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Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda soloo42001 il 26/03/2012, 11:51

E` l'idea stessa di esporre la parte debole, cioe` il lavoratore dipendente, al seguente ricatto, da rifiutare.

Se non fai il bravo, ti sposto di unita` lavorativa (aka cimitero degli elefanti).
Una volta nel cimitero degli elefanti e` gioco relativamente facile, dopo un periodo di tempo sufficientemente lungo da non destare eccessivi sospetti, dimostrare l'inutilita` economica, la ragione oggettiva, e inviare la lettera di licenziamento.
E allora spetterebbe al lavoratore dimostrare al giudice in una causa complessa di essere stato fatto oggetto di una manovra piu` ampia tesa a rimuovere dall'azienda "asset indesiderati".

Ovvero abbiamo a che fare con la totale inversione dell'onere della prova, ora a carico della parte piu` debole invece che dell'azienda dotata invece di risorse economiche, uffici legali, consulenti del lavoro.

Risultato?

Al dipendente va gia` bene se riesce a farsi liquidare con 6 mesi di "incentivo".

Concludendo, nel complesso a mio avviso l'idea di Fornero e` un insulto all'intelligenza.

Naturalmente puo` darsi il caso che Fornero sia stata fraintesa.
Puo` darsi che il disegno di legge in realta` sara` diverso, o prevedera` dei meccanismi di filtro al licenziamento (es. il modello tedesco prevede l'approvazione di ogni licenziamento da parte di una commissione partitetica sindacati-uffficio del personale).

Pero` io la conferenza stampa di martedi l'ho sentita tutta.
Abbiamo avuto fior di sindacalisti al tavolo per mesi.
Non e` verosimile pensare che Fornero non abbia ben spiegato la sua idea.
La realta` e` che l'ha spiegata fin troppo bene.
Scopo del tavolo non era "trattare o individuare una soluzione percorribile", ma "accordarsi su una resa incondizionata".

Stando cosi` le cose, tanto che neanche Bonanni riesce a giustificare il governo, adesso giustamente il governo deve far fronte alla reazione sociale.

Come Tatcher a suo tempo.

Ciao.

soloo42001


P.S.: vogliamo parlare del "congedo di paternita` obbligatorio" di 3 giorni?
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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda franz il 26/03/2012, 12:06

soloo42001 ha scritto:Se non fai il bravo, ti sposto di unita` lavorativa (aka cimitero degli elefanti).

Ok, dimostri che l'art 18 di fatto è aggirabile ed aggirato e quindi non serve.
Questo pero' non è il punto centrale del problema.
Il fatto è che comunque vada, licenziare costa. Anche creare ad arte un reparto per poi chiuderlo ha il suo costo.
Anche attender 4 anni per un giudizio (al sud ancora di piu') ha i suoi costi. Indeterminati.
Anche chiudere in Italia per aprire in Serbia costa.
La riforma, che è sulla stessa linea del sistema tedesco, come spiegato da Ichino, trasforma costi incerti ed arbitrari in costi ceti. Se il datore di lavoro accetta di spendere da 15 a 27 mensilità significa che questo costo è superiore a quello che avrebbe mantenendo in organico il dipendente. Da notare che tanti italiani che non trovano lavoro in Italia, vanno a lavorare in germania (631.243 nel 2010, ed anche 536.607 in svizzera, dove l'art 18 non c'è ma ci sono sussidi di disoccupazione molto piu' elevati e di durata + lunga rispetto alla Germania).
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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda flaviomob il 26/03/2012, 12:31

Una guida critica alla riforma del mercato del lavoro

E’ arrivata.

La riforma del lavoro ha raggiunto una forma, pare, definitiva, approvata dal Consiglio dei Ministri. Curioso che questa forma si presenti come relazione del Ministro del Welfare e non come vero e proprio documento licenziato dall’Esecutivo.

È assai discutibile che, a tavolo con le parti sociali concluso e approvazione da parte del CdM avvenuta, ancora non sia stato reso noto un testo ufficiale e definitivo. Si tratta di una opacità di non poco conto: sia per questioni estremamente concrete (nei tecnicismi delle formulazioni risiedono ricadute molto incisive sulla vita materiale di tutte e tutti coloro cui la riforma si rivolge), sia per ragioni di trasparenza e democrazia nel dibattito pubblico. Impossibile non notare, infatti, che l’assenza di testi definitivi si accompagni a dichiarazioni da parte del ministro Fornero sostanzialmente contraddittorie con i documenti circolati. Tanto da indurre nei più smaliziati il sospetto di una deliberata strategia di mistificazione. Queste mistificazioni si avviluppano in via preferenziale intorno al tema della precarietà (Non solo sulla precarietà tuttavia. Di questi giorni è la vulgata su una presunta estensione dell’art.18 per licenziamenti discriminatori smascherata qui efficacemente da Umberto Romagnoli), terreno prediletto della retorica governativa, sul quale sono state sbandierate rivoluzioni che non è dato oggi rilevare e dove, invece, emergono contraddizioni non da poco. Vediamo perché.

Riduzione contratti precari: falso! E’ stata la prima delle tante promesse non mantenute del Governo. Appena cominciato l’iter della trattativa il Ministro Fornero aveva assicurato una riduzione drastica delle oltre 40 tipologie contrattuali oggi presenti. A parte la limitazione del contratto di associazione in partecipazione, rimane in piedi la pletora di tipologie contrattuali precarie: perché per esempio non abolire il lavoro a chiamata o lo staff leasing, obrobri filosofici e giuridici?

Lotta agli abusi contrattuali: discutibile. Il Governo aveva garantito un contrasto “secco e severo agli abusi”. Restano dubbi, tuttavia, sull’efficacia della strategia scelta: la ridefinizione normativa delle tipologie contrattuali. Una ridefinizione apprezzabile, in quanto le riconduce ad una funzione genuina: si sancisce l’illegittimità, per esempio, di un contratto a progetto per mansioni strettamente esecutive o uguali a quelle svolte da lavoratori dipendenti, oppure di una prestazione con partita iva se prolungata per oltre sei mesi o produttrice di oltre il 75% del reddito del prestatore d’opera. Tuttavia si tratta di una stretta normativa che può essere fatta valere solo ex post, cioè nel caso in cui un lavoratore faccia causa al suo datore di lavoro oppure in base a una denuncia fatta dagli ispettori del lavoro. Non è un problema da poco se teniamo presente la strutturale fragilità e ricattabilità dei parasubordinati (o di larga parte di essi). Privi di un contratto collettivo nazionale di riferimento, di rappresentanza sindacale e con il rischio costante di non vedersi rinnovato il contratto, per un collaboratore fare causa è una specie di atto eroico. Soprattutto in un mercato del lavoro in cui la disoccupazione giovanile al 30% funziona come un ricatto strisciante che costringe ad accettare anche condizioni di lavoro chiaramente illecite. Del resto è difficile pensare che i servizi siano in grado di sorvegliare sull’attivazione di tutti i contratti di lavoro a termine.

Alcuni interventi pensati come contrasto agli abusi, poi, oltre a non essere efficaci rischiano di produrre un effetto peggiorativo rispetto alla condizione di partenza.

E’ il caso dell’aumento delle aliquote per i collaboratori (e p.iva?): dannoso! Per i co.co.pro, infatti, è previsto un aumento dei contributi da versare alla gestione separata dell’Inps che porti dall’attuale 27,72% al 33% nel 2018. Contemporaneamente però niente è stato fatto sui compensi minimi, con il rischio che l’aumento delle aliquote si scarichi sui compensi netti dei collaboratori, provocandone un ulteriore abbassamento. Più che di un rischio, in realtà, si tratta di una certezza come mostrano le clausole inserite da solerti datori di lavoro nei nuovi contratti dei loro collaboratori, nelle quali, nero su bianco, si avvisa che in caso di un aumento del costo del lavoro previsto dalla riforma i compensi pattuiti saranno rivisti al ribasso (ne parla Saldutti qui). Non si capisce se l’aumento riguarderà solo i collaboratori a progetto o tutti coloro che versano alla gestione separata. In questo secondo caso il problema assumerebbe proporzioni insostenibili per le partite iva, che, ricordiamolo, pagano interamente i propri contributi previdenziali perché non soggetti alla ripartizione del carico contributivo come avviene per i collaboratori.

Non essere intervenuti sui compensi rappresenta contemporaneamente un danno ai parasubordinati che vedranno ulteriormente comprimersi i loro compensi (per dare un’idea il compenso medio annuo di un collaboratore monocommittente nel 2009 era di 8.023 Euro, Indagine Di Nicola); e un’enorme occasione persa dato che un intervento congiunto di aumento del costo del lavoro parasubordinato e dei compensi di chi lavora con tali contratti avrebbe rappresentato un disincentivo ex ante all’utilizzo improprio di tali forme e un risarcimento per i lavoratori del rischio connesso alla scadenza del contratto.

Ma la beffa più amara per l’esercito dei precari è rappresentata dall’ASpI (assicurazione sociale per l’impiego) il nuovo ammortizzatore firmato Elsa Fornero, che unifica l’ indennità di disoccupazione e la mobilità, di cui già abbiamo parlato qui.

L’ASpI è stata spacciato come universale, cioè finalmente rivolta a tutti, ma è una falsità clamorosa: per i precari non cambia niente. I parasubordinati che erano esclusi prima dall’indennità di disoccupazione, lo sono oggi dall’ASpI. Per avere un’idea si tratta di circa 1 milione di lavoratori atipici (dati Isfol 2010): cococo, cocopro, assegni di ricerca, docenze a contratto, partite iva, collaborazioni occasionali ecc. I dipendenti a tempo determinato, formalmente inclusi dall’Aspi come lo erano dall’indennità di disoccupazione, continuano a sottostare a requisiti d’accesso altissimi che penalizzano i più giovani e i più precari (2 anni di anzianità contributiva e 52 contributi settimanali versati, che rimangono identici nel passaggio da indennità di disoccupazione a Aspi), tanto da determinare un’esclusione sostanziale di gran parte della platea di riferimento. Prevede requisiti più bassi la Mini-Aspi: nome nuovo per la vecchia indennità di disoccupazione a requisiti ridotti, sempre rivolta ai soli dipendenti e così poco generosa da essere quasi ininfluente per chi è senza lavoro e ha bisogno di un sostegno al reddito.

La novità del testo uscito dal Consiglio dei Ministri (venerdì 23 Marzo) riguarderebbe invece il rafforzamento e la resa strutturale dell’una tantum per i cocopro. Il testo non spende più di due righe per affrontare un problema che doveva essere il principale del riordino degli ammortizzatori: come fornire un sostegno al reddito a chi è storicamente dimenticato dal sistema di protezione, ma anche il più esposto al rischio disoccupazione e alla fragilità economica. E, in più, l’affronta male.

L’una tantum, misura istituita dalla Finanziaria Tremonti 2009 e ratificata dalle finanziarie degli anni successivi, è escludente e avara: oltre a lasciare fuori i cococo del pubblico impiego, le partite iva e tutti gli altri parasubordinati, pone requisiti di accesso ai cocopro così stringenti che di tutti i cocopro rimasti senza lavoro, tra il 2009 e il 2011 hanno usufruito dell’ una tantum solo 13.000; l’importo della misura, poi, corrisponde al 30% del reddito percepito nell’anno precedente (comunque mai superiore ai 4000 Euro) a prescindere dal tempo effettivamente lavorato. Che significa? Che il meccanismo di calcolo è particolarmente penalizzante proprio per i soggetti più fragili, quelli che hanno lavorato solo pochi mesi nell’anno passato. In vista di un imminente (?) intervento in merito, quelle appena ricordate sono osservazioni a memoria dei limiti che non si devono replicare.

Ma il problema non è solo di ripensamento tecnico, bensì di senso complessivo di tale strumento: non rientrante nel sistema degli ammortizzatori sociali tradizionali, ma diverso da un reddito di base o d’inserimento a carattere universale. L’una tantum, per la sua stessa ontologia, somiglia a qualcosa di molto meno sofisticato di un ammortizzatore sociale, o di un reddito di base: somiglia a un’elemosina. E di elemosina non è più tempo.

Per chi aspettava una riforma del lavoro capace finalmente di ridurre le tipologie contrattuali precarie, scoraggiare gli abusi con l’aumento dei contributi e dei compensi (magari con l’aggancio ai contratti collettivi nazionali di riferimento), costruire un welfare più equo e universale, con ammortizzatori sociali per tutti e l’istituzione di un reddito di base questa riforma è un niente di fatto. Per il Governo una grande occasione persa. O forse no.

Inevitabile domandarsi a cosa è servita la retorica sui giovani e sulla precarietà e il perché di tante promesse non mantenute. L’attacco violento all’articolo 18 (che con il modello tedesco ha ben poco a che fare, come spiega qui Ambrosino) suggerisce la risposta. Un atto molto più ideologico che tecnico aveva bisogno di una giustificazione convincente, che tuttavia non ha convinto i più, dato che il governo Monti cala drasticamente nella fiducia degli italiani proprio a causa della riforma del lavoro. Probabilmente inizia a sgretolarsi l’illusione della neutralità della tecnica e il “Ce lo chiede l’Europa” non convince più.

(Claudia Pratelli)

http://italia2013.org/2012/03/26/una-gu ... el-lavoro/

vedi anche:

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ed anche Report di ieri:

http://www.report.rai.it/dl/Report/Page ... c6d38.html


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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda franz il 26/03/2012, 12:41

Ma se la riforma contiene cose parziali, perché non agire perché siano universali?
Vogliamo buttare il bambino insieme all'acqua sporca?
Io sono per sussidi di disoccupazione (o aspi che dir si voglia) universali e quindi se non lo sono non mi batto contro la riforma ma per estenderla. L'Art 18 non riguarda il pubblico impiego? Idem.
Quanto ai precari queste figure ontrattuali (frutto dei sistemi fatti in passato per aggirare la rigidità dell'art 18) devono sparire ma è giusto che anche loro, quei pochi che dovessero rimanere, siano tutelati da un sussidio universale.
Chiaramente facendo pagare la % di cipertura del sussidio, come tutti. Pubblico impiego incluso.
Quindi spingerei per la riforma, non contro.
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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda soloo42001 il 26/03/2012, 12:58

L'art. 18 di domani sara` facilmente aggirabile, quello di oggi no.
Dunque non va modificato in modo di renderlo aggirabile, in modo che rimanga utile ai dipendenti.

Detto questo, se poi ci sono situazioni da raddrizzare per tutelare le aziende da costi ingiustificabili
(es. 4 anni di giudizio per licenziare un fannullone) allora va capito dove e perche` l'art. 18 e` di impedimento.

Magari si scopre che l'art. 18 non c'entra nulla, ma c'entra il MODO in cui e` implementato, ovvero
il MODO in cui il giudice del lavoro lo applica.

Infatti sia il PD che la CGIL erano a favore di:
- revisione delle causali di giusto licenziamento
- manutenzione
- snellimento delle procedure di giustizia del lavoro

Ma evidentemente a Fornero interessava altro.
E l'altro, secondo molti, era la liberta` di licenziamento con inversione dell'onere della prova.

Di qui la rottura al tavolo di "resa incondizionata".


La riforma, che è sulla stessa linea del sistema tedesco, come spiegato da Ichino


Ichino.
Forse non lo si e` ancora capito, ma per molti elettori di centrosinistra non e` personaggio da citare a supporto di una tesi.
Le sue analisi e tesi sono non condivise e non condivisibili.

Ad esempio, nello specifico, il modello tedesco prevede un filtro ad ogni forma di licenziamento.
Una commissione interna aziendale formata da rappresentanti dei lavoratori e dell'azienda.

Guardacaso questo aspetto del modello tedesco non e` nella riforma Fornero.

Proprio cio` che e` il cuore del modello tedesco, ovvero la responsabilizzazione dei lavoratori nella gestione ordinaria dell'azienda, manca.

Come mai?

Altra dimenticanza fortuita?
O e` lecito dubitare e sospettare che l'obiettivo reale sia il licenziamento arbitrario a costo zero?

Se ai dubbi sull'art.18 sommi le altre mancanze della riforma, direi che rimane poco da dubitare.
Io, dovendo rappresentare elettori e lavoratori, propenderei per la seconda ipotesi.

Ciao.

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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda soloo42001 il 26/03/2012, 13:17

Ma se la riforma contiene cose parziali, perché non agire perché siano universali?
Vogliamo buttare il bambino insieme all'acqua sporca?


Piu` si legge di questa riforma, piu` si vede che nell'acqua sporca non c'e` un bel bambino, ma una pantegana.

Questo spiega anche il no dei sindacati (per la verita` uno solo esplicito, gli altri si nascondono dietro
la norma finale da analizzare...).

Con questi chiari di luna occorre resettare tutto e riparlarne con un governo di centrosinistra vero.
Con Fornero e Ichino non caviamo un ragno dal buco.

Sotto riporto cosa dice il Sole24Ore del congedo di paternita` che dovrebbe servire a colmare il gap culturale col resto d'Europa riguardo le cure parentali.

Occorre domandarsi qual e` il modello di riferimento di Fornero.
Se il Gabon o la Scandinavia.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-03-25/congedo-paternita-obbligatorio-giorni-183534.shtml?uuid=Ab6UM2DF

Giusto per fare un confronto, in Svezia tutti i padri hanno l'obbligo di stare a casa con la madre 3 mesi.
MESI, non giorni.
Magari poi si scopre che in questo modo si incide anche sul tasso di "depressioni post partum" femminili si.
L'obiezione sara`, si ma noi non abbiamo una lira.

Errore.
Abbiamo appena devastato le pensioni.
In questo modo lo spread e` sceso, quindi paghiamo meno di interessi sul debito.
Stiamo facendo lotta all'evasione (o no?).
Quindi i soldi se si vuole ci sono.

Basta DECIDERE di allocarli.
In un senso o nell'altro.
E` da qui che si capisce il colore della politica, non dalle lacrime di coccodrillo.

Ciao.

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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda franz il 26/03/2012, 13:40

Bisogna verificare la produttività di germania, svezia, danimarca e ... gabon, prima di rivendicare misure di welfare (che costano). Il concetto di "sostenibilità" è questo. paesi con produttività diversa possono sostenere welfare differenti.
Il barone di Münchhausen cercava di sollevarsi da solo tirandosi su per il "coppino", ma non funziona.
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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda soloo42001 il 26/03/2012, 14:23

Bisogna verificare la produttività di germania, svezia, danimarca e ... gabon, prima di rivendicare misure di welfare (che costano).



E non solo quella.
Anche il grado di lungimiranza.

Degli imprenditori, che in Italia non pianificano e investono a lungo termine.
Dei politici, che in Italia devastano da decenni il Paese peggio delle cavallette.
Dei cittadini, che non vivono come dei pirati a discapito del prossimo.

Visto che parliamo di una riforma ad ampio respiro pensata per i nostri figli e nipoti
credo non sia un problema ragionare come si fa con la TAV.

L'opera TAV si progetta non per le esigenze tecniche e le economie ATTUALI, ma per quelle a venire, a 20-30-50 anni.

Lo stesso dicasi per le RIFORME.
Devono essere pensate per funzionare a regime, quando saremo un Paese normale, che paga le tasse e dove gli imprenditori non sopravvivono come lobby attaccata alla mammella statale.

Certo che se il retropensiero di Fornero e` che il nostro livello sostenibile e` quello del Gabon, allora basta dirlo chiaro.

Invece di parlare di giovani, donne, tabu`, ipergarantiti, apartheid, privilegiati, totem, ... lo dica.
"Culturalmente siamo al livello del Gabon. Non c'e` modo di uscirne, neanche a medio-lungo termine. Come Stato dobbiamo sopravvivere, quindi tagliamo tutto. Pensioni, diritti, ...".

Poi vediamo la reazione.

Ciao.


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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda flaviomob il 26/03/2012, 14:47

Esatto, Solo. L'onere della prova ricadrà sul lavoratore. Ecco una simulazione del Corriere della Sera:

http://www.corriere.it/economia/12_marz ... 1286.shtml


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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda franz il 26/03/2012, 15:09

soloo42001 ha scritto:
Bisogna verificare la produttività di germania, svezia, danimarca e ... gabon, prima di rivendicare misure di welfare (che costano).



E non solo quella.
Anche il grado di lungimiranza.

Degli imprenditori, che in Italia non pianificano e investono a lungo termine.
Dei politici, che in Italia devastano da decenni il Paese peggio delle cavallette.
Dei cittadini, che non vivono come dei pirati a discapito del prossimo.

Ok per la lungimiranza.
I primi due punti credo che siano connessi. Il secondo toglie risorse al primo, cosi' che non puo' investire.
Lo abbiamo già detto in altri thread ma gli utili FIAT sono tassati in media tra il 50 ed il 60%. L'aliquota media credo sia il 58%. Gli utili VW (ho personalmente verificato entrambe le aliquote scaricando i bilanci, che sono online) sono tassati attorno al 19-20%. VW puo investire praticamente l'80% degli utili. Fiat solo il 40 circa. Ma anche i cittadini sono tartassati e se non risparmiano afine anno, non possono investire, prestando alle aziende quello che manca loro. Non parliamo poi degli investimenti esteri, che appena sentono "Italia" fuggono a gambe levate. A meno che non stiano cercando intrallazzi con finanziamenti governativi. Che dire di cittadini (terzo punto). Beh che siano tutti "non pirati" non ci metto la mano sul fuoco. L'evasione (sommerso) ed il nero illegale sommati arrivano quasi al 30% del PIL e coinvolgono un esercito tra 7 ed 11 milioni di lavoratori. Diciamo che qualche pirata (o parassita, come dice la PP del governo) c'è.

Di TAV si parla altrove. Qui, per esempio: viewtopic.php?p=45038
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