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Buona festa del 1° maggio

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Buona festa del 1° maggio

Messaggioda gabriele il 01/05/2012, 11:09

La festa dei lavoratori nasce a Chicago
Alberto Mucci

La festa del lavoro non nacque in risposta al rogo della fabbrica di Triangle Shirtwaist a New York, ma a Chicago, città che alla fine del 19mo secolo era insieme granaio e macelleria d’America. Qui, il primo maggio del 1886, tra 30 e 40mila lavoratori scesero in strada in solidarietà ai dipendenti della McCormick. La sera, in piazza Haymarket, ci fu un comizio, interrotto dallo scoppio di una bomba che scatenò la rappresaglia della polizia.

30 aprile 2012 - 19:28

CHICAGO – Pare incredibile ma il primo maggio è nato nel paese dove i sindacati oggi hanno un peso politico poco rilevante. Ma così è. L’origine del giornata dei lavoratori è americana almeno quanto la torta di mele e gli hot dog e ha visto i suoi albori in quella che Marco d’Eramo, vecchio corrispondente del Manifesto a Chicago, chiamava «La più americana di tutte le città». La festa del lavoro non nacque neanche come spesso viene raccontato in risposta al rogo della fabbrica di Triangle Shirtwaist a New York dove nel 1911 146 donne – la maggior parte immigrate italiane e ebree – morirono perché chiuse a chiave da padroni impauriti dalla possibilità che si concedessero pause non permesse.

L’origine è invece di fine 19 esimo secolo. La prima onda di emigrazione in America, composta principalmente da tedeschi e boemi, si era appena consumata. Mancava ancora qualche anno all’inizio della seconda (composta principalmente da italiani, greci e gente dall’Europa dell’Est). A Chicago l’industria era in fermento: era allo stesso tempo “macelleria del mondo” (qui veniva prodotto la maggior quantità di carne suina del globo) e “granaio d’America” grazie alle enormi praterie del Mid West che si aprivano sconfinate appena dopo i limiti della cittadini. A sostenere i due primati c’era l’enorme massa lavoro degli operai immigrati. Senza sicurezza, versando in condizioni al limite della sopravvivenza e con una media tra le dodici e le sedici ore lavorative quotidiane, portavano avanti la produzione. Bastò poco perché quei ritmi portassero al manifestarsi delle prime ondate di scontento.

Nel 1884 l’allora Federation of Organized Trades and Labor Unions dichiarò che dal 1 maggio del 1886 gli operai avrebbero accettato solamente una giornata lavorativa di otto ore con la minaccia implicita che se i padroni non avessero accettato sarebbero susseguiti scioperi e picchetti. E così infatti fu. Nei mesi precedenti alla fatidica data le tensioni tra i sindacati, le organizzazioni del lavoro, la polizia e l’amministrazione cittadina crearono un’atmosfera così cupa che il quotidiano della città, il Chicago Tribune, descrisse come «senza precedenti».

Poi nel febbraio del 1886 gli operai della McCormick, una delle compagnie più importanti della città e ancora oggi una delle famiglie più in vista della Windy City, cominciarono a scioperare. In risposta i McCormick chiusero i cancelli in modo da bloccare i lavoratori e far entrare di sotterfugio gli strikebreakers (il termine americano per “crumiro”) nel tentativo di spezzettare il fronte dei manifestanti. Ma la manovra non bastò; anzi i manifestanti reagirono indignati: come promesso due anni prima, il primo maggio tra le 30 e le 40 mila persone (allora numeri imponenti) manifestarono per la giornata lavorativa di otto ore. Non contenti due giorni dopo si trasferirono direttamente davanti alla sede della fabbrica per dimostrate la propria solidarietà agli operai accampati ormai da mesi davanti ai cancelli. All’interno i neo assunti continuavano a lavorare protetti da circa 400 poliziotti messi a disposizione dall’Amministrazione.

Alla guida della protesta l’allora direttore dell’Arbeiter-Zeitung (il Corriere dei lavoratori), August Spies che, nonostante i richiami all’azione pacifica, non riuscì a fermare un tentativo di assalto di alcuni manifestanti sugli strikebreakers. Senza indugio la polizia aprì il fuoco uccidendo due manifestanti (alcune fonti dicono sei). Allarmate le organizzazioni locali si adoperarono per convocare una riunione nella piazza di Haymarket, nel centro nord della città, al tempo una delle zone commerciali più vive. Il comizio, anche questa volta presieduto da Spies, si tenne la sera e vide la partecipazione di tremila lavoratori.

Un’incisione del periodo, oggi conservata dal Chicago Historical Society, mostra uno Spies barbuto e trafelato, in piedi su un carretto sovrastante la folla proprio nel momento dello scoppio della fatidica bomba che scatenò poi i nuovi violenti scontri tra la polizia e i manifestanti. Il New York Times (allora con un a linea editoriale molto meno liberal e comprensiva di adesso) titolò rampante: “La mano rossa degli anarchici” e nel pezzo accusò l’organizzazione parasindacale dei Knights of Labor (legata a Spies) si essere la mente dietro al “complotto eversivo”.

Non si è mai saputo se fosse vero come non si è mai scoperto chi fosse l’attentatore. Ma nonostante questo, la violenta narrativa anti anarchica che si scatenò all’epoca non diede scampo agli otto accusati. Questi furono prontamente condannati (sette a morte e uno a 15 anni di galera) anche se la giuria alla fine fu costretta ad ammettere che nessuno degli imputati poteva essere considerato responsabile diretto del lancio dell’ordigno. Poi sotto la crescente protesta popolare nel 1893 furono finalmente graziati dall’allora governatore dell’Illinois John Peter Altgeld.

Il contenzioso storico non finì però con il tentativo di pacificazione. Più di un secolo dopo lo studioso e docente americano Paul Avrich specializzato nella storia dell’anarchia in Russia e negli Stati Uniti, nel suo libro del 1984, “The Haymnerket Tragedy” (già il termine connota una sorta di rivalutazione storica data la tendenza generale a chiamare l’evento con la denominazione di Haymarket affair), scrive: «In alcune storiografie prevale l’opinione che la riunione (di Haymarket, ndr) sia stata indetta con l’intento di far scattare un sommossa. Tuttavia lasciatemi dire che quel comizio non fu organizzato per quel motivo, ma per ragioni opposte: fu pianificato per spiegare nel dettaglio quali fossero davvero le richieste connesse a una giornata lavorativa di otto ore».

Fu forse la pubblicazione del libro che spinse la città Chicago ad accettare gli incidenti di Haymarket come parte integrante della sua storia. Oggi infatti una statua in pesante metallo grigio raffigurante una donna incappucciata, dal pugno destro chiuso e il grugno deciso, è stata innalzata sul luogo della strage ed è dedicata ai “martiri di Haymarket”. E nella più americana delle città, nel paese dove i diritti dei lavoratori sono pochi (anche se i salari sono più alti) e il primo maggio non è una vacanza, gruppi di simpatizzanti anarchici o socialisti (sempre, va ricordato, all’americana) si recano in pellegrinaggio sullo stipite del monumento.

Non solo: in Illinois, uno degli ultimi stati americani dove i sindacati ancora contano qualcosa (gli altri sono Michigan, Wisconsin e Ohio), il primo maggio è come in Europa tradizionalmente occasione di manifestazioni. Quest’anno sarà lo stesso con l’eccezione che le proteste con ogni probabilità saranno più grandi data la presenza in città del summit Nato, dall’11 al 13 maggio, che ironicamente si terrà proprio al McCormick center.

http://www.linkiesta.it/festa-lavorator ... -haymarket
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Re: Buona festa del 1° maggio

Messaggioda flaviomob il 01/05/2012, 11:28



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Re: Buona festa del 1° maggio

Messaggioda flaviomob il 01/05/2012, 12:31

http://invisibili.corriere.it/2012/04/2 ... -la-festa/

Lavoro, è qui la festa?

di Franco Bomprezzi

Vengo anch’io. No, tu no. Alla festa dei lavoratori, fra pochi giorni, potrà partecipare soltanto una persona disabile su cinque. E forse il dato è per eccesso. Il tasso di disoccupazione supera l’80 per cento, e sono cifre vecchie, prima della crisi. Alle liste del collocamento mirato risultavano nel 2007 quasi ottocentomila potenziali lavoratori con disabilità.

Osservo il quadro di Pellizza da Volpedo, che risale al 1901. E’ ancora il simbolo più potente ed emozionante del movimento dei lavoratori italiani. Mi accorgo che vi sono uomini, donne e bambini, ma che logicamente neppure qui compare una persona disabile. Ai primi del Novecento tutto ciò era comprensibile, naturale. Ma è duro dover constatare che a distanza di oltre un secolo nelle parole d’ordine sindacali, nel dibattito delle categorie produttive, nell’agenda politica dei partiti, nel calendario del Governo, questo aspetto, che potrebbe essere fortemente innovativo ed equo, è praticamente assente.

Faccio due conti, molto banali. Se ogni anno, nei prossimi tre anni, venisse offerta una reale possibilità di inserimento lavorativo a cinquantamila persone con disabilità fisica, sensoriale o intellettiva, potremmo contemporaneamente assicurare alle casse dello Stato un risparmio secco di altrettante pensioni di invalidità. E inseriremmo nel mercato globale un piccolo esercito di nuovi consumatori, affrancati dall’assistenzialismo, liberi dal bisogno.

E alla fine rimarrebbe ancora una folla smisurata di persone in attesa. Molte di loro ormai hanno rinunciato, non ci credono neanche più. Dopo aver completato l’iter previsto dalla legge ’68 del ’99 si iscrivono alle liste degli uffici provinciali (sarebbe una delle poche competenze importanti delle Province, ma ovviamente funziona poco e a macchia di leopardo), e poi non succede niente, per anni. Neppure un colloquio, almeno una parvenza di opportunità. Anche per persone che hanno un titolo di studio, un percorso di formazione, delle capacità “residue” (che brutto termine…) importanti.

Strana sensazione poi, quando si va per caso a spulciare la lista delle ricerche di lavoro, magari le segnalazioni delle agenzie interinali, e si vede che vengono espressamente richiesti, per mansioni del tutto impensabili, solo “lavoratori inseriti nelle liste della legge ’68″. Ai quali si chiede ottimo standing, esperienza pluriennale, conoscenza fluente di due lingue, automuniti, e via elencando, come se niente fosse. Dove sta il trucco?

E’ nelle sanzioni, neppure lievi, per chi non assume. 62 euro e rotti, al giorno, di multa. Ma le aziende preferiscono pagare piuttosto che assumere. Perché? Hanno paura, non conoscono questo mondo, non si fidano. Cresce il monte di denaro accumulato con le multe ma neppure in questo modo si modifica la situazione. Molti grandi nomi dell’industria si fanno belli con progetti di responsabilità sociale, e citano i loro splendidi casi di inserimento riuscito. Ma se si va a ben guardare si tratta sempre di poche unità lavorative, e magari per pochi anni.

Adesso la riforma del lavoro proposta dal Governo dedica poche frasi anche al lavoro per le persone con disabilità. Bisogna infatti arrivare alla pagina 70 delle 84 pagine del disegno di legge, per trovare, nel titolo V, tre frasi, altrettante enunciazioni di principio, di buona volontà, per contrastare il fenomeno dell’elusione dell’obbligo di legge e per allargare la platea potenziale dei possibili beneficiari. Troppo poco, davvero. Un’occasione persa, se non cambierà il testo.

Sarebbe bello infatti approfittare proprio di un ripensamento complessivo del mercato del lavoro, per mettere mano a meccanismi diversi di incentivazione fiscale e previdenziale, di promozione del lavoro corretto delle cooperative sociali, di maggiore possibilità di scelta e di incrocio competente fra domanda e offerta.

Ho l’impressione che ci sia tanta rassegnazione, e che si consideri, complessivamente, il lavoro delle persone disabili come un impaccio, un peso, un vincolo negativo per le aziende e non, come potrebbe essere, una grande risorsa umana, professionale, persino morale, per tutti.

Raccontateci le vostre storie, i vostri lavori, le vostre vittorie e anche le vostre sconfitte. Partecipiamo anche noi alla festa del lavoro, perché il lavoro, per una persona disabile, è sempre una festa, non solo il primo maggio.


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Re: Buona festa del 1° maggio

Messaggioda pianogrande il 01/05/2012, 14:32

Il lavoro dovrebbe coinvolgere tutti.
La vera rivoluzione sarà quando, nei momenti difficili, invece di fermare tutto, ci sarà bisogno di lavorare di più per venirne fuori.
Il momento è difficile perché non ce la facciamo a fare tutto il necessario?
No.
E' difficile perché stiamo fermi intanto che tutto va a rotoli.
Incredibile.
L'umana evoluzione ha ancora tantissima strada da percorrere.
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
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Re: Buona festa del 1° maggio

Messaggioda franz il 01/05/2012, 18:08

pianogrande ha scritto:Il lavoro dovrebbe coinvolgere tutti.
La vera rivoluzione sarà quando, nei momenti difficili, invece di fermare tutto, ci sarà bisogno di lavorare di più per venirne fuori.
Il momento è difficile perché non ce la facciamo a fare tutto il necessario?
No.
E' difficile perché stiamo fermi intanto che tutto va a rotoli.
Incredibile.
L'umana evoluzione ha ancora tantissima strada da percorrere.

Perfettamente d'accordo, perché ci colgo un "lavorare di più, per lavorare tutti", ben diverso dal fallimentare "lavorare meno, lavorare tutti" che é perdente.
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