da pierodm il 21/11/2008, 10:34
Matthelm.
A me sembra che sia necessario uscire da una logica centrata sui "partiti" come organizzazioni, e passare ad una visione nella quale i partiti sono formati principalmente dagli elettori, ossia dai problemi reali che si materializzano negli elettori.
Nella mia metafora del "vuoto" a sinistra, il baratro equivale quindi alla scomparsa forzata di tutti i problemi sociali che le categorie senza rappresentanza incarnano.
Un fenomeno del genere non si sana con alchimie istituzionali, e nemmeno slanciandosi verso una specie di fatalismo ottimistico per cui il vuoto verrà "riassorbito".
Il vuoto non si riassorbe, semmai si riempie: si riempie di risposte, ossia si attenua nel momento in cui il partito recupera la propria corporeità di sinistra.
Diciamolo in altri termini.
Si ripete spesso - anche qui, in queste stesse pagine - che la sinistra ha sbagliato nei tempi recenti a non "intercettare" alcune esigenze diffuse, quali quelle della sicurezza e dell'ordine, che sarebbero proprie della nobile categoria dei "moderati" - nobile elettoralmente, poiché sarebbe quella decisiva per "vincere". Personalmente non sono d'accordo, ma diamo per buona questa tesi.
Una tesi che significa non tanto che non ha saputo trovare un'alleanza o una fusione con partiti o partitini "centristi" o di destra, quanto che non ha saputo rispondere alle esigenze di una parte dell'elettorato reale.
Quello che non si capisce è, però, per quale motivo un centro-sinistra dovrebbe preferire risposte a quelle esigenze, piuttosto che alle esigenze (all'esistenza) delle forze sociali alla propria sinistra, soprattutto tenendo conto che quelle moderate sono esigenze rappresentate da tutta una serie di partiti che vanno dal centro alla destra, mentre a sinistra c'è un campo completamente libero: come si vede, non metto la questione sul piano etico-politico-sociale, ma solo su quello utilitario ed elettorale. In realtà il fattore etico-politico avrebbe un peso decisivo, ma una discussione in merito sarebbe troppo complicata.
Forse, per capire meglio quello che intendo, dovrei precisare qualche piccola cosa sulla mia storia politica personale.
Subito dopo la scissione del vecchio PCI, scelsi di satre in Rifondazione, perché mi aspettavo che qui si trovasse la volontà appunto di "rifondare" la sinistra.
Me ne sono uscito dopo poco, avendo constatato che si trattava invece di un partito che riuniva in sé gli aspetti più obsoleti e negativi dell'ormai dismesso partitone.
Non ho quindi nessuna speciale inclinazione per questo settore di sinistra organizzata, né mi è piaciuto tutto ciò che ha portato alla malinconica Sinistra Arcobaleno.
Tra l'altro, se è vero che la nomenklatura dell'Ulivo-Unione-PD è ormai usurata dagl'insuccessi, ciò vale a maggior ragione per questo arcipelago di formazioni della sinistra, la cui unica forza politica significativa sta nelle classi sociali e nei problemi che si trova a rappresentare non per speciali meriti, ma per esclusione.
Insomma, il problema - diciamo pure il dilemma - che il PD si dovrebbe porre (e forse si pone) è di come fare per rappresentare la sinistra della società, più che la sinistra della geometria politico-parlamentare, e di come farlo riuscendo a conservare un'alleanza con i "moderati democratici".
In altre parole, il PD non può permettersi di essere un partito moderato che "assorbe" in qualche modo approssimativo le forze sociali di sinistra, ma deve invece essere un partito di sinistra che assorbe le spinte moderate: quello che ha fatto la sinistra francese, e in generale quella europea, che infatti non si è mai sognata di eliminare la propria identità fondante centrata sul "socialismo".