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flaviomob ha scritto:Il ponte sullo stretto che senso ha, quando poi c'è il binario unico da Messina a Palermo?
ranvit ha scritto:Non mi pare che il Ponte sulla stretto fosse l'unico intervento richiesto da Svimez....
Costruire scuole, ospedali etc??? Ma se ne stanno chiudendo a iosa perchè troppi!!!
Viceversa ci sono ampie zone di scarsissima mobilità che non invitano certo gli investimenti!
Anche la mobilità via mare è utilissima.
Italia, il paese delle cattedrali nel deserto
12 maggio 2010 · Scritto in Articoli da Administrator
di Angelo Spaziano – 10/05/2010
da Arianna Editrice.
Gli italiani, noti per essere un popolo di poeti, santi e navigatori, di cattedrali ne hanno erette tantissime lungo la loro storia plurisecolare. Forse tante quanti sono gli illustri personaggi saliti alla gloria degli altari nel corso della bimillenaria epopea del cristianesimo peninsulare.
La skyline dello Stivale infatti è costellata di grandi luoghi di culto che hanno impresso al paesaggio un carattere inconfondibile. Tuttavia, negli anni seguiti alla conclusione della seconda guerra mondiale, vale a dire nell’epoca del pentapartito prima e del consociativismo poi, le cattedrali nel Belpaese si sono moltiplicate a dismisura parallelamente alla cementificazione incontrollata del territorio, acquisendo caratteri insoliti e alquanto poco sacrali.
Prima del Novecento i luoghi di culto, bellissimi, si ergevano al centro di paesi e città, rappresentando l’anima, il fulcro, la cerniera del vivere comunitario. Dopo questo periodo, le “cattedrali”, così soprannominate, seppur prive stavolta di qualsivoglia connotazione mistica ed estetica, hanno iniziato a spuntare come funghi velenosi anche in luoghi dove di questi edifici proprio non se ne sentiva il bisogno. Cattedrali nel deserto, appunto. E tali da mortificare anche le aree già desolate di per sé, che dalla presenza di questi ecomostri si sono ancora di più squalificate.
Esempio eclatante del sacco indiscriminato delle nostre città è proprio la sconcia palazzina attaccata al Colosseo e residenza del dimissionario Scaiola e di tanti altri vip. Si tratta di un vero e proprio monumento alla bruttezza irragionevole e autolesionista che fa il paio con il serpentone di Corviale.
Tuttavia gli esempi suddetti, pur se indegni di un paese civile, sono stati regolarmente impegnati secondo l’uso al quale erano stati originariamente destinati. Ma l’Italia è disseminata anche di piccole e grandi – ma soprattutto grandi – “opere pubbliche” e private completate ma lasciate a marcire nel degrado, a malapena cominciate e abortite, oppure lasciate a metà e mai portate a termine o, seppur finanziate con grande profusione di denaro, neppure iniziate. Un inutile e sfacciato spreco di risorse economiche che avrebbero potuto essere impiegate altrove, con maggiore profitto e migliore riuscita, ma che vennero gettate al vento del velleitarismo clientelare e della dissipazione inconcludente tipici della prima repubblica.
L’ultimo esempio a proposito è stato il caso Maddalena, il luogo dove era in programma il G8 ultimo scorso ma che una volta ristrutturato a suon di milioni fu messo da parte per favorire la sinistrata L’Aquila. In tutta Italia di “altari” alla vergogna ne sono stati censiti almeno 600 e, di questi, 315 sono stati individuati e recentemente pure rifinanziati, grazie a una legge comunitaria, con ben 3.500 miliardi. Eppure, malgrado la pioggia di denaro fresco, la maggior parte di questi manufatti è rimasta allo stesso punto di prima. Le più costose incompiute sono dislocate prevalentemente al Sud, ma anche al Nord i cantieri abbandonati alle ragnatele sono numerosi, anche se di dimensioni tutto sommato più contenute.
La lista è sterminata. Autostrade che finiscono nei cimiteri, ospedali completati e mai inaugurati, scuole, case popolari, acquedotti, fogne, linee ferroviarie, parcheggi, campi sportivi. In alcuni casi è passato tanto di quel tempo che il manufatto non è più necessario. In altri casi è il contrario. Più tempo passa, più l’opera è indispensabile ma diventa complicato portarla a compimento. Oppure, una volta conclusa, risulta già superata dai tempi e dalle tecnologie.
La storia della diga di Blufi, ad esempio, nell’arida provincia di Palermo, è davvero paradigmatica. La prima pietra fu posata 14 anni fa. A complicare le cose arrivò nel ‘93 una delle tante inchieste di Tangentopoli. Due anni dopo, con l’istituzione del Parco delle Madonie, si dovettero sigillare le cave da cui si attingeva il pietrisco e i lavori si fermarono del tutto. Seguì una stasi settennale. Poi, nella primavera del 2002, il presidente della Regione siciliana, Totò Cuffaro, inaugurò fra lustrini e paillette la riapertura dei cantieri. Ma non fu che un’illusione, e in breve tempo tutto tornò a fermarsi. Unica eccezione, il preventivo, che nel frattempo lievitò dagli iniziali 180 miliardi di lire a 184 milioni di euro.
La “madre” di tutte le cattedrali nel deserto nel nostro paese, tuttavia, è l’ormai famigerato V Centro siderurgico di Gioia Tauro, una nefandezza tutta democristiana doc, entrata nel guinnes dei primati e riconducibile all’insipienza dello scudocrociato del tempo e alla confusa situazione politica determinatasi in Calabria fin dall’inizio degli anni Settanta dello scorso secolo. A un certo punto, infatti, negli alti palazzi dove “vuolsi così colà dove si puote…”, si decise l’assegnazione delle sede del capoluogo della costituenda Regione a Catanzaro, quando la città leader da quelle parti era sempre stata Reggio.
Come presagendo l’ira funesta dei reggini, l’area della Piana di Gioia Tauro, tradizionalmente coltivata ad agrumi e ad oliveti, venne così designata come sito “adatto” per ospitare il porto del polo di Reggio Calabria, che sarebbe dovuto diventare nei piani degli inetti politicanti democristiani, il V centro siderurgico italiano. Un progetto varato in pompa magna con tanto di cerimonia di posa della prima pietra da parte dell’inossidabile Giulio Andreotti. Un ennesimo centro per la siderurgia da offrire in elemosina ai calabresi, destinato a passare come un rullo compressore su piante e alberi rigogliosi quando si sapeva che il settore era ormai saturo e altrove si stavano già operando i primi tagli.
Una “cattedrale” mai realizzata, al pari di altri fantomatici piani inclusi nel cosiddetto “pacchetto Colombo”. Il progetto infatti era stato elaborato come “riparazione” rispetto alla mancata assegnazione della sede del capoluogo di regione a Reggio e in seguito alla cruenta sollevazione popolare della città sullo Stretto, rivolta soppressa dai carri armati dell’esercito. In quella circostanza, l’allora Presidente del Consiglio dei ministri, Emilio Colombo, inserì nel suo sconsiderato “pacchetto” d’emergenza, oltre al summenzionato demagogico V centro siderurgico, anche la Liquichimica di Saline e la Sir di Lamezia Terme. Nessuna di queste iniziative però è andata a buon fine, dato che la sovrapproduzione di acciaio ha reso del tutto inutile il progetto siderurgico, mentre la Liquichimica di Saline si ridusse a un ammasso di ruggine mai entrato in funzione e la Sir s’è volatilizzata. Gioia Tauro venne in seguito designata come sede di una nuova centrale elettrica Enel a carbone, anch’essa mai realizzata. L’area portuale interessata dai lavori, incompleti anch’essi, fu infine ridestinata a grande porto commerciale.
L’autostrada Salerno-Reggio Calabria rappresenta un altro esempio di costosa cattedrale nel deserto. E pure stavolta il deserto di sfondo è quello calabrese, che fa da illogico background allo sciagurato snodo autostradale della Sa-Rc, che, invece di seguire il logico percorso costiero comincia a inerpicarsi su per il Pollino fino a che, in prossimità di Lagonegro, viene a serpeggiare a un’altitudine di 1000 metri circa sul livello del mare. La conseguenza di questo stupida location è che d’inverno il tratto è spesso impraticabile per il vento e le tempeste di neve, continuamente soggetto a usura e perennemente costellato di cantieri che fanno la felicità delle mafie locali. A chi dobbiamo quest’altro capolavoro? Al ras socialista cosentino Giacomo Mancini, anch’egli eclatante esempio di miopia e scarso senso della cosa pubblica.
ranvit ha scritto:Le scuole e gli ospedali che stanno chiudendo non hanno niente a che fare con le "cattedrali"....che abbondano in ogni angolo d'ITalia, mica solo al Sud
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