da lucameni il 12/05/2012, 12:32
In un ente i meritevoli (salvo trovare parametri ragionevoli) possono essere ben meno del 50%. O viceversa. La casualità e la metodologia 'ndo cojo cojo che ne deriverebbe, almeno per chi sa come funzionano le cose nella P.A., provocherebbe non incentivi ma semmai dinsincetivi. Le premialità, se devono essere date - e ritengo che siano necessarie - devono essere tali da permettere al dirigente di assegnarle senza parametri rigidi e indipendenti dalla realtà dell'ente e di chi ci lavora. Altrimenti, incentivando disparità di trattamento in positivo o in negativo, viene meno il fine della premialità e si rischia seriamente di peggiorare il funzionamento di enti che già fanno acqua.
Se in un ente i meritevoli sono appena il 10%, valutati sulla base sempre di parametri decenti, è giusto che sia premiato quel 10%. Non altri.
Se in un ente i meritevoli sono il 60% (più difficile) non si capisce perchè evitare di premiare il rimanente 10%. E sulla base di che?
E poi: dipende sempre che tipo di merito è. Di che livello.
I valutatori poi hanno le capacità di valutare in base a parametri oggettivi? Ad oggi da quello che vedo per niente, non fosse altro che la formazione dei dirigenti italiani (sempre pensando che operino in buona fede) per lo più è di tipo giuridico e non organizzativo.
Poi: ci sono amministrazioni nelle quali convive personale non contrattualizzato, di diritto pubblico, al quale non si applica la legge Brunetta e quindi diventa ancora più difficile per valutati e valutandi trovare soluzioni ragionevoli.
L'implementazione della riforma è stata quindi più agevole (ma con effetti molto discutibili) per alcune amministrazioni (poche) e invece è stata a dir poco caotica per altre. A volte del tutto impossibile da mettere in atto e tutto è andato avanti sulla base di falsi, imbastiti solo per dare conto ad una legge in vigore.
Quindi la cosa, che pure dovr essere affrontata, non è di immediata soluzione, tanto più in carenza di cultura manageriale e in presenza di chiare opacità clientelari.
Altra questione che si lega agli aspetti organizzativi: a rigor di logica, sempre in presenza di parametri il più possibile oggettivi, dovrebbe essere premiato o punito chi ha da fare e non fa o chi fa e fa bene.
Se però ci sono, come accade, impiegati che non fanno perchè non hanno da fare, con mansioni minime, allora la cosa non funziona.
Di questo aspetto bisogna ammettere che Ichino ne ha parlato con una certa cognizione di causa. Il che lo ha differenziato rispetto altri "volenterosi".
La semplificazione 25%, 50%, 25% risponde a logiche di propaganda brunettiana, rassicuranti, ma ben poco efficaci. Anzi, col rischio che sia fortemente controproducente.
In teoria molti di noi sono fortissimi. Andando sul pratico, e vedendo come sono certe realtà fino ad ora sconosciute (evidentemente anche ai ministri e a tanti maitre a penser), le cose cambiano.
"D' Alema rischia di passare alla storia come il piu' accreditato rivale di Guglielmo il Taciturno" (I. Montanelli, 1994)