VENERDÌ 18 MAGGIO 2012
Se il Pd fosse il Pd non lo voterebbe nessuno
Il nostro ultimo sondaggio Bidimedia, l'ultimo Ipsos e l'ultimo Emg danno il Partito Democratico al 25%. In meno di un mese il suo elettorato si è ridimensionato di 1/6. In meno di un mese ha perso circa 1 milione 750 mila voti potenziali e in meno di un mese è come se tutti gli abitanti di Milano e di Bari avessero cambiato idea. E' possibile? Stando a quanto accaduto nelle ultime settimane, sembrerebbe di no. Il bacino elettorale del MoVimento Cinque Stelle non è assolutamente sovrapponibile a quello del Pd, Sinistra Ecologia Libertà e l'Italia dei Valori non hanno guadagnato voti e il Popolo della Libertà e la Lega Nord ne hanno persi milioni. L'unica spiegazione che i numeri rendono plausibile, è il fenomeno dell'astensionismo.
Il Partito Democratico ci è legato a doppio filo: più l'astensione sale, più il partito scende e, più l'astensione tende a calare, più il partito tende a spiccare il volo. Questo significa che il Pd è l'unico partito realmente in grado di reggere alla tempesta là fuori, in grado di ripetere i risultati del 2008, in grado di vincere le elezioni e in grado di metter su un governo che non sia una grande coalizione. Il Pd è il partito maggiormente preso in considerazione dagli elettori italiani nelle intenzioni di voto. E' il partito che dal 2008 al 2012 ha coinvolto il maggior numero di persone al voto e che più di ogni altro è preso in considerazione come seconda scelta e/o come prima scelta dopo l'astensione. Il 40% degli italiani, al netto dell'astensionismo, vota, ha votato, prende o ha preso in considerazione la possibilità di votare Partito Democratico. Ora la domanda sorge spontanea: e perché non decolla?
Le dinamiche sono alquanto ingarbugliate. Alle elezioni politiche il Pd non è mai sceso sotto la soglia del 30%. Si è sempre tenuto sui 10 milioni di voti sia sotto i simboli della Quercia e della Margherita che sotto quello de L'Ulivo. Nel 2008, poi, è riuscito a superare i 12 milioni di voti, nonostante il calo del 3% dell'affluenza, in una tornata quantomeno anomala. La natura stessa dell'elettorato del primo Partito Democratico, purtroppo, è nata ed è morta il lunedì della sconfitta di Walter Veltroni. Quel giorno, per combinazione quasi astrale, all'interno della stazione piddina, sono entrati milioni di voti provenienti dalla sinistra radicale e ne sono usciti altrettanti verso Udc, Lega e Pdl. L'astensionismo che ha colpito il centrosinistra nella parte finale della campagna elettorale del 2006, ha portato a termine il suo lavoro due anni dopo. Pochi mesi dopo quel risultato, ne è venuto fuori un partito liberaldemocratico che ha continuato a parlare allo stesso modo, nonostante una base quantomeno socialdemocratica. Walter Veltroni si è ritrovato con un partito votato da scontenti. E, avesse vinto, lo avrebbe fatto senza una base. Un partito di nessuno.
Nel 2009 e nel 2010 l'affluenza è andata crollando sempre più. Il Pd ha dovuto far fronte al grande consenso venutosi a creare attorno al Governo Berlusconi, alla ricomposizione della sinistra radicale e alla delusione del suo elettorato storico. Con Bersani il Partito Democratico si è ritrovato a fronteggiare uno scenario più favorevole e, con la vittoria alle amministrative prima e l'iniziale appoggio al Governo Monti poi, è addirittura arrivato a ritoccare il 30% nelle intenzioni di voto. Oggi la scelta di sostenere un esecutivo divenuto così impopolare crea disaffezione attorno al Partito Democratico e, nonostante la netta vittoria a queste ultime elezioni comunali, le percentuali si sono nuovamente ridimensionate. Fatti i conti con una tornata che tocca comuni non molto cari ai partiti di centrosinistra e fatti i conti con l'esplosione del M5S (6% di voto reale), il Pd più di ogni altro partito ha pagato cara la caduta di Berlusconi e l'investitura di Mario Monti.
Con un sano riposizionamento e con una più coerente linea politico-economica, il Pd supererebbe facilmente il 30%. La dannazione del Partito Democratico è quella di esser nato come forza che cerca di proporre una sintesi tra liberaldemocrazia e socialdemocrazia: cosa impossibile da mettere in pratica soprattutto in questo periodo storico. Questa ambivalenza lascia interdetto l'elettore che, quando non preferisce passare a Sel perché di sinistra o all'Udc perché centrista, preferisce astenersi (quando si cerca di parlare a tutti si finisce per non parlare a nessuno). Il Partito Democratico dovrebbe captare gli umori dell'elettorato e i cambiamenti in atto nello scenario politico italiano e internazionale e da qui proporre le ricette più ad adatte per interpretarli. Il partito appare non autosufficiente e succube dei capricci delle forze con cui dialoga quotidianamente. Non si conosce la coalizione con cui si presenterà alle prossime elezioni (il ché lascia trasparire debolezza e incertezza). Agli occhi degli elettori sembra che il Pd non sappia che pesci pigliare e che l'Udc lo tenga in scacco. Sembra che cercando un'alleanza con Casini ci sia bisogno di ulteriori sintesi programmatiche, che la propria posizione sia estrema e quindi da moderare. Così facendo il Pd rende ancor più debole la propria offerta politica. La svilisce. Un'offerta sempre più al ribasso.
Il Pd è un partito anomalo, non è né il Partito Socialdemocratico Tedesco né il Partito Socialista Francese né tantomeno il Labour di Ed Milliband. Non fa parte del Partito Socialista Europeo e né tantomeno sembra (qualora sembrasse azzardato fare un paragone con partiti di natura socialista) assomigliare ai Democratici statunitensi. Il Partito Democratico è un partito frutto di una visione blairiana della politica e del mondo, una visione superata con l'ultima crisi economica mondiale. Proprio l'ultima crisi ha dato la possibilità a tutte le forze progressiste europee (meno che al Pd) di riciclarsi e rinnovare le proprie idee. In Germania, grazie alla forte contaminazione politica di forze fresche quali i Grunen e i Piraten, la Spd ha ripreso slancio mettendo in forte pericolo il potere della Merkel. Oggi l'alleanza Spd-Grunen sembra in grado di poter guidare il paese con un programma letteralmente alternativo al duo Cdu-Fdp e in discontinuità con l'esperienza della grande coalizione di Gerhard Schroeder. In Gran Bretagna Ed Milliband ha chiuso con la svolta compiuta a metà anni novanta da Tony Blair, ha virato a sinistra e ha proposto una visione diametralmente opposta a quella di David Cameron. Oggi il Labour è dato su livelli mai toccati nella storia dei sondaggi settimanali YouGov/Sun. Stessa cosa vale per Hollande che ha rinverdito il socialismo francese riuscendo, per la prima volta nella storia transalpina, a disarcionare un presidente al primo mandato.
Essere chiari, decisi, netti e trasparenti paga. Se solo il Pd riuscisse in questa non difficile impresa, potrebbe dar vita a un partito europeo nell'anima, nella forma e, perché no, nelle percentuali.
Luigi De Michele
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