di conseguenza, l’Italia ha una sola alternativa. Darsi una politica, dopo Monti, ancora più determinata e forte di consenso ad abbattere il debito pubblico non con tasse ma con cessioni pubbliche. Meno spesa e meno tasse. Quanto più ci illudiamo d’altro, tanto peggio staremo. Ecco perché serve che siate in tanti, a unirsi a noi su www.fermareildeclino.it
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Re: L'euro break up per l'Economist

Messaggioda trilogy il 21/08/2012, 14:15

franz ha scritto:http://fermareildeclino.it/articolo/leuro-break-up-per-leconomist-perche-serve-fermareildeclino
Pubblicato: Mar, 21/08/2012 - 05:15 • da: Oscar Giannino

La seconda è invece l’uscita di cinque euromembri, Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda e Cipro:che ai tedeschi costerebbe circa 385 miliardi, cioè il 15% del Pil. La seconda ipotesi è preferibile, sostiene il memorandum, perché farebbe piazza pulita una volta per tutte dell’idea di continuare a chiedere agli eurodeboli nuovo tagli e disoccupati che non possono realisticamente sostenere. Si tratterebbe per ciascuno di fissare una fascia di oscillazione della propria valuta all’euro senza farli uscire dall’Ue, ma il cuore dell’Unione Monetaria ripartirebbe molto più forte....


Questo è uno scenario da apprendisti stregoni. L'Italia non reggerebbe ad una operazione del genere. Il costo per noi sarebbe almeno pari a quello della Germania. Il rapporto debito pil salirebbe oltre il 140% . Oltre agli aspetti finanziari, ci sarebbero problemi dovuti alla specializzazione produttiva del nostro paese (a media e in parte bassa tecnologia) che renderebbero estremamente difficile per l'Italia competere nell'ambito di una zona valutaria formata solo dall'economie forti dell'Europa continentale.

Per approfondire i problemi legati alla struttura produttiva si può rileggere una intervista a Prodi:
http://www.romanoprodi.it/interviste/il ... _4695.html

e guardare le tabelle di confronto sulla specializzazione-concentrazione industriale tra italia - Germania
http://www.romanoprodi.it/wp-content/up ... Nardis.pdf
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Re: L'euro break up per l'Economist

Messaggioda franz il 21/08/2012, 17:10

trilogy ha scritto:Questo è uno scenario da apprendisti stregoni. L'Italia non reggerebbe ad una operazione del genere. Il costo per noi sarebbe almeno pari a quello della Germania. Il rapporto debito pil salirebbe oltre il 140% . Oltre agli aspetti finanziari, ci sarebbero problemi dovuti alla specializzazione produttiva del nostro paese (a media e in parte bassa tecnologia) che renderebbero estremamente difficile per l'Italia competere nell'ambito di una zona valutaria formata solo dall'economie forti dell'Europa continentale.

Quindi stare insieme ad un po' di deboli ci conviene ma non converrebbe se noi, nella nostra debolezza media, fossimo gli ultimi del carro?
Interessante l'analisi di de nardis. Devo approfindire ma per ora non copmprendo come faccia la germnia e non essere specializzata in niente e vendere (all'etero) cosi' tanto. probabilmente fanno bene (rapporto qualità) prezzo) un po' di tutto mentre noi riusciamo ad eccellere solo con le "specializzazioni". E qui allora vorrei capire bene il concetto di "specializzazione". Non mi è chiaro se sia quantitativo o qualitativo.
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Re: L'euro break up per l'Economist

Messaggioda trilogy il 22/08/2012, 9:58

franz ha scritto:Quindi stare insieme ad un po' di deboli ci conviene ma non converrebbe se noi, nella nostra debolezza media, fossimo gli ultimi del carro?


Si per varie ragioni:

1. il cambio dell'euro riflette l'insieme dei paesi partecipanti. Cambiando la composizione dei partecipanti l'euro rappresenterebbe maggiormente le economie più competititive. Di conseguenza si rafforzerebbe, e noi con la prdouttività più bassa, e una specializzazione produttiva a media tecnologia soffriremmo maggiormente sui mercati internazionali.
2. I paesi che uscissero si ritroverebbero in un mercato unico, ma con cambi flessibili. Andrebbero a recuperare competitività tramite un aggiustamento del cambio (svalutazione). Noi soffriremmo maggiormente degli altri sia sul mercato interno che internazionale;
3. Con un'eurozona formata quasi esclusivamente dai paesi forti del nord europa il peso politico e le decisioni sarebbe tutto orientato sui loro interessi. L'area mediterranea non conterebbe nulla nelle decisoni politiche



franz ha scritto:Interessante l'analisi di de nardis. Devo approfindire ma per ora non copmprendo come faccia la germnia e non essere specializzata in niente e vendere (all'etero) cosi' tanto. probabilmente fanno bene (rapporto qualità) prezzo) un po' di tutto mentre noi riusciamo ad eccellere solo con le "specializzazioni". E qui allora vorrei capire bene il concetto di "specializzazione". Non mi è chiaro se sia quantitativo o qualitativo.


Si è interessante, gli economisti usano vari indici per calcolare la specializzazione di un paese. Quello inganna un po' perchè visualizza quanto un paese è più o meno specializzato rispetto alla media dell' UE. E' un rapporto.
Nel caso della germania se aggreghi i settori in una categoria più ampia vedi che ai primi posti ci sono vari settori di: macchine, macchinari, strumenti, autoveicoli. In pratica è tutta meccanica avanzata con forti componenti di elettronica.
La forza tedesca in questi settori è nello stretto rapporto tra enti di ricerca, formazione tecnica, università e industria.
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Re: Berlino, la BCE, gli spread tra euroforti ed eurodeboli

Messaggioda ranvit il 24/08/2012, 10:14

Si per varie ragioni:

1. il cambio dell'euro riflette l'insieme dei paesi partecipanti. Cambiando la composizione dei partecipanti l'euro rappresenterebbe maggiormente le economie più competititive. Di conseguenza si rafforzerebbe, e noi con la prdouttività più bassa, e una specializzazione produttiva a media tecnologia soffriremmo maggiormente sui mercati internazionali.
2. I paesi che uscissero si ritroverebbero in un mercato unico, ma con cambi flessibili. Andrebbero a recuperare competitività tramite un aggiustamento del cambio (svalutazione). Noi soffriremmo maggiormente degli altri sia sul mercato interno che internazionale;
3. Con un'eurozona formata quasi esclusivamente dai paesi forti del nord europa il peso politico e le decisioni sarebbe tutto orientato sui loro interessi. L'area mediterranea non conterebbe nulla nelle decisoni politiche




Se i Paesi "forti" non accettano un compromesso, l'euro come conosciuto fino ad oggi non ha piu' senso.....dobbiamo uscire anche noi insieme agli altri cinque!
Lo sto dicendo da tempo :D
Troppo demenziale l'attuale "castello" dell'eurozona.
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Re: Berlino, la BCE, gli spread tra euroforti ed eurodeboli

Messaggioda ranvit il 24/08/2012, 17:12

Per esempio cosi':

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=AbGwkMSG


EuroUnionBond i perché di un rilancio

di Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio

La crisi dell'eurozona prosegue sia per la debolezza di alcuni Stati membri (Pigs) e per la forza di altri (Germania) sia per una crescita vicina allo zero. Anche l'Italia non è fuori dalla crisi pur non essendo più considerata al centro della stessa. La recessione e tassi di interesse sui titoli di Stato decennali intorno al 5,5% (con spread tra 400 e 450 punti base sui tassi tedeschi) vanificano i nostri sacrifici che portano a un avanzo primario intorno al 4 per cento. Per questo non riusciamo a ridurre il debito pubblico sul Pil sul quale si affollano adesso molte ipotesi di "taglio" specie con vendite di patrimonio pubblico. Ipotesi che non convincono il premier finlandese, che governa un Paese molto determinato sul rigorismo. Nel recente incontro con il presidente Monti, egli ha espresso scetticismo sulle vendite a questi prezzi di mercato, suggerendo di mettere i beni pubblici a garanzia delle emissioni dei titoli di Stato dell'Italia (e della Spagna) per abbassare i loro interessi. Questa proposta appare simile a quella che un anno fa avanzammo su queste colonne con l'articolo "EuroUnionBond per la nuova Europa".
Noi non proponevamo però garanzie reali per le emissioni di un singolo Paese (e meno che mai la garanzia che qualche Paese della Uem potrebbe chiedere ad un altro per dargli un prestito) ma per l'emissione di EuroUnionBond per la stabilità e la crescita di tutta l'Eurozona.
articoli correlati

EuroUnionBond per la nuova Europa

I molti tipi di eurobond
Tante sono ormai le proposte di eurobond (si veda A. Quadrio Curzio, On the different types of eurobond, in «Economia Politica», dicembre 2011) con fini diversi: bloccare la crisi finanziaria in atto, mettere in sicurezza i debiti pubblici dei Puem (Paesi della Uem),varare un mercato ampio e liquido di titoli dell'Eurozona, favorire la crescita. Per ora sono stati però emessi solo dei ProjectBond per singoli investimenti (soprattutto da parte della Bei) e dei RescueBond(così li denominiamo) dal Fondo Salva Stati (Efsf:European Financial Stability Facility). Noi rilanciamo perciò gli EuroUnionBond(Eub) che puntano ad unificare gli obiettivi. Siamo incoraggiati a riproporli anche perché una delle tipologie degli StabilityBond ipotizzati dal Green Paper della Commissione europea del novembre 2011 (che cita anche il nostro contributo dell'agosto 2011) ha delle similitudini con i nostri Eub. Inoltre i Fondi salva Stati attuali potrebbero, con modifiche, diventare l'Ente che emette gli Eub.

Gli EuroUnionBond (Eub) del Fondo finanziario europeo
La nostra proposta del 2011 era in sintesi questa.Varare un fondo finanziario europeo (Ffe) dotato di un capitale conferito in beni reali (riserve auree, azioni di società di reti infrastrutturali, azioni di società-veicolo immobiliari)da parte dei Puem nelle proporzioni che essi hanno nel capitale della Bce riproporzionato a 100 con esclusione dei Pesi non-Uem. Avevamo ipotizzato un capitale di 1000 miliardi di euro per la emissione con leva tre di 3000 miliardi di Eub a lungo termine ad un tasso medio del 3% e quindi con un'incidenza degli interessi annui pari a circa l'1% del pil del 2011 della Uem. Avevamo ipotizzato che le risorse finanziarie raccolte venissero destinate a due scopi: 2.300 miliardi per rilevare parte dei debiti pubblici dei Puem pari al 25% del debito su pil di ciascuno; 700 miliardi per fare investimenti infrastrutturali. Il debito su pil italiano verso il mercato sarebbe sceso al 95% e questo avrebbe reso più difficile la speculazione, portanto ad una riduzione dei tassi, in quanto il 25% detenuto dal Ffe sarebbe stato negoziato a tassi realistici e portato a scadenza. A loro volta gli investimenti infrastrutturali avrebbero consentito di unificare e potenziare le reti e spingere la crescita.
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Re: Berlino, la BCE, gli spread tra euroforti ed eurodeboli

Messaggioda ranvit il 24/08/2012, 17:17

Ma è dura se...

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=AbYz2pSG

Se Berlino si guarda dentro

di Carlo Bastasin

Chi è in contatto in questi giorni con i vertici del Governo tedesco non ha la sensazione che sia in corso uno scontro tra falchi e colombe, come viene invece comunemente descritto dai giornali internazionali. È anzi colpito dall'assenza di pathos nei confronti dell'eurocrisi rispetto a solo pochi mesi fa. E non è detto che questo clima sia più costruttivo.

Ministri e negoziatori di Berlino trasmettono la convinzione che l'ipotesi dell'abbandono o di una rottura della moneta unica sia uscita dagli scenari plausibili. Secondo alcuni il rischio di break-up dell'euro si è del tutto dissolto benché la crisi sia tutt'altro che terminata. Ammettono per esempio al ministero delle Finanze che passeranno anni prima che le condizioni finanziarie tornino serene all'interno dell'area euro. Tuttavia Berlino è certa che le misure che sono state adottate dai Governi e soprattutto quelle che si attende vengano predisposte dalla Banca centrale europea accompagneranno le economie dell'area euro fuori dalla crisi.
Quest'atarassia non deve ingannare. Essa fa parte della soluzione ma è al tempo stesso parte del problema. L'assenza di allarme è infatti utile a concentrarsi sul “grande progetto” delle soluzioni, il progetto decennale di trasformazione dell'Unione europea che la cancelliera Merkel dal giugno 2010 in poi ha fatto capire di considerare più importante di ogni soluzione di breve termine.

La regolare mancanza di reazione alle crisi tuttavia ha seminato il dubbio, perfino tra i collaboratori della cancelliera, che il grande progetto esista realmente. O che se esiste, non sia anch'esso rinunciabile, se la convenienza un giorno cambiasse. Angela Merkel si guarda bene dal rassicurare perfino i suoi ministri sull'esistenza di un'agenda precisa. Secondo coloro che le attribuiscono maggiori qualità politiche, il silenzio di Merkel fa parte della strategia stessa. Tenere nell'ombra i Paesi partner e gli investitori in modo che le forze della disciplina restino vive e si nutrano dell'incertezza.
Anche lo stile dei vertici europei in un solo anno è molto cambiato. Dodici mesi fa, Merkel e Sarkozy si presentavano agli europei con i toni e i simboli di capi di stato maggiore sul campo di battaglia. Da allora i vertici bilaterali sono minimalisti, i toni dimessi e i comunicati poveri.
Dopo tre tentativi andati falliti, i summit che dovevano consegnare le “soluzioni complessive” sono stati abbandonati. La piattaforma dell'unione politica è stata affidata ai “quattro presidenti” delle istituzioni europee, mentre la soluzione dell'emergenza finanziaria è stata affidata alla Bce e agli interventi di contenimento della febbre finanziaria. In un certo senso il coinvolgimento politico dei capi di governo è stato raffreddato, senza che il loro controllo sia stato allentato.

Ma c'è qualcosa che in questo mare artificialmente privo di onde non sembra altrettanto sereno. Al suo interno, anche il governo di Berlino sta riconoscendo che l'opinione pubblica tedesca non è del tutto sotto controllo. I sondaggi sul gradimento europeo da parte dei cittadini tedeschi hanno preso una direzione che si distanzia ogni mese di più da quella del resto dei cittadini dell'unione europea.
Entriamo tra pochi giorni nell'anno pre-elettorale tedesco. La Germania molto probabilmente proprio a settembre vedrà scendere il prodotto interno come il resto dell'area dell'euro già in recessione. Il calo degli investimenti interni e degli ordini da Europa e Cina sta coinvolgendo anche l'economia tedesca nelle sorti che i paesi vicini conoscono. Berlino può godere di grandi vantaggi e affrontare meglio degli altri la recessione: basti pensare al bilancio arrivato addirittura in surplus anche grazie al calo della spesa per interessi del 3,5 per cento. Ma non potrà uscire da sola dalla crisi. La cancelliera dovrà scoprire il modo per spiegare ai suoi elettori per quale ragione la Germania depositaria di una ricetta economica dichiarata infallibile si scopre invece vulnerabile e interdipendente come tutti gli altri paesi.

Quattro anni di mezze verità sulla crisi, di richiami alla purezza etnico-finanziaria e di narrazioni molto parziali sulle responsabilità delle banche tedesche, hanno preso vita propria tra gli elettori tedeschi. C'è molta responsabilità nei media tedeschi, anche maggiore che in altri paesi, ma ce n'è altrettanta nel governo stesso che non ha mai trovato il coraggio – e forse nemmeno la convinzione – di raccontare la crisi europea per quella che è stata, un insieme non equilibrato, né chiaro, di crisi e di responsabilità, anziché indulgere nel racconto della superiorità.
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Re: Berlino, la BCE, gli spread tra euroforti ed eurodeboli

Messaggioda ranvit il 24/08/2012, 17:21

Pero':

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=Ab30pMSG

Se Berlino torna alla realpolitik

di Adriana Cerretelli

La quiete dopo la tempesta dovrà attendere. Ancora non si sa quanto. Però dopo una torrida estate, che alla prova dei fatti si è rivelata meno massacrante del temuto, si intravede un autunno sempre caldo per l'euro ma più governabile e governato che in passato. Un biennio abbondante di "bollenti spiriti" sembra ora lasciare il passo a una gestione più pacata, razionale ed equilibrata della crisi.
Estremismi, dogmatismi, populismi non sono certo morti. E nemmeno la recessione economica e la disoccupazione che contribuiscono ampiamente ad alimentarli. In Germania la Bundesbank continua ad alzare la voce con tutti, Bce compresa, insieme a una parte del Bundestag, entrambi arroccati sulla più pura ortodossia.
Però il dibattito tedesco si sta facendo più articolato. Soprattutto Angela Merkel pare essersi convinta che, per lei e la sua riconferma alla Cancelleria, sarà meglio presentarsi alle elezioni del settembre 2013 con in tasca l'euro piuttosto che senza. [b]Il collasso della moneta unica provocherebbe infatti uno shock dai costi enormi e, soprattutto, dalle conseguenze imprevedibili in Europa e fuori.[/b] Non ultima la reazione dell'America di Barak Obama alla ricerca di una difficile rielezione in novembre, che tutto auspica fuorché il marasma europeo e i suoi inevitabili contraccolpi negativi su un'economia americana che di sicuro non scoppia di salute.

Non c'è solo il cancelliere tedesco a convertirsi al pragmatismo. Persino il premier finlandese Jyrki Katainen, quello che ha preteso e ottenuto dalla Grecia garanzie bilaterali supplementari prima di sbloccare la sua quota di aiuti, ora parla di «una maggiore integrazione politica e non il contrario» per rafforzare l'euro. Il tutto mentre nell'altrettanto rigorista Olanda, il leader socialista Emile Roemer, probabile vincitore delle elezioni del 12 settembre, tuona contro l'austerità e promette la riduzione del deficit sotto il 3% non prima del 2015, cioè due anni dopo la scadenza del 2013 blindata negli impegni europei assunti dal Paese.
Boccata d'ossigeno in vista per i Paesi del club vessati da rigore e tagli di spesa, aggrediti dalla recessione?
No. Né Berlino e i suoi alleati del Nord né la Bce di Mario Draghi intendono allentare la morsa, ritenuta indispensabile per recuperare stabilità, coesione e credibilità dell'area. Però tutti ora sembrano pronti a fare i conti con la realtà e i costi iniqui della crisi che gravano su alcuni paesi, come l'Italia, a beneficio evidente di altri, come Germania, Olanda e Francia.

È in questo clima più realistico e costruttivo che ieri Jean-Claude Juncker, il presidente dell'Eurogruppo, è volato ad Atene per incontrare il premier Antonis Samaras che a sua volta sarà a Berlino e a Parigi tra venerdì e sabato. Mentre oggi sarà il turno, a Berlino, del tête à tête tra Angela Merkel e François Hollande.
«Non chiediamo più aiuti ma più tempo» per un paese prostrato da un quinquiennio di recessione, insiste Samaras. «Non possiamo continuare a gettare denaro in un pozzo senza fondo» replica Wolfgang Schäuble. E il suo cancelliere rincara dicendo che non sarebbe in grado di far passare al Bundestag un terzo piano di aiuti per la Grecia. Però il francese Hollande insiste per darle una mano. E Juncker manda a dire che comunque «non ci sarà nessuna decisione prima di ottobre».
Appurato, come sembra, che la cacciata di Atene è stata archiviata in nome della difesa dell'integrità dell'euro, prima o poi una soluzione sarà trovata. Come per la Spagna. Mentre le tensioni sull'Italia sembrano allentarsi.

Nulla però induce ancora ad abbassare la guardia. La malattia dell'euro è ancora tutta da guarire. Peggio. Per una fortuita e fortunata serie di circostanze, soprattutto politiche, la Francia non è finita nel lazzaretto mediterraneo ma soffre degli stessi sintomi. Che dovrà curare al più presto e in modo credibile per evitare che i mercati prima o poi non decidano di andare a vedere il bluff.
Per ora Hollande si è dimostrato un presidente evanescente. La debolezza sua e del suo Paese potrebbero farne un interlocutore impossibile nella partita per la cessione della sovranità nazionale sul bilancio, dell'Unione fiscale per dirla in gergo, cui la Germania condiziona la propria solidarietà finanziaria con l'eurozona. Cioè la sopravvivenza dell'euro.
Gli attuali spiragli di ragionevolezza che circolano in Europa promettono bene ma purtroppo non bastano a dissipare le tante incognite, a partire da quel tallone d'Achille francese, che continuano a tormentare il destino della moneta unica.
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Berlino, la BCE, gli spread tra euroforti ed eurodeboli

Messaggioda ranvit il 27/08/2012, 11:54

http://www.repubblica.it/politica/2012/ ... -41534960/




L'ANALISI
La verginità perduta di fraulein Buba
di CARLO CLERICETTI

Eh, sì. Anche lei. Anche la Bundesbank, che oggi impartisce all'Europa e alla stessa Bce lezioni di teutonica coerenza, anche lei ha peccato, ha infranto il suo sacro statuto e ha finanziato creando moneta il deficit pubblico tedesco. Lo ha fatto soltanto una volta, ma una volta è quella che basta a perdere la verginità per sempre. E lo ha fatto in una situazione che - scontate le debite differenze - somiglia moltissimo alla situazione dell'Europa di oggi.

A ricordarselo è stato un economista tedesco, Peter Bofinger, a cui ha fatto seguito una nota di Evelyn Herrmann 1 di Bnp Paribas. Joseph Cotterill 2 ne ha scritto sul Financial Times e l'economista della Sapienza Mario Nuti 3 ne ha parlato in un suo intervento. Insomma, la storia si sta diffondendo e di certo il super-falco Jens Weidmann dovrà tenerne conto prima di sparare la sua prossima bordata contro qualsiasi ipotesi di intervento della Bce sul problema degli spread e dei debiti sovrani.

Il fatto è avvenuto nel 1975. La Germania era in una pessima situazione congiunturale, quella che si definisce "stagflazione", ossia stagnazione della crescita (il Pil in quell'anno arretrò dello 0,9%) e inflazione (i tassi a lungo termine sul debito
erano arrivati al 10,74% nella media dell'anno precedente e tendevano a salire ancora). Nell'estate del '75 la domanda di titoli a lungo termine cadde, perché gli investitori temevano che l'inflazione futura sarebbe stata superiore ai rendimenti. E allora la Bundesbank, scrive Herrmann, "acquistò titoli, per un importo pari a circa l'1% del Pil, con maturity 6 anni e oltre" (bisogna considerare che la maturity è minore rispetto alla scadenza nominale dei titoli). La Herrmann sottolinea che così facendo la Bundesbank contravvenne al suo statuto, che le vieta la "monetizzazione del debito", che è ciò che avviene se la Banca centrale compra titoli del suo paese. E infatti vi furono reazioni politiche negative.

Ma la Bundesbank giustificò la sua mossa, affidando la difesa al suo capo economista e membro del board: si trattava di Helmut Schlesinger, che in seguito sarebbe asceso alla presidenza della Banca. "Le nostre politiche di mercato aperto - affermò Schlesinger - non sono dirette a finanziare il deficit pubblico, ma solo a regolare il mercato monetario". Chiosa la Herrmann: "In altre parole, la Bundesbank aveva bisogno di acquistare bond allo scopo di mantenere efficiente il canale di trasmissione della politica monetaria".

Come, come? Ma questa frase ne ricorda un'altra molto più vicina nel tempo, di appena un mese fa: La soluzione del problema degli spread, e quindi di rendimenti troppo elevati sul debito sovrano di alcuni paesi dell'Eurozona, "rientra nel mandato della Bce, nella misura in cui il livello di questi premi di rischio impedisce la giusta trasmissione delle decisioni di politica monetaria". Lo ha detto Mario Draghi, presidente della Bce, nella sua famosa conferenza a Londra del 26 luglio, la stessa in cui ha affermato che la Bce avrebbe fatto "tutto il necessario" per risolvere la crisi dell'euro; "e, credetemi, sarà sufficiente".

Stesso problema, dunque: si è creata una situazione che impedisce alla Banca centrale una corretta trasmissione della politica monetaria. E anche la soluzione appare simile: si tratta di acquistare titoli di Stato, in una quantità "sufficiente" a risolvere il problema. Un atto, dunque, che non ha a che fare con la mutualizzazione del debito o con la sua monetizzazione, come la stessa Bundesbank sostenne allora, ma con il compito primo e principale di qualsiasi Banca centrale, che è quello di rendere efficiente la sua politica monetaria.

Draghi, dunque, ha inquadrato il problema perfettamente, e Weidmann può dargli torto solo rinnegando la storia recente della sua stessa Banca centrale. Poi, però, il presidente della Bce ha preso altre due posizioni che sono politicamente abili, ma deleterie per la sbandierata indipendenza politica della Bce. La prima: gli interventi avverranno solo dopo una formale richiesta di aiuto da parte degli Stati interessati, a cui saranno poste delle condizioni. Ma questa è la procedura stabilita per gli interventi dei Fondi "salva-Stati" (Efsf e, quando ci sarà, Esm). Che c'entra con quello che la Banca centrale ritiene di dover fare? E se nessuno chiede aiuto la politica monetaria può continuare ad essere inefficace? Il fatto è che quella era la linea indicata dalla Cancelliera Merkel. Della quale si è detto che è poi intervenuta ad appoggiare Draghi: ci sarebbe mancato altro, visto che era stato Draghi ad accettare la sua linea!

La seconda posizione è quella che riguarda l'accesso del Fondo salva-Stati ai finanziamenti della Bce. Quasi tutti i commentatori affermano che, per renderlo possibile, va concessa al Fondo la licenza bancaria e Draghi aggiunge che senza di essa - che è competenza dei governi concedere - la Bce non può finanziarlo, richiamandosi a un parere legale espresso sulla base dell'articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea del 2009. Ebbene, questo non è vero: come sottolinea Mario Nuti, il primo comma di quell'articolo sembrerebbe in effetti escludere organismi di quel tipo, ma il secondo comma recita: "Il paragrafo 1 può non essere applicato alle istituzioni di credito pubbliche che, nel contesto dell'offerta di riserve da parte della Banca centrale, potranno avere lo stesso trattamento degli istituti di credito privati". La Bce dunque avrebbe tutto il potere, a norma di Trattato, per decidere in materia. Se non lo fa è perché aspetta che sul problema gli Stati si mettano d'accordo, cosa che finora non è avvenuta essenzialmente per l'opposizione tedesca. Una seconda, pesante concessione al "primato della politica".

D'altronde, se Draghi siede su quella poltrona non è solo per le sue universalmente riconosciute capacità tecniche. Sarà forse il più autorevole tecnico oggi in circolazione nel mondo, ma questo non sarebbe bastato senza il consenso politico di chi conta di più in Europa, ossia dei tedeschi. E il realismo insegna che è abbastanza inutile aver ragione, se poi non si riesce a farla valere.

Certo, può arrivare un momento in cui si deve scegliere tra il fare qualcosa che appare ormai indispensabile e il mantenere una copertura politica a costo di rischiare il disastro. Speriamo che, quando arriverà quel momento, Draghi scelga bene.


(26 agosto 2012)
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