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Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda franz il 25/03/2012, 11:16

Mi sembra improduttivo discutere su chi sia conservatore, a fronte di una riforma che cambia parecchio - in meglio - il mercato del lavoro e che contiene molti punti richiesti dal PD. Poi è chiaro che non si puo' avere tutto (questo non è il governo PD-SEL-Rifondazione) per cui nell'insieme della riforma ci sono anche rospi da ingoiare.

Piuttosto è interessante discutere se la riforma funzionerà oppure no.
Chiaramente se avessimo la "palla di vetro" conosceremmo il futuro e non ci sarebbero problemi.
Ma non esiste una sfera di cristallo per cui si puo' tentare di ragionare, naturalmene con un po' di ideologia come strumento di lavoro.

Interessante lo scetticismo di Gallino, che pero' chiarisce come mai le cose stanno oggi in questo modo.
Per me ha torto in alcuni punti ma lo vediamo dopo le vostre eventuali considerazioni.



“Così non si combatte la piaga del precariato” di LUCIANO GALLINO da La Repubblica del 25 marzo 2012

Lo scopo più importante di una riforma del mercato del lavoro dovrebbe consistere nel ridurre in misura considerevole, e nel minor tempo possibile, il numero di lavoratori che hanno contratti di breve durata, ossia precari, quale che sia la loro denominazione formale. Per conseguire tale scopo sarebbe necessario comprendere anzitutto i motivi che spingono le imprese a impiegare milioni di lavoratori con contratti aventi una scadenza fissa e breve.

Di un esame di tali motivi non sembra esservi traccia nelle dichiarazioni e nei testi provvisori rilasciati finora dal governo, tipo le “Linee di intervento sulla disciplina delle tipologie contrattuali” o le modifiche annunciate dell´art. 18. Meno che mai si parla di essi nella miriade di articoli che ogni giorno commentano i passi del governo. Pare stiano tutti mettendo mano alla riparazione urgente di un complesso macchinario rimasto bloccato, senza avere la minima idea di come funziona e com´è fatto dentro.

Si suole affermare che le imprese fanno un uso smodato dei contratti di breve durata – in ciò incentivati da leggi e decreti sul mercato del lavoro emanate dal 1997 al 2003 e oltre – perché costano meno. Ma non è affatto questo il motivo principale. Le imprese ricorrono a tali contratti, sia pure in misura variabile da un settore all´altro, soprattutto perché essi permettono di adattare rapidamente la quantità di personale impiegato, in più o in meno, alla catena produttiva, organizzativa e finanziaria in cui si trovano ad operare.

Nel corso degli anni l´hanno scientificamente costruita loro stesse, la catena, finendo tuttavia per diventarne schiave. Ogni impresa è ormai soltanto un anello che dipende da tutti gli altri. Nessuna impresa produce più nulla per intero al proprio interno, si tratti di un elettrodomestico, un mobile o un servizio pubblicitario. Ciascuna aggiunge un po´ di lavoro a manufatti o servizi che sono già stati lavorati in parte da imprese a monte, quasi sempre situate in Paesi differenti, e saranno ulteriormente lavorati da un´impresa a valle, in altri Paesi.

Questo modo di produrre comporta che la regolare attività di ogni impresa dipende da qualità, prezzo, puntualità di consegna di quel che le arriva dalle imprese a monte, non meno che dalla disponibilità delle imprese a valle ad accettare qualità, prezzo, puntualità di quel che essa consegna loro. Per cui l´imperativo di ciascuna è diventato “assumi meno che puoi, appalta ad altri tutto ciò che ti riesce.”

Oltre a questa intrinseca dipendenza da ciò che fanno gli anelli che la precedono come da quelli che la seguono, ciascuna impresa sa bene di essere oggetto di continue e implacabili valutazioni di ordine finanziario. Il suo prodotto intermedio può anche essere di buona qualità e rendere elevati utili; nondimeno se sullo schermo di un qualche computer compare che nello Utah, in Pomerania o in Vietnam c´è un´impresa che fa la stessa lavorazione a minor costo, o con maggiori utili, è molto probabile che le commesse spariscano, o arrivi dall´alto l´ordine di chiudere.

A causa dei suddetti caratteri le catene globali di creazione del valore, come si chiamano, hanno accresciuto a dismisura l´insicurezza produttiva e finanziaria in cui le imprese, non importa se grandi o piccole, si trovano ad operare. Più che mai ai tempi di una crisi che dura da anni, e promette di durarne molti altri. Un rimedio però è stato trovato, con l´aiuto del legislatore dell´ultimo quindicennio: utilizzando grossi volumi di contratti precari le imprese hanno trasferito l´insicurezza che le assilla ai lavoratori.

Fa parte di quelle politiche del lavoro chiamate globalizzazione. Quando i rapporti con gli altri anelli della catena vanno bene, un´impresa assume personale mediante un buon numero di contratti di breve durata; se i rapporti vanno male, non rinnova una parte di tali contratti, o magari tutti, senza nemmeno doversi prendere il fastidio di licenziare qualcuno.

A fronte di simile realtà strutturale, che riguarda l´intero modello produttivo e la sua drammatica crisi, è dubbio che la riforma in gestazione, salvo modifiche sostanziali in Parlamento, risulti idonea a ridurre il tasso di precarietà che affligge milioni di lavoratori, e meno che mai a farlo presto. In effetti potrebbe intervenire una sorta di scambio perverso: le imprese riducono di qualcosa l´utilizzo dei contratti atipici di breve durata, a causa dell´aumento del costo contributivo previsto dalle citate linee di intervento; però grazie allo svuotamento sostanziale dell´articolo 18, perseguito dal governo con una tenacia che meriterebbe di essere dedicata ad altri scopi, licenziano un maggior numero di lavoratori che si erano illusi di avere un contratto a tempo indeterminato, o di altri che nella veste di apprendisti speravano, anno dopo anno, di arrivare ad averlo.

Ma potrebbe anche accadere di peggio: che la precarietà esistente rimanga più o meno tal quale, ma si estenda a settori dove prima ce n´era poca (improvvisi fallimenti aziendali a parte). Lo scenario è pronto: da un lato, dinanzi al cospicuo vantaggio di poter ridurre la forza lavoro senza nemmeno dover licenziare, l´aumento dell´1,4 per cento del costo contributivo dei contratti atipici si configura come uno svantaggio quasi trascurabile. Dall´altro lato, la libertà concessa di licenziare ciascuno e tutti per motivi economici, veri o presunti o inventati, di cui chiunque abbia un´idea di come funziona un´impresa può redigere un elenco infinito, costituisce un formidabile incentivo a modulare quantità e qualità della forza lavoro utilizzata a suon di licenziamenti. Magari assumendo giovani freschi di studi, al posto di quarantenni o cinquantenni tecnologicamente obsoleti, che tanto, una volta perso lo stipendio, non dovranno aspettare più di dieci o quindici anni per ricevere la pensione. Sarebbe un passo verso l´eliminazione del dualismo tra bacini diversi di lavoro, da molti deprecato, ma non esattamente nel modo che la riforma sembrava da principio promettere.

Potrebbe il Parlamento ovviare ai limiti della riforma in discussione? In qualche misura sì, se mai si trovasse una maggioranza. Però v´è da temere non possa andare al di là di qualche ritocco, perché se non si tengono in debito conto le cause reali del guasto di un complicato macchinario, è molto difficile che la riparazione vada a buon fine, quali che siano le intenzioni dei riparatori.

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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda soloo42001 il 25/03/2012, 11:23

franz ha scritto:
soloo42001 ha scritto:L'esito della trattativa sul mercato del lavoro e` il perfetto esempio di disastro (annunciato) causato dalla cosiddetta "politica riformista" fatta con le destre.
Voglio vedere adesso come lo si spiega agli elettori, ai PROPRI elettori... e senza "voto utile", stavolta.


Benvenuto a soloo42001!


Per me l'esito della trattativa è la causa naturale di 20 anni di riforme non fatte.
E quel poco, pure male. Anche dall'Ulivo, sia chiaro, pensando a Treu ed al precariato.

Mi spiego, ... dopo 20 anni anni di riforme non fatte, perché la sinistra ha sempre detto NO anche alle riforme prodiane, come quelle della commissione Onofri (non solo a quelle indigeribili della destra) è naturale che alla fine a furia di perdere treni persi (e 100'000 aziende chiuse, 1 milione di posti di lavoro in meno e 2 milioni di precari) si arriva in piena emergenza sul tavolo operatorio del pronto soccorso con il codice rosso. In questi casi, 20 anni di medici pietosi (sx) o incompetenti (dx) fanno la ferita cancrenosa e si deve amputare.

Per me se nel 1997 avessimo fatto la metà delle cose proposte da Onofri oggi non saremmo dove siamo.
Colpa nostra quindi, non cerchiamo colpe altrove.
Questo dovremmo avere il coraggio di spiegare ai nostri elettori.



Grazie del benvenuto franz.

Di fatto non capisco perche` dovremmo amputare tutto.

Sappiamo che da 30 anni non c'e` politica industriale: non se ne vede traccia.

Sappiamo che ci sono troppi contratti: lo sfoltimento proposto da Fornero e` trascurabile.

Sappiamo che il problema e` che una legge (la Treu), pensate per ridurre il fenomeno del lavoro nero, ha in realta` (come previsto dalle sinistre al tempo) introdotto la flessibilita` negativa: l'1.4% di costo del lavoro in piu` rispetto al "contratto prevalente" e` misura ininfluente rispetto al fenomeno.

Sappiamo del problema degli esodati: ancra oggi e` irrisolto.

Sappiamo che in un sistema flessibile gli ammortizzatori sociali devono essere universali: l'ASPI non lo sara`.

Sappiamo che il modello tedesco funziona perche` i sindacati sono chiamati a una condivisione di responsabilita` rispetto alle decisioni aziendali strategiche: la proposta Fornero lascia invece all'arbitrio dell'azienda decidere se delocalizzare, licenziare, chi, come e quando.

Io non nego affatto che la CGIL abbia i suoi limiti e che faccia spesso e volentieri politica.
E non nego che occorrano cambiamenti importanti.

Tuttavia usare un po' di "intelligenza politica" invece di applicare con arroganza vecchie ricette tatcheriane, forse non sarebbe cosa sbagliata, specie per dei "professori".

E qui mi riaggancio alla mia tesi.
E` il vuoto politico nel campo di centrosinistra a spingere un sindacato a fare politica e il principale partito di centrosinistra ad abbandonarsi a ricette dannose e indigeste rispetto al suo elettorato.
Di che centrosinistra parliamo, dunque?
Quale Ulivo?

Ciao.


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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda pianogrande il 25/03/2012, 11:41

"l'indennizzo scatta se la motivazione economica è infondata ma è pur sempre una motivazione economica".

Franz

O c'è il motivo economico riconosciuto ed accettato o non c'è.

Ti licenzio per motivi economici che non ci sono.

Il tuo omonimo scrittore cecoslovacco sorride compiaciuto.

Questa è la conferma che le parole si trovano sempre.
Quello che conta sono i rapporti di forza.
Avrei voluto vedere se una formula di questo tenore fosse stata usata con i notai o con i tassisti.

Una legge così arrogante significa, semplicemente, che i deboli sono veramente deboli e che è ora che facciano qualcosa per avere voce.
Il primo elemento è scegliere in chi avere fiducia.
Questa è una ghiottissima occasione per un certo partito che, in questa faccenda, sembra mostrare una inusitata compattezza.
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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda flaviomob il 25/03/2012, 11:49

Benvenuto, soloo42001.

Ottima analisi per molti aspetti. Aggiungo solo che le differenze ideologiche o relative a percorsi storici e culturali molto diversi si possono superare a due condizioni:
- la prima è che vi siano "qualità umane" di spessore e quindi che i meccanismi di selezione della classe dirigente buttino fuori una serie di personaggi intrallazzatori e maneggioni che tendono a riciclarsi, chissà perché, in tutte le stagioni
- la seconda è identificare chiaramente obiettivi comuni forti su cui puntare per costruire un programma; Prodi riuscì a reggere molto bene quando ci ponemmo un obiettivo ambizioso come l'ingresso nella moneta unica.

***

Tornando invece al tema di questo ramo del forum, i grossi buchi della riforma del lavoro sono due: i precari non hanno accesso a un welfare adeguato (supporto nei periodi di disoccupazione) che li renderebbe non più ricattabili dai datori di lavoro (ad esempio, oggi quale precario sciopererebbe o si rivolgerebbe alla giustizia se vessato, nel terrore di essere lasciato a casa?); allo stesso modo i lavoratori più anziani espulsi dal mondo del lavoro e privi di quei sostegni finora messi in campo (mobilità, cig, incentivi all'esodo) che non avrebbero più senso di esistere una volta aperte le vaste praterie del licenziamento per motivi economici, sempre possibile in un paese dove i bilanci sono frutto di lavoro di fervente fantasia creativa (e miliardi all'estero in nero), si ritroverebbero in un limbo sociale pericolosissimo che tra l'altro priverebbe molte famiglie (di "bamboccioni") della certezza di avere almeno un'entrata sicura (e magari un tetto) da parte proprio di quei genitori di precari a vita presso cui gli stessi giovani precari si rifugiano nei momenti di magra. Qui scoppierebbe tutto. Aggiungo, alla notizia del congedo di paternità di... tre giorni (giusto in tema di morte e resurrezione pasquale) che evidentemente non si fa un nuovo welfare con i fichi secchi. Qui è necessario un forte trasferimento di ricchezza, con politiche fiscali, di lotta ad evasione ed economie sommerse (dal letame), verso il lavoro e le imprese (che spendono troppo per stipendi netti ridicoli), mentre i ricchi veri continuano ad accumulare redditi sempre più elevati da trent'anni, a evadere, a fare bilanci falsi, ad affittare in nero, ad esportare illegalmente capitali.

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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda franz il 25/03/2012, 12:25

soloo42001 ha scritto:Grazie del benvenuto franz.

Di fatto non capisco perche` dovremmo amputare tutto.

Non tutto. Alcune cose.
Non capisci il perché? L'ho elencato. 100'000 imprese chiuse, 1 milione di posti di lavoropersi, 2 milioni di precari che in se come volume non sono gravi ma è grave che siano sempre quelli da anni, decenni. precari a 40 anni senza mai essere stati assunti a tempo indeterminato.
Sull'aspi e sull'art 18 attendo di sapere come sarà il testo definitivo prima di formulare giudizi.
Dei giornali non mi fido, dei testi di legge si', se si riesce a capirli (di solito è la parte piu' difficile).
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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda franz il 25/03/2012, 12:32

pianogrande ha scritto:O c'è il motivo economico riconosciuto ed accettato o non c'è.

Cioè ammetti che possano esistere motivi economici che un giudice non accetta ma un imprenditore si?
Quindi ritieni che un motivo economico che non ha l'avvallo di un giudice non è un motivo economico?
Invece no. Ci sono motivi economici che rimagno tali anche se un giudice non li ritene giuridicamente validi e quindi impone un particlare indennizzo.

Una risposta anche a flavio, per il suo interessante contributo sul sistema tedesco.
A me che nel caso di un dipendente che ruba si debba sentire il parere della commissione sindacale interna personalmente pare agghiacciante tuttavia ragionandoci a freddo quello che conta è cosa decide quella commissione. Se difende sempre il ladro (cosa che dubito) allora è grave ma se dà l'OK per il suo licenziamento in tronco (visti i filmati come nel caso Malpensa) allora il problema non si pone. Non parliamo poi dei tantissimi casi in cui uno timbra il cartellino per l'assente. Licenziare l'assente truffaldino e sanzionare chi lo ha coperto mi pare doveroso. Chissà se succedono queste cose in germania?

Sugli aspetti economici mi pare che l'amico intervistato abbia accuratamente evitato di mostrare anche l'altra medaglia dei "non licenziamenti in VW". E cioe' che i lavoratori hanno accettato di non chiedere aumenti salariali. Il che equivale come a chiedere: <<diamo l'aumento del 5% a tutti e se le cose vanno male licenziamo il 5% (o anche di piu' se vanno molto male) di voi tutti oppure niente aumenti e niente licentiamenti ed un bel premio di produzione se ce la facciamo?>>.
Inoltre i lavoratori tedeschi in questi anni hanno accettato notevoli riduzioni degli ammortizzatori sociali, sia come durata della prestazione sia come percentuale della retribuzione sostitutiva. Perché questo si dimentica di raccontarlo?

Proviamo chiedere a quelli della FIOM se accetterebbero quello che hanno accettato i lavoratori tedeschi?
Chiaramente chi volesse il sistema tedesco, tutto e subito, ha un'opzione particolare, per cui sono necessari sacrifici ma che dà immediati vantaggi. Trasferirsi in germania. Si puo' fare anche in Italia, ma anche qui con qualche sacrificio.
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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda flaviomob il 25/03/2012, 14:39

A me che nel caso di un dipendente che ruba si debba sentire il parere della commissione sindacale interna personalmente pare agghiacciante tuttavia ragionandoci a freddo quello che conta è cosa decide quella commissione. Se difende sempre il ladro (cosa che dubito) allora è grave ma se dà l'OK per il suo licenziamento in tronco (visti i filmati come nel caso Malpensa) allora il problema non si pone. Non parliamo poi dei tantissimi casi in cui uno timbra il cartellino per l'assente. Licenziare l'assente truffaldino e sanzionare chi lo ha coperto mi pare doveroso. Chissà se succedono queste cose in germania?


Su questo sono assolutamente d'accordo e ritengo che quei giudici italiani che hanno reintegrato persone disoneste abbiano commesso un errore imperdonabile. Ma è colpa della norma in se' o di un'applicazione sconsiderata?
Impariamo dai tedeschi: la flessibilità in uscita è un aspetto secondario se si concorda un modo per agganciare le retribuzioni alla produttività. In Italia questo sarebbe oro, soprattutto nel campo della pubblica amministrazione (dove peraltro i timbratori contro terzi, visti con i miei occhi, non mancano...)

Comunque, considerare questa riforma "a favore dei precari" è un enorme falso:

http://www.repubblica.it/economia/2012/ ... -32158922/

Precari, quasi un milione esclusi
dall'assegno di disoccupazione
La mini-Aspi si applicherà solo ai lavoratori subordinati, non agli "indipendenti" come i cocopro. Nel documento approvato dal governo c'è soltanto l'impegno a rafforzare le una tantum previste oggi dalla legge


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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda pianogrande il 25/03/2012, 15:01

franz ha scritto:
pianogrande ha scritto:O c'è il motivo economico riconosciuto ed accettato o non c'è.


Cioè ammetti che possano esistere motivi economici che un giudice non accetta ma un imprenditore si?
Quindi ritieni che un motivo economico che non ha l'avvallo di un giudice non è un motivo economico?
Invece no. Ci sono motivi economici che rimagno tali anche se un giudice non li ritene giuridicamente validi e quindi impone un particlare indennizzo.



Franz.
Puoi pensarla come vuoi ma ti faccio osservare che stai mettendo sullo stesso piano l'imprenditore ed il giudice.
Questo non è ammissibile.
L'imprenditore è di parte mentre il giudice è imparziale.
Anche il dipendente è di parte (un piccolo lapsus il fatto che ti sei dimenticato di citarlo?).
Il giudice sentenzia in base a criteri che valgono per tutti.
Per questo esistono i giudici.

Ripeto.
I motivi economici o ci sono o non ci sono.
E questo in base a parametri oggettivi e codificati e prescindendo dalle posizioni più o meno fantasiose o truffaldine o onestissime delle parti in causa.
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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda franz il 25/03/2012, 16:22

pianogrande ha scritto:Puoi pensarla come vuoi ma ti faccio osservare che stai mettendo sullo stesso piano l'imprenditore ed il giudice.
Questo non è ammissibile.
L'imprenditore è di parte mentre il giudice è imparziale.

Credo che siano su piani diversi. Uno decide ui motivazioni economiche ed imprenditoriali. L'altro sulla base della legge. L'impreneditore ha la responsabilità di un'azienda di 100 persone, cosa che il giudice non ha.
L'imprenditore per finanziare l'azienda ci ha messo decine di milioni suoi e forse altrettanti se li è fatti prestare (e deve renderli con gli interessi nel momento atteso).

I piani sono diversi ma devono bilanciarsi e rispettarsi. Il giudice sarà imparziale (in teoria si', in pratica nelle cause di lavoro quando vedo i casi che ho riassunto mi vengono molti dubbi, anche perché ne conosco qualcuno e sono che sono ideologicamente schierati) ma in fondo ubbidisce alla legge. La quale legge è la cosa che vogliamo cambiare. O almeno i riformisti vorrebbero farlo, i conservatori per definizione invece no.
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Re: Riforma del lavoro. Tutti d'accordo tranne la CGIL

Messaggioda franz il 25/03/2012, 16:30

flaviomob ha scritto:Su questo sono assolutamente d'accordo e ritengo che quei giudici italiani che hanno reintegrato persone disoneste abbiano commesso un errore imperdonabile. Ma è colpa della norma in se' o di un'applicazione sconsiderata?
Impariamo dai tedeschi: la flessibilità in uscita è un aspetto secondario se si concorda un modo per agganciare le retribuzioni alla produttività. In Italia questo sarebbe oro, soprattutto nel campo della pubblica amministrazione (dove peraltro i timbratori contro terzi, visti con i miei occhi, non mancano...)

Sui precari. Assumerli come tali sarà piuù oneroso (1.4%) ma l'onere verrà scontato (reso) appena vengono assunti a tempo indeterminato. E qui hanno gli ammortizzatori come gli altri.
Sono contento che tu sia d'accordo (e per passate discussioni lo sapevo, sotto sotto).
Colpa della norma o dell'applicazione? Domanda difficlilissima.
Sai che io sono un appassionato della teoria dei giochi (nel senso di games theory). Quindi so che il comportamento del giocatore (eristica) è determinato dalle regole. E qui ci metto ditta e lavoratore al 90% ma anche il giudice, al 10%.
Se il risultato non piace, si cambiano le regole. Nessuno gioca a scacchi usando le strategie che fanno vincere a dama, o viceversa. Se vuoi che gli attori del sistema si comportino meglio, cambi le regole.

È la base (secondo me) del riformismo.


Altri preferiscono fare la tiratina d'orecchi o la reprimenda morale ("non si fa così!!!!!!!!!").

Ma è moralismo, non riformismo.
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