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Riforma del lavoro, ecco il piano Fornero

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Riforma del lavoro, ecco il piano Fornero

Messaggioda franz il 19/01/2012, 22:13

DOSSIER
Riforma del lavoro, ecco il piano Fornero
contratto unico, più soldi se lavori a termine

Lunedì la trattativa tra esecutivo e parti sociali, ma ci sarebbe già una convergenza di fondo. Possibile accordo sul modello contrattuale degli economisti Boeri e Garibaldi. Posto garantito dopo 3 anni. Monti: "Vogliamo creare una maggiore mobilità che comunque protegga il lavoratore" di PAOLO GRISERI

Riforma del lavoro, ecco il piano Fornero contratto unico, più soldi se lavori a termine Il ministro Elsa Fornero
UN TAVOLE che nei corridoi di palazzo Chigi viene definito scherzosamente "filosofico", introdotto dal premier Mario Monti. E, subito dopo, due tavoli operativi sulla riforma del mercato del lavoro e sulla crescita. Il primo con il ministro Elsa Fornero, il secondo con il titolare delle attività produttive, Corrado Passera. E' lo schema con cui si svolgerà lunedì la trattativa tra governo e parti sociali. Sul mercato del lavoro i sondaggi delle ultime ore inducono a un certo ottimismo.

Si sarebbe insomma trovato un terreno di comune discussione tra sindacati, ministri e imprenditori intorno al disegno di legge di riforma suggerito due anni fa dagli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi. L'intendimento di Fornero sarebbe di arrivare a febbraio al varo del provvedimento. Esclusa l'ipotesi del decreto, più probabile che si vada verso il disegno di legge o il disegno di legge delega.

La filosofia è quella annunciata ieri da Mario Monti: "Dovremo ridurre la frammentazione dei contratti e far andare di pari passo la riforma del mercato del lavoro con quella degli ammortizzatori sociali". Poche parole per dare il via libera al contratto unico di apprendistato e all'introduzione del reddito di disoccupazione, i due assi della riforma Fornero.

L'obiettivo, spiega Monti, è quello di creare "una maggiore mobilità che protegga il lavoratore ma non renda sclerotico il mercato del lavoro" per favorire l'occupazione giovanile e renderla meno precaria. Su questi presupposti si starebbe trovando una mediazione tra sindacati e industriali, con i partiti che, sia pure con qualche distinguo, non sarebbero pregiudizialmente contrari. La riforma non toccherebbe direttamente l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ma ne limiterebbe l'efficacia in alcune fasi della vita lavorativa dei dipendenti. Per la Cgil "è importante tenere insieme crescita ed equità". Per la Cisl "è essenziale che il governo arrivi al tavolo con la disponibilità a contrattare davvero".

Ma i tempi stringono ed è plausibile che i margini di trattativa non saranno molto ampi. Lunedì, subito dopo aver aperto la riunione, Monti volerà a Bruxelles a rassicurare i partner europei sull'avvio delle riforme italiane. Ecco le linee principali del progetto.

IL CONTRATTO UNICO

Accesso con tutele a tappe, poi niente licenziamenti
L'idea è quella di sostituire con un unico contratto gli attuali 48 censiti dall'Istat. E' la frammentazione che penalizza soprattutto donne e giovani e che porta il salario medio lordo di un lavoratore italiano il 32% sotto la media dei Paesi dell'area euro. Nascerà per questo il Cui, contratto unico di ingresso. Avrà due fasi: una di ingresso, che potrà durare, a seconda dei tipi di lavoro, fino a tre anni. E una seconda fase di stabilità, in cui il lavoratore godrà di tutte le tutele che oggi sono riservate ai contratti a tempo indeterminato.

Durante la fase di ingresso, in caso di licenziamento con motivazioni che non siano di tipo disciplinare ("giusta causa"), il datore di lavoro non avrà l'obbligo di reintegrare il dipendente ma potrà risarcirlo in pagando una specie di penale pari alla paga di cinque giorni lavorativi per ogni mese lavorato. In caso di una fase di ingresso di tre anni, il licenziamento dovrà essere risarcito con sei mesi di mensilità.

Già oggi, durante il periodo di prova, non si applica la l'articolo 18 sui licenziamenti. La riforma prevede che il periodo di prova si possa allungare fino a tre anni e in cambio concede che il contratto di ingresso si trasformi automaticamente, al termine della prova, a tempo indeterminato. L'automatismo evita al lavoratore il succedersi di decine di minicontratti precari. Le imprese dopo tre anni possono licenziare il dipendente con un risarcimento senza essere costrette ad assumerlo.

TEMPO DETERMINATO
Per i contratti a termine salario sopra i 25mila euro
Oggi sono una prassi diffusa nelle aziende che possono così assumere senza prendersi impegni particolari nei confronti dei dipendenti. La riforma li renderà invece una specie di lusso, un modo per remunerare professionisti e personale specializzato. Uno studio del Collegio Carlo Alberto di Torino, di cui Garibaldi è direttore, mette in evidenza che nel 2008 il 96% dei dipendenti italiani a tempo determinato guadagnava meno di 35 mila euro lordi all'anno. Una retribuzione per mansioni medio basse.

Con il provvedimento allo studio invece sarà impossibile assumere a tempo determinato dipendenti per i quali viene corrisposto un salario inferiore ai 25 mila euro lordi annui (o proporzionalmente inferiore se la prestazione dura meno di dodici mesi). Naturalmente faranno eccezione i lavori tipicamente stagionali (come quelli agricoli o alcuni nelle località turistiche).

Verrà messo un tetto anche ai contratti a progetto e di lavoro autonomo continuativo che rappresentino più di due terzi del reddito di un lavoratore con la stessa azienda. Se questi contratti avranno una paga annua lorda inferiore ai 30 mila euro, saranno trasformati automaticamente in Cui. La riforma dovrebbe anche prevedere l'introduzione di un salario minimo legale stabilito da un accordo tra le parti sociali. Se non si trovasse l'accordo, il salario minimo dovrà essere fissato dal Cnel.

GLI AMMORTIZZATORI
Verso il reddito minimo, ma si cerca la copertura
Oggi sono di tre tipi: cassa integrazione ordinaria, cassa straordinaria e mobilità. L'obiettivo è quello di semplificare e tornare alle origini: con la cassa integrazione ordinaria che interviene solo per far fronte alle crisi cicliche e temporanee dei settori.

Per le crisi strutturali e il sostegno a chi ha perso il lavoro dovrebbe invece intervenire il reddito minimo di disoccupazione. Una misura che esiste in molti Paesi occidentali ma che è costosa. Soprattutto in fasi economiche, come l'attuale, in cui la ristrutturazione delle aziende lascia senza lavoro quote crescenti di lavoratori dipendenti. Ieri Monti ha invitato a far procedere "di pari passo" la riforma degli ammortizzatori sociali con quella dei contratti di lavoro.

Non sarà facile. Con poche risorse a disposizione e con l'inasprimento dei requisiti per maturare il diritto alla pensione, sarà già difficile utilizzare strumenti come la mobilità lunga, oggi ampiamente sfruttati dalle aziende per ristrutturare scaricando almeno una parte dei costi sull'Inps. E' comunque probabile che il passaggio dalla mobilità al reddito minimo di disoccupazione avvenga in modo graduale nel tempo risolvendo contemporaneamente il problema dei molti che oggi si trovano in mezzo al guado, con una mobilità lunga calcolata per approdare a un'età pensionabile a sua volta allontanata dalla nuova riforma previdenziale.

ALL'ESTERO
Ogni Paese ha la sua soglia per garantire i più deboli
In Italia non esiste un salario minimo, come invece si vorrebbe introdurre con la proposta di riforma del lavoro di Boeri e Garibaldi. Il salario minimo è contrattato a livello di categoria o di azienda ed è quindi molto variabile. Ma esistono aree, come quelle dei precari che lavorano a progetto, in cui del salario minimo non c'è traccia. Non è così all'estero dove gli Stati stabiliscono per legge qual è la paga oraria minima che un datore di lavoro può corrispondere.

In genere si tratta di soglie che vengono rivalutate annualmente agganciandole all'andamento dell'inflazione o alla dinamica del Pil. L'obiettivo è comunque quello di stabilire un livello sotto il quale non è consentito andare per far si che tutti i lavoratori abbiano una paga in grado di mantenere una famiglia in condizioni dignitose.

Ogni paese ha fissato quella soglia, a seconda del suo livello di vita e dell'importanza che una nazione annette alla protezione sociale della fasce più deboli della società. Così in Francia il salario minimo è di circa 1.350 euro lordi mensili mentre in Spagna è di circa la metà, 600 euro lordi mensili. Molto basso il salario minimo brasiliano, l'equivalente di 237 euro lordi mensili. Il salario minimo è cinque volte più alto in Inghilterra: 960 sterline, equivalenti a 1.150 euro.

http://www.repubblica.it/economia/2012/ ... -28395625/
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Re: Riforma del lavoro, ecco il piano Fornero

Messaggioda franz il 19/01/2012, 22:36

Info sul salario minimo in europa

http://it.finance.yahoo.com/notizie/Lav ... 12159.html

La crisi economica è ancora in agguato, i contratti dei lavoratori si evolvono ma molti paesi dell'Unione europea non rinunciano a un importante strumento a garanzia dei lavoratori: il salario minimo. Si tratta della paga più bassa, stabilita per legge, che deve essere corrisposta a tutti i lavoratori dipendenti di un paese, o almeno a un'ampia maggioranza di essi. Tale somma, in genere mensile, è calcolata al lordo delle tasse sul reddito e dei contributi per i servizi pensionistici e di welfare. L'importo viene rivalutato periodicamente in base a vari fattori come il tasso di produttività, il Pil, l'indice dei prezzi al consumo e l'andamento complessivo dell'economia di un paese.

In base alle ultime rilevazioni Eurostat (gennaio 2011), ben 20 dei 27 Stati membri dell'Unione europea e 2 paesi candidati ad entrarvi (Croazia e Turchia) presentano una legislazione del salario minimo. Le differenze di paga minima tra paese e paese, però, sono molto consistenti. Si va dai 123 euro della Bulgaria (la somma più bassa) ai 1.758 euro in Lussemburgo (lo stipendio di partenza più alto). Osservati nel complesso, i 22 Stati che applicano questa forma di tutela del lavoro possono essere suddivisi in tre fasce, a seconda della quantità minima di denaro corrisposta ai lavoratori. La prima include gli 11 paesi con gli stipendi di base più bassi, compresi cioè tra i 100 e i 400 euro. Si tratta sostanzialmente di Stati dell'Europa dell'Est: Bulgaria, Romania, Lituania, Estonia, Ungheria, Lettonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia, Croazia e Turchia. La seconda fascia raggruppa i paesi membri in cui il salario minimo, compreso tra i 550 e i 950 euro, raggiunge un livello intermedio. Sono Portogallo, Malta, Slovenia, Spagna e Grecia. Il terzo gruppo include invece gli Stati che garantiscono per legge le paghe di partenza più elevate (più di 1.100 euro al mese): Regno Unito, Francia, Belgio, Olanda, Irlanda e Lussemburgo. Significativa la presenza in questa categoria dell'Irlanda, che continua a mantenere alti i salari minimi dei lavoratori dipendenti nonostante il recente dissesto economico e il rischio di fallimento dell'intero paese.

Il divario esistente tra i vari paesi si riduce però se questi valori vengono calcolati a parità di potere di acquisto in euro. Se infatti il gap in valori assoluti tra il fanalino di coda (la Bulgaria) e la prima della classe (il Lussemburgo) è di circa 1:14, la differenza nei livelli dei prezzi abbassa questo rapporto a 1:6 (233 euro di salario minimo in Bulgaria contro i 1.452 euro in Lussemburgo). Utilizzando il parametro del potere d'acquisto, in tutti i paesi in cui il costo della vista è meno elevato gli impiegati e gli operai ricevono dai loro datori di lavoro retribuzioni minime proporzionalmente più alte e viceversa. Fa eccezione solo il Regno Unito, dove il valore delle paghe mensili minime espresso a parità di potere di acquisto è più elevato che se espresso in euro. Questo fenomeno però si spiega con la relativa debolezza della sterlina nel cambio con l'euro.

Immagine

Come è facile notare, tra i paesi citati manca l'Italia. Insieme a Germania, Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia, il Belpaese è infatti uno dei sette Stati membri dell'Unione europea che non prevede salari minimi a livello nazionale. Lo strumento di tutela delle retribuzioni minime vigente nel nostro paese è il cosiddetto minimo sindacale, la paga minima che per legge deve essere contrattata periodicamente tra sindacati e imprese e inserita nei contratti collettivi nazionali di lavoro delle singole categorie. Esiste quindi una retribuzione minima sindacale per i metalmeccanici, gli agricoltori, gli artigiani tessili, i chimici e così via. Dal momento che i contratti collettivi nazionali di lavoro hanno progressivamente esteso la loro efficacia erga omnes - possono cioè essere applicati anche ai lavoratori dipendenti da datori di lavoro che non aderiscono alle organizzazioni che hanno stipulato gli accordi nazionali -, si può in parte affermare che anche in Italia esista un salario minimo, benché differenziato in base alle singole categorie produttive.

[Legislazione e diritti nello speciale su Lavoro e Carriere]

I problemi sorgono però quando i lavoratori non possono godere dei benefici del contratto collettivo nazionale. In primo luogo, per esempio, alcune tipologie come gli stage e i contratti a progetto, diffusissime in tutta la Penisola, non fanno riferimento ad alcun contratto nazionale di lavoro e non prevedono pertanto che il dipendente venga inquadrato secondo una paga di base: queste forme contrattuali non prevedono quindi salari minimi.

Negli ultimi anni, inoltre, come insegna anche l'accordo stipulato dalla Fiat per lo stabilimento di Mirafiori, la contrattazione collettiva nazionale sta lasciando sempre più spazio alla contrattazione a livello aziendale, o di secondo livello. Le imprese, dal canto loro, ambiscono a una minore rigidità contrattuale per poter aumentare la propria produttività ed essere più competitive a livello globale. Dal punto di vista dei lavoratori, però, questa dinamica potrebbe essere penalizzante anche per quanto riguarda i livelli minimi di retribuzione. I motivi sono principalmente due: da una parte, nell'ambito della contrattazione aziendale, le garanzie per i lavoratori rischiano di essere limitate dalla necessità delle imprese di stringere accordi con le parti sociali che prevedano meno vincoli possibili, pena la rinuncia a nuovi investimenti; dall'altra, in questo tipo di accordi le organizzazioni sindacali più forti vengono sistematicamente depotenziate perché spesso non sono disposte a osservare le clausole più restrittive proposte dalle imprese: in questo modo la rappresentanza sindacale finisce col frammentarsi e perdere potere contrattuale per negoziare salari più alti e condizioni di lavoro più vantaggiose. In ogni caso, la contrattazione a livello aziendale guadagnerà inevitabilmente sempre più terreno rispetto a quella nazionale. Starà alla responsabilità delle parti sociali trovare nuovi metodi per garantire ai lavoratori paghe di partenza dignitose e buoni livelli di occupazione senza che le imprese italiane rinuncino a crescere e a diventare più intraprendenti sui mercati globali.
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Re: Riforma del lavoro, ecco il piano Fornero

Messaggioda franz il 20/01/2012, 9:40

Credo che si stia mettendo troppa carne al fuoco.
Una cosa è il reddito di disoccupazione, altro è il salario minimo.
Se entrambi costano, non vorrei che come al solito si facesse la scelta di puntare sul secondo, tutelando c hi lavora, lasciando chi non lavora senza reddito.

Da notare che, a parte l'Italia, questo salario minimo manca nella parte dell'europa in cui si dice che il welfare sia il migliore: svezia, norvegia, finlandia, danimarca, germania, svizzera ed austria. Nella mappa si vede nettamente la grande area grigia senza salario minimo che attraversa l'europa da nord a sud.
La sua applicazione in Italia poi dovrebbe prendere in considerazione le forti differenze di costo della vita nel paese tra nord e sud ma anche tra grandi centri urbani e periferia della provincia.
Non è poi detto che il salario minimo si dimostri una carta vincente per i lavoratori a bassa qualifica.
Se l'importo fosse troppo basso ci sarebbe un appiattimento verso il basso e se fosse troppo alto ci sarebbe perdita di posti di lavoro dequalificati.

Meglio concentrare sforzi e risorse verso ammortizzatori sociali per chi non lavora, anche se questo costa.
Qui devo dire che la proposta di ichino ha ottimi spunti ma è esagerata. 4 anni di reddito, anche se decrescente, sono troppi e si trovano in europa solo in danimarca (dove il finanziamento di questo fondo è a carico dei lavoratori, non delle imprese come propone ichino). Iniziamo con poco, con un anno, massimo un anno e mezzo, come la maggior parte degli altri paesi. Costa molto meno ed è dimostrato che gran parte dei disoccupati che trova il lavoro, lo fa negli ultimi mesi di disoccupazione, quando ormai sta per scadere il termine. Altro discorso invece riguarda le tutele di chi finirà il periodo di disoccupazione senza aver troato lavoro. Ma qui secondo me è assistenza sociale (altro tipo di ammortizzatore) e deve essere a carico della fiscalità generale.
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Re: Riforma del lavoro, ecco il piano Fornero

Messaggioda Robyn il 20/01/2012, 11:38

La riforma Tito Boeri e Giuseppe Garibaldi è una buona riforma che elimina la precarietà introduce le protezioni da reddito compreso il reddito minimo e non tocca l'art 18.Dopo tre anni c'è l'assunzione a tempo indeterminato solo che per quelli come me quando avevano la protezione dell'art 18 hanno passato i guai,quando hanno cambiato lavoro facevano tre mesi per tre mesi senza assunzione.La riforma è una buona scusa per quelli come me per non rientrare nel mercato del lavoro e andare verso un'attività libera.Evidentemente all'età di 20 anni ho sbagliato indirizzo ciao robyn
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Re: Riforma del lavoro, ecco il piano Fornero

Messaggioda franz il 20/01/2012, 11:56

Robyn ha scritto:La riforma Tito Boeri e Giuseppe Garibaldi è una buona riforma che elimina la precarietà introduce le protezioni da reddito compreso il reddito minimo e non tocca l'art 18.Dopo tre anni c'è l'assunzione a tempo indeterminato ...

Ma non sono due cose diverse? Una è la proposta Ichino (flexsecurity), l'altra il contratto unico.
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Re: Riforma del lavoro, ecco il piano Fornero

Messaggioda flaviomob il 21/01/2012, 0:54

L'aumento (corretto) delle retribuzioni nei contratti a tempo determinato potrebbe determinare un incremento del lavoro nero.
Il periodo di licenziabilità nei primi tre anni di assunzione porterà le aziende ad assumerti per tre anni, poi ti lasciano a casa a cercarti un altro posto dove ricominciare... Non mi sembrano innovazioni tanto geniali, se non accompagnate da un sistema di tutele che vincoli i soliti "furbetti"...


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Re: Riforma del lavoro, ecco il piano Fornero

Messaggioda franz il 21/01/2012, 10:11

flaviomob ha scritto:L'aumento (corretto) delle retribuzioni nei contratti a tempo determinato potrebbe determinare un incremento del lavoro nero.
Il periodo di licenziabilità nei primi tre anni di assunzione porterà le aziende ad assumerti per tre anni, poi ti lasciano a casa a cercarti un altro posto dove ricominciare... Non mi sembrano innovazioni tanto geniali, se non accompagnate da un sistema di tutele che vincoli i soliti "furbetti"...

La "genialità" qui sta tutta nel cercare soluzioni bizantine che non vedano il veto sindacale o padronale.
Per me bisognerebbe avere regole uguali per tutti indipendentemete dall'età del dipendente e dalla dimansione aziandale ma c'è chi non vuole.
Comunque rispetto a chi oggi lavora a progetto per periodi brevi, meglio 3 anni che niente e se poi c'è interesse ad assumere, vuol dire che dopo 3 anni ce ne saranno altri tre.
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Re: Riforma del lavoro, ecco il piano Fornero

Messaggioda Robyn il 21/01/2012, 12:38

Da quello che leggo il contratto unico manca di chiarezza.Ma se le regole valgono per tutti e quindi viene superato il dualismo l'art 18 varrà anche per le piccole aziende dopo tre anni.Da quello che leggo alla voce"contratto unico"le imprese potranno licenziare dopo i tre anni con un risarcimento,immagino per il giustificato motivo oggettivo.Fatte queste premesse non capisco allora quale sia la differenza con la flexsecurity danese,perchè tra la proposta Boeri e quella Ichino la discriminante era l'art 18 cioè la possibilità di recedere per il giustificato motivo oggettivo o meno,ma da questa proposta sembra che la discriminante non ci sia.A questo punto tanto vale la proposta Ichino con la variante di estendere la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo "tranne il giustificato motivo oggettivo per il quale può esserci il recesso per piccole e grandi" anche alle piccole aziende dopo un periodo di due anni.Inoltre la proposta Boeri manca della formazione ciao robyn
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PS Per fare chiarezza bisogna fare questo
A)Per la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo c'è il reintegro
Per il giustificato motivo oggettivo non c'è il reintegro
B)Dopo due anni l'articolo A scatta per tutte le aziende a prescindere dal loro
carattere dimensionale
C)Limite massimo indennizzabile con plafond oltre il quale non
si può andare a prescindere dall'anzianità per ex 15 mensilità
Tanto semplice
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Re: Riforma del lavoro, ecco il piano Fornero

Messaggioda franz il 13/03/2012, 17:49

LAVORO
Fornero: "Non capirei no dei sindacati"
Camusso: "Da governo meno tutele"

Il ministro del lavoro 'confida' nell'accordo, ma spiega: "Senza sì dei sindacati, niente paccata di miliardi". Il segretario nazionale della Cgil, il giorno dopo l'incontro con il governo sulla riforma, precisa: "Quella fatta è una proposta che fa un passo indietro". Il leader della Cisl invita l'esecutivo a rivedere la propria posizione sugli ammortizzatori sociali: "Se non sarà modificata la parte su mobilità, il tavolo salta"

ROMA - "Confido che l'accordo ci sia e lavoro per l'accordo". Così il ministro del Welfare, Elsa Fornero, a margine di un convegno alla Farnesina, risponde a distanza alle critiche sollevate dai sindacati il giorno dopo l'incontro sulla riforma del mercato del lavoro. "L'entità dei cambiamenti è tanta - ha proseguito - e, quindi, posso capire che l'interpretazione di primo acchitto sia uno shock", ha aggiunto il ministro, che ha detto ancora: "ritengo, invece, che la riforma sia buona e mi risulterebbe molto difficile capire che il sindacato italiano non si dichiari d'accordo su una riforma che lavora per l'inclusione e l'universalità degli ammortizzatori". Senza il sì preventivo dei sindacati sulla riforma del mercato del lavoro il governo non metterà, in particolare sugli ammortizzatori sociali, "una paccata di miliardi", ha spiegato ancora il ministro. "È chiaro - ha affermato - che se uno comincia a dire 'no', perché noi dovremmo mettere lì una paccata di miliardi e poi dire 'voi diteci di sì'. No, non si fa così". Fornero ha dichiarato che "è chiaro che se c'è un accordo più avanzato mi impegno a risorse più adeguate e fare in modo che il meccanismo degli ammortizzatori e questo mercato del lavoro funzionino abbastanza bene". Il responsabile del Welfare ha aggiunto: "noi proponiamo qualcosa e mi sono impegnata a che le risorse non vengano tolte dall'assistenza. Mi sembra che questo sia un buon impegno. Anzi - ha lamentato - avrei voluto sentire anche una piccola parola di apprezzamento per questo impegno, che vuol dire non togliere, non sottrarre risorse all'assistenza. Mi sembra una buona cosa. Ma non ho sentito neanche mezza parola di apprezzamento".

La dichiarazione del ministro arriva dopo che, in mattinata, il segretario nazionale della Cgil, Susanna Camusso aveva precisato quanto già affermato ieri in merito a un 'passo indietro' compiuto dal governo: "Ho parlato di un passo indietro perché, mentre noi confermiamo che è necessario avere una riforma universalistica degli ammortizzatori sociali e quindi che è giusta l'idea che ci sia il sussidio della disoccupazione per tutti i lavoratori, la proposta che ci è stata fatta ieri 1 è una proposta che non allarga, che non prevede l'indennità per tutte quelle figure che oggi non ne hanno diritto e riduce invece la copertura di quelli che ce l'hanno già". "Siamo di nuovo invece - ha proseguito Camusso - di fronte ad una riforma che non rappresenta una tutela per tutti ma anzi una riduzione della tutela esistente".

Le critiche della Cgil. Ma c'è il rischio di accordi separati tra governo e sindacati? Per la Camusso il problema non è questo: "Il tema non è gli accordi separati, ma la qualità di questa riforma e che risposte si danno ai lavoratori'', ha risposto. Sui tempi indicati dalla Fornero la segretaria nazionale della Cgil ha specificato che ''come sempre dipende dal merito. Non è che siccome c'è una data quel giorno lì qualunque cosa ci sia va bene. Ieri abbiamo detto esplicitamente - ha ricordato Camusso - che è stato fatto un passo indietro perché rispetto all'annuncio di una scelta corretta che è appunto quella dell'universalità se non ci sono le risorse l'universalità non c'è''. E ha concluso: ''Se non ci saranno le risposte e le risorse, decideremo cosa fare''.

L'invito della Cisl. Anche la Cisl chiede al governo di cambiare la propria posizione sugli ammortizzatori sociali perché in tempo di crisi è necessaria una durata più lunga per i sussidi di disoccupazione. E avverte: il tavolo sulla riforma del lavoro salta se non sarà modificata la parte su mobilità e ammortizzatori sociali, ha detto, parlando a Trieste, il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni. ''Il Governo deve stare attento, perché dopo la vicenda delle pensioni, se salta anche questo tavolo c'è una cesura non facile'', ha detto.

''L'innalzamento dell'età di uscita e la crisi - scrive il segretario generale del sindacato, Raffaele Bonanni su Twitter - dovrebbero consigliare più mobilità (al momento la mobilità per i licenziamenti collettivi dura due anni) e non il dimezzamento di tempi e di copertura economica. Il governo cambi''. Il segretario generale della Cisl, poi, non si spiega l'impuntatura dell'esecutivo riguardo della data del 23 marzo per la conclusione della trattativa sulla riforma del mercato del lavoro: "È davvero incomprensibile questa impuntatura e spero che il governo cambi opinione". "Più che la data del 23 marzo, a noi interessa la qualità dell'accordo e la possibilità che questo vada in soccorso alla gente e non contro la gente - ha dichiarato Bonanni -. Il governo si è posto il problema di farlo comunque entro la prossima settimana. Però ci sono oggettivi problemi".

Contratti. ''Ci sono alcune cose positive che hanno smosso il governo: parlo della tipologia dei contratti. Si va verso l'apprendistato come canale principale per i giovani, che deve condurre al maggior tempo indeterminato. Si va verso un contratto a termine, che deve portare ancora di più a un tempo indeterminato. Mi piace la tecnica di farlo pagare di più e qualora si trasformasse in tempo indeterminato, i soldi pagati tornano indietro all' azienda''.

Diliberto: "Governo avanti con l'accetta". "Quando si tratta di lavoratori, il governo Monti va avanti con l'accetta", commenta Oliviero Diliberto, segretario nazionale Pdci-Federazione della Sinistra. "Molta prudenza con le lobby, tagli su tagli prima alle pensioni e ora agli ammortizzatori sociali. La proposta del ministro Fornero è inaccettabile. Riduce la tutela in caso di disoccupazione e non è vero che è universale. E i giovani, con cui il governo Monti si riempie la bocca da quando si è insediato, non sono tutelati affatto. Il combinato-disposto di innalzamento dell'età pensionale, riduzione della tutela e recessione - conclude Diliberto - peggiorerà in modo micidiale le condizioni di lavoro. E' in atto lo stesso massacro sociale operato sulle pensioni".

(13 marzo 2012) www.repubblica.it
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Re: Riforma del lavoro, ecco il piano Fornero

Messaggioda franz il 14/03/2012, 9:00

Nel piano di 14 pagine del Welfare
Fondi di solidarietà pagati dalle imprese
Si potrà uscire dal lavoro 4 anni prima

Previsto un contributo aggiuntivo per gli esodi anticipati

ROMA - Arrivano i fondi per «incentivare l'esodo dei lavoratori anziani» e spunta il «contributo di licenziamento». Sono le principali novità contenute nel documento di 14 pagine che il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha inviato riservatamente ieri sera tardi ai vertici delle associazioni sindacali e imprenditoriali. Titolo: «Ammortizzatori sociali. Proposta di riforma». Le ultime due pagine sono appunto dedicate alla «Protezione dei lavoratori anziani». Una mossa per rispondere alla pressante richiesta delle parti sociali di rendere gestibili le ristrutturazioni aziendali (che poggiano sull'espulsione dei lavoratori più vecchi) anche dopo la riforma delle previdenza, che ha abolito le pensioni di anzianità e spostato quelle di vecchiaia a 66 anni.

Fondo esodi
La proposta Fornero prevede la «facoltà» delle aziende di stipulare accordi con i sindacati per favorire i prepensionamenti, sul modello del fondo del settore bancario. Vi potranno accedere i lavoratori «che raggiungano i requisiti di pensionamento nei successivi 4 anni». Le aziende dovranno «versare mensilmente all'Inps la provvista per la prestazione e per la contribuzione figurativa» e disporre di una fideiussione bancaria. Le domande per mandare in pensione anticipata i lavoratori dovranno essere presentate allo stesso Inps che verificherà la sussistenza dei requisiti. La prestazione sarà «di importo pari al trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti». Nella fase di transizione, cioè per gli esodi fino al 2015, «il primo periodo può essere coperto» per i lavoratori messi in mobilità dalla stessa indennità di mobilità.

I nuovi fondi di solidarietà
Un'altra novità del documento è la previsione di istituire obbligatoriamente un «fondo di solidarietà» per tutti i settori e tutte le imprese sopra i 15 dipendenti non coperte dalla cassa integrazione. Anche questi fondi saranno creati con accordi tra sindacati e imprese o, in mancanza, da un decreto interministeriale. Gli accordi stabiliranno «l'ambito di applicazione del fondo», l'aliquota di contribuzione, che sarà anche in questo caso a carico dell'azienda». Al finanziamento potrà concorrere anche lo 0,30% attualmente versato ai fondi per la formazione. Entro il 30 giugno 2013 dovranno essere istituiti specifici fondi di solidarietà «per i settori del trasporto aereo e del sistema aeroportuale».

Il nuovo sistema di ammortizzatori
Nella premessa Fornero spiega che i nuovi ammortizzatori poggeranno su tre pilastri: una assicurazione sociale per l'impiego (Aspi) a carattere universale, una serie di tutele in costanza di rapporti di lavoro (Cassa integrazione ordinaria, straordinaria e fondi di solidarietà) e «strumenti di gestione degli esuberi strutturali». Il nuovo sistema, si spiega, dovrebbe superare l'anomalia italiana che vede la tutela assicurata finora - per durata e importo - molto al di sotto della media europea, mentre in alcuni casi è «uno scivolo estremamente lungo», trasformando il sussidio in uno strumento puramente assistenziale.

L'Aspi
L'assicurazione sociale per l'impiego sostituirà l'indennità di mobilità e l'indennità di disoccupazione in tutte le sue forme. Dal 2015 ci saranno due strumenti in tutto: da una parte la cassa integrazione (però senza mobilità e senza la straordinaria nel caso di cessazione di attività) e dall'altra il nuovo sussidio (Aspi) che può arrivare per tutti fino al massimo di 1.119,32 euro lordi al mese e per un periodo non superiore a 12 mesi, allungabile a 18 mesi nel caso di disoccupati con oltre 55 anni di età. L'importo, fermo restando il tetto, sarebbe pari al 70% per le retribuzioni fino a 1.250 euro e al 30% per la parte eccedente. L'assegno verrebbe tagliato del 15% dopo i primi sei mesi e di un altro 15 dopo il semestre successivo. Per pagare questo nuovo sussidio Fornero propone di introdurre un contributo uguale per tutti dell'1,3% sulla retribuzione lorda. Questo prelievo esiste già per l'industria ma per gli artigiani è dello 0,40% e per alcuni settori come i bar e ristoranti è dello 0,18%. Ora dovranno gradualmente adeguarsi verso l'alto. La riforma prevede anche una aliquota aggiuntiva dell'1,4% (portando il totale al 2,7%) per i lavoratori con contratto a tempo determinato, che verrebbe recuperata dall'azienda se poi il lavoratore è assunto a tempo indeterminato. L'Aspi entra in azione con gli stessi requisiti di oggi per l'indennità di disoccupazione: 2 anni di anzianità assicurativa e almeno 52 settimane di lavoro nell'ultimo biennio.

Via l'indennità di mobilità
Nel dossier c'è anche una tabellina che spiega come evolverà nel tempo questo nuovo ordine di tutele. Facciamo il caso di un lavoratore del Centro Nord di 55 anni e oltre che nel 2012 entra in mobilità con le attuali regole cioè fino a un massimo di tre anni. Nel 2013 scendono a 30 mesi, nel 2014 scendono a 24 (due anni) e dal 2015 (cioè a regime) entra in funzione il regime Aspi con il massimale di 18 mesi.

Il contributo di licenziamento
Anche questa è una novità, probabilmente proposta in vista della revisione dell'articolo 18 che dovrebbe rendere più facili i licenziamenti. Il «contributo di licenziamento» dovrà essere versato all'Inps «all'atto del licenziamento (solo per i rapporti a tempo indeterminato)» e sarà pari a mezza mensilità di indennità «per ogni 12 mensilità di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni (compresi i periodi di lavoro a termine)». Si applica anche agli apprendisti. Il contributo di licenziamento sostituirà i contributi oggi versati dalle aziende per la disoccupazione e la mobilità.

Roberto Bagnoli
Enrico Marro
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