da matthelm il 01/03/2012, 23:26
Pci, e tutto il resto è “destra”
Le cose dette da Vendola a proposito di destra, loden e Veltroni potrebbero essere comodamente archiviate nella fortunata rubrica di Claudio Cerasa: «A Nichi, ma che stai a di’?». Sarebbe tuttavia un errore. Vendola non sta proponendo un revival della dialettica interna al movimento operaio e comunista del secolo scorso. Se così fosse, se ci trovassimo di fronte all’ennesimo anatema contro “il rinnegato Kautsky”, la questione avrebbe interesse solo per gli storici del ramo.
Il messaggio del leader di Sel è invece attuale, e in vario modo è stato presente lungo tutto il ventennio della Seconda repubblica. Si tratta in fondo dell’idea che non ci possa essere una posizione progressista, di centrosinistra, liberal, fuori dal solco segnato dall’eredità del Pci e dalla realtà della Cgil.
Dentro quel solco, intendiamoci, è pienamente ammessa una dialettica tra “due sinistre”, tra Landini e Camusso, tra socialdemocratici e radicali. Fuori no: il resto è “destra”. E così l’anatema che in passato colpì a tratti perfino la Margherita, e in anni più recenti Cisl e Uil, o Pietro Ichino, oggi prende di mira quella parte del gruppo dirigente del Pd che sostiene con maggiore convinzione il governo Monti. E perfino Veltroni.
Di fronte alle parole di Vendola, il Pd ha fatto bene a difendere il suo fondatore. Ma l’idea di negare piena legittimità di “democratici” a quanti non si riconoscono nella dialettica tra le due sinistre del Novecento affiora qua e là anche nella classe dirigente e nell’apparato dello stesso Pd. Si comincia con la scomunica a Blair ma poi si fa presto a trasferirla in casa nostra.
Negli ultimi quindici anni prima l’Ulivo e poi il Partito democratico hanno affermato una visione molto diversa, quella di un centrosinistra progressista e liberale capace di esercitare una forte attrazione anche nell’area centrale, e più mobile, dell’elettorato italiano. Così facendo, sia l’Ulivo che il Pd – sia pure in forme diverse – hanno tenuto a freno la tendenza di una parte della sinistra a ricollocarsi in un rassicurante recinto di opposizione.
Nei prossimi mesi la stessa sfida si riproporrà in condizioni nuove. Per almeno due ragioni. La prima è che la nostra competitività nell’area centrale dell’elettorato non potrà che misurarsi con la temperatura dei nostri rapporti col governo. Un governo che abbiamo voluto, che ha mandato a casa Berlusconi, che ha salvato il paese e lo ha rimesso ai vertici dell’Europa, che sta avviando alcune positive riforme.
La seconda ragione è che la nuova legge elettorale che va profilandosi imporrà al Pd di assumere sempre più il profilo di una grande forza di centrosinistra plurale, primo partito italiano, senza attribuire solo al gioco di alleanze più o meno forzate il futuro del governo del Paese.
Le scelte che faremo proprio nelle prossime settimane per sostenere e migliorare le riforme proposte del governo, a cominciare da quella del mercato del lavoro, devono già prefigurare quel Pd, protagonista di una maggioranza democratica e capace di respingere l’attrazione fatale per una sinistra di opposizione.
Paolo Gentiloni
"L'uomo politico pensa alle prossime elezioni. Lo statista alle prossime generazioni".