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La Serbia fa il pieno di imprese italiane

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La Serbia fa il pieno di imprese italiane

Messaggioda franz il 14/03/2012, 9:03

La Serbia fa il pieno di imprese italiane
investimenti per due miliardi in 10 anni


Fiat, Intesa San Paolo, Generali e Fondiaria. Sono i quattro principali big player italiani che fanno affari dall'altra parte dell'Adriatico. Ma le nostre aziende che operano nei Balcani sono oltre 400. Le fonti non ufficiali parlano addirittura di 1.100. I settori più in espansione sono l'automobilistico, il bancario, il tessile e l'assicurativo. Il business impiega 20mila i dipendenti e muove 2,5 miliardi di euro annui

BELGRADO - "Un censimento ufficiale delle aziende italiane presenti in Serbia non esiste". Le istituzioni del nostro Paese che operano nella zona (ex Ice - Camera di Commercio Italo-Serba) lo ammettono con grande onestà. Anche perché, ci dicono, stilare una statistica del genere competerebbe agli omologhi serbi. E la conferma arriva sfogliando i bollettini del settore, che oscillano sensibilmente tra un minimo di 200 e un massimo di 500 compagnie italiane attive in Serbia. Una delle ragioni di questa variabilità dipende sicuramente dalla quota detenuta: che si tratti di semplici partecipazioni o di reali maggioranze. Chi ha provato (ufficiosamente) a fare un conto globale riferisce, addirittura, di 1.100 aziende registrate in Serbia in cui è presente, a vario titolo, capitale italiano. Proviamo, in questa panoramica, ad attenerci ai numeri che ci fornisce la Siepa (Serbia Investment and Export Agency), durante la nostra visita a Belgrado.

Due miliardi di euro di investimenti. Secondo gli ultimi dati dell'agenzia governativa, il valore complessivo degli investimenti provenienti dal nostro Paese negli ultimi 10 anni (e in netta crescita dal 2006) è superiore ai due miliardi di euro (su un totale di investimenti stranieri di 19,5), sommando anche progetti in corso d'opera e non interamente contabilizzati. Quattro big player da soli mettono assieme 1,5 miliardi: Fiat, Intesa San Paolo, Generali e Fondiaria. In totale, sempre secondo l'ente governativo serbo, sono più di 400 le compagnie italiane che operano nel Paese, impiegando poco più di 20mila dipendenti e generando un giro d'affari stimabile in 2,5 miliardi di euro annui.

Secondi per valore complessivo e numero di progetti. Il trend degli ultimi anni dice che il numero di aziende italiane che hanno deciso di internazionalizzare in Serbia è triplicato. In uno studio comparato (Fonte Siepa) nel decennio 2001/2011, l'Italia come paese investitore figura al secondo posto per valore complessivo, dietro l'Austria, con una quota dell'11,1%. Stessa posizione anche per numero di progetti (con il 14%). Così anche il volume di scambi commerciali tra di loro si è rafforzato: il nostro Paese globalmente nel 2011 è stato il terzo partner della Serbia, il secondo (dietro la Germania), considerando soltanto l'export. Analizzando la presenza nei vari settori per numero di imprese attive, la fetta principale, più di un terzo, spetta a tessile e abbigliamento (36,60%), seguito da metallurgia (12,20%), finanza (9,80%) e automotive (9,80%).

Più di un terzo nel tessile. Nell'industria della maglieria e dell'intimo tra i nomi di maggior peso si segnalano Pompea, Golden Lady, Benetton e Calzedonia. Proprio il gruppo di Sandro Veronesi, presidente di Calzedonia, ha inaugurato, a settembre 2010, la sua seconda fabbrica a Sombor in Vojvodina, che a pieno regime dovrebbe impiegare 700 nuovi dipendenti (al momento in cui la visitiamo sono circa 500). Mentre, a novembre 2011, è stata annunciata la creazione del terzo sito produttivo, a Subotica (20 milioni di euro di investimento per mille posti di lavoro). Quanto a Pompea, a febbraio 2011 il Governo serbo ha sottoscritto con l'azienda, a Zrenjanin, un contratto che prevede incentivi per 1,5 milioni di euro per 300 nuovi assunti. Attesa in questo 2012 per l'avvio, a Nis, della produzione di Benetton, che ha rilevato l'azienda locale Nitex, con un investimento di circa 43 milioni di euro, che dovrebbe portare all'assunzione di 2.700 lavoratori.

Banche e assicurazioni di casa nostra. Con i suoi 3.000 dipendenti e una rete di 207 filiali Intesa-San Paolo è la prima banca della Serbia. Assieme a Unicredit (940 dipendenti per 71 filiali) possono contare oggi su una quota di mercato di circa il 25% del settore. Un valore che sale addirittura al 44% nelle assicurazioni, grazie alle acquisizioni fatte tra il 2006 e il 2007 dal Gruppo Generali e da Fondiaria-Sai.

Fiat. Con un progetto contabilizzato dalla Banca Europea degli Investimenti in un miliardo e 86 milioni di euro (di cui 500 milioni già finanziati con la firma del 16 maggio 2011) la creazione di Fas (Fiat automobili Serbia), al 67% proprietà della Fiat e al 33% dello Stato Serbo, è l'operazione industriale più importante conclusa in Serbia negli ultimi anni. Gli accordi siglati e perfezionati tra il 2008 e il 2009 hanno portato all'acquisizione da parte della nuova società degli impianti Zastava di Kragujevac e prevedono a pieno regime l'occupazione di una forza lavoro pari a 2.600 addetti: attualmente sono 1.100. A questi andranno aggiunti quelli delle aziende dell'indotto che sono in allestimento nella zona dell'ex caserma militare di Grosnica. Oltre ai noti investimenti di Iveco (che detiene il 30% di Zastava Kamioni) e Magneti Marelli (accordo di maggio 2010 con il governo serbo), nel 2011 hanno dato il via ai lavori Johnson Controls, Proma, Sigit e HT&L fitting.

Gli altri. Altri nomi italiani di rilievo in Serbia sono Progetti Ad nel calzaturiero, Stg nell'acciaio, Fantoni nel legno-arredamento, Fantini e Ferrariplast nelle costruzioni e prodotti per l'edilizia, Amadori nell'agro-industria, Applicazioni Elettriche Generali nell'elettromeccanica, Dytech nella componentistica per auto, Mondadori e Giunti nell'editoria.

12 marzo 2012
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Re: La Serbia fa il pieno di imprese italiane

Messaggioda franz il 14/03/2012, 9:07

Fiat e Benetton alla conquista dei balcani
Viaggio nei distretti del "made in Serbia"


A Kragujevac, nella Mirafiori della ex Jugoslavia dove si produceva la Zastava, la Fiat scommette sulla rinascita del settore automobilistico dando vita a una joint venture con lo Stato, che ha messo sul piatto oltre un miliardo di euro. A Nis, l’area industriale più importante della Serbia meridionale, sbarca Benetton acquistando gli stabilimenti della Nitex
NIS e KRAGUJEVAC – A bordo di un'auto noleggiata da un privato, in condizioni tutt'altro che rassicuranti, partiamo da Belgrado verso il Sud della Serbia: destinazione Nis, la terza città più grande del Paese. Accompagnati dalla neve che imbianca tutto il paesaggio circostante percorriamo l’autostrada che dalla capitale arriva fino a Salonicco (Grecia). Dopo oltre 250 chilometri, non troppo trafficati, arriva la sorpresa finale: il navigatore non funziona. O meglio è sprovvisto di qualsiasi indirizzo di ogni città serba. Non è facile quindi trovare la via dove è situato lo stabilimento Benetton e le scritte in cirillico non aiutano. Ci salvano due ragazze del posto che, fermate per avere delle indicazioni, si offrono di accompagnarci. In macchina ci raccontano, in un mix di inglese e spagnolo, di aver visitato l’Italia lo scorso anno e di essersi innamorate di Roma e Venezia.

Il nuovo stabilimento Benetton. L’ex azienda tessile Nitex, dove sorgerà la fabbrica del gruppo veneto, si trova fra la via Pantelejska e il fiume Nisava, in pieno centro abitato. L’ambientazione ricorda i siti industriali del Nord Italia negli anni Sessanta: circondati dalle case degli operai, palazzoni dormitorio ingrigiti dal tempo che rendono la giornata nuvolosa ancora più cupa. Al nostro arrivo incappiamo nel fine turno, con alcune decine di operaie che escono dallo stabilimento. “La città attende con ansia che riparta la produzione – ci ha confidato un commerciante del posto – anche se abbiamo saputo che bisogna ancora aspettare un po’ per la formazione degli operai, ci saranno tanti nuovi posti di lavoro”. Attesa e speranza sembrano essere le parole d’ordine che accomunano la popolazione locale, ma che ritroviamo anche lungo tutto il nostro viaggio serbo: dal Nord al Sud del Paese.

Investimenti e incentivi. La multinazionale italiana ha firmato, il 31 gennaio 2011, un primo accordo con le autorità cittadine di Nis e il ministero dell’Economia serbo che prevede un investimento di 43,2 milioni di euro e l’assunzione di 2.700 dipendenti nei prossimi quattro anni. Un secondo step operativo è stato poi sottoscritto il 31 maggio 2011. Secondo i dati della Camera di commercio italo-serba, “il governo darà un incentivo di 9mila euro per ogni lavoratore assunto e la città di Nis istituirà una zona franca per farvi rientrare anche gli attuali stabilimenti della Nitex”.

La Mirafiori della ex Jugoslavia. A metà strada fra Nis e Belgrado c’è Kragujevac, la città della Zastava, fiore all’occhiello della meccanica automobilistica nella ex Jugoslavia. Da quando nel 2008 la Fiat ha deciso di rilevare i vecchi stabilimenti, una ventata di italianità ha iniziato a soffiare in tutta la zona. Dalla cucina allo sport, in tanti vogliono conoscere qualcosa in più dell’Italia, lingua compresa. “Prima dell’arrivo di Fiat – ha spiegato sorridendo il direttore della radio-televisione di Kragujevac, Branco Vuckovic – seguivamo tantissimo la premier league (campionato calcistico inglese, ndr), oggi invece tutti tifiamo per le squadre italiane”. Ad onor del vero, possiamo testimoniare che in quei giorni la tv serba ha trasmesso in diretta la partita di Champions: Napoli–Chelsea.

Il legame con il Lingotto è tuttavia antico. Risale agli anni Cinquanta la prima collaborazione fra le due aziende quando la Zastava, che produceva allora solo armi, decise di puntare sul settore automobilistico, dei camion e dei mezzi agricoli. Una storia andata avanti fino al 2006-2007 quando la fabbrica collassò sotto il peso di quindici anni di crisi, seguita alla dissoluzione della Jugoslavia. Lo stabilimento, considerato obiettivo militare per un settore dedicato alle armi, conobbe anche le bombe della Nato nella guerra del ’99. Furono gli stessi operai che lo ricostruirono e gli diedero un tetto alla fine del 2000. Parlare di Zastava a Kragujevac è come parlare di pecorino fra le montagne della Barbagia (Sardegna): tutti hanno qualcosa da raccontare poiché, dicono, fa parte del loro dna.

La nascita di Fas (Fiat automobili Serbia), controllata al 67% dall’azienda torinese e al 33% dallo Stato serbo, prevede un investimento di 1 miliardo e 86 milioni di euro (secondo i dati della Banca europea degli investimenti, che ne ha finanziato 500 milioni) e l’occupazione di circa 2.600 addetti, quando la produzione sarà a pieno regime. Il calendario di partenza è stato aggiornato nel tempo a causa della crisi globale del settore auto. Lo si vede anche dalle migliaia di Punto (prodotte fino al marzo 2011), che ancora rimangono da vendere, sistemate nei parcheggi della fabbrica. Dalle ultime notizie pare che la produzione del nuovo modello, la 500L, destinata al mercato europeo e americano, dovrebbe decollare fra alcuni mesi. “In questo momento – ha spiegato Zoran Mihailovic, storico sindacalista della Zastava – sono impiegati 1.100 operai, in buona parte riassorbiti dalla vecchia azienda, e in circa 300 partiranno presto per un periodo di formazione in Polonia o a Torino”. Sempre secondo il sindacalista, “ad oggi sono state assemblate 200 auto del nuovo modello, con pezzi che arrivano soprattutto da fuori, poiché sono ancora in corso i lavori di allestimento degli impianti e l’indotto stenta ad arrivare”. Il ritardo sulla tabella di marcia “sarebbe di almeno 4 mesi”, mentre in tanti sperano di vincere la lotteria dell’assunzione per portare a casa un salario fra 360 e 400 euro.

Si lavora anche di sabato pomeriggio. Prima di partire per la Serbia avevamo chiesto, presso la sede Fiat di Belgrado, di poter visitare gli stabilimenti di Kragujevac o di poter parlare con un loro rappresentante. Tuttavia anche di persona, Iva Juric dell’ufficio stampa Fiat nella capitale, ci ha spiegato che non era possibile, vista l’imminente presentazione della 500L al salone dell’auto di Ginevra (avvenuta poi lo scorso 6 marzo, ndr.). “È una procedura globale dell’azienda – ha detto Juric – solo l’amministratore delegato, Sergio Marchionne, parla in questo momento con la stampa”. Dal ponte che porta verso l’entrata principale dello stabilimento si rimane a bocca aperta per l’imponenza della fabbrica. Lo stesso accade se su Google maps si fa una panoramica satellitare della città di Kragujevac. Arriviamo di sabato pomeriggio e il via vai dei camion, degli escavatori che smuovono la terra e dei tanti operai impegnati a picchettare o sistemare le recinzioni rende l’idea che si lavori a pieno regime. Basta spostarsi a meno di un chilometro, verso la zona franca dedicata all’indotto situata nell’ex caserma militare di Grosnica, per notare che il copione non cambia, con operai e mezzi in movimento.

L’investimento Fas alimenta i sogni di progresso non solo di un’intera città, ma di tutto il Paese. Non a caso il presidente serbo, Boris Tadic, ha partecipato di persona, lo scorso 6 marzo a Ginevra, alla presentazione della 500L. Con lui uno stuolo di membri dell’esecutivo, che tanto si è giocato in termini politici, viste le prossime elezioni, nella scommessa Fiat. ''Se potessimo avere dieci investimenti come questo – ha detto Tadic – la Serbia sarebbe un paese del tutto differente, ed è per questo che siamo orientati a continuare in tale direzione''.

12 marzo 2012


Lo speciale: http://inchieste.repubblica.it/it/repub ... ef=HREC1-3
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Re: La Serbia fa il pieno di imprese italiane

Messaggioda Iafran il 14/03/2012, 14:44

Fra queste aziende c'è anche l'Omsa, che ha chiuso lo stabilimento di Faenza licenziando 239 lavoratori.
Il privato va dove ci sono le migliori condizioni "ambientali" per fare impresa, compreso il costo più basso della manodopera.
Il prodotto verrà destinato all'esportazione, non penso che la ditta sia andata in Serbia per il mercato interno (e i prezzi non saranno adeguati agli stipendi serbi).

Se per assurdo si verificasse in tutti gli Stati una corsa al ribasso della manodopera o che tutte le aziende andassero dove essa costa di meno ... i prezzi dei prodotti dovrebbero essere, allora, compatibili con la domanda, e soprattutto con coloro che hanno stipendi medio-bassi (la maggioranza) e quindi le imprese dovrebbero darsi da fare a percorrere gli altri campi (ammodernamento degli impianti, ricerca di nuove strategie produttive, adozione di nuove tecniche ecocompatibili, gestione dei rifiuti industriali, etc.) che, forse, hanno preferito scansare delocalizzando i loro impianti.
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Re: La Serbia fa il pieno di imprese italiane

Messaggioda franz il 14/03/2012, 16:32

Iafran ha scritto:Fra queste aziende c'è anche l'Omsa, che ha chiuso lo stabilimento di Faenza licenziando 239 lavoratori.
Il privato va dove ci sono le migliori condizioni "ambientali" per fare impresa, compreso il costo più basso della manodopera.
Il prodotto verrà destinato all'esportazione, non penso che la ditta sia andata in Serbia per il mercato interno (e i prezzi non saranno adeguati agli stipendi serbi).

Se per assurdo si verificasse in tutti gli Stati una corsa al ribasso della manodopera o che tutte le aziende andassero dove essa costa di meno ... i prezzi dei prodotti dovrebbero essere, allora, compatibili con la domanda, e soprattutto con coloro che hanno stipendi medio-bassi (la maggioranza) e quindi le imprese dovrebbero darsi da fare a percorrere gli altri campi (ammodernamento degli impianti, ricerca di nuove strategie produttive, adozione di nuove tecniche ecocompatibili, gestione dei rifiuti industriali, etc.) che, forse, hanno preferito scansare delocalizzando i loro impianti.

Non mi è chiaro cosa tu intenda con "prezzi compatibili con la domanda". Già la tua impostazione parte premettendo "per assurdo". Io allora rilancio e ti chiedo, metti che, per assurdo, le calze prodotte in serbia siano messe in commercio gratis. Oppure (se gratis ti sembra troppo assurdo) 10 invece di 20. Chi guadagna, chi ci perde?
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Re: La Serbia fa il pieno di imprese italiane

Messaggioda Iafran il 15/03/2012, 10:37

franz ha scritto:Non mi è chiaro cosa tu intenda con "prezzi compatibili con la domanda".

Intendo: i prezzi rapportati alla capacità d'acquisto della maggioranza dei cittadini, quella che (secondo me) godrebbe di "stipendi medio-bassi".
La minore spesa per la retribuzione del personale, senz'altro, è il motivo principale della delocalizzazione delle imprese, ma penso che anche il mancato obbligo verso altri fattori di mercato (ammodernamento degli impianti, ricerca di nuove strategie produttive, adozione di nuove tecniche ecocompatibili, gestione dei rifiuti industriali, etc.) possano spingere su questa scelta e incidere sugli incassi dell'imprenditore (senza considerare le facilitazioni e le incentivazioni dei governi agli investimenti stranieri).
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Re: La Serbia fa il pieno di imprese italiane

Messaggioda franz il 15/03/2012, 11:29

È chiaro che la delocalizzazione consente di abbassare i prezzi ed infatti in Serbia o nei balcani non c'è solo la FIAt, c'è anche la VW ed altre case automobilistiche. E consente anche di fare utili, indispensabili per fare investimenti (visto che le banche non mollano un centesimo).
Ma è anche evidente che non possiamo delocalizzare tutto, perché allora non ci sarebbe il reddito per comprare quanto prodotto all'estero.
Quindi l'Italia deve darsi una mossa (e qualche cosa sta facendo, finalmente).
Siamo in fondo alle graduatorie per produttività, competitività ed efficenza.
Se non risaliamo non solo non arrivano capitali e nuove imprese ma scappano quelle che ci sono.
Tra l'altro alcune scappano pure in Svizzera, il posto piu' caro in cui stare in europa, il che è tutto dire.
http://icrl.wordpress.com/2010/03/15/re ... e-vallese/
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