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Economist: TAV, la rapina

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda franz il 15/03/2012, 14:50

Bene, fatta la battuta, tutti felici, contenti e appagati.

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Ma meglio cosi' che la violenza.
Quindi viva il gelato.
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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda matthelm il 15/03/2012, 17:23

lucameni ha scritto:Ci sono obiezioni, tecniche, giuridiche (si vedano le riforme imbastite fin dagli anni '90, le bufale sui subappalti e i limiti della legislazione antimafia), fattuali. A queste, se ci sono argomenti, si può rispondere punto su punto. Lo facciano e non si limitino agli editoriali con ditino alzato (e privi di contenuti) che altrimenit di libri di Calafati ne potrebbero scrivere a decine. Evitiamo. Che mostrino le loro solide argomentazioni. Ma sul serio e non ricicciando sofismi e escamotage dialettici (con tanto menefreghismo incluso)


Luca ci sono obiezioni, tecniche, giuridiche, fattuali... da tutte e due le parti. Rispondere punto su punto a che cosa? Non c'è nessuna controrisposta a chi non la vuol ascoltare ed ha già sposato tesi. Evitiamo.
Chi di dovere l'ha già fatto da anni ma ci sarà sempre qualcuno che non sentirà ragione. Come la pensano chi è favorevole alla Tav è stato scritto su libri ed è concorde la maggioranza dei valsusini e dei suoi rappresentanti. Naturalmente non basta.
Il menefreghismo cosa c'entra? Per essere interessati bisogna essere contro?
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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda annalu il 15/03/2012, 20:34

flaviomob ha scritto:cosa che Annalu non ha ritenuto di prendersi la briga di fare

Scusa Flavio, intervengo solo per dire che ti leggo. Sì, è vero, sono intervenuta di fretta, andando a memoria.
Del resto, i dibattiti "dotti" li conducete benissimo voi, non vedo cosa potrei aggiungere di nuovo.
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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda lucameni il 15/03/2012, 21:12

A fronte di "armamentario", per giustificare una simile affermazione, si risponde punto punto nel merito, tecnico, giuridico e possibilmente nè inventando balle tirate fuori da editoriali che non spiegano alcunchè, nè usando pseudoargomenti che sono puri sofismi.
Chi è tanto sicuro delle sue idee, vuol dire che ha tutte quelle conoscenze per replicare punto punto.
Lo si faccia e allora avrete soddisfazione dei "cavernicoli", compresi Settis, Cicconi e quant'altri.
MI si replichi in merito all'architettura finanziaria e giuridica scaturita dal sistema grandi opere e mi metterò zitto.
Ma se vi limiterete al mantra del "si fa perchè si deve fare" o citando quel tipo di Europa o qualche politico interessato all'abbuffata, ci assicuro che la cosa funzionerà poco.
Comunque ci sarebbe davvero da mettersi a ridere.
A parte gli aspetti ecologici, qui spesso bypassati per mero menefreghismo, qui si parla di affidamenti assurdi per la P.A. e lo Stato, privi di logica di mercato. E cosa succede? I presunti liberali all'italiana (più interessati a foraggiarsi che a fare i liberali) difendono a spada tratta un sistema che è contro qualsiasi logica di mercato (in soldoni la concessione di committenza che fa lievitare costi a dismisura: un "bel" bel sistema che ha ovviato al passo falso avvenuto durante mani pulite e così evitando di mettere in mezzo fattispecie corruttive a vantaggio della truffa e del "semplice" danno all'erario) mentre i cosiddetti massimalisti, che magari sono contro a prescindere perchè davvero hanno in testa Marx, di fatto vanno contro un'opera e un sistema che è contro quel mercato che loro accusano essere responsabile di ogni nefandezza.
E i "moderati riformisti"?
Si attizzano per le veline della nostra disastrata informazione e la cosa finisce lì tra certezze indistruttibili tipo "si fa perchè si deve fare", perchè lo vuole il progresso e via e via.
Si siamo proprio in Italia e il berlusconismo, inteso come superficialità e compiacimento della propria ed altrui disinformazione, è più vivo che mai.
Amen.
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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda matthelm il 15/03/2012, 21:43

Mi si creda non ho tutte quelle caratteristiche richieste per questo argomento. D'altra parte per discutere di qualsiasi tema in un libero forum non è necessario esibire medagliette, finte o vere che siano, perché un concetto un parere politico abbisogna di dati e di molti altri ingredienti per formarsi.
Di pezze giustificative se ne possono portare pro o contro fin che si vuole poi entrano in ballo altre valutazioni ed ognuno si forma una propria motivazione.
Il mio parere si è formato così e l'ho espresso chiaramente ed altre opzioni non hanno avuto il mio consenso perché scarsamente o demagogicamente motivate. Naturalmente per mia incapacità di valutazione.
Per aggravare la mia posizione debbo onestamente aggiungere che un ruolo non marginale l'hanno assunto alcuni sostenitori della no-tav che hanno ricordato posizioni non propriamente equilibrate da me paragonate, quale imperdonabile errore!, a certi movimenti qualunquisti o forse poujadisti verso i quali non ho mai manifestato grande simpatia.
Che ci vuol fare sono fatto così.
Mi salverò dal non essere identificato come partecipe della grande abbuffata?
Prego mattina e sera di non cadere dal berlusconismo al qualunquismo di pietrista o peggio grillista. Confido.
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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda flaviomob il 16/03/2012, 2:18

Io non riesco a capire. Eurotunnel, realizzato da privati, costo zero per lo Stato, va bene per i francesi e gl'inglesi. Da noi no. Deve pagare Pantalone. L'Italia è più avanti di tutti questi bei paesi bolscevichi!
Le linee potrebbero essere costruite da privati e poi aperte, a canone, alla concorrenza. Già oggi esiste un canone per l'utilizzo delle linee ad alta velocità, che tra l'altro è il più alto d'Europa...

(Ndr Comunque il gelato lo preferisco affogato nella grappa, o nel mirto!) :P


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Anche alla FIOM qualcuno si dissocia

Messaggioda franz il 16/03/2012, 9:11

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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda flaviomob il 16/03/2012, 14:10



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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda lucameni il 17/03/2012, 11:38

La Tav in Val di Susa e le new town dell’Aquila


di Salvatore Settis, da Repubblica, 16 marzo 2012

Che cos'hanno in comune la Tav in Val di Susa e le new towns berlusconiane che assediano L'Aquila dopo il terremoto? Che cosa unisce l'autostrada tirrenica e il "piano casa" che devasta le città? Finanziatori e appaltatori, banche e imprese sono spesso gli stessi, anche se amano cambiare etichetta creando raggruppamenti di imprese, controllate, partecipate, banche d'affari e d'investimento. E sempre gli stessi, non cessa di ricordarcelo Roberto Saviano, sono i canali per il riciclaggio del denaro sporco delle mafie. Ma queste lobbies, che senza tregua promuovono i propri affari, non mieterebbero tante vittorie senza la connivenza della politica e il silenzio dell'opinione pubblica. Espulso dall'orizzonte del discorso è invece il terzo incomodo: il pubblico interesse, i valori della legalità.

Se questo è il gorgo che ci sta ingoiando, è perché l'Italia da decenni è vittima e ostaggio di un pensiero unico, spacciato per ineluttabile. Un unico modello di sviluppo, una stessa retorica della crescita senza fine governano le "grandi opere", la nuova urbanizzazione e la speculazione edilizia che spalma di cemento l'intero Paese. Ma su questa idea di crescita grava un gigantesco malinteso. Dovremmo perseguire solo lo sviluppo che coincida col bene comune, generando stabili benefici ai cittadini. E' invalsa invece la pessima abitudine di chiamare "sviluppo" ogni opera, pubblica o privata, che produca profitti delle imprese, anche a costo di devastare il territorio. Si scambia in tal modo il mezzo per il fine, e in nome della "crescita" si sdogana qualsiasi progetto, anche i peggiori, senza nemmeno degnarsi di mostrarne la pubblica utilità.

A giustificare questa deriva si adducono due argomenti. Il primo è che la redditività delle "grandi opere" è provata dall'impegno finanziario dei privati; ma si è ben visto (Corte dei conti sulla Tav) che il project financing è uno specchietto per le allodole. Una volta approvato il progetto, i finanziatori spariscono e subentrano fondi statali, accrescendo il debito pubblico. Il secondo argomento, la creazione di posti di lavoro, è inquinato da un meccanismo "a piramide" di appalti e subappalti, tanto più inesorabile quanto più grandi siano le imprese coinvolte e le relative "opere". Nessuno, intanto, si chiede se non vi siano altri modi di creare o salvaguardare l'occupazione. La Legge Obiettivo del governo Berlusconi, ha scritto Maria Rosa Vittadini, «ha trasformato il paese in un immenso campo di scorribanda per cordate di interessi mosse dal puro scopo di accaparrarsi risorse pubbliche. Un numero imbarazzante di infrastrutture (oltre 300) è stato etichettato come "opera di preminente interesse nazionale" e come tale ha ricevuto incaute promesse di finanziamento da parte del Cipe. Si tratta di una impressionante congerie di infrastrutture prive di qualunque disegno "di sistema" nazionale, di qualunque valutazione d'insieme, di qualunque ordine di priorità».

Questo è il modello di sviluppo dominante negli ultimi decenni, questa la spirale negativa che ci ha condotto alla crisi che attraversiamo. Ma per reagire alla crisi ci vien suggerita una cura omeopatica, a base di ulteriore cemento. Ci lasciamo dietro, intanto, una scia di rovine, nel paesaggio e nella società. Le new towns dell'Aquila si fanno a prezzo di abbandonarne il pregevole centro storico, ridotto a una Pompei del secolo XXI; il passante Tav di Firenze, costosissima variante sotterranea di un assai migliore percorso di superficie, viene scavato sotto la città senza le dovute certezze sul rischio strutturale e sismico. In Val di Susa, l'irrigidirsi del governo sta provocando una crescente sfiducia nelle istituzioni, certo non temperata dalle "risposte" pubblicate sul sito di Palazzo Chigi. Esse lasciano in ombra troppi punti importanti: per esempio il recentissimo ammodernamento della già esistente galleria del Fréjus, costato mezzo miliardo di euro; per esempio gli alti rischi di dissesto idrogeologico (come già accaduto nella tratta Bologna-Firenze); per esempio la reticenza sullo smaltimento dello smarino amiantifero e sui danni alla salute da dispersione delle polveri sottili.

O ancora l'azzardata asserzione che «le tratte in superficie si collocano in aree già compromesse». Ma il vero capolavoro di questa artefatta verità è in una frasetta: «Si può dire che il consumo del suolo dell'opera assuma una rilevanza minima se confrontato con i dati del consumo edilizio e urbanistico dei comuni della Val di Susa nel periodo 2000-2006». Complimenti: lo scellerato consumo di suolo da parte dei Comuni non è dunque, per chi ci governa, un errore da stigmatizzare e correggere, bensì una scusante per martoriare ulteriormente la valle. A ragione un recente convegno a Firenze, organizzato da Italia Nostra, si è chiesto se le "grandi opere" siano causa o effetto della crisi economica. Ma una cosa è certa: non ne sono la cura.

Perché un modello di finto sviluppo come questo ha tanta solidità da esser condiviso da governi d'ogni sorta? La forza d'urto delle lobbies e dei loro affari è essenziale ma non basta. La dominanza di una fallimentare idea di crescita è il rovescio e l'identico della drammatica incapacità di immaginare per il Paese un modello alternativo di sviluppo, che vinca il muro contro muro delle opposte retoriche della "crescita" e della "de-crescita". E l'assenza di un progetto per l'Italia del futuro è insieme causa ed effetto della crisi della politica, della fiducia nei partiti scesa sotto l'8%, della somiglianza fra non-progetti "di destra" e non-progetti "di sinistra".

Ma è proprio impossibile immaginare un'Italia ancora capace di vera innovazione, e non solo di cementificazione? Fra finta crescita e de-crescita, esiste una terza strada: una crescita vera, incentrata sull'utilità sociale e non sui profitti di banche e imprese. Ne esiste, anzi, persino il progetto, che governanti e politici amano dimenticare. Si chiama Costituzione. Ma per una vera crescita nella legalità e nello spirito della Costituzione, cioè del bene comune, è necessario investire prioritariamente in cultura e non in ponti sullo Stretto, in ricerca e non in incentivi alle imprese che disseminano pale eoliche in valli senza vento, nella scuola e non nei tunnel. È tempo di trasformare in manifesto e progetto quell'"imperativo ecologico" di cui parlava Hans Jonas: di ridare all'Italia un futuro degno della sua storia.

(16 marzo 2012)
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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda flaviomob il 17/03/2012, 14:10

L'alternativa del progetto F.A.R.E. (2008)


Il progetto alternativo "FARE" procede per fasi, ciascuna delle quali da realizzare se la fase precedente raggiunge gli obiettivi di traffico. Inoltre parte da Torino anziché dal tunnel di base, al contrario del progetto LTF.
Nel 2006, con la creazione dell'"Osservatorio", il discorso sembra spostarsi sull'analisi dei dati reali di traffico. Tuttavia, l'Osservatorio dà atto del drastico calo del traffico merci, ma si adegua comunque al modello previsionale di LTF che, come detto in precedenza, ipotizza lo stesso un grande aumento del traffico merci, posticipandolo solo di qualche anno (si veda il grafico del traffico più sopra).
Pertanto - in parallelo e poi soprattutto a valle dei lavori dell'Osservatorio, le cui conclusioni sfociano nel progetto 2010 di LTF - i tecnici della Comunità Montana, dei Comuni della Val di Susa e di quelli della zona nord - nord/ovest di Torino, propongono nel 2008 il progetto alternativo "F.A.R.E." (Ferrovie Alpine Ragionevoli ed Efficienti). Esso si propone, sulla base dei risultati scaturiti dall'Osservatorio stesso, di ipotizzare un più realistico scenario di sviluppo della ferrovia Torino-Lione, non opponendosi ma cercando di verificarne la necessità, tratta per tratta, sulla base del traffico che ragionevolmente è lecito attendersi.
Poiché secondo LTF la linea storica rischia di essere presto satura, il progetto FARE accetta tale ipotesi (peraltro finora dimostratasi del tutto ingiustificata) ma si basa su tre punti:
le diverse tratte (metropolitana, bassa valle, alta valle e valico) non si saturano tutte contemporaneamente, ma una alla volta e a catena, una in conseguenza della saturazione di quella precedente;
vanno quindi realizzate prima le opere più urgenti, cioè su quei tratti che prima dovrebbero arrivare a saturazione, e solo dopo i tratti successivi;
la linea deve avere caratteristiche ragionevoli per quanto riguarda pendenza (~15‰), velocità (160–180 km/h), curvature (raggio min 1500 m), senza giungere agli inutili e costosi eccessi del progetto LTF.
Secondo il progetto FARE, poiché dallo stesso Osservatorio emerge che la prima tratta a saturarsi è quella di Torino e non il tunnel Italia-Francia, ne consegue che la prima tratta su cui intervenire è quella cittadina; solo dopo se necessario si deve intervenire risalendo la val di Susa. L'ultimo tratto a saturarsi sarebbe il valico internazionale, quindi il tunnel di base dovrebbe essere l'ultima opera da realizzarsi, solo se le previsioni di LTF dessero l'impressione di potersi avverare. In pratica il progetto FARE si svolgerebbe "al contrario" di quello LTF, che invece parte proprio dal tunnel di base e poi "scende" verso Torino.
Inoltre, il progetto FARE non è "alta velocità" ma adotta le più economiche caratteristiche di linea tradizionale (come parrebbe intenzionata a fare la Francia separando AV e trasporto merci), quindi con requisiti tecnici meno impattanti (raggi di curvatura più stretti, gallerie dalla sezione inferiore, armamento e binari più leggeri ecc.), e risparmi economici sia nella costruzione sia nella gestione/manutenzione.
I promotori del progetto FARE sostengono quindi che tale modalità di procedere:
sia meno impattante, perché rinuncia a standard (la nuova linea non è AV) che comporterebbero elevati impatti ambientali e finanziari;
sia più efficiente, perché consente di realizzare prima le opere più necessarie e utilizzarle subito senza attendere il completamento di tutta la tratta, consentendo un miglioramento rapido anche dei servizi pendolari attorno a Torino;
sia meno costosa, perché limita i tratti in galleria e consente di posticipare molti degli oneri più rilevanti, limitando inutili esposizioni finanziarie verso le banche;
sia più prudente, perché procedendo per fasi consente di seguire l’effettivo andamento del traffico anche in funzione di eventi oggi imprevedibili (calo o stagnazione del PIL, aumento del petrolio ecc), senza scommettere su un futuro di crescita infinita dei traffici;
sia più efficace, perché sottopone gli operatori ferroviari a verifiche più costanti sull’intero esercizio del sistema, introducendo incentivi per un utilizzo efficace delle infrastrutture esistenti.
Il progetto FARE è stato incluso fra gli studi riportati nell'ultimo Quaderno (il 7°) dell'Osservatorio, ma non è stato preso in considerazione da LTF per il progetto preliminare 2010.

http://it.wikipedia.org/wiki/Progetto_d ... rino-Lione


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