Editoriale per la Newsletter n. 191, 12 marzo 2012
Il grafico qui sotto confronta i mercati del lavoro dei 14 maggiori Paesi dell’OCSE. A un estremo – in alto a destra – quello statunitense, con i suoi 60 disoccupati su 100 che ogni mese trovano un lavoro e i suoi 4 occupati su 100 che ogni mese lo perdono senza trovarne subito un altro. Nella parte mediana della linea diagonale i Paesi scandinavi, con i loro 30-40 disoccupati su 100 che ogni mese escono da tale condizione e i loro 1,5 occupati su cento che vi entrano (ma per restarci poco). In un angolino in basso a sinistra l’Italia, dove chi è disoccupato ha meno chances che in qualsiasi altro Paese: solo 6 su cento ogni mese riescono a ritrovare un lavoro (e per ogni disoccupato dichiarato e censito ce ne sono altri tre “scoraggiati”, che abbassano drammaticamente il nostro tasso generale di occupazione); mentre per converso anche i (pochi) occupati italiani rischiano meno che in qualsiasi altro Paese di uscire da tale loro condizione.
Se “sinistra” oggi significa costruire l’uguaglianza di opportunità, innanzitutto e soprattutto nel mercato del lavoro, in questa situazione è più “di sinistra” il Governo che si propone di togliere gli outsiders del mercato del lavoro italiano dalla loro condizione disperata, spostando l’Italia verso la parte mediana della diagonale, o chi nella Cgil – e anche nel Pd – sostiene che questa riforma “non è una priorità“?

Fonte: Ocse, 2008 - Sull’asse verticale la percentuale media mensile di passaggi dallo stato di occupazione a quello di disoccupazione sul totale degli occupati; sull’asse orizzontale la percentuale media mensile di passaggi dallo stato di disoccupazione a quello di occupazione, sul totale dei disoccupati
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