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Ichino: Se otto su dieci ritrovano un posto ...

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Ichino: Se otto su dieci ritrovano un posto ...

Messaggioda franz il 01/04/2012, 11:26

Inchiesta sui contratti
Se otto su dieci ritrovano un posto

In Veneto l'81% di chi perde il posto lo ritrova in un anno. Il mistero dei numeri

Caro Direttore,
Monti e Fornero hanno dalla loro un argomento fortissimo: il progetto di riforma che il governo sta per presentare in Parlamento allinea il nostro diritto del lavoro a quello degli altri Paesi europei. Ma a questo argomento gli italiani che difendono l'articolo 18 ne contrappongono uno altrettanto forte: l'Italia non è come gli altri Paesi europei, perché da noi il lavoro manca; chi lo perde ha una enorme difficoltà a ritrovarlo.

Ora, la difficoltà a ritrovarlo - e ancor più a trovarlo per la prima volta -, in Italia, è indiscutibile; e ne vedremo i motivi specifici nella prossima puntata. Ma di lavoro da noi ce n'è molto più di quanto si pensi, anche in questo periodo di vacche magre (e potrebbe essercene ancor di più se fossimo capaci di abbattere il diaframma che separa domanda e offerta di manodopera: sarà questo il tema della terza puntata).

La prima tabella mostra il numero dei contratti di lavoro dipendente che sono stati stipulati nel corso del 2010 in ciascuna delle nove Regioni che sono in grado di fornire questo dato. Un numero sorprendentemente alto: nell'occhio del ciclone della crisi più grave dell'ultimo secolo, queste Regioni hanno fatto registrare in un anno circa quattro milioni di contratti di lavoro.

Vero è che, se si disaggregano questi dati, ne risulta solo un milione circa di contratti a tempo indeterminato. Ma anche solo un milione è un bel numero, se si considera che le persone rimaste nello stesso periodo senza il posto per crisi occupazionali aziendali si misurano con uno o due zeri di meno. Per esempio: in Veneto, tra l'ottobre 2010 e il settembre 2011, gli assunti a tempo indeterminato sono stati 145.600. Nel corso del 2011, coloro che hanno perso il posto per licenziamenti collettivi sono stati 11.807; e per licenziamenti individuali (quasi tutti in imprese sotto i 16 dipendenti) 22.671. Dunque: nella stessa regione, pur in un periodo di grave crisi, per ogni licenziato sono stati stipulati quattro contratti a tempo indeterminato.

Ancora nel Veneto - la regione che fornisce i dati più aggiornati, completi e analitici - risulta che negli ultimi anni quattro persone su dieci che hanno perso il posto lo hanno ritrovato in tre mesi, otto su dieci lo hanno ritrovato entro un anno. È all'incirca la stessa cosa che emerge, da una ricerca della Banca d'Italia su dati Inps per il periodo 1998-2005, in riferimento all'intero territorio nazionale: anche da quei dati, sorprendentemente, risulta che otto italiani su dieci ritrovavano il lavoro entro un anno da quando lo avevano perso. La differenza, fra prima e dopo lo scoppio della grande crisi, è che appare molto peggiorato il rapporto tra assunzioni a tempo indeterminato e a termine, o comunque con contratti precari.

Se le cose stanno così, come si giustifica il fatto che diamo normalmente per scontata la prospettiva di anni e anni di cassa integrazione per chi perde il posto? Per esempio: in quello stesso Veneto nel quale sono stati stipulati 145.000 contratti a tempo indeterminato nel corso dell'ultimo anno, ci sono due aziende - la Iar Siltel di Bassano del Grappa e la Finmek di Padova - dove poche centinaia di lavoratori sono in cassa integrazione da sette anni. Non è forse questo il segno di un modo profondamente sbagliato di affrontare il problema della perdita del posto di lavoro nel nostro Paese?

Sento già l'obiezione: questi sono dati riguardanti il Centro-Nord, ma nel Mezzogiorno le cose vanno in modo molto diverso. È vero; ma al Sud le cose vanno in modo meno diverso di quanto si pensi. La seconda tabella ci fornisce il dato complessivo dei rapporti di lavoro attivati al Nord, al Centro e al Sud.

Anche al Sud, dunque, le occasioni di lavoro ci sono. Certo, ne occorrono di più, perché anche così il tasso complessivo di occupazione in Italia è troppo basso; perché se aumenta la domanda aumentano le retribuzioni e la forza contrattuale dei lavoratori; ma già oggi i nuovi contratti si contano a milioni ogni anno. La ricerca del posto dovrebbe apparirci come un succedersi di gare di dieci concorrenti per nove posti; perché invece abbiamo questa percezione del nostro mercato del lavoro - e soprattutto di quello meridionale - come di un grande «buco nero», di una trappola infernale dalla quale tenersi il più possibile alla larga? Come si spiega che, con tutti questi contratti di lavoro stipulati ogni anno, sia effettivamente così difficile per i disoccupati trovare un posto nel tessuto produttivo italiano?

Cercheremo di rispondere a questa domanda nella prossima puntata, mettendo a fuoco il muro - più alto e più spesso rispetto ai Paesi del Centro e Nord Europa - che da noi separa la domanda dall'offerta di lavoro. Qui c'è ancora spazio per un'osservazione: dalla riforma costituzionale del 2001, le nostre Regioni hanno una competenza legislativa e amministrativa piena in materia di servizi al mercato del lavoro e tutte ovviamente spendono risorse rilevanti per questo capitolo di bilancio; ma, dal Lazio in giù, nessuna delle nostre Regioni è in grado di fornire neppure il numero dei contratti di lavoro stipulati sul proprio territorio. Per non dire di tutti gli altri dati disaggregati che sarebbero indispensabili per governare efficacemente l'incontro fra domanda e offerta. Se esse stesse non conoscono nulla del proprio mercato del lavoro, come possono farlo conoscere ai lavoratori che ne avrebbero bisogno?

Pietro Ichino
senatore Pd
http://www.pietroichino.it
(1- continua)


Nota: il Corriere non pubblica le tabelle e non le trovo sul sito di Pietro Ichino. Ora provo a chiedergliele.
-->questo il link, apparso il 2 aprile, al testo sul sito di Ichino: http://www.pietroichino.it/?p=20497
Ultima modifica di franz il 02/04/2012, 7:56, modificato 1 volta in totale.
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Re: Ichino: Se otto su dieci ritrovano un posto ...

Messaggioda franz il 01/04/2012, 14:25

Credo si debba ammettere che Ichino è un parlamentare che realmente ascolta e risponde chi lo contatta.
Si puo' essere d'accordo o in disaccordo (io al 99 sono d'accordo) ma se gli fai una domanda, risponde.
E non una volta ogni morte di papa. Nel giro di poche ore. Gli ho scritto alle 11:30, mi risponde alle 13:02

Mille come lui e l'Italia cambia "da cosi' a cosi'". Anche senza Monti. ;)

Ecco le tabelle mancanti, convertite in PDF
Allegati
Ichino_Messina_30_marzo_2012.pdf
(899.54 KiB) Scaricato 225 volte
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Re: Ichino: Se otto su dieci ritrovano un posto ...

Messaggioda flaviomob il 01/04/2012, 15:40

Interessante. In virtù di questi dati si potrebbe pensare a una modifica radicale del concetto di reintegro per giusta causa (economica). Ovvero: l'azienda in torto potrebbe essere condannata ad un risarcimento mensile pari al salario finché il lavoratore non viene reinserito in un nuovo posto (ma a tempo indeterminato). Se questi dati si riferiscono al tempo indeterminato, alle aziende conviene. Se il lavoratore è anziano, diventa un forte deterrente al licenziamento.


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Re: Ichino: Se otto su dieci ritrovano un posto ...

Messaggioda franz il 01/04/2012, 16:13

flaviomob ha scritto:Interessante. In virtù di questi dati si potrebbe pensare a una modifica radicale del concetto di reintegro per giusta causa (economica). Ovvero: l'azienda in torto potrebbe essere condannata ad un risarcimento mensile pari al salario finché il lavoratore non viene reinserito in un nuovo posto (ma a tempo indeterminato). Se questi dati si riferiscono al tempo indeterminato, alle aziende conviene. Se il lavoratore è anziano, diventa un forte deterrente al licenziamento.

Ma come vengono certe idee?
Se un'azienda chiude, come fai a chiedergli di pagare una simile penale?
Se non chiude allora la penale va pesata accuratamente perché se è troppo elevata allora l'azienda fallisce, se è troppo piccola. Il peso è appunto l'indennizzo tra 15 e 27 mensilità, sostitutive dell'indennità di disoccupazione. Io preferirei che intervenisse solo l'indennità di disoccupazione (che poi viene pagata anche dall imprese), che nei paesi sei interviene anche se è il dipendente a licenziarsi.
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Re: Ichino: Se otto su dieci ritrovano un posto ...

Messaggioda franz il 02/04/2012, 7:54

Seconda puntata, sul corriere.
Riporto direttamente il link del testo che ichino pubblica sul suo sito.
http://www.pietroichino.it/?p=20504



DUE GIACIMENTI OCCUPAZIONALI CHE DOBBIAMO IMPARARE A VALORIZZARE

SI VALUTA CHE MEZZO MILIONE DI POSTI PERMANENTEMENTE VACANTI POTREBBERO ESSERE COPERTI, SE AVESSIMO UN SISTEMA CAPACE DI AIUTARE I LAVORATORI AD ACQUISIRE LE COMPETENZE RICHIESTE – MOLTE ALTRE CENTINAIA DI MIGLIAIA DI POSTI DI LAVORO SAREBBERO DISPONIBILI SE L’ITALIA SI APRISSE AGLI INVESTIMENTI ESTERI

Seconda puntata di un’inchiesta pubblicata sul Corriere della Sera il 2 aprile 2012 – V. anche la prima puntata: La sorpresa del lavoro che non si vede ma c’è

Il problema del lavoro nel nostro Paese non è soltanto quello dell’inconoscibilità dei milioni di occasioni che il mercato offre ogni anno, in ogni parte della Penisola (di cui abbiamo parlato ieri), ma anche quello della nostra incapacità di mettere a frutto alcuni enormi giacimenti di occupazione, che lasciamo quasi del tutto inutilizzati. Eppure sarebbero facilmente a portata di mano; e, come mi propongo di mostrare, il loro sfruttamento richiederebbe investimenti che sono certamente alla nostra portata.

Il primo giacimento a cui mi riferisco è costituito dagli skill shortages, cioè dai posti di lavoro che restano permanentemente scoperti per mancanza di manodopera dotata della qualificazione necessaria per occuparli. La prima tabella mostra quanto emerge dall’ultimo censimento svolto da Unioncamere, nel 2011: ne risultano 117.000 posizioni di lavoro disponibili, sparse in tutte le regioni italiane, distribuite in tutti i settori e tra tutti i livelli professionali.

GLI SKILL SHORTAGES IN ITALIA
Rapporto Excelsior Unioncamere 2011
Tutti i settori (117.000) 100% (in proporzione, più al sud che al nord!) �
Industria 26% (operai, macellai, tecnici informatici, mobility man., ecc.)
Costruzioni 16% (elettricisti, idraulici, posatori materiali speciali, ecc.)
Commercio 14% (shop manager, addetti vendite spec., informatici)
Trasporto e logistica 6% (esperti conservazione alimenti, tecnici, marketing, ecc.)
Alloggio e ristorazione 11% (cuochi, inform. per serv. alberghieri, accoglienza e intratten.)
Informaz. e comunicaz. 3% (ingegneri, gestori web, grafici web, designer)
Credito, finanza e assicur. 2% (consulenti previdenziali, recupero crediti, promotori)
Sanità 7% (infermieri, ausiliari, specialisti smaltimento, ecc.)
Altri 15% (falegnami, ebanisti, panificatori, meccanici, ecc.)

Gli studiosi di economia e di sociologia del lavoro avvertono, peraltro, che gli skill shortages effettivi sono molti di più: almeno mezzo milione. Così come per ogni disoccupato che cerca lavoro si stima che ci siano almeno tre “lavoratori scoraggiati”, potenzialmente interessati a trovare un lavoro ma che non ci si provano neppure, allo stesso modo ci sono gli “imprenditori scoraggiati”: cioè quelli che avrebbero bisogno di personale qualificato, ma considerano talmente improbabile trovarlo che non fanno neppure l’inserzione sul giornale o la richiesta all’agenzia di collocamento.

Per mettere questo giacimento di occupazione a disposizione dei nostri disoccupati, o dei lavoratori che cercano un nuovo lavoro, basterebbe che un servizio specializzato facesse per ognuno di essi il bilancio delle competenze, individuasse i due o tre skill shortages più vicini professionalmente e geograficamente e delineasse i percorsi di riqualificazione professionale necessari per accedere a ciascuno dei due o tre posti individuati (preferibilmente in collaborazione con l’impresa interessata, utilizzando e retribuendo i suoi impianti e il suo personale qualificato). Tra questi il lavoratore interessato dovrebbe scegliere quello che meglio corrisponde alle sue aspirazioni ed esigenze familiari, per poi intraprendere l’itinerario di formazione necessario.

Si obietta che i servizi pubblici per l’impiego non sono in grado di svolgere questo compito. Le agenzie private di outplacement, però, sì. Oggi in Italia sono poco utilizzate, perché non abbiamo ancora maturato la cultura dell’assistenza intensiva al lavoratore nella ricerca dell’occupazione; ma ci sono anche da noi, e funzionano bene. La tabella che segue [qui non riportata - n.d.r.], per esempio, mostra in quanto tempo sono stati ricollocati tra 2010 e 2011 da una delle maggiori società che svolgono questo servizio in Italia 2961 impiegati e 1637 operai, affidati loro da imprese in situazioni di crisi occupazionale.

Certo, i servizi di outplacement costano cari (mediamente, l’equivalente di cinque o sei mensilità dell’ultima retribuzione del lavoratore interessato). Ma sempre meno della Cassa integrazione “a perdere”: si potrebbe attivare un buon incentivo per l’azienda che licenzia, affinché essa ingaggi l’agenzia più adatta al compito; e le Regioni farebbero soltanto il loro dovere se riqualificassero drasticamente la propria spesa in questo settore, prevedendo il rimborso di tre quarti o quattro quinti del costo standard di mercato del servizio. Per questo potrebbe e dovrebbe essere utilizzato anche quel 60 per cento dei contributi del Fondo Sociale Europeo che spetterebbero all’Italia, ma che finora non siamo stati capaci di utilizzare per inadeguatezza delle nostre iniziative nel mercato del lavoro rispetto ai requisiti di efficienza ed efficacia giustamente posti dal Fondo stesso.

Oggi il fabbisogno prevedibile di qualifiche professionali scarse si potrebbe conoscere in anticipo per ogni zona e per ogni settore produttivo. Che cosa aspettiamo ad attivarci per porre questo giacimento occupazionale a disposizione dei tanti italiani che hanno difficoltà a trovare un lavoro?

Un altro giacimento da cui potremmo trarre flussi di centinaia di migliaia di nuove assunzioni ogni anno è costituito dagli investimenti stranieri, che l’Italia è stata fin qui drammaticamente incapace di attirare: per questo aspetto, in Europa solo la Grecia ha fatto peggio di noi nell’ultimo ventennio. Se soltanto fossimo stati capaci di allinearci a un Paese mediano nella graduatoria europea, come l’Olanda, nell’ultimo quinquennio prima dello scoppio della crisi (2004-2008) questo avrebbe significato un maggiore afflusso di investimenti nel nostro Paese pari a 57,6 miliardi all’anno (v. tabella che segue). E negli ultimi quattro anni di crisi economica il nostro ritardo su questo terreno è ulteriormente peggiorato rispetto agli altri Paesi europei.

AFFLUSSO ANNUO MEDIO DI CAPITALI STRANIERI TRA IL 2004 E IL 2008 (IN % SUL PIL)
Fonte: Unctad
Estonia 12,23%
Regno Unito 5,44
Ungheria 5,33
Olanda 4,89
Francia 3,88
Spagna 2,73
Italia 1,38

Quando si discute di questa gravissima chiusura dell’Italia, gli “addetti ai lavori” tendono sempre a sottolineare che la nostra scarsa attrattività per gli investitori stranieri è dovuta ai difetti delle nostre amministrazioni pubbliche (soprattutto di quella della Giustizia) e delle nostre infrastrutture di trasporto e di comunicazione, al costo dell’energia e dei servizi alle imprese più alto da noi che oltr’Alpe. Ma nel documento che il Comitato Investitori Esteri presieduto da Giuseppe Recchi ha presentato al Governo nel dicembre scorso viene indicato, tra i primi, anchche un altro ostacolo: la nostra legislazione del lavoro ipertrofica, bizantina, non traducibile in inglese, e nettamente disallineata rispetto a quelle dei maggiori Paesi europei su di un punto di importanza cruciale: la prevedibilità del severance cost, cioè del costo del licenziamento per motivi economico-organizzativi, quando l’aggiustamento degli organici si rende necessario. Questo è il motivo, molto serio, per cui il Governo punta a una riforma della materia che, come in tutti gli altri ordinamenti europei – Germania compresa ‑, consenta la predeterminazione del costo del licenziamento per motivi economici.
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Re: Ichino: Se otto su dieci ritrovano un posto ...

Messaggioda Stefano'62 il 02/04/2012, 11:11

franz ha scritto:Se un'azienda chiude, come fai a chiedergli di pagare una simile penale?
Se non chiude allora la penale va pesata accuratamente perché se è troppo elevata allora l'azienda fallisce, se è troppo piccola. Il peso è appunto l'indennizzo tra 15 e 27 mensilità, sostitutive dell'indennità di disoccupazione. Io preferirei che intervenisse solo l'indennità di disoccupazione (che poi viene pagata anche dall imprese), che nei paesi sei interviene anche se è il dipendente a licenziarsi.

La disoccupazione sono solo soldi,e a parte il fatto che non bastano mai,c'è il grandissimo problema del senso di inutilità che pervade il disoccupato.
Che fine fanno quel 19% di cui Ichino non parla e che non troveranno un altro lavoro ?
Solo un idiota può rallegrarsi del fatto che l'81% ritrova lavoro,invece che pensare a quelli che non lo ritroveranno mai e che in conseguenza di ciò non vedranno neppure una pensione decente,veri e propri paria della società.
Quante decine di migliaia di persone (e di famiglie) sono quel 19% ?
A loro chi ci pensa ?

E' ora di introdurrre il concetto che bisogna evitare il fallimento delle persone,oltre a quello delle imprese.
E' ora di abolire per legge la disoccupazione.

Licenziato e disoccupato ?
Benissimo,nessuna paura,se accetti di iscriverti a liste di disoccupazione stilate settimanalmente,invece che un assegno di disoccupazione (da mantenere basso) percepisci un più cospicuo "stipendio" di disoccupazione (e i relativi contributi a fini pensionistici),in cambio resti a disposizione del comune o di altri enti di pubblica utilità per fare qualsiasi tipo di lavoro sulla base delle tue capacità e competenze.
Si evitano i fallimenti personali (mantenendo la libertà degli sfaticati di restarsene con le mani in tasca ma prendere una miseria di sopravvivenza),i fallimenti familiari,e si mantiene intatta la dignità del lavoratore.
Perchè ricordiamoci che lo stabilisce la Costituzione che siamo una Repubblica fondata sul lavoro !!!

Perchè nessuno ancora ci ha pensato seppure sia un concetto semplicissimo e facilissimo da mettere in pratica ?
Cos'è,odora troppo di "comunismo" ? :o
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Re: Ichino: Se otto su dieci ritrovano un posto ...

Messaggioda franz il 02/04/2012, 12:30

Stefano'62 ha scritto:La disoccupazione sono solo soldi,e a parte il fatto che non bastano mai,c'è il grandissimo problema del senso di inutilità che pervade il disoccupato.
Che fine fanno quel 19% di cui Ichino non parla e che non troveranno un altro lavoro ?
Solo un idiota può rallegrarsi del fatto che l'81% ritrova lavoro,invece che pensare a quelli che non lo ritroveranno mai e che in conseguenza di ciò non vedranno neppure una pensione decente,veri e propri paria della società.
Quante decine di migliaia di persone (e di famiglie) sono quel 19% ?
A loro chi ci pensa ?

Se hai letto bene, quelle sono le percentuali di chi ritrova lavoro entro il primo anno.
Nel testo e nelle slides sono anche spiegate le % di chi ritrova lavoro subito, entro tre mesi.
Per chi non trova lavoro entro il perido del sussidio di disoccupazione nei paesi seri c'è l'assistenza (minimo vitale).
Oppure c'è la possibilità di mettersi in proprio. Se 140'000 imprese nuove partono ogni anno, significa che non è impossibile.
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Re: Ichino: Se otto su dieci ritrovano un posto ...

Messaggioda Stefano'62 il 02/04/2012, 13:20

Si,
ma io non credo agli asini che volano e non credo che sia verosimile per sempio quello che ho sentito dire da un tizio del pdl,che nel periodo di disoccupazione il licenziato riesca a riqualificarsi per poi trovare un lavoro più adatto.
Quelle sono le favole,non perchè sia impossibile riqualificarsi,ma perchè non serve a una fava.
Se perdi il lavoro dopo i 35 anni o giù di li sei morto e sepolto.
E' questa la realtà.

Esiste un solo modo per garantire una esistenza dignitosa (finanziariamente e psicologicamente) a tutti anche durante gli inevitabili periodi di crisi.
Ed è quello che ho ipotizzato sopra.
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Re: Ichino: Se otto su dieci ritrovano un posto ...

Messaggioda franz il 02/04/2012, 13:54

Stefano'62 ha scritto:Si,
ma io non credo agli asini che volano e non credo che sia verosimile per sempio quello che ho sentito dire da un tizio del pdl,che nel periodo di disoccupazione il licenziato riesca a riqualificarsi per poi trovare un lavoro più adatto.

Fortunatamente il mondo non va avanti per quello che tu "credi" ma perché persone si danno da fare per cambiarlo.
Io che vivo e lavoro da quasi 25 anni all'estero e che sono stato disoccupato piu' volte, so che invece avviene tranquillamente nei "paesi normali" che si organizzano bene perché cio' avvenga.
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Re: Ichino: Se otto su dieci ritrovano un posto ...

Messaggioda Stefano'62 il 02/04/2012, 22:56

Mettiti nei panni di una persona fondamentalmente ignorante (nel senso che ha studiato poco),ce ne sono parecchie e non solo per forma mentis ma perchè la vita è dura e hanno dovuto cominciare a lavorare.
Quelli sanno fare solo il loro lavoro,e non hanno gli strumenti intellettivi per mettersi a studiare a 40anni o imparare altro o riqualificarsi.
Non è che non vogliono,è che non ne sono in grado.
Se perdono il lavoro sono morti e non è una cosa che "credo" io....è un dato di fatto,e lo so io e lo sai tu e lo sanno pure loro,tanto è vero che spesso invece che limitarsi ad incatenarsi ai lampioni sappiamo benissimo come va a finire.
Non importa se in certi altri casi come nei tuoi esempi la realtà è tutta rosa o giù di li.
Per loro....e sono tanti e hanno tutti i diritti pure loro ad una esistenza dignitosa....
questa è la realtà,e il resto sono favole per gonzi.

Hanno diritto pure loro a cibo e autostima.
Se invece non li si vuole calcolare,un pò come per punirli per il fatto di non avere fatto le scelte giuste al momento giusto,basta avere la decenza di dirlo chiaramente senza tanti giochi di parole.
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