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Esodati

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Esodati

Messaggioda franz il 11/06/2012, 17:48

Se capisco bene, 390.200 sono "i lavoratori che potrebbero avere diritto ad andare in pensione sulla base delle vecchie regole secondo il decreto Salva Italia e il Milleproroghe". Ma questo non sono gli esodati. Gli esodati sono quelli che sapendo che avrebbero potuto andare in pensione in pochi mesi(24) e vista la necessità dell'azienda di tagliare il personale (o anche per assumere giovani) hanno concordato con il datore di lavoro una sorta di accompagnamento, prepensionamento. Cosa che è saltata con la riforma di fine 2011. Costoro non sono piu' al lavoro e non sono ancora in pensione ma avevano accettato una proposta sulla base di regole che sono cambiate in itinere. Cosa c'entrano i 53enni licenziati o quelli che hanno smesso ma vanno avanti a pagare volontariamente? Comunque anche se fossero 390.200, il costo indicativo è 5 miliardi. Dove li troviamo? Chi paga? Debito? Nuove tasse? Licenziamo 390'200 dipendneti pubblici?
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Re: Esodati

Messaggioda flaviomob il 12/06/2012, 14:01

da l'Unità

http://giubberosse.comunita.unita.it/20 ... o-fornero/

Lo scandalo Fornero


Questa volta elsa fornero ha superato se stessa: ha mentito al Paese. E ha mentito su un argomento che brucia sulla pelle di tanti lavoratori, stravolge la loro vita e sconvolge la serenità del loro futuro. Un ministro che tiene chiuso in un cassetto un dossier scottante come quello sugli «esodati» e che, pur conoscendo le cifre ufficiali certificate dall’Inps, continua a insistere su un numero di gran lunga più basso, compie sicuramente un atto grave. Che incrina il rapporto di fiducia e di rispetto che deve esserci sia con le parti sociali che con i partiti che compongono la «strana maggioranza» che sostiene il governo. In questo modo, insomma, si compromette seriamente il patto di lealtà politica.
Il caso degli esodati è uno degli effetti collaterali più iniqui della riforma del sistema pensionistico approvata dal governo di Mario Monti. Stiamo parlando di lavoratori che avevano concordato un percorso verso la pensione (concordato, si badi bene, con le aziende e con l’Inps) sulla base di una normativa vigente e che, all’improvviso, si sono ritrovati in mezzo al guado: senza più lavoro e senza possibilità di assegno pensionistico. L’allungamento dell’età, infatti, li ha ricacciati in una sorta di terra di nessuno senza alcun diritto e senza alcun sostegno. Non si tratta di “furbetti”, ma di persone che erano al lavoro e hanno accettato la cassa integrazione, la mobilità, hanno subito il licenziamento oppure hanno firmato accordi di fuoriuscita che gli consentivano di pagarsi i contributi volontari per arrivare alla pensione. In molti casi lo hanno fatto convinti da aziende in stato di crisi, che in questo modo hanno alleggerito i loro organici. Quel patto tra lavoratore, Stato e imprenditore è stato stracciato con una leggerezza impressionante.
Ma più impressionante ancora è il modo in cui il ministro Fornero ha gestito una vicenda umana delicatissima. I sindacati, il Pd e il centrosinistra sin dall’inizio avevano lanciato l’allarme sulle reali dimensioni della platea interessata a quel drastico taglio. Di fronte alla cifra di 330-350 mila lavoratori – indicata da Cgil, Cisl e Uil e che oggi appare persino drammaticamente sottostimata – il ministro ha sempre scrollato le spalle. Accusò addirittura, appena un mese fa, «chi ironizza» sui ritardi nel calcolo esatto degli aventi diritto: «Vengano a vedere le difficoltà degli screening che stiamo facendo», disse con tono perentorio. Quali fossero questi screening non è dato sapere. Sappiamo, invece, che alla vigilia dell’approvazione del decreto nella sede del Welfare è arrivato il dossier dell’Inps con quel numero drammatico (390.200) e che il ministro lo ha tenuto segreto, prevedendo una copertura solo per 65 mila lavoratori. Una grave, persino irresponsabile, scorrettezza. Avremmo preferito un discorso di verità: non ci sono i soldi per tutti, per il momento salviamo quelli che possiamo, nei prossimi mesi faremo di tutto anche per gli altri. Si è adottato invece un escamotage che non ha niente di tecnico e che finiva per lasciare il conto al prossimo governo. Che sarebbe stato costretto a intervenire, magari subendo anche l’accusa di aumentare la spesa pubblica da parte di qualche solerte commentatore di fede liberista.
Ma ora il dossier uscito dagli uffici dell’Inps mette fine all’indecente balletto dei numeri. Che ormai diventa di scarso interesse di fronte a un decreto già fortemente restrittivo e che contiene un grave errore di impostazione: partire dalle risorse per definire i numeri. Un percorso tanto più ingiusto se si pensa che il taglio alle pensioni è stato il più drastico tra quelli operati dal governo Monti. E allora, qualunque sia la cifra reale degli esodati, il governo deve assicurare subito che a tutti sarà garantito il diritto sacrosanto di andare in pensione. In Parlamento sono depositate proposte di legge che vanno in questa direzione e che il ministro potrà facilmente consultare. Non ci sono le risorse? Si devono trovare: usando, per esempio, i risparmi della spending review, una più efficace lotta all’evasione fiscale oppure mirate dismissioni. Quel che non si può accettare è che ci sia anche un solo lavoratore che alla fine resti senza salario e senza pensione. Perchè questo non è soltanto eticamente disdicevole o pesantemente iniquo ma è un colpo grave alla credibilità dello Stato.


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Re: Esodati

Messaggioda Robyn il 12/06/2012, 16:12

Per gli esodati serve l'introduzione del reddito minimo vitale
ciao robyn
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Re: Esodati

Messaggioda franz il 12/06/2012, 16:54

Robyn ha scritto:Per gli esodati serve l'introduzione del reddito minimo vitale
ciao robyn

Certo, sarebbe una soluzione. Tuttavia è una misura che costa, non solo per i 390'000 "esodabili" ma piuttosto per le 8.078.000 persone sotto la soglia della povertà oppure le 2.737.000 famiglie. Se calcoli quanto potrebbe essere il minimo vitale medio (che poi in realtà dipende zona per zona dal costo della vita) e quanto sia necessario per integrare il reddito ai 1000 euro circa al mese per persona, arriviamo ad un massimo di 96 miliardi. Anche se le necessità di integrazione fossero la metà, qui nessuno ha 50 miliardi. Nemmeno 25.

Vedere: http://www.legaconsumatori.it/articoli/ ... GETTO.html
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Re: Esodati

Messaggioda Robyn il 12/06/2012, 16:58

Per il momento si può usare in via sperimentale solo per gli esodati poi man mano,quando ci saranno le condizioni,può diventare universale ciao robyn
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Pietro Ichino: di chi è la colpa per gli esodati

Messaggioda franz il 18/06/2012, 7:56

“ESODATI”: DI CHI È LA COLPA DELLO SCOPPIO DELLA BOLLA

LA RIFORMA DELLE PENSIONI DEL DICEMBRE SCORSO HA FATTO IN DUE SETTIMANE QUELLO CHE AVREMMO DOVUTO FARE GRADUALMENTE NEI DUE DECENNI PASSATI – I PROBLEMI TRANSITORI CHE NE SONO NATI VANNO RISOLTI GUARDANDO AVANTI E NON TORNANDO INDIETRO

Primo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 205, 18 giugno 2012
.
Le bolle crescono lentamente, poi scoppiano tutto d’un tratto. Così è accaduto per la nostra spesa pensionistica: per decenni ci siamo consentiti di andare in pensione a cinquant’anni accumulando debito pubblico, poi debito per ripagare il debito e gli interessi sul debito, finché i creditori hanno incominciato a dubitare della nostra capacità di restituire il tutto. Così, di colpo, nel dicembre scorso, abbiamo dovuto rimettere i piedi per terra. Eravamo, noi cinquantenni e sessantenni, in malafede nera. Sapevamo da tempo che il sistema non poteva reggere in quel modo: tanto che nel 1995 abbiamo fatto la riforma delle pensioni necessaria; ma l’abbiamo applicata solo ai ventenni e trentenni, cioè ai nostri figli e non a noi stessi. Il Governo Monti, appena costituito, ha dovuto fare in due settimane quello che avrebbero dovuto fare i Governi precedenti nell’arco di due decenni, estendendo la riforma del 1995 a tutti. Naturale che in questo modo molti di noi cinquantenni e sessantenni siano rimasti scottati; ma la colpa non è del Governo che ha gestito lo scoppio della bolla: è di chi per tanto tempo ha lasciato che si gonfiasse.

Ora, certo, occorre curare le scottature prodotte dallo scoppio. Ma non certo tornando indietro rispetto alla riforma. Ai cinquantenni e sessantenni senza lavoro non dobbiamo tornare a offrire una pensione, ma un congruo trattamento di disoccupazione; e tutti gli incentivi e le agevolazioni possibili per favorire il loro ritorno a un’occupazione retribuita adatta a loro, ancora per qualche anno. Non dobbiamo farli uscire dal mercato del lavoro, ma far funzionare meglio questo mercato: non è affatto impossibile.

Per tutti i dati quantitativi e qualitativi disponibili sulla questione, e indicazioni più precise sulle misure più appropriate ed efficaci per affrontarla,



VERO E FALSO SULLA QUESTIONE DEGLI “ESODATI” (E COME RISOLVERLA)

LA RIFORMA DELLE PENSIONI DEL DICEMBRE 2011, ATTO DI EQUITÀ FRA VECCHIA E NUOVA GENERAZIONE, HA FATTO IN DUE SETTIMANE QUEL CHE AVREBBE DOVUTO ESSERE FATTO GRADUALMENTE IN DUE DECENNI – I PROBLEMI TRANSITORI VANNO RISOLTI; MA GUARDANDO AVANTI E NON TORNANDO INDIETRO

Nota di approfondimento, 18 giugno 2012, in vista della discussione della questione all’ordine del giorno del Senato per il 19 giugno e della Camera per il 20 giugno – In argomento v. anche l’editoriale telegrafico per la Nwsl n. 205, dello stesso giorno

.SS
Sommario
1. Perché la riforma Fornero delle Pensioni era indispensabile e urgente
2. I problemi transitori originati dalla riforma
. A. I lavoratori ultrasessantenni in attività .
. B. I lavoratori privi di lavoro e vicini alla pensione a fine 2011
. . b.1. I “salvaguardati”
. . b.2. I “non salvaguardati”
3. Come affrontare e risolvere i problemi transitori originati dalla riforma

1. Perché la riforma Fornero delle Pensioni era indispensabile e urgente
Sul capitolo pensioni il Governo Monti, appena nato, con le finanze statali a gravissimo rischio di collasso, ha dovuto fare in due settimane quello che i Governi precedenti avrebbero dovuto fare fin dal 1995, anno della riforma Dini. Quella riforma di diciassette anni fa realizzava un assetto pensionistico sostenibile, ma aveva il difetto di applicarlo però soltanto a chi avesse incominciato a lavorare dopo il 1978; lasciava invece che le generazioni precedenti continuassero a beneficiare del vecchio assetto, che comportava è ha comportato fin qui ingenti esborsi da parte dello Stato per tenere in piedi il bilancio pensionistico dell’Inps. Da allora furono in molti ad avvertire che la grande iniquità di quella differenza di trattamento fra vecchi e giovani andava superata, ma non se ne è fatto mai nulla. Col risultato che quella parificazione – atto di elementare equità tra padri e figli – ha dovuto essere compiuta in modo brusco, qualcuno ha detto “brutale”, in una situazione di gravità estrema nella quale la drasticità del voltar pagina era indispensabile per dare agli osservatori stranieri la percezione immediata e inequivoca della svolta che il Governo italiano stava imprimendo all’andamento del bilancio statale e in particolare a quello della spesa pensionistica.

. Fece parte di quella manovra, oltre che l’estensione alla vecchia generazione del sistema “contributivo” di calcolo della pensione per la parte destinata a maturare dal 1° gennaio 2012 (cosa importantissima, che però nessun Governo precedente aveva saputo fare), anche l’abolizione della possibilità del “pensionamento di anzianità“, cioè del pensionamento basato sul solo requisito contributivo, che prescindeva dal requisito di età anagrafica. Per avere un’idea dell’importanza di questa misura, si consideri che ancora nel corso del 2011 gli italiani che avevano fruito del pensionamento di anzionità (circa due terzi del totale dei pensionati fino a quell’anno) avevano fatto registrare un’età media di ritiro dal lavoro di 58 anni e tre mesi! Fece parte di quella manovra, inoltre, un brusco aumento dell’età ordinaria del pensionamento di vecchiaia, portata a 67 anni.

. Queste misure in materia di pensione di anzianità e di vecchiaia, che hanno applicato le regole già decise nel 1995 per le nuove generazioni anche a quelle dei cinquantenni e sessantenni, ha infranto una convinzione diffusa tra gli appartenenti a queste ultime: quella secondo la quale con 60 anni di età e 37 o 38 anni di contribuzione un lavoratore si fosse “guadagnato il diritto” alla pensione. Se si considera che a 60 anni gli italiani hanno una attesa media di vita di 23 anni se uomini, 24 se donne, è facile convincersi dell’insostenibilità della vecchia regola: poiché l’aritmetica non è un’opinione, come è possibile che 38 anni di contribuzione nella misura del 33% della retribuzione costituiscano un finanziamento sufficiente per una pensione pari a tre quarti o quattro quinti della retribuzione stessa, destinata a durare per 23 o 24 anni? È evidente che questo trattamento pensionistico può stare in piedi soltanto con un cospicuo contributo dello Stato: ed è infatti ciò che è accaduto per tutto il mezzo secolo passato, nel quale lo Stato ha contribuito ogni anno con l’equivalente di molte centinaia di miliardi di euro al pareggio di bilancio dell’Inps. Ma è altrettanto evidente l’iniquità di una spesa sociale dello Stato quasi interamente destinata a consentire il pensionamento a cinquantenni e sessantenni, come se queste fossero le situazioni di maggiore disagio sociale, mentre vengono trascurate quasi del tutto le vere situazioni di bisogno, quali quelle delle famiglie con persone disabili, o con anziani non autosufficienti, oppure quelle della maternità e dell’infanzia prive dell’assistenza essenziale.

. La riforma varata dal Governo Monti il 4 dicembre scorso ha inteso voltar pagina rispetto a quella enorme e insensata distorsione della spesa pubblica a favore dei soli nati negli anni ’40 e ’50, profondamente iniqua nei confronti delle nuove generazioni e delle vere situazioni di bisogno, oltre che vistosamente incompatibile con la credibilità del progetto di risanamento del nostro bilancio pubblico. E – per i motivi di cui ho detto sopra – questo ha dovuto essere fatto in modo repentino: per riacquisire un ruolo da protagonista al tavolo europeo il Governo ha dovuto compiere da un giorno all’altro quel mutamento di assetto del nostro sistema previdenziale anche per la parte applicabile alle vecchie generazioni, che colpevolmente i Governi e le maggioranze precedenti non avevano compiuto nell’arco dei quindici anni precedenti.

2. I problemi transitori originati dalla riforma
. Il risultato di questa operazione, per il modo in cui ha dovuto essere compiuta, è stato che si è bruscamente allontanato il momento del possibile pensionamento per i molti lavoratori di età vicina ai 60 anni che, secondo la vecchia disciplina, erano ormai prossimi a conseguirlo. Va subito detto che per tutti i lavoratori sessantenni che preferiscono continuare a lavorare e a guadagnare il proprio stipendio pieno – e sono molti – la riforma ha determinato un vantaggio, tanto rilevante per il benessere loro e delle loro famiglie quanto poco considerato nel dibattito in corso su questi temi. Ne sono però anche derivati due ordini di problemi transitori: A) uno riguarda le imprese che avevano fatto conto di poter prossimamente licenziare per limiti di età uno o più dipendenti sessantenni o vicini a questa età, addetti a mansioni pesanti, e non possono più farlo nei tempi previsti; B) un altro ordine di problemi – quello politicamente più caldo – riguarda le persone che erano prossime alla pensione e prive di lavoro: soprattutto quelle che lo avevano perso o lasciato da poco tempo proprio perché prossime alla pensione e che hanno visto spostarsi in avanti di qualche anno la possibilità di fruirne.

. A) Il problema dei lavoratori ultrasessantenni in attività, addetti a mansioni fisicamente pesanti, oppure comunque poco utili alle imprese da cui dipendono nelle mansioni fin qui svolte, può e deve essere affrontato con varie misure, tra le quali:
. - l’utilizzazione di questi lavoratori in nuove mansioni utili per l’azienda e non pesanti: per esempio in funzione di addestramento e assistenza per i new entrants; nel Centro e Nord-Europa il ridisegno delle mansioni per i lavoratori sessantenni costituisce oggetto di servizi specializzati in seno alle imprese maggiori, o di servizi offerti da agenzie specializzate;
. - la coniugazione di un rapporto di lavoro a tempo parziale con un pensionamento parziale, secondo quanto delineato nel disegno di legge Treu, Ghedini, Ichino e altri, 29 febbraio 2012 n. 3181;
. - la trasformazione dei rapporti di lavoro con i sessantenni a tempo parziale, con contribuzione figurativa per la parte corrispondente alla riduzione retributiva e con impegno dell’impresa per l’assunzione di altrettanti giovani apprendisti (secondo un progetto elaborato da Assolombarda, attualmente allo studio del ministero del Lavoro);
. - l’attivazione di servizi alle famiglie e alle comunità locali, svolti per mezzo di contratti di collaborazione continuativa, finanziati in parte mediante con il contributo dei soggetti stessi beneficiari dei servizi, in parte da Regioni o Comuni interessati, in parte dalle imprese i cui dipendenti sessantenni potrebbero essere in questo modo reimpiegati nei loro ultimi anni di lavoro (progetto sul quale un gruppo di lavoro da me coordinato sta preparando un progetto operativo e un disegno di legge).

. B) La questione dei lavoratori privi di lavoro e vicini alla pensione alla fine del 2011, per i quali il pensionamento si è allontanato di qualche anno, si articola in problemi specifici tra loro diversi, a seconda delle diverse possibili situazioni. Possiamo distinguere queste situazioni in due grandi gruppi, a seconda che i lavoratori interessati siano, oppure no, “salvaguardati”, cioè possano ottenere il pensionamento secondo le vecchie regole (a norma dell’articolo 24, comma 14, del decreto-legge c.d. “Salva-Italia”, 6 dicembre 2011 n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2001 n. 214, o dell’articolo 6, comma 2-ter, del decreto legge 29 dicembre 2011 n. 216, convertito nella legge 24 febbraio 2012 n. 14).

. b1 - I circa 65.000 “salvaguardati”, ai quali continuano ad applicarsi le vecchie regole
. Sono:
. - 29.050 lavoratori licenziati che alla data del 4 dicembre 2011 godevano del trattamento di mobilità (ordinaria o “lunga”) in virtù di accordi sindacali sottoscritti in data precedente, con prospettiva di cessazione del trattamento in corrispondenza con l’attivazione della pensione;
. – 17.710 lavoratori licenziati che alla data del 4 dicembre 2011 godevano, in virtù di accordi sindacali precedenti, di un trattamento di sostanziale prepensionamento erogato da fondi di solidarietà (quale per esempio quello operante nel settore bancario);
. – 10.250 lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione per il raggiungimento del diritto alla pensione con provvedimento Inps precedente al 4 dicembre 2011;
. – 6.890 lavoratori che hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2012 con incentivazione all’esodo sulla base di accordi individuali o collettivi stipulati prima del 4 dicembre 2011;
. – 1.100 ex-dipendenti pubblici con 35 anni di anzianità ed esonero quinquennale dal servizio, o in congedo biennale straordinario;

. b2 – I “non salvaguardati”
. A differenza dei “salvaguardati”, che sono individuati con precisione dalle norme sopra richiamate, quello dei “non salvaguardati” costituisce un insieme aperto, che potrebbe anche ricomprendere tutti coloro che hanno incominciato a lavorare prima del 1978, si trovano attualmente senza lavoro e si sono visti ritardare la data del pensionamento per effetto della riforma del dicembre 2011. Qualsiasi delimitazione di questa categoria è arbitraria, non essendovi alcuna norma a cui si possa fare riferimento per determinarne i confini: questo è il motivo per cui negli ultimi mesi sono circolate in proposito le stime più disparate. Si è parlato in proposito di oltre 300.000 persone. Per altro verso, è evidente che “salvaguardare” tutti coloro che potrebbero essere ricompresi in questa categoria equivarrebbe a svuotare la riforma.
. Per impostare un ragionamento tecnico-politico serio al riguardo, si possono individuare alcune categorie di persone i cui programmi legati a una prospettiva di pensionamento a breve termine sono stati maggiormente pregiudicati dalla riforma del dicembre 2011:
. b2.1. - lavoratori nati nel 1952 o negli anni immediatamente successivi e attualmente non al lavoro da un tempo rilevante, che però alla fine del 2011 avevano raggiunto il requisito minimo di 20 anni di contribuzione per la pensione di vecchiaia, ma non ancora l’età minima o l’ammontare minimo di contribuzione per la pensione di vecchiaia, i quali pertanto con le vecchie regole avrebbero potuto aspirare al pensionamento entro il 2014 o il 2015; tra questi, secondo l’Inps ci sarebbero
. b2.1.1. – 173.100 lavoratori con più di 53 anni, il cui rapporto di lavoro è cessato tra il 2009 e il 2011 per cause diverse: licenziamento, dimissioni spontanee o risoluzione consensuale incentivata (si stima che alla fine del 2011 più di due terzi di questi fossero disoccupati già da oltre un anno);
. b2.2. – 24.500 lavoratori per i quali un accordo individuale o collettivo stipulato prima del 4 dicembre 2011, con o senza il sostegno di un fondo di solidarietà categoriale, avrebbe previsto la cessazione del rapporto di lavoro in data successiva al 31 dicembre 2011 (in corrispondenza con il previsto pensionamento secondo le vecchie regole); alcuni di questi hanno cessato di lavorare nei primi mesi del 2012 e maturano i requisiti per la pensione secondo le vecchie regole nel 2013, altri invece sono ancora al lavoro, essendo prevista la cessazione del rapporto in un futuro prossimo, ma in alcuni casi anche fra due o persino tre anni;
. b2.3. – 122.750 lavoratori autorizzati ai versamenti volontari per raggiungere il requisito minimo per la pensione di vecchiaia, non rientranti nel requisito posto dall’art. 24, comma 14 del d.-l. n. 201/2011 – perché raggiungeranno la contribuzione e/o età minima necessarie dopo la fine del 2013 -, i quali secondo le vecchie regole avrebbero potuto aspirare a ottenere la pensione di vecchiaia prima dei 67 anni (qui il termine “esodati” appare particolarmente inappropriato);
. b2.3. – 3.180 dipendenti pubblici beneficiari del congedo straordinario per l’assistenza a figli disabili, che con le vecchie norme avrebbero potuto aspirare al pensionamento nei prossimi anni, mentre con le nuove dovranno attenderlo più a lungo (anche questi non sono evidentemente classificabili come “esodati”, se a questa parola non vogliamo attribuire un significato del tutto indefinito).

3. Come affrontare e risolvere i problemi transitori originati dalla riforma
. . Va subito osservato come la maggior parte dei casi di “non salvaguardati” riguardi lavoratori che, secondo le vecchie regole, non avrebbero comunque ottenuto la pensione prima del 2014 o del 2015; rientrano invece tra i “salvaguardati” quasi tutti coloro che la avrebbero invece ottenuta nel 2012 o 2013. Per questi casi, dunque, può essere sensato rinviare la questione al prossimo anno, per affrontarla quando si conosceranno meglio i dati rilevanti per la soluzione, concernenti le condizioni della finanza pubblica e quelle del mercato del lavoro.
. Occorrerà, poi, individuare fra i circa 320.000 casi sopra classificati nel paragrafo b2 le situazioni particolari di confine per le quali si giustifica una deroga alle nuove norme e quelle che – pur non rientrando fra le prime – giustificano comunque un intervento speciale di sostegno del reddito. Per esempio, nella categoria b2.1.1 è evidente che – se non vogliamo rimangiarci la riforma – la maggior parte dei 173.000 lavoratori che vi appartengono devono essere aiutati non a ritirarsi in pensione, ma a rimanere attivi nel mercato del lavoro. E lo stesso vale almeno per quelli tra i 122.000 autorizzati alla contribuzione volontaria che matureranno il diritto alla pensione fra due o più anni.
. A me sembra, comunque, che nella grande maggioranza dei casi la soluzione non debba consistere in una deroga alla nuova disciplina pensionistica. Essa deve semmai consistere in una norma speciale che estenda il trattamento di disoccupazione, nei limiti delle disponibilità finanziarie, e al tempo stesso istituisca alcuni forti incentivi all’ingaggio di queste persone: per esempio con esenzioni contributive, sgravi fiscali, una disciplina speciale che consenta un periodo di prova fino a un anno nel rapporto di lavoro dipendente, e che agevoli la costituzione di rapporti genuini di collaborazione autonoma continuativa con le amministrazioni locali, dove ne ricorrano gli elementi essenziali. In altre parole, occorre mantenere fermo il principio per cui a 50 e a 60 anni si può ancora lavorare, e si deve essere disponibili a farlo se si vuole beneficiare di un sostegno del reddito; ma anche fare tutto il possibile per abbattere il diaframma che impedisce a questa offerta di lavoro maturo di incontrarsi con la domanda potenziale, soprattutto nel settore dei servizi alle famiglie e alle comunità.
. La nuova cultura del lavoro di cui il Paese ha urgente bisogno deve liberarsi dall’idea che per un sessantenne trovare un lavoro, anche magari a part-time, sia impossibile. Ma per liberarsi di quell’idea non basta un tratto di penna sulla Gazzetta Ufficiale: occorre anche far funzionare meglio il nostro mercato del lavoro. Non è affatto impossibile, se si considera che, nel corso del 2011 (incredibile ma vero) i contratti di lavoro denunciati agli uffici del lavoro sono stati oltre 10 milioni, di cui un quinto a tempo indeterminato.

Link:
http://www.pietroichino.it/?p=21857
http://www.pietroichino.it/?p=21812
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Re: Esodati

Messaggioda Robyn il 18/06/2012, 9:38

La questione degli esodati è venuta fuori perche manca il reddito minimo vitale garantito,in cui in passato si è fatto freno.Quindi bisogna introdurre il reddito minimo vitale garantito,ma allo stesso tempo non è più possibile per le aziende cercare il prepensionamento di alcune fasce di lavoratori i cui costi poi ricadono sulle future generazioni.La riforma delle pensioni avrebbe avuto un'impatto minore se ci fosse stato il reddito minimo vitale garantito esistente in tutta Europa tranne che in Italia,Grecia.La mancanza del reddito minimo vitale garantito non c'è in Italia,perchè le parti sociali si sono sempre opposte.Invece tornando al manifesto di Berlinguer sulla questione morale rileviamo quando questo messaggio sia attuale.Infatti Berlinguer diceva che con la globalizzazione i partiti di sinistra avrebbero avuto intorno a loro sfide inaudite da affrontare.Descriveva le sinistre Europee che si occupavano solo dei lavoratori garantiti della grande industria"articolo 18" della PA lasciando ai margini le fasce più deboli.Inoltre è necessario abolire gli scatti di anzianità ed introdurre il merito perche gli esodati sono il frutto degli scatti di anzianità ciao robyn
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Fornero: dimissioni!

Messaggioda flaviomob il 20/06/2012, 1:09

...
I consulenti del lavoro: “Gli esodati sono 370mila”. Ancora oggi, tuttavia, una ricerca della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro aveva confermato le stime contenute nella relazione dell’Inps al ministero. ”Se è vero – sottolinea Rosario De Luca, presidente della Fondazione – che 65mila lavoratori sono stati salvaguardati dal decreto, ne restano almeno altri 300mila che in virtù della normativa vigente si ritroveranno presto esodati”. I consulenti del lavoro sottolineano che nel 2011 sono stati oltre un milione e mezzo i lavoratori destinatari dei trattamenti di cassa integrazione e circa 188mila alla mobilità.

“Per individuare il numero degli interessati dal problema – affermano – si deve applicare il tasso di uscita incentivata dal lavoro (ovvero l’anticipo del raggiungimento dei requisiti per la pensione) che nel settore industria raggiunge la percentuale del 14% di coloro che hanno beneficiato degli ammortizzatori sociali. Si tratta di 238mila persone. A questi vanno aggiunti i lavoratori, nati dopo il 1946, autorizzati alla prosecuzione volontaria e con un ultimo versamento contributivo versato in data antecedente il 6 dicembre 2011 (circa 133mila soggetti). Si tratta di circa 370mila esodati sui quali è necessario intervenire”.
...
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/06 ... la/268502/


--> DIMISSIONI


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Re: Esodati

Messaggioda franz il 20/06/2012, 8:02

Un concetto dovrebbe essere chiaro: la riforma che ha innalzato (d'urgenza) l'età pensionabile ed esteso il sistema contributivo per tutti ha lo scopo di limitare l'onere per i conti pubblici. Se volessimo tutelare tutti gli esodati ed esodabili, la riforma perderebbe di significato. Per ora sono stati tutelati quelli che sarebbero andati in pensione nei primi due anni della riforma e che erano tutelati da leggi precise (i famosi 65'000). Per tutti gli altri le soluzioni non possono essere a carico dello stato, altrimenti tanto valeva non fare la riforma oppure dire che entrava in vigore nel 2020 o cose berlusconiane simili.
Mi pare che il testo di Ichino sia chiarissimo su questo.
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Re: Esodati

Messaggioda ranvit il 20/06/2012, 12:18

Bastava fare una riforma progressiva; per esempio un anno in piu' ogni due.....tanto non abbiamo risolto comunque il problema, visto lo spread...e comunque dovremo tener conto degli esodati, quantunque essi siano (quindi il risparmio sarà notevolmente ridimensionato).
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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