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G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda pagheca il 14/11/2008, 10:53

non ho parole per la sentenza. Mi spiace ma proprio non riesco piu' a riconoscermi nel mio paese. Chi ha il diritto di girare armato, coloro la cui testimonianza vale di piu' in tribunale, dovrebbe pagare almeno il doppio quando abusa del suo potere.

saluti
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda franz il 14/11/2008, 12:36

per me è in caso di esaminare tutto l'art di D'avanzo.

Il vuoto del diritto
di GIUSEPPE D'AVANZO

COME per Bolzaneto, la sentenza del processo per i pestaggi nella scuola Diaz è una sentenza pessima, quali saranno le motivazioni che la sosterranno. È soprattutto una sentenza imprudente e pericolosa. Vengono condannati soltanto i "picchiatori" del Reparto Mobile di Roma, il comandante, il suo vice, i capisquadra.

Con loro, condannati i due poliziotti che s'inventarono, trasportandole nella scuola, le due bottiglie molotov che avrebbero dovuto giustificare la "perquisizione" diventata massacro di 93 persone sorprese nel sonno. Come per Bolzaneto, questa sentenza avrebbe dovuto spiegare come, perché, con la responsabilità di chi, nasce in una democrazia un "vuoto di diritto" che liquida le regole del diritto penale e le garanzie costituzionali e consegna la nuda vita delle persone, spogliata di ogni dignità e diritto, a una violenza arbitraria, indiscriminata, assassina.

La risposta del tribunale è stata, più o meno, questa: c'è stato un gruppo di esaltati che è andato oltre il lecito, tutto qui, e due disgraziati che per metterci una pezza, a frittata fatta, hanno manipolato una prova. L'intera catena di comando, a cominciare dal capo della polizia (nel 2001, Gianni De Gennaro) si è fatta prendere la mano e ingannare come l'ultimo del più sprovveduto dei gonzi. Così il Dipartimento della pubblica sicurezza è stato convinto a stilare un comunicato in cui non c'è una frase che non risulti falsa o controversa.

E' fuor di dubbio che la ricostruzione dell'accusa ne esca a pezzi. L'assoluzione dei "vertici apicali" della polizia (Giovanni Luperi e Francesco Gratteri) smentisce il lavoro dei pubblici ministeri. Avevano sostenuto che l'"operazione Diaz" fu "decisa, pianificata e organizzata dal vertice del Dipartimento della pubblica sicurezza"; che "l'iniziativa era diretta al riscatto dell'immagine delle forze di polizia gravemente compromessa dall'inefficace azione di contrasto alle violenze e degenerazioni dell'ordine pubblico durante le manifestazioni di protesta contro il vertice del G8".

Indipendentemente da cosa sostiene l'accusa, il giudice emette una sentenza sulla base delle prove.
Questo lo vederemo quindi nella lettura estesa della sentenza.
In uno stato di diritto valgono le prove raccolte, non il sospetto, piu' che legittimo e razionale, che la cosa sia stata pianificata. Indipendentemente da quello che noi possiamo ritenere, un Giudice esamina le prove. I processi indiziari sono molto pericolosi ed erano l'arma dei regimi.
Al contrario, per il tribunale non c'è stata alcuna pianificazione del Dipartimento e le violenze brutali, i fermi e gli arresti illegali sono farina del sacco di un pugno di subalterni che non sono riusciti a controllare il loro odio. L'esito minimalista del processo non spiega troppe cose (le perquisizioni arbitrarie, la costruzione di false prove, "la totale inosservanza delle regole del diritto", quella notte e nei giorni successivi) e soprattutto non "chiude" lo strappo creato tra le istituzioni e una generazione che, in quei giorni, si riaffacciava sulla scena politica dopo un lungo letargo.

Bravo d'avanzo ma non spetta ad un tribunale chiudere strappi tra instituzioni e generazioni.
Quale che siano le motivazioni della discutibile sentenza, è su questo vulnus tra lo Stato e la società che bisogna riflettere perché i pestaggi della Diaz e le torture di Bolzaneto pongono questioni che sarebbe dissennato accantonare o anche soltanto trascurare. Qual è il mestiere delle polizie in questa congiuntura politica? E quali sono le garanzie che venga svolto in modo corretto?

Ottime domande ma non spetta ad un giudice rispondere ad esse tramite sentenze.
Queste domande devono essere date dai governi, che dispongono del funzionamento della Pubblica Amministrazione, Polizia compresa. Proprio perchà parliamo di stato di diritto, dobbiamo considerare i diversio compit che il legislativo, l'esecutivo ed il giudiziario hanno. Quest'ultimo interviene in presenza di reati e condanna sulla base delle prove.

In uno "Stato legislativo", dove quel che conta è la legalità e chi esercita il potere agisce "in nome della legge", le burocrazie sono "neutrali", uno strumento puramente tecnico che serve orientamenti politici diversi e anche opposti, e le polizie hanno una funzione meramente amministrativa di esecuzione del diritto. Questo governo, in carica anche nel 2001, ha inaugurato la sua stagione "riformatrice" con ben altre convinzioni. Non vuole essere l'anonimo esecutore di leggi e norme. Non intende governare in nome della legge, ma in nome della "necessità concreta". Pretende che si muova dietro le "emergenze" (autentiche o artefatte, che siano), dietro le "situazioni" che ritiene prioritarie. Berlusconi s'immagina alla guida di uno "Stato governativo" che si definisce per la qualità decisiva che riconosce al comando concreto, applicabile subito, assolutamente necessario e virtualmente temporaneo, sempre conflittuale perché esclude e differenzia.

In questo scorcio di legislatura si sta creando così un paradigma istituzionale "duale" che affianca alla Costituzione una prassi di governo che vive di decreti con immediata forza di legge e trasforma il comando in un ininterrotto "caso d'eccezione" (immigrazione; sicurezza; Alitalia; rifiuti di Napoli; riforma della scuola).

Nello "stato d'eccezione", le polizie hanno un ruolo essenziale. Berlusconi evoca con regolarità un "diritto di polizia" e un uso della violenza o minaccia poliziesca quando i suoi obiettivi appaiono non condivisi o in pericolo (contro gli immigrati, contro i napoletani incivili, contro le proteste negli aeroporti, contro le manifestazioni degli studenti). Chi, nelle burocrazie, non sta al gioco, va a casa. Come è accaduto ieri al prefetto di Roma, Carlo Mosca, custode di una concezione di burocrazia professionale che, alla decisione politica (impronte per i bambini rom), oppone il rispetto della legge e della Costituzione.

Mosca è stato "licenziato" perché Berlusconi chiede - al contrario - che le burocrazie condividano la capacità di assumersi il suo stesso rischio politico, come fossero un'élite politica e non istituzionale e non neutrale. E' una novità di cui bisogna tener conto. E' quel che esplicitamente chiede alle polizie Francesco Cossiga con la sua "ricetta democratica".

Cossiga ha spiegato come distruggere l'Onda, il movimento degli studenti: "Bisogna infiltrare gli studenti con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine, mettano a ferro e fuoco le città. Dopodiché, forti del consenso popolare, le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano".

Cossiga (un uomo che sarebbe sciagurato considerare soltanto uno spericolato irresponsabile) dice quel che altri, nella destra di governo, pensano soltanto. Le polizie, nello "Stato governativo" preteso dalla destra, non dovrebbero più avere soltanto una funzione di mera esecuzione del diritto, ma farsi agenti attivi della sovranità del governo, muoversi in quell'area indifferenziata tra violenza e diritto che sempre definisce, nel caso d'eccezione, il comando del sovrano e il potere delle polizie.

Ora quel che si paventa per il domani è già accaduto ieri, a Genova, durante i giorni del G8. E' accaduto proprio nelle forme augurate oggi da Cossiga. Black Bloc che distruggono la città senza alcun contrasto. Black Bloc che si allontanano indisturbati mentre appare la polizia che si avventa contro i manifestanti inermi, pacifici, a braccia alzate e, nella notte, contro i 93 ospiti della scuola Diaz che si preparano al sonno o nel garage Olimpo di Bolzaneto dove vennero ancora umiliati e torturati. Con il risultato che una generazione che, per la prima volta, scopriva la dimensione politica fu consegnata alla paura, alla solitudine, alla disillusione.

Dopo sette anni, la situazione non è diversa. Il governo è lo stesso, solo più lucido, determinato e coeso intorno alla figura del leader carismatico. Nelle strade c'è un nuovo movimento di giovani che rifiuta un progetto di ordine sociale che annuncia esclusioni e differenze, che si oppone alla caduta di ogni garanzia di eguaglianza. Che cosa faranno le burocrazie dello Stato? Che cosa faranno le polizie sospinte nello spazio stretto tra la politica e il diritto, tra la violenza e la legge? Il processo di Genova ci dice che in uno Stato che si presenta come questurino c'è chi è disponibile a un'illegalità criminale quando il dissidente diventa un "nemico" da annientare.

Sono buone ragioni per non accontentarsi di una sentenza, per non chiudere il "caso Genova" nel perimetro di un'aula giudiziaria. In un tempo di aspri conflitti sociali, già inquinati da un estremismo fascista che minaccia l'informazione, il sindacato dei lavoratori, le proteste sociali e le forme di dissenso, il Paese deve sapere se può contare su una polizia fedele alla Costituzione o dovrà fare i conti anche con una burocrazia della sicurezza gregaria di un governo che prevede il rischio assoluto, il conflitto continuo, lo "sfondamento", una polizia sottomessa a un ordine capace di riservare all'interno del Paese la stessa ostilità che si riserva a un minaccioso "nemico" esterno.

Anche ora che la sentenza di Genova circoscrive le responsabilità a pochi "fuori di testa", dalle forze dell'ordine dovrebbero giungere all'opinione pubblica limpide e inequivoche rassicurazioni. Chi ha a cuore la Costituzione, nelle istituzioni, nella società, nella politica, dovrebbe invocarle. Perché le sentenze per la Diaz e Bolzaneto più che rasserenare, inquietano. Più che medicare le ferite, le fanno ancora sanguinare.

(14 novembre 2008)

Tutto un ottimo discorso che non fa una piaga, salvo che non lo vedo come critica legittima ad una sentenza, soprattutto prima di aver letto il dispositivo finale, di solito di centinaia di pagine. Io non sono in grado di valutare tencicamente la sentenza (e credo nessuno di noi) ma possiamo solo dire che ci delude, non ci piace, etc. Che piu' o meno mi par l'atteggiamento del tifoso quando la propria squadra perde. In uno stato di diritto invece noi dovremmo valutare la sentenza per quello che è ed eventualmente valutare se le leggi che il giudice utilizza come riferimento sono adeguate.
Non possiamo esser contenti o garantisti solo il potere giudiziario emette sentenze che sono di nostro gradimento e disperarci se la sentenza assolve chi riteniamo colpevole (che si chiami Andreotti o Berlusconi non importa).

Ricordiamoci come l'onda di odio contro un poliziotto, reso colpevole con sommari processi mediatici (ma assolto dalla giustizia) sfocio' poi nel suo assassinio in strada. Ritengo che se l'accusa avrà motivi sufficenti per dimostrare che le prove che aveva raccolto contro gli assolti erano valide, o ne troverà di nuove, ricorrerà in appello.

Alla politica il compito di modificare cio' che è da modificare (leggi e regolamenti) e predisporre i controlli necessari a fare in modo che non si verifichino piu' quei comportamenti fuori controllo. In ogni caso infatti la sentenza afferma che un gruppo di poliziontti, compresi alcuni dirigenti, ha intrappreso azioni illegali fuori dalla catena di comando. Questo in ogni nazione comporterebbe comunque gravi conseguenze per i superiori. Sono stati assolti penalmente ma verrebbero licenziati e sostituiti ovinque, per manifesta incapacità di comando e carenza di controlli. L'assoluzione penale infatti non mitiga la loro responsabilità amministrativa.

Ciao,
Franz
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda pagheca il 14/11/2008, 13:02

Non sono del tutto d'accordo Franz.

In teoria e' come dici te ma in pratica, se il cittadino ha la sensazione che la giustizia non operi secondo principi "giusti", cosa rimane da fare? La giustizia, come tutte le altre istituzioni, contrariamente alle balle che ci si racconta da anni, non e' un ente indiscutibile, e d'altra parte e' impensabile che un cittadino vada a leggersi tutti i faldoni prima di esprimere un giudizio.

In moltissimi casi le sentenze sono cambiate drammaticamente a seconda del grado di giudizio, il che vuol dire che un problema c'e'.

Nel caso delle forze di polizia, c'e' una sensazione nel potere che queste, come tutte le componenti del potere, godano di un trattamento diverso da quello dei normali cittadini. Ricordiamoci che la testimonianza di un poliziotto vale piu' di quella di un normale cittadino, che la polizia "gode" (e' proprio il caso di dirlo) del diritto di picchiare gli altri. Sono diritti unici, che dovrebbe corrispondere una durezza senza pari nel caso di abusi. Al contrario, le sentenze non mi sembrano abbastanza dure, di fronte a fatti accertati. Basta confrontarle con le sentenze emesse per i dimostranti stessi.

Inoltre, il comune cittadino si chiede come e' possibile che una situazione del genere, dove ci sono state violazioni sistematiche del diritto civile in piu' di una localita', possano essere stato frutto di pochi individui, senza un comando dall'alto. Se i vertici si fossero dimessi subito, come accadrebbe nel famoso paese normale, sarebbe comprensibile, ma cosi' non e' stato. Chi e' al vertice non e' responsabile solo quando sa e ordina, ma anche quando non sa. Questa sentenza dice che, al contrario, un vertice che non sa non e' colpevole.

saluti
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda franz il 14/11/2008, 13:23

pagheca ha scritto:Non sono del tutto d'accordo Franz.

In teoria e' come dici te ma in pratica, se il cittadino ha la sensazione che la giustizia non operi secondo principi "giusti", cosa rimane da fare? La giustizia, come tutte le altre istituzioni, contrariamente alle balle che ci si racconta da anni, non e' un ente indiscutibile, e d'altra parte e' impensabile che un cittadino vada a leggersi tutti i faldoni prima di esprimere un giudizio.

Ok, hai ragione, ma guarda che il cittadino ha questa "senzazione" non adesso per via di questa sentenza ma la prova da decenni. Direi dall'Unità d'Italia. Il fatto di assistere alle nostre lamentele solo quando certi processi non hanno l'esito politico che desidereremmo, non aiuta certo il cittadino a considerarci credibili come forza che mette al posto le ingiustizie della giustizia. Abbiamo governato dal 1996 al 2001 e poi altri due anni con il secondo governo prodi. Sette anni in cui non abbiamo fatto molto (o meglio dire "nulla") per migliorare la giustizia e portarla a livelli di mondo civile.

Ciao,
Franz

PS: nel merito, i poliziott che hanno picchiato ed i loro diretti superiori sonio stati condannati. Non posso qui valutare se la condanna è stata mite o poteve/doveva essere piu' dura. Ma sono stati condannati. Segni che la giustizia ha ritenuto valide le prove raccolte contro di loro. Il probleam è che rispetto all'atto accusatorio, i vertici superiori non sono stati condannati. Io non posso dire che questa sia una sconfitta dello stato di diritot (o della democrazia) prima di aver esaminato la sentenza o almeno un suo valido riassunto.
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda pianogrande il 14/11/2008, 22:12

Caro Franz.
Davanti ad una sentenza così squilibrata non si può essere troppo "equilibrati".
In questo paese si continua a combattere la manovalanza.
La manovalanza si rimpiazza fin troppo facilmente e quindi i problemi non si risolveranno mai.
Se la colpa è della politica o della magistratura è un quesito fuorviante.
Da cittadino indignato, chiedo ad ognuno di fare la propria parte.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda Gab il 17/11/2008, 10:40

Belle parole. Restermo in attesa di avere notizie dei fatti.
L'inizio e' buono.

Gab

LA LETTERA da repubblica.it
I nostri agenti onorano tutti i giorni la Costituzione

Caro Direttore,
leggo che Repubblica si aspettava (anche) dai vertici della Polizia segnali di fedeltà alla Costituzione. Il vertice della Polizia è uno solo. Sono io. Credo perciò di doverle una pacata spiegazione. Metterei intanto da parte il richiamo alla fedeltà alla Costituzione che è assai suggestivo mediaticamente, ma anche questione troppo seria per essere messa in discussione dalla vicenda che trattiamo. Oltre 150 anni di storia, i nostri morti e il lavoro diuturno per il bene dei cittadini di migliaia di persone sottopagate onorano la Costituzione ogni giorno. Non credo perciò che nessuno abbia bisogno di essere rassicurato sulla fedeltà alla Costituzione delle forze di polizia.

Credo invece, e sono d'accordo con Repubblica, che il Paese abbia bisogno di spiegazioni su quel che realmente accadde a Genova. L'Istituzione, attraverso di me, si muove e si muoverà a tal fine senza alcuna riserva, non attraverso proclami via stampa, ma nelle sedi istituzionali e costituzionali.

Si muove, e si muoverà, inoltre, con i fatti. Dall'inizio del mio mandato, ad esempio, mi sto adoperando per approfondire, e anche correggere, tutte le modalità di intervento "in piazza" anche avviando la costituzione della prima scuola di polizia per la tutela dell'ordine pubblico che sarà inaugurata il prossimo 3 dicembre. Abbiamo ai vertici dei reparti, investigativi e operativi in genere, persone pulite. Dal luglio dello scorso anno, io sono il loro garante e mi assumo, come ho già fatto, la responsabilità per gli errori che possano commettere.

Caro direttore, sto scrivendo l'ultimo capitolo della mia storia professionale e non lo macchierò certo per reticenza, per viltà o per convenienza.

Antonio Manganelli

(16 novembre 2008)
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda Gab il 11/02/2009, 10:15

Depositate le motivazioni della sentenza che nel novembre scorso assolse i vertici della Ps
"Gli agenti agirono perchè certi dell'impunità". Scarse però le prove: "Ricordi imprecisi"
G8, assalto alla Diaz: "Polizia poco collaborativa
Violenze inaccettabili, ma solo indizi"

Multimedia
» IL DOCUMENTO: le motivazioni
» IL FOTORACCONTO
» l'AUDIO: la sentenza, la reazione del pubblico
» LA CRONOLOGIA dei fatti



GENOVA - I magistrati ammettono che le violenze alla Diaz durante i G8 di otto anni fa furono "inaccettabili" e che la Polizia cercò di proteggere gli autori delle violenze, ma i pestaggi dei no global "non furono frutto di un piano preordinato" e non ci sono prove certe, ma "solo indizi e per giunta neppure univoci", che i vertici della Polizia sapessero delle due bottiglie incendiarie portate nella scuola dagli agenti e non dai manifestanti.

Così i giudici la prima sezione penale del Tribunale di Genova spiegano perchè, nel novembre scorso, ha assolto i vertici della Polizia per la "macelleria messicana" del 21 luglio all'interno della Diaz.

Non passa inosservato ai giudici che gli agenti agirono con tanta violenza perché avevano ottenuto dai loro superiori una "promessa" di impunità. "L'inconsulta esplosione di violenza all'interno della Diaz - scrivono i magistrati - si è propagata per un effetto attrattivo e per suggestione tanto da provocare, anche per il forte rancore sino ad allora represso, il libero sfogo all'istinto".

E non nascondono neppure, i magistrati di Genova, che la Polizia non è stata "collaborativa" quando si è tratto di indagare su se stessa: "Un atteggiamento di distacco", lo chiamano i giudici, mostrato soprattutto nell'identificare l'agente con la coda di cavallo - quello che ha portarto le molotov a scuola - o i funzionari entrati nella scuola: "Al pm, per la loro identificazione, sono state mostrate foto vecchie di anni, di quando entrarono in polizia anzichè quelle recenti. Frutto di un malinteso senso di tutela dell'onore dell'istituzione", spiega la corte.


Ma non ci sono prove certe, solo indizi non univoci: "La confusione e l'agitazione di quei momenti può aver reso i ricordi imprecisi e confusi". E allora è giusto, per il Tribunale di Genova, assolvere i vertici della polizia e altri 16 imputati. Solo 13 furono condannati a 35 anni e sette mesi di cui 32 anni e mezzo condonati.

(10 febbraio 2009)
da repubblica.it
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda pianogrande il 12/02/2009, 1:05

Dovrei chiarirmi una cosa.
In un caso del genere, ora che il pubblico ministero può indagare solo su input delle forze dell'ordine, cosa sarebbe successo?
Non è già in mano alla politica il potere giudiziario?
Fotti il sistema. Studia.
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda pierodm il 12/02/2009, 11:33

Innanzi tutto, ben tornato a Pagheca.

Il discorso, giustamente, si è allargato alla natura della democrazia, e non è facile stare dietro a tutte le ramificazioni dell'argomento.

Per esempio, Franz ci tiene molto a sottrarre la questione democratica al gioco etico, per assegnarlo ad una specie di limbo "oggettivo" che fa capo alla Dichiarazione dei diritti dell'Uomo, che non si baserebbe sulla contrapposizione giusto/sbagliato. L'idiosincrasia di Franz per il concetto di "giustizia" è singolare, ma questa è un'altra questione.
Io credo che la Dichiarazione, nel fare il suo bravo elenchino, si basi esattamente sulla discriminazione tra giusto e ingiusto: su cos'altro, sennò? Poi possiamo discutere su quale sia la fonte alla quale la Dichiarazione attinge il suo criterio di "giusto".

Inoltre, mi sembra piuttosto discutibile il rapporto che esiste - sempre per Franz, che è la nostra prima ballerina per l'occasione - tra democrazia e stato di diritto.
la sua notazione, che assegna la responsabilità sostanziale ai cittadini più che alle istituzioni, mi trova d'accordo, essendo alla base del mio personale concetto della politica.
Tuttavia, detto questo, un problema istituzionale e ideologico esiste.
La democrazia non è solo un fatto formale, sebbene non possa esistere una democrazia senza le regole dello stato di diritto.
Però, non possiamo ignorare il fatto che il "diritto" non è un fenomeno astratto, ma è un prodotto della politica, della cultura, della storia, e come tale può avere un contenuto specifico che entra in contraddizione non solo con lo "spirito" della democrazia, ma anche con le sue istituzioni - lo scopo delle istituzioni.
A maggior ragione, poi, quando nel concetto di "diritto" e di "stato di diritto" mettiamo l'applicazione di questo diritto, cioè le sentenze dei tribunali, l'interpretazione delle regole, lo svolgimento dei processi, che hanno tutti una loro problematica che moltiplica la complessità e la distanza tra la prassi e la teoria, che esiste in tutte le vicende politiche.
Se tutto funzionasse come vorrebbe dire Franz, non ci sarebbe bisogno di discutere tanto e nemmeno di un parlamento, ma basterebbe affidare la politica a qualche solerte burocrate che col buzzicotto unge e lubrifica gl'ingranaggi dello "stato di diritto".

In definitiva, se il problema del diritto è quello di "fare giustizia" contro i responsabili di un comportamento individuato come "reato", quando si riesce a condannare solo gli esecutori ma non i mandanti, qualcuno o qualcosa esce sconfitto: chiamiamola democrazia, chiamiamolo stato di diritto, chiamiamolo senso di giustizia, rimane il fatto che c'è una smagliatura insopportabile che rende poco credibile la concatenazione tra società, rappresentanza politica, diritto, applicazione della giustizia. E rende poco credibili e affidabili le istituzioni che sono oggetto del processo, perché ne escono ancora "sporche" di quegli elementi che se la sono cavata solo per "insufficienza (formale) di prove".

Infine, vorrei dire a Franz che molte delle disgrazie italiane sono dovute al formalismo - ben precdente al regime democratico e repubblicano - che ha sempre imperato nella nostra cultura e nella nostra società.
Un formalismo che si è appunto sempre basato sul "diritto" più che sui "diritti", proprio in quanto il diritto è lo strumento elaborato e usato dal potere per regolare - se necessario spegnere, deviare, sterilizzare - fenomeni che rischiano di mettere in discussione un determinato status quo, o il rapporto stesso tra cittadini e istituzioni.
Insomma, Franz non a caso per prima cosa esclude dal discorso il concetto di "giusto", che è direttamente legato a quello dei "diritti", perché introducendo questo concetto salta il disegno di un "diritto" che sostiene uno "stato di diritto" neutrale e a suo modo oggettivo, sottratto al giudizio politico. Uno stato di diritto, in altre parole, che è solo un "problema tecnico".
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Re: G8, il Pm: "Alla Diaz fu un massacro"

Messaggioda franz il 12/02/2009, 15:16

pierodm ha scritto:Innanzi tutto, ben tornato a Pagheca.

Il discorso, giustamente, si è allargato alla natura della democrazia, e non è facile stare dietro a tutte le ramificazioni dell'argomento.

Per esempio, Franz ci tiene molto a sottrarre la questione democratica al gioco etico, per assegnarlo ad una specie di limbo "oggettivo" che fa capo alla Dichiarazione dei diritti dell'Uomo, che non si baserebbe sulla contrapposizione giusto/sbagliato. L'idiosincrasia di Franz per il concetto di "giustizia" è singolare, ma questa è un'altra questione.

Per prima cosa ricambio i "complimenti" di Pierodm facendogli notare la sua di idiosincrasia, per i numeri, quando non si accorge che qualcuno ha scritto un messaggio a metà novembre egli dà il benevenuto come se avesse scritto oggi.
Ma questa è "altra questione", per citarti.
pierodm ha scritto:Io credo che la Dichiarazione, nel fare il suo bravo elenchino, si basi esattamente sulla discriminazione tra giusto e ingiusto: su cos'altro, sennò? Poi possiamo discutere su quale sia la fonte alla quale la Dichiarazione attinge il suo criterio di "giusto".

No, la dichiarazione non si basa su concetti di giustizia etica ma sui principi di libertà (e quindi sul liberalismo).
Non credo che sia un concetto difficile da realizzare per chi dice di essere liberal socialista.
È invece diffice da digerire per predicatori, santoni, demagoghi, sostenitori dello stato etico, intransigenti, intolleranti.
Che sono all'antitesi di ogni posizione che abbia un "liberal-" come suffisso o prefisso.
Lo stato di diritto, che in passato si basava su principi etici e sulla giustizia di cio' che qualcuno riteneva "giusto" (e quindi non era stato di diritto ma stato al servizio del prepotente di turno) ora si basa sempre di piu' sui principi delle libertà individuali (pur in armomonia con le esigenze collettive).
E questo non è solo fatto tecnico.
Se vuoi anzi è fatto assai piu' profondo, concreto, razionale ed oggettivo, di un credo etico appreso da piccoli come per l'affiliazione ad una tifoseria calcistica. La ragione infatti puo' farci ragionare e portare e nuove decisioni. L'etica la fede, la tifoseria, ben difficilmente portano l'individuo a cambiare posizione. Quindi sono una trappola per allocchi.

Ciao,
Franz
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