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Economist: TAV, la rapina

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda flaviomob il 08/03/2012, 16:15

In Francia, in realtà, stanno riprendendo quota le perplessità delle comunità locali:

http://www.lavoixdesallobroges.org/poli ... lyon-turin


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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda franz il 08/03/2012, 16:22

Essere perplessi è intelligente.
Essere contro a prescindere, no.
Stranamente l'intelligenza sembra essere divisa in parti diseguali al di là dello spartiacque.
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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda flaviomob il 08/03/2012, 19:02



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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda franz il 08/03/2012, 19:14

Il confronto c'è stato anche prima.
Se passasse il messaggio che in democrazia basta un po' di violenza per sparigliare le carte, già decise in anni di confronto ...
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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda flaviomob il 08/03/2012, 19:26

Certo, come la violenza compiuta a danno degli abitanti del Mugello...


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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda franz il 08/03/2012, 19:41

flaviomob ha scritto:Certo, come la violenza compiuta a danno degli abitanti del Mugello...

Il Mugello è il Mugello, il Gottardo è il Gottardo, la ValSusa è la ValSusa.
Non fare di ogni erba un fascio, disse Bob Marley a Mussolini ;)
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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda flaviomob il 09/03/2012, 1:29

Il Mugello è in Italia, il Gottardo no ;)
In Italia, come tutti sanno, si mangia meglio che in qualsiasi altro paese... 8-)


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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda franz il 09/03/2012, 8:38

flaviomob ha scritto:Il Mugello è in Italia, il Gottardo no ;)
In Italia, come tutti sanno, si mangia meglio che in qualsiasi altro paese... 8-)

Allora non facciamo piu' niente e lasciamo l'Italia con le strutture ferroviarie del 1800?
Ok, ai no-global ed ai sostenitori delle decrescita felice questo potrà piacere ma pare che ci sia una maggioranza abbastanza trasversale a favore dell'ammodernamento del paese. Anche se costa.
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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda flaviomob il 09/03/2012, 22:07

E' piuttosto infantile e velleitario riportare tutto alla polarizzazione, che piace tanto a Franz, tra prendere o lasciare: o si fa il tav così o si è no tav comunisti anarchici violenti rivoluzionari e black bloc. La realtà è un poco più complessa di così, tanto che qui su questi schermi nessuno è contro l'AV / AC a prescindere, ma contro le conseguenze di un progetto ben preciso, in condizioni ben precise (tangenti, lievitazione dei costi), con criticità ambientali tragiche. E dato che spendono soldi nostri, abbiamo ben diritto di farci sentire!

---

Tav – Corte dei Conti: “Costi assurdi” (Paolo M. Ruggero).

COSTI SPROPOSITATI E SPRECHI: QUANTO È CARA LA VELOCITÀ

Una relazione della Corte dei Conti sulla linea Torino-Milano-Napoli.
Dodici miliardi e 950 milioni di euro. È il passivo che lo Stato ha dovuto iscrivere a bilancio per coprire i debiti realizzati dalla costruzione della linea Alta velocità Torino-Milano-Napoli. Un buco a carico di tutti gli italiani frutto di un dannoso intreccio di politica assente e di imprenditoria parassitaria. È quanto emerge dalle “Risultanze del controllo sulla gestione dei debiti accollati al bilancio dello Stato contratti da FF.SS., Rfi, Tav e Ispa per infrastrutture ferroviarie e per la realizzazione del sistema Alta velocità”, 58 pagine di istruttoria della Corte dei Conti firmate nel 2008 dai giudici Aldo Carosi e Fabio Viola, tornate oggi (inevitabilmente) di stretta attualità. Non un atto d’accusa all’Alta velocità in sé, ma alle operazioni finanziarie e ai soggetti pubblici e privati che l’hanno così (male) realizzata: “Il progetto – scrivono infatti i giudici contabili – può ritenersi accettabile in relazione all’indubbia strategicità dei fini in esso contenuti, ma deve essere accompagnato da una realistica analisi dinamica della copertura economica. Diversamente non poteva che verificarsi un onere rilevantissimo per la finanza pubblica, come avvenuto nel caso di specie”.

I quasi 13 milioni di debito che gli italiani hanno dovuto accollarsi nascono dal fallimento del famigerato sistema del project finance promosso dall’ormai disciolta Infrastrutture Spa, azienda a capitale pubblico istituita nel 2002 su impulso dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Il project financing, ossia la realizzazione di opere pubbliche senza (in teoria) oneri finanziari per la pubblica amministrazione, si è rivelata una bufala colossale.
In pratica per gli investimenti sul Tav (che avrebbe dovuto essere finanziata dai privati) si è aperta negli anni una colossale linea di credito (garantita però dallo Stato, azionista di Infrastrutture Spa) che avrebbe dovuto essere compensata dai ricavi prodotti dalla nuova ferrovia. Compensazioni, tuttavia, basate su “previsioni molto ottimistiche” di traffico e di ricavi, per di più “proiettate – si legge – su tempi di lunga durata (un cinquantennio circa) nel corso del quale molte variabili esterne alle volontà e ai comportamenti del gestore dell’infrastruttura, delle imprese ferroviarie e degli stessi poteri pubblici nazionali e sovranazionali, possono influenzare positivamente o negativamente i risultati ipotizzati”. Il tutto, sempre secondo i giudici della Corte dei Conti, è potuto avvenire a causa di una “carente istruttoria, che condusse ad adottare uno strumento di finanza innovativa” senza “nessuno studio di fattibilità attendibile che avesse quantificato la vantaggiosità di tale operazione rispetto al sistema creditizio tradizionale per realizzare gli investimenti”.
In pratica lo Stato italiano si è pesantemente indebitato per realizzare un’opera violando i più elementari criteri di trasparenza ed economicità. Un debito, tuttavia, che il nostro Paese (grazie alla “innovativa” architettura finanziaria del project finance) teneva fuori dai conti pubblici. L’Europa se ne è accorta durante una procedura d’infrazione e ha imposto al governo italiano di rimediare. È nato così il comma 966 della Finanziaria 2007 (governo Prodi) secondo cui “gli oneri per capitale ed interessi dei titoli emessi e dei mutui contratti da Infrastrutture Spa fino alla data del 31 dicembre 2005 per il finanziamento degli investimenti e per la realizzazione della infrastruttura ferroviaria ad alta velocità ‘Torino-Milano-Napoli’, nonché gli oneri delle relative operazioni di copertura sono assunti direttamente a carico del bilancio dello Stato”.
Un atto d’accusa, quello dei giudici contabili, verso la politica e verso i manager “che hanno favorito il nascere delle passività successivamente assunte dallo Stato” e che non manca di stigmatizzare come operazioni del genere pregiudichino “l’equità intergenerazionale”, caricando “in modo spropositato su generazioni future ipotetici vantaggi goduti da quelle attuali. Le risultanze della Corte dei Conti valgono per l’Alta velocità che già esiste; il fatto che funzioni non autorizza a tacerne i costi spropositati .

Per la Torino-Lione, invece, non c’è nemmeno un progetto preliminare. Chi sostiene la necessità dell’opera, difficilmente può fare a meno di rileggere quanto scritto dalla Corte dei Conti e studiare qualcosa di diverso. Altrimenti il “no” vince facile.
Da Il fatto Quotidiano del 06/03/2012.


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Re: Economist: TAV, la rapina

Messaggioda lucameni il 10/03/2012, 0:40

Tav, i confini del progresso e gli affari sporchi delle mafie

08 marzo 2012 — Repubblica

LE MANI della ' ndrangheta sui cantieri Tav: la denuncia di Roberto Saviano è un grido d' allarme che costringe a ricondurre sul piano suo proprio, quello degli affari, ogni discorso sull' alta velocità. Gli affari sporchissimi (delle mafie) e quelli, si suppone puliti, delle imprese e delle banche. Ma che vi siano fra gli uni e gli altri intrecci e convergenze di interessi non occorre dimostrare. La storia del riciclaggio di denaro sporco di tutte le mafie, in Italia e fuori, semplicemente non esisterebbe, se non si fosse trovata ogni volta l' impresa "pulita" ma disponibile a trasformare capitali sporchi in condominii, alberghi, autostrade. Lo scontro pro e contro il progetto Tav in Val di Susa (ma anche altrove, come nel "passante" di Firenze) non si deve svolgere dunque solo sulla fattibilità dei percorsi o i volumi del traffico. Altrettanto importante è chi partecipa agli appalti, e se quel che intende guadagnare corrisponde alla legalità e al pubblico interesse. Ha troppa fretta chi considera i paladini proTav come moderni alfieri dello Sviluppo, bollando i loro oppositori come arcaici cultori del Ristagno. Il volume degli affari qui in ballo (compresi quelli delle mafie) è tale che sulla stessa parola "sviluppo" pesa un gigantesco equivoco. Per sviluppo, infatti, dovremmo intendere il beneficio che deriverà al Paese e ai cittadini da una "grande opera" dopo che sia stata eseguita e sia entrata in funzione. Sempre più spesso, invece, si tende a considerare "sviluppo" l' opera stessa, la mera mobilitazione di banche e imprese, capitali (pubblici) e manodopera. Sterile progetto, se la "grande opera" si rivelasse inutile o producesse guasti ambientali e sociali. La linea Tav già realizzata fra Bologna e Firenze è certo un vantaggio per chi la usa, ma ha provocato la morte di 81 torrenti, 37 sorgenti, 30 pozzi e 5 acquedotti, inquinando con sostanze tossiche 24 corsi d' acqua. I responsabili delle imprese, condannati per disastro ambientale dal Tribunale di Firenze, sono stati poi assolti in appello: insomma, la strage ambientale c' è stata, ma nessunoè colpevole. Era possibile evitare lo scempio? Secondo Il Sole-24 ore, il costo per chilometro delle linee Tav in Italia è il quadruplo che in Francia: quanto di questo enorme divario si poteva spendere per salvare agricoltura e ambiente? Quanto, invece, hanno incassato le imprese interessate, e come lo stanno reinvestendo? Quale sviluppo, e a vantaggio di chi, hanno innescato quegli utili, mentre si devastavano valli e fiumi? Il loro reinvestimento sta contribuendoa risolvere la crisi senza dirottarne il costo sui più deboli e più giovani? Tramontata ogni ipotesi di project financing sui progetti Tav, la Corte dei conti ha osservato che l' assenza di «una realistica analisi dinamica della copertura economica», ha provocato «un onere rilevantissimo per la finanza pubblica», a causa di «specifici comportamenti del management delle società in questione», nella «penombra che ha circondato importanti negoziazioni», con «decisioni irrazionali o immotivate» che hanno «inciso direttamente o indirettamente sul patrimonio pubblico». Nonostante questo, si è tirato diritto, sulla base di una «connotazione chiaramente apodittica». Anche in Val di Susa, pur senza un' attendibile analisi costi-benefici, la Tav è considerato ineluttabile. Ma il progetto ha oltre vent' anni, le previsioni di traffico su cui si basava si sono rivelate erronee e hanno obbligato a destinarlo principalmente al traffico merci, la condivisione dei costi con la Francia è svantaggiosa. Eppure su questi ed altri motivi di perplessità, a quel che pare, è vietato discutere. Si parla, per un futuro più o meno remoto, di consultazioni con le popolazioni del luogo: un obbligo della convenzione di Aarhus, ratificata dall' Italia nel 2001 ma finora disattesa. Ma più che alle convenzioni internazionali si dà peso agli impegni con le imprese, a costo di darvi corso manu militari. In un racconto di Mario Soldati, Il berretto di cuoio (1967), il protagonista, Aduo, è «lo scemo del villaggio», che però «non era affatto uno scemo», era anzi «aperto, simpaticissimo, intelligente». Ma non lavorava, non aveva un mestiere; un caso, dicevanoi medici, «di sviluppo arrestato». Finché, affascinato dal cantiere dell' autostrada Torino-Piacenza, scatta la scintilla: assunto come guardiano, «lavorò per dieci», senza limiti di tempo, dall' alba a notte fonda»; sempre «scrutando con rapide occhiate» i lavori dell' autostrada, felice e attonito, con «lo sguardo che avrebbe potuto avere un assoluto responsabile, unico appaltatore, unico progettista, unico azionista dell' autostrada». Quando l' autostrada è finita, il tracollo: Aduo non può vivere senza, non mangia e non beve, viene ricoverato. Una specie di "complesso di Aduo" sembra aver preso alla gola troppi italiani, che non sanno immaginare altro sviluppo che la cementificazione del suolo. Distraendoci da altri investimenti più lungimiranti e produttivi, questo modello di crescita alla cieca è, come quello di Aduo, uno "sviluppo arrestato" che inceppa il Paese. Una risposta autoritaria non è accettabile. È necessaria una discussione aperta e radicale, tanto più in tempi di contenimento della spesa pubblica. È giusto spendere per la Tav, quando sono allo sfascio ferrovie minori e treni notturni, anche internazionali? Non sarebbe meglio potenziare le strutture esistenti, a cominciare dalla cintura ferroviaria di Torino? È meglio costruire nuove grandi opere o arrestare il degrado dei servizi sociali e della scuola? Viene prima la difesa del paesaggio, dell' agricoltura e dell' ambiente o la (presunta) convenienza economica della Tav? Unica bussola per rispondere a queste domande, la Costituzione consacra la tutela del paesaggio e dell' ambiente: «La primarietà del valore estetico-culturale», anzi, non può essere «subordinata ad altri valori, ivi compresi quelli economici», e pertanto dev' essere «capace di influire profondamente sull' ordine economico-sociale» (Corte Costituzionale, 151/1986). I portatori (sani?) del "complesso di Aduo" dicono il contrario: che le ragioni economiche sovrastano i principi del bene comune. Un "governo tecnico" dovrebbe avere la forza di aprire sul tema un vero tavolo di confronto. Parlare di "campagne d' informazione"a una direzione, il cui esito si dia per scontato, non ha nulla di "tecnico". Sarebbe un gesto politico: e non è di questa politica che il Paese ha bisogno.

SALVATORE SETTIS
"D' Alema rischia di passare alla storia come il piu' accreditato rivale di Guglielmo il Taciturno" (I. Montanelli, 1994)
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