Con il varo del V conto energia arrivano puntuali le lamentele degli operatori del settore fotovoltaico che, ancora una volta, sono i perseguitati di turno. La cosa curiosa è che, prima di diventare delle vittime designate su cui il Governo ha deciso di puntare i propri fucili, sono stati comunque baciati dalla fortuna perché il sole in Italia non manca quasi mai.
Grazie all’abbondanza di raggi solari (e di incentivi generosi) l’Italia è riuscita a diventare il primo paese a livello europeo con la creazione, secondo il rapporto Cresme (Centro ricerche economiche sociali di mercato per l’edilizia e il territorio), di 400mila posti di lavoro negli ultimi quattro anni
Anni in cui i toni trionfalistici si sono sprecati e dove il segno più ha contraddistinto le campagne di posizionamento di molti operatori: più fatturato, più occupati, più energia pulita, più tutto insomma.
Oggi siamo passati al segno meno e tutti si lamentano a gran voce della “macelleria fotovoltaica” che il Governo ha scientemente decretato..
Probabilmente, il vecchio adagio di“chi si loda si imbroda” ha ancora il suo perché e un atteggiamento forse meno trionfalistico avrebbe aiutato il mercato a gestire meglio la crisi che lo sta investendo.
E dato che le brutte notizie (perlomeno quelle preoccupanti) non fanno parte del DNA di un settore proiettato verso la positività e l’utilità sociale, qualcosa oggi è scomparso dalle cronache dedicate al nuovo conto energia. Sarebbe bello sapere cosa rimane di quei 400 mila posti di lavoro ma per questo attendiamo fiduciosi l’aggiornamento del rapporto
Certo, chi cura questo blog già due anni fa aveva parlato di posti di lavoro temporanei, legati perlopiù alla produzione e all’installazione ma nessuno si sarebbe aspettato una fuga dalle produzioni così veloce. Nel giro di due anni i posti di lavoro andati in fumo sono stati migliaia così come migliaia sono stati gli euro spesi per coprire le casse integrazioni di questi lavoratori. Nel solo distretto del fotovoltaico di Padova, oggi praticamente scomparso, a dicembre 2011 erano stati spesi 1 milione di euro tra cassa ordinaria e straordinaria. Oggi, prudentemente, qualcuno ha già annunciato “di dover ricorrere a provvedimenti straordinari per far fronte ai cambiamenti legislativi e di mercato” ma fino all’anno scorso questa prudenza non esisteva. Si è continuato a produrre, tra un intervallo di cassa integrazione e un altro, sapendo benissimo che il periodo delle vacche grasse sarebbe finito. Una sorta di temporary shop dove i lavoratori dovevano coprire solo la stagione autunno inverno in attesa di spostare il business su altro, più a valle della filiera.
Obiettivo degli incentivi, si diceva, era accompagnare la crescita di un’industria nazionale, degna di questo nome. Oggi, se guardiamo a cosa rimane di quell’industria baciata dal sole possiamo dire: “ben poco”. Dei cinque produttori in pole position fino all’anno scorso non rimane quasi nulla, solo richieste di cassa integrazione che molti non riescono neanche a pagare ai loro ex dipendenti. Per non parlare poi del disastro sull’indotto che sta travolgendo intere aree industriali già in crisi (basti pensare alla Brianza o alla zona di Padova) e ai tantissimi debitori che bussano alle porte delle aziende senza trovare risposte; se va bene, si vedono riconoscere il 30% di quanto loro dovuto. Dei fallimenti poi non è dato sapere perché di queste cose in Italia, si sa, è inutile parlare. Secondo la CGIA di Mestre ce ne sono 35 al giorno. Peccato che in questo caso stiamo parlando di aziende fallite nonostante gli incentivi e che hanno voluto fare il passo più lungo della gamba con progetti industriali forse un po’ troppo ambiziosi. Oppure, come in molti casi, troppo poco ambiziosi puntando tutto su una produzione di basso profilo, senza investire in ricerca e innovazione perché, “gli incentivi non lo consentivano” e in Italia non c’è una politica industriale degna di questo nome. Ed ecco allora arrivare i cinesi e la loro invasione di pannelli uguali – ma meno costosi – a quelli italiani.
Tutti fatti di cui si parla poco ma che rappresentano un costo economico e sociale da aggiungere naturalmente al costo dei sussidi. La cosa interessante è che chi paga le bollette sono anche quelle donne e quegli uomini che fino a qualche mese fa lavoravano mettendo insieme pezzi di silicio e che oggi sono a casa, in attesa di risposte e di tempi migliori. Tanti di loro avevano creduto di aver trovato il “lavoro del futuro” ma evidentemente si erano sbagliati. Forse ora li aspetta un nuovo temporary shop in cui verranno impiegati per la prossima stagione autunno inverno. Su quale nuova scommessa industriale però non è dato sapere.
http://www.chicago-blog.it/2012/07/20/i ... ia-navone/