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LA SOCIETÀ LENTA E CHIUSA DI LATOUCHE E LA SFIDA EUROPEA

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

LA SOCIETÀ LENTA E CHIUSA DI LATOUCHE E LA SFIDA EUROPEA

Messaggioda franz il 10/08/2012, 7:44

LA SCELTA CHE DOBBIAMO COMPIERE È TRA L’UTOPIA REGRESSIVA DELLA DECRESCITA, DEL SOSTANZIALE RITORNO A UNA ECONOMIA CURTENSE, E LA DUREZZA DELLA SFIDA DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA – OCCORRE DARE VITA A UN RASSEMBLEMENT DI FORZE DECISE A IMPEGNARE FINO IN FONDO IL PAESE IN QUESTA SFIDA E A VINCERLA

Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 212, 6 agosto 2012.

Chi vuole chiarirsi le idee sui termini della scelta fondamentale di fronte alla quale l’Italia oggi si trova legga l’intervista di Lettera43 all’economista francese Latouche: Italia, serve la bancarotta. Serve, soprattutto, secondo Latouche, tornare a un’economia lenta e chiusa, nella quale nessuno tranne i Marco Polo si muove oltre il raggio di poche decine di chilometri; e solo entro quel raggio si deve trovare tutto ciò che serve per vivere. La società statica e frugale indicata come obiettivo da Latouche è, più o meno, quella in cui ci ritroveremmo di fatto se – come infatti lui consiglia – uscissimo dall’euro. È davvero questo che vogliamo riservare ai nostri figli? Colpisce che su di una scelta destinata a produrre questi effetti convergano tanta parte della destra (Berlusconi in testa, se si va alla sostanza di quel che propone) e tanta parte della sinistra (Grillo, Di Pietro e Ferrero in testa, seguiti appena di un passo da Vendola). L’unica alternativa a questa scelta regressiva è accettare fino in fondo la sfida europea, con tutte le sue durezze, ma anche con tutte le credibili promesse che essa porta con sé per le generazioni future (1).
Il mio auspicio è che intorno a quest’altra scelta si saldi al più presto nel nostro Paese un largo e coeso rassemblemant, capace di perseguirla senza equivoci e con tutta la determinazione possibile. In questa alleanza il compito specifico dei democratici sarà garantire che a tutti – ma la questione riguarda soprattutto i più deboli – sia dato pari accesso alle grandi opportunità offerte agli italiani dall’integrazione europea. Nella consapevolezza che, invece, nella società vagheggiata da Latouche, per quanto egli si presenti come intellettuale di sinistra, quelle opportunità saranno date soltanto a pochi Marco Polo.

(1) Sul modo in cui questa alternativa si presenterà alle prossime elezioni v. il fondo di Luca Ricolfi sulla Stampa del 28 luglio scorso.
http://www.pietroichino.it/?p=22659



PS: gli articoli a cui si riferimento vengono proposti qui sotto
Ultima modifica di franz il 10/08/2012, 7:47, modificato 2 volte in totale.
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«Italia, serve la bancarotta»

Messaggioda franz il 10/08/2012, 7:45

Per Latouche, guru della decrescita, il debito non sarà mai ripagato: meglio ripartire da zero. Su Berlusconi: «È pazzo».

di Giovanna Faggionato

da Parigi
Serge Latouche, guru della decrescita.

Serge Latouche, guru della decrescita.

A sinistra c'è il cafè Le metro, a destra il Ronsard. Uno di fronte all'altro, con la stessa veranda affacciata sul viale e lo spazio interno percorso dalla luce dei paralumi e dai riflessi degli specchi. In mezzo scorre Boulevard Saint Germain: 30 metri di asfalto antracite, bollente e polveroso, la colonna vertebrale della rive gauche parigina.
«Una volta, i giornalisti li ricevevo dall'altra parte: il proprietario del caffè abita al primo piano, proprio sotto il mio appartamento, peccato che mia moglie ci abbia litigato». Il teorico della decrescita, Serge Latouche, si presenta al tavolino del Ronsard con un affare di condominio e la fatica di attraversare la strada.
A dispetto delle lunghe gambe e dello sguardo da marinaio, l'economista 72enne sembra desideroso di restringere il mondo. Anche quello che lo circonda, fatto di caffé dove si dibatte di politica e flilosofia, da cui sono passati sia Adam Smith sia Karl Marx.
LA NECESSITÀ DI UNA DECRESCITA. Latouche ha cominciato a parlare di globalizzazione quando la parola non era nemmeno nei dizionari, ma da poco era stato pubblicato il rapporto dell'associazione non governativa Club di Roma sui limiti dello sviluppo e la fine del petrolio.
Ha riletto i liberali classici e il padre del comunismo e ne ha concluso che né il capitalismo concorrenziale teorizzato dai primi, né l'economicismo statalista di Marx sarebbero stati capaci di dar vita a una società in equilibrio con l'ecosistema.
Entrambi, anzi, avrebbero portato al collasso. Così ha messo in discussione il concetto di sviluppo come progresso, teorizzando la necessità di un dopo-sviluppo, della decrescita: l'uscita dal dominio dell'economia e una rifondazione culturale, fondata sulla limitazione dei bisogni.
CONTROCULTURA GLOBALE. Le sue idee si sono diffuse attraverso il mondo globalizzato, diventando la critica radicale del nostro tempo, la controcultura del mondialismo.
Oggi che è docente di Scienze economiche all'Università di Parigi Sud, i giornali aperti sul bancone del locale sembrano dargli ragione: parlano di rifiuti nucleari e licenziamenti, di nazioni indebitate e speculazione internazionale.
«Sappiamo già che l'attuale sistema crollerà tra il 2030 e il 2070», spiega a Lettera43.it, «il vero esercizio di fantascienza è prevedere che cosa succederà tra cinque anni».

DOMANDA. Lei ha un'idea?
RISPOSTA. L'Europa nata nel Dopoguerra farà la fine del Sacro romano impero di Carlo Magno che cercò di restaurare un regno crollato, durò per 50 anni e fu travolto dai barbari.
D. Che cosa c'entra l'impero romano?
Crollò alla fine del V secolo, ma non morì: continuò a sopravvivere per centinaia di anni con Carlo Magno, l'impero d'Oriente e poi quello germanico. Un declino proseguito nel tempo, con disastri in successione. Come succederà a noi.
D. È la fine della globalizzazione?
R. Io la considero una crisi di civiltà, della civiltà occidentale. Solo che, visto che l'Occidente è mondializzato, si tratta di crisi globale. Ecologica, culturale e sociale insieme.
D. Più di un crollo finanziario...
R. Se vogliamo andare oltre è la crisi dell'Antropocene: l'era in cui l'uomo ha cominciato a modificare e perturbare l'ecosistema.
D. E il sogno degli Stati Uniti europei?
R. È un'illusione. Perché è solo un prodotto della globalizzazione: non hanno costruito un'Unione, ma un mercato liberista.
D. Che fine farà il Vecchio continente?
R. L'Europa è schiacciata tra due movimenti. Uno politico e centrifugo che si è sviluppato anche in Italia con la stessa Padania. E uno economico e centripeto, la globalizzazione.
D. Per ora l'economia batte la politica...
R. Sì, il movimento centripeto ha il sopravvento. Ma è anche quello che nel lungo periodo andrà a crollare. Non può funzionare senza il petrolio e il blocco delle risorse materiali. Alla fine, con tutta probabilità l'Europa si dividerà in macro regioni autonome.
D. Come ci arriveremo?
R. La barca affonda e andremo giù tutti insieme. Ma non è detto che questo avverrà senza violenza e dolore.
D. Parla del conflitto sociale in Grecia e Spagna?
R. Ecco, putroppo siamo già dentro il capitalismo catastrofico. È solo l'inizio del processo, ma vediamo già gli effetti del mix di austerità e crescita voluto dai leader europei.
D. È comunque meglio della sola austerità...
R. Crede che l'imperativo della crescita funzioni? Basta guardare alla Francia: questo governo socialista vuole allo stesso tempo la prosperità e l'austerità. Ma non riuscirà a ottenere la crescita. O, se avverrà, sarà per pochi. Mentre l'austerità è sicura per molti.
D. Perché?
R. Perché non hanno scelta.
D. In che senso?
R. Sono chiusi dentro questo paradigma del produttivismo, del Prodotto interno lordo (Pil). È per questo che la decrescita è una rivoluzione. Perché prima di tutto è un cambiamento di paradigma.
D. Facile dirlo. Ma lei che cosa farebbe se fosse il premier italiano?
R. L'Italia dovrebbe andare in bancarotta.
«Il debito italiano? Non sarà mai ripagato»

D. Che cosa intende?
R. Pensi al debito.
D. Secondo l'Fmi quello italiano è quasi al 140% del Pil.
R. Appunto: non sarà ripagato, lo sanno tutti. Ne è consapevole anche Mario Monti. Il problema, per l'attuale classe dirigente, non è ripagare il debito. Ma è fingere di poter continuare il gioco: cioè ottenere prestiti e rilanciare un'economia che è solo speculativa.
D. Quali sono le prime cinque misure che adotterebbe al posto di Monti?
R. Innanzitutto, cancellerei il debito. Parlo come teorico, so che ci sono cose che Monti non potrebbe fare comunque, neppure se fosse di sinistra o un decrescente. Ma sto parlando di bancarotta dello Stato.
D. La bancarotta è la soluzione?
R. È più che altro la condizione per trovare le soluzioni.
D. In che senso?
R. Non porta necessariamente alla soluzione, anzi in un primo momento le cose possono peggiorare. Ma non c'è altro modo, perché non esiste via d'uscita dentro la gabbia di ferro del sistema attuale.
L'Italia non sarebbe la prima né l'ultima. Tutti quelli che l'hanno fatto si sono sentiti meglio, da Carlo V all'Argentina.
D. Ma l'Argentina non era dentro una moneta unica.
R. Questo significherebbe uscire dall'euro, ovviamente, dentro non si può fare niente. Per questo dico che parlo come teorico: nemmeno i greci hanno avuto il coraggio di abbandonare l'Unione.
D. Siamo al terzo punto allora: uscire dall'euro, cancellare il debito e poi?
R. Rilocalizzare l'attività. C'è tutto un sistema di piccole imprese, di saper fare diffuso, che è stato distrutto dalla concorrenza globale.
D. Sì, ma come si fa?
R. Devo usare una parola che in Italia fa sempre paura: serve una politica risolutamente protezionista.
D. Su questo, il dibattito è annoso...
R. Esiste un cattivo protezionismo, è vero. Ma c'è anche un cattivissimo libero scambio. Mentre esiste un buon protezionismo, ma non un buon libero scambio.
D. Perché no?
R. Perché la concorrenza leale sempre invocata non esiste. E non esisterà mai. Semplicemente perché tutti i Paesi sono diversi. Come si può competere con la Cina? È una barzelletta.
D. Parla come se facesse parte della Lega Nord.
R. Lo so, lo so. E anche come uno del Front National. Sa perché ha successo l'estrema destra?
D. Me lo dica lei...
R. Perché non tutto quel che dicono è stupido. C'è una parte insopportabile, ma se sono popolari - e lo saranno sempre di più - è perché hanno capito alcune cose, hanno ragione. È questo che fa paura.
D. Quindi qual è la ricetta della decrescita?
R. Il protezionismo ci permette di non essere competitivi per forza. Se lo siamo in alcuni settori, bene. Ma possiamo anche sviluppare produzioni non concorrenziali. Stimoliamo la concorrenza all'interno, ma con Paesi che hanno altri sistemi sociali, altre norme ambientali, altri livelli salariali, questo non è possibile. D'altra parte, è stata l'eccessiva specializzazione a renderci così fragili.
D. Siamo alla quarta misura, quindi.
R. La tragedia attuale, per me, è soprattutto la disoccupazione.
D. E come pensa di risolverla?
R. Lavorando meno, ma lavorando tutti.
D. Una formula già sentita...
R. Sì, ma ci dicevano anche che la concorrenza attuale ci avrebbe fatto lavorare di più per guadagnare di più, come ha dichiarato quello sciagurato di Nicolas Sarkozy. E invece ci fa lavorare di più e guadagnare sempre meno: questo è sotto gli occhi di tutti.
D. Ma è una questione di denaro?
R. No, si tratta di vivere. Dobbiamo ritrovare il tempo per dedicarci al resto, alla vita. Questa è un'utopia, ma l'utopia concreta della decrescita: superare il lavoro.
«La decrescita: ripartire dalla terra, eliminando le attività nocive»
Il vertice sull'ambiente di Rio è stato un fallimento.

Il vertice sull'ambiente di Rio è stato un fallimento.

D. Sì, ma come?
R. Partendo dalla riconversione ecologica. Tornando a un'agricoltura contadina, senza pesticidi e concimi chimici. In questo modo, la produttività per l'uomo sarà più bassa, ma si creeranno milioni di posti di lavoro nel settore agricolo. E questa è la quinta misura.
D. Basta l'agricoltura?
R. Dobbiamo affrontare la fine degli idrocarburi, sviluppare le energie rinnovabili e rinconvertire le attività parassitarie che danneggiano l'ambiente.
D. Per esempio?
R. Le fabbriche di automobili, che oggi sono in crisi.
D. Peugeot ha annunciato 8 mila licenziamenti...
R. Bisognava aspettarselo da anni. Si sa che l'industria dell'auto non ha futuro: con lo stesso know how potrebbero essere trasformati in stabilimenti che producono sistemi di cogenerazione.
D. Parla di una globale ristrutturazione del mercato del lavoro?
R. La quota di occupati in agricoltura potrebbe arrivare al 10%. Ci sono industrie nocive come l'automobile, il nucleare, la grande distribuzione che vanno ripensate. E c'è la necessità di una rinconversione energetica. In Germania, con le energie rinnovabili hanno creato decine di migliaia di posti di lavoro.
D. Ma sono dati contestati...
R. Il dibattito è aperto: si dice che chiudere le centrali nucleari francesi cancellerà 30 mila posti di lavoro ma, allo stesso tempo, prima bisogna smantellare. E nessuno lo sa fare. Quanti posti di lavoro si potrebbero creare allora?
D. E la grande distribuzione?
R. Sicuramente ha effetti distruttivi per l'ambiente e alimenta un alto tasso di spreco alimentare, pari a circa il 40% della produzione.
D. E allora?
R. Cancellarla significa essere pronti a ripensare tutto il sistema della città e soprattutto delle periferie.
D. Come?
R. La gente ha bisogno di piccoli negozi. Di fare la spesa più spesso, con più tempo a disposizione. Quando si comincia a cambiare un anello, come in una catena cambia tutto.
D. E i trasporti?
R. Dobbiamo pensare che il 99% dell'umanità ha passato la propria vita senza allontanarsi più di 30 chilometri dal proprio luogo di nascita. Quelli che si sono spostati di più, cioè noi, sono solo l'1%. Anche questo è un fenomeno molto recente e la maggioranza delle persone non ne soffrirà, poi ci saranno sempre i grandi viaggiatori alla Marco Polo.
D. Ne è certo?
R. È stata la pubblicità a creare il turismo di massa. In ogni modo, con la fine del petrolio, non ci sarà il traffico aereo di oggi, i trasporti costeranno sempre di più, andranno meno veloce. Muoversi sarà sempre più difficile.
D. E a livello fiscale?
R. Bisognerebbe introdurre una tassazione diretta e progressiva. Che può arrivare anche al 100%, se i redditi superano un certo livello. E poi una tassazione sul sovraconsumo dei beni comuni. A partire dall'acqua.
«Bisogna limitare i bisogni per soddisfarli davvero»
Serge Latouche (72) è il principale teorico della decrescita.

Serge Latouche (72) è il principale teorico della decrescita.

D. Quindi meno lavoro e più agricoltura. Per ottenere cosa?
R. Un mondo di abbondanza frugale.
D. Cioè?
R. Una società capace di non creare bisogni inutili, ma di soddisfarli. E per soddisfarli, bisogna limitarli.
D. Le sembra possibile, quando gli operai cinesi si suicidano per un iPad?
R. In una società sana non esiste questa forma di patologia dell'insoddisfazione. Ci può essere una forma di seduzione, ma non un'insoddisfazione permanente. Questo fenomeno è esacerbato dalla pubblicità.
D. Cioè?
R. Ci convince che siamo insoddisfatti di ciò che abbiamo, per farci desiderare ciò che non abbiamo.
D. Vorrebbe spazzare via il marketing?
R. Una delle prime misure della società della decrescita riguarda la pubblicità: non si tratta di cancellarla - perché non siamo terroristi - ma di tassarla fortemente, questo sì.
D. Con che motivazione?
R. È lo strumento di una gigantesca manipolazione, il veicolo della colonizzazione dell'immaginario.
D. E la finanza che rappresenta il 10% del Pil britannico?
R. Penso che questa crollerà da sola. Sarebbe già successo se questi sciagurati di governi non avessero salvato le banche.
D. Che cosa intende?
R. È colossale quello che è stato fatto per le banche negli Usa: secondo l'Ocse, 11.400 miliardi di dollari di fondi pubblici sono stati destinati agli istituti di credito.
D. Se facciamo crollare le banche si affossa il sistema...
R. Sì, meglio così. Abbiamo bisogno che il sistema crolli.
D. E i cittadini?
R. Dobbiamo pensare a come riorganizzare il funzionamento della società. Ma bisogna ricordarsi che questo sistema così come lo conosciamo è piuttosto recente.
D. Quanto?
R. Non ha più di 30-40 anni, prima era un sistema capitalista, ma non funzionava su queste basi finanziarie.
D. Che misure bisognerebbe adottare?
R. Il primo passo, prima di rimettere in discussione l'intero sistema bancario, è cancellare il mercato dei futures: pura speculazione. Un economista francese, Friederic Lordon, ha anche proposto di chiudere le Borse. E non sarebbe un'idea stupida.
D. Che cosa succede alle società che ci lavorano? E ai dipendenti?
R. La situazione attuale è talmente tragica che possiamo affrontare con serenità anche un cambiamento difficile.
D. Nella società della decrescita circola denaro?
R. La moneta è un bene comune che favorisce lo scambio tra i cittadini. Ma se è un bene comune non deve essere privatizzata. Le banche sono degli enti privati. E allora dico sempre che noi vogliamo riappropriarci della moneta.
D. Come?
R. Magari partendo dai sistemi di scambio locali che utilizzano monete regionali. Come ha funzionato per due o tre anni in Argentina, dopo il crollo del peso.
D. E chi governa il commercio?
R. Diciamo che sarà necessario trovare un coordinamento tra le varie autonomie.
D. Ma nel suo modello ogni regione fa da sé?
R. Ogni Paese deve trovare la sua strada. Una volta che siamo riusciti a uscire dal mondo del pensiero unico, dell'homo oeconomicus, a una sola dimensione, allora ritroviamo la diversità. Ogni cultura ha il suo modo di concepire e realizzare la felicità.
D. Esistono già esperienze in questa direzione?
R. In Sud America sono sulla strada giusta. In Ecuador e Bolivia, ispirandosi alla cultura india, hanno inserito nella Costituzione il principio del bien vivìr: del buon vivere. Ma, con la crisi, la decrescita ha avuto un successo incredibile anche in Giappone
D. Come mai?
R. I giapponesi stanno riscoprendo i valori del buddismo zen che si basa sul principio di autolimitazione. E sono convinto che la stessa cosa potrebbe succedere in Cina nei prossimi anni, anche attraverso il confucianesimo.
D. La Cina però è anche la più grande fabbrica del mondo...
R. Lì la crisi è già arrivata. La situazione cinese è bifronte: 200 milioni di abitanti hanno un livello di vita quasi occidentale e altri 700 milioni sono stati proletarizzati. Cacciati dalla terra, si accumulano nelle periferie delle metropoli, dove c'è un tasso di suicidi altissimo.
D. Ma l'economia continua comunque a crescere.
R. Anche il ministro dell'Ambiente cinese ha riconosciuto che se si dovesse sottrarre dal Pil di Pechino la quota di distruzione dell'ambiente questo calerebbe del 12%.
«La democrazia è un'utopia: il bene comune è più importante»
Parigi, Boulevard Saint-Germain

Parigi, Boulevard Saint-Germain

D. Come immagina la transizione?
R. Può avvenire spontaneamente, dolcemente. Ma anche in un modo violento.
D. Lei sogna la democrazia diretta?
R. Se si deve prendere la parola sul serio, ha senso solo la democrazia diretta. Ma direi che su questo punto, recentemente, le mie idee sono cambiate.
D. In che direzione?
R. Prima immaginavo un'organizzazione piramidale con alla base piccole democrazie locali e delegati al livello superiore.
D. E ora?
R. Oggi penso che la democrazia sia un'utopia che ha senso come direzione. Ma la cosa importante è che il potere, quale che sia, porti avanti una politica che corrisponde al bene comune, alla volontà popolare, anche se si tratta di una dittatura o di un dispotismo illuminato.
D. Si spieghi meglio.
R. Norberto Bobbio si chiedeva quale è la differenza tra un buono e un cattivo governo. Il primo lavora per il bene comune. Il secondo lo fa per se stesso. Questa è la vera differenza.
D. Va bene, ma come si ottiene un buon governo?
R. Con un contropotere forte. Un sistema è democratico - non è la democrazia, attenzione, ma è democratico - quando il popolo ha la possibilità di fare pressione sul governo, qualunque esso sia, in modo da far pesare le proprie esigenze e idee.
D. Ma non sta rinnegando la democrazia?
R. L'ideale sarebbe naturalmente l'autogoverno del popolo, ma questo è un sogno che forse non arriverà mai.
D. Non pensa alla presa del potere?
R. Gandhi l'aveva spiegato a proposito del suo Paese: «Al limite gli inglesi possono restare a governare, ma allora devono fare una politica che corrisponde alla volontà dell'India. Meglio avere degli inglesi piuttosto che degli indiani corrotti». Mi sembrano parole di saggezza.
D. Sa che Silvio Berlusconi vuole tornare in politica?
R. Ah, lo so, ma lui è pazzo.

Martedì, 17 Luglio 2012
http://www.lettera43.it/economia/macro/ ... 557970.htm
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RICOLFI: DUE TEST PER LE FORZE POLITICHE

Messaggioda franz il 10/08/2012, 7:46

ALLE PROSSIME ELEZIONI LA SCELTA PIÙ RILEVANTE CHE GLI ELETTORI DOVRANNO COMPIERE NON SARÀ TRA DESTRA E SINISTRA, BENSÌ TRA POSIZIONI CONTRARIE ALLA SCOMMESSA EUROPEA DELL’ITALIA E POSIZIONI FAVOREVOLI, SULLA LINEA DEL GOVERNO MONTI O ADDIRITTURA SECONDO DIRETTIVE ANCOR PIÙ RADICALI

Articolo di Luca Ricolfi pubblicato su la Stampa il 29 luglio 2012 – Poiché, nella classificazione degli orientamenti rilevanti nell’agone politico attuale, L.R. mi indica tra i “montiani puri”, ovvero i filo-montiani tout court, colgo l’occasione per chiarire che non tutto ciò che il Governo Monti sta facendo mi soddisfa e mi convince del tutto: al contrario, i frequentatori di questo sito mi hanno visto sovente denunciarne errori e inadeguatezze nelle materie nelle quali ho qualche competenza, quindi nell’operato dei ministri della Funzione pubblica, del Lavoro e dell’Istruzione; ciò che di questo Governo mi convince pienamente è invece la strategia di fondo, consistente nel compiere tutto quanto necessario per poter credibilmente esigere dai nostri maggiori partner europei il massimo di disponibilità a compiere subito i passi necessari per il completamento della costruzione della nuova Europa unita sia sul piano politico sia su quello economico e sociale (in quest’ultimo senso – ma solo in questo – accetto ben volentieri di essere classificato tra i “montiani puri”)

.
. Sono fra i pochi italiani che non sognano di presentare una propria lista alle prossime elezioni politiche, e proprio per questo mi sento più libero di osservare le liste altrui. Che da un po’ di tempo pullulano un po’ ovunque, e rendono difficile orientarsi in vista della prossima scadenza elettorale.
. Prevista da alcuni per aprile 2013 (fine naturale della legislatura), da altri già per il novembre prossimo (elezioni anticipate). Anche limitando l’attenzione alle liste meno improbabili o improponibili, l’elenco è già piuttosto lungo: Movimento Cinque stelle (Grillo), Italia Futura (Montezemolo), Grande Sud (Miccichè e Poli Bortone), Sel (Vendola), lista Monti, lista Tremonti, lista Passera, lista Berlusconi, lista Giannino, lista Scalfari. Senza contare le liste già evaporate del Terzo polo (Fli, Api), o le molte liste che potrebbero travestire o incorporare i vecchi partiti. Dalle parti di Berlusconi, ad esempio, si parla di un nuovo nome per il Pdl («Vola Italia»?), e di un nuovo simbolo (l’aquilone); dalle parti di Casini si è spesso parlato di un contenitore per i cosiddetti moderati più ampio dell’Udc (il «Partito della Nazione»); dalle parti di Di Pietro e della Lega si cercano stratagemmi per non sparire: a Di Pietro piacerebbe essere, diciamo così, «ospitato» dal movimento di Grillo, Maroni ha già fatto togliere il nome di Bossi dal simbolo della Lega; il Pd sembra tentato dalla vecchia formula degli «indipendenti di sinistra», che questa volta potrebbe essere riesumata o candidando al Parlamento rappresentanti della società civile, o collegandosi a una lista civica (lista Scalfari?), o facendo entrambe le cose.
. Insomma, la confusione è grande, e il non sapere con che legge elettorale si voterà non fa che aumentare la confusione stessa. Una confusione che è amplificata dai sondaggi che gli aspiranti leader di nuove liste commissionano ai sondaggisti. L’argomento è un po’ tecnico, ma vale la pena ugualmente accennarvi con un esempio. Un nuovo leader X commissiona all’istituto demoscopico Y un sondaggio per sapere quanti italiani sarebbero seriamente intenzionati a votare la sua nuova lista Z. Il sondaggista, raggiante, gli comunica: ben il 12%. Il nuovo leader presenta la sua nuova lista e, inaspettatamente, prende il 4% scarso, senza nemmeno passare la soglia di sbarramento. Che cosa è successo? Il sondaggista ha preso una cantonata? No, semplicemente è successo che alle elezioni si sono presentate altre due liste affini alla lista Z – chiamiamole Z1 e Z2 – e tutte e tre insieme si sono spartite il 12% delle nostre intenzioni di voto, intercettando rispettivamente il 4% (lista Z), il 3% (lista Z1), il 5% (lista Z2). In breve, voglio dire che il successo elettorale di un partito non dipende tanto dal suo indice di gradimento, ma dal tasso di affollamento della regione dello spazio politico che intende occupare. Sicché, se non si sa ancora chi parteciperà al voto, gli esiti dei sondaggi possono risultare molto fuorvianti.
. Dunque il vero problema, per le prossime elezioni, sarà di capire come sarà fatto lo spazio politico e chi lo occuperà effettivamente, visto che ci saranno molte sigle nuove, e nello stesso tempo tante sigle spariranno o finiranno per restare sulla carta. In attesa di sapere chi si presenterà davvero, possiamo cercare di capire come sarà fatto lo spazio politico e che tipo di forze proveranno a occuparlo. Un modo per capirlo, a mio parere, sarà di sottoporre ogni forza politica, vecchia o nuova che sia, a due test, che chiamerò zattera-test e Monti-test.
. Il primo è un test, per così dire, sociologico. Si tratta di capire, scorrendo l’elenco dei candidati e le loro posizioni nelle graduatorie interne dei partiti, se la lista è una lista-zattera oppure no. Per lista-zattera intendo una lista concepita prevalentemente per traghettare nel nuovo Parlamento persone che, pur avendoci malgovernato per decenni, non intendono rinunciare alla carriera politica, o perché ne hanno assoluto bisogno (rinviati a giudizio e condannati più o meno definitivi), o perché non saprebbero cosa altro fare nella vita, o perché si ritengono indispensabili, insostituibili o, come amano dire quando parlano di se stessi, si sentono «una risorsa per il paese».
. Non è difficile costruire un tale test, studiando la composizione per età, genere, anzianità parlamentare e status penale dei candidati che ogni partito mette in pole position. Perché mentre è verissimo che un singolo non può essere escluso o demonizzato solo perché è maschio, ultrasessantenne e magari ha fatto 4 legislature, lo stesso discorso non vale per un partito che è pieno zeppo di persone con quel tipo di profilo. E’ facile prevedere che, alle prossime elezioni, molte liste non passeranno lo zattera-test. Non solo, ma è estremamente probabile che il sistema con cui si voterà sarà comunque – sotto questo profilo – molto simile a quello attuale, proprio per consentire ai partiti di gestire le progressioni di carriera dei loro membri senza la fastidiosa interferenza dei cittadini-elettori. E’ per questo che, a parole, tutti i partiti sono contro il porcellum, ma poi – quando si tratta di sostituirlo – si sbizzarriscono in proposte che conservano la loro «quota di porcellum», ossia la possibilità di assicurare l’elezione ai candidati scelti dal partito.
. Il secondo test, invece, è di natura strettamente politica. Alle prossime elezioni, lo si voglia o no, il metro fondamentale con cui dovremo misurarci sarà quel che ha fatto il governo Monti. Destra e sinistra c’entreranno poco, per il buon motivo che – quando sono state al governo – hanno entrambe fatto molto meno di quel che si sarebbe dovuto fare per evitare il declino dell’Italia. Sicché, alla fine, io vedo solo quattro posizioni di fondo, e quindi quattro esiti possibili di un Monti-test applicato a una forza politica. Provo a esporle sinteticamente, su una scala crescente di «montismo».
Posizione A (anti-montiani). Monti ha fatto male, troppe tasse, troppa macelleria sociale. L’Europa e la Merkel ci strangolano. Non possiamo escludere un ritorno alla lira. Qui si ritrovano il Movimento Cinque Stelle (Grillo), la Lega Nord (Maroni), L’Italia dei valori (Di Pietro) e in parte Sel (Vendola).
. Posizione B (montiani semi-pentiti). Monti ha fatto bene, ma noi avremmo fatto un po’ diverso, ossia meglio. E’ la posizione comune di Pdl e Pd, che si differenziano fra loro solo per quel che di leggermente diverso avrebbero fatto. Questo «leggermente diverso» significa meno tasse per il Pdl, meno riduzioni di spesa pubblica per il Pd. In buona sostanza significa un po’ meno rigore sui conti pubblici, anche se a spese di ceti sociali diversi (il Pdl a spese dei dipendenti pubblici, il Pd a spese delle partite Iva).
. Posizione C (montiani puri). Monti ha fatto il massimo, bisogna continuare con l’agenda Monti. Solo Monti ha l’autorevolezza per difendere gli interessi italiani di fronte all’Europa. Il cammino delle riforme va proseguito con determinazione. Qui troviamo l’Udc (Casini), i montiani del Pd (ad esempio Pietro Ichino), nonché – ovviamente – il variegato mondo delle liste-Monti più o meno esplicite (lista Passera?).
. Posizione D (oltre-montiani). Monti ha fatto bene, ma poteva e doveva fare molto di più. Più liberalizzazioni e alienazioni del patrimonio pubblico, più spending review, meno tasse sui produttori. In breve, si tratta di essere più montiani di Monti. Più che continuare con l’agenda del Monti-politico, andare avanti con l’agenda del Monti-studioso, del Monti commissario-europeo, del Monti editorialista del Corriere della sera. Qui troviamo la massima concentrazione di liste nuove: la lista Giannino (presentata ieri), la lista Montezemolo, una eventuale lista Marcegaglia, forse le minoranze liberal-liberiste di Pd e Pdl.
. Dunque il materiale per cominciare a riflettere non mancherebbe. E sarebbe bene cominciare a farlo al più presto perché, altrimenti, il rischio è che alle prossime elezioni succeda quel che succede sempre. E cioè che ognuno voti il leader o il partito che gli sta più simpatico (o meno antipatico), senza avere un’idea precisa delle conseguenze di quel voto sul futuro dell’Italia. Fino a ieri potevamo – forse – permetterci questo lusso, oggi non più.
http://www.pietroichino.it/?p=22606
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Re: LA SOCIETÀ LENTA E CHIUSA DI LATOUCHE E LA SFIDA EUROPEA

Messaggioda ranvit il 10/08/2012, 9:27

LA SCELTA CHE DOBBIAMO COMPIERE È TRA L’UTOPIA REGRESSIVA DELLA DECRESCITA, DEL SOSTANZIALE RITORNO A UNA ECONOMIA CURTENSE, E LA DUREZZA DELLA SFIDA DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA – OCCORRE DARE VITA A UN RASSEMBLEMENT DI FORZE DECISE A IMPEGNARE FINO IN FONDO IL PAESE IN QUESTA SFIDA E A VINCERLA



Una terza via no?

Quella di Latouche è una boiata da cavernicoli....ma non quelli veri della preistoria che poverini avevano sin tanti problemi, piuttosto quelli di oggi normalmente persone disturbate rimaste adolescenti :D

Quella dell'euro a tutti i costi è una boiata da tecnocrati...ma non quelli che sono consapevoli del loro ruolo di "consulenti" dei politici, piuttosto quelli che credono di poter fare anche i politici...

La terza via è prepararsi bene con riforme e ristrutturazione delle politiche economico/finanziarie alla prossima implosione dell'Euro (ora che ci si è messo pure Draghi)... :D
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: LA SOCIETÀ LENTA E CHIUSA DI LATOUCHE E LA SFIDA EUROPEA

Messaggioda Manuela il 10/08/2012, 10:48

Periodicamente rispuntano fuori i teorici della decrescita, opzione che tende ad affascinare una parte della sinistra. Immagino sia quella parte della sinistra composta da intellettuali ed oziosi frequentatori delle terrazze romane, che di fabbrica si riempiono la bocca, ma da opportuna distanza, non si sa mai che uno schizzo di olio finisca sul cashemere...
E già mi immagino a coltivare l'orticello e a lavare le lenzuola tessute al telaio nel ruscelletto dietro casa.... non vedo l'ora!
La sinistra da cui provengo ha sempre avuto ben chiaro che il progresso è anche liberazione dalla fatica, e che oggi, per quanti problemi ci siano da affrontare - si vive meglio di 50 anni fa (ma naturalmente questo lo può capire solo chi proviene da classi che la fatica la conoscevano molto bene... chi "nasce bene" magari non percepisce appieno la differenza). Non solo, si vive meglio in Europa: la globalizzazione ha liberato dalla fame e dal medioevo enormi fette della popolazione mondiale. Questi intellettuali, che predicano (per noi... immagino che il signor Latouche manterrebbe il suo quarterino in Saint-Germain) il ritorno ad una società bucolica che non è mai esistita, solleticano una pseudo-sinistra reazionaria, che immagina di superare il capitalismo tornando al medioevo...
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Re: LA SOCIETÀ LENTA E CHIUSA DI LATOUCHE E LA SFIDA EUROPEA

Messaggioda franz il 10/08/2012, 13:06

Manuela ha scritto:Periodicamente rispuntano fuori i teorici della decrescita, opzione che tende ad affascinare una parte della sinistra.

Beh, c'è da dire che ad onor del vero di solito i fautori della decrescita spariscono come conigli nelle tane quando c'è la crisi e la recessiona. Spuntano come funghi se le vacche sono grasse ma in tempi di vacche magre non si sa come tendono a stare zitti. Latouche va controcorrente e fischietta quando non dovrebbe, come l'uccellino della famosa barzelletta.
Ma lui si sa, dà del matto a Berlusconi senza realizzare che il vero matto è lui. :lol:
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