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Il declino italiano

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Il declino italiano

Messaggioda flaviomob il 08/01/2012, 21:15

franz ha ragione a dire che lo schiavismo non c'entra un tubo con il declino italiano.


Oddio, qua siamo al teatro dell'assurdo.

Si stava parlando di borghesia e della storia d'Europa: è ovvio che lo schiavismo non è in diretta relazione con la depressione attuale: certo se prendi pezzi di un intervento e li separi dal ragionamento che li ha preceduti, con diversi dialoghi in mezzo, nulla c'entra più con nulla...

Del resto, in precedenza hai fatto delle affermazioni in contrasto con quanto sostiene De Rita (postato da Franz) e ora, per spirito di parte, dici che sono io ad aver spostato l'attenzione. Molto pittoresco :lol:


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Re: Il declino italiano

Messaggioda ranvit il 08/01/2012, 22:32

Del resto, in precedenza hai fatto delle affermazioni in contrasto con quanto sostiene De Rita (postato da Franz) e ora, per spirito di parte, dici che sono io ad aver spostato l'attenzione. Molto pittoresco




Spirito di parte?
Hai parlato tu di schiavismo o Babbo Natale?

Nel merito, se leggi bene quello che ho scritto, sin dal primo intervento, noterai che non mi sono contraddetto affatto.

Ho la sensazione che non sia io a fare del teatro dell'assurdo...
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Re: Il declino italiano

Messaggioda flaviomob il 08/01/2012, 22:44

De Rita sostiene che la borghesia non si identifichi con il ceto abbiente, tu sì (in un tuo precedente intervento). Tutto qua. Chiaro, ora? ;)


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Re: Il declino italiano

Messaggioda franz il 08/01/2012, 23:36

Forse Monti ha spiegato bene la cosa (indirettamente) stasera da Fabio Fazio.
C'è un ricco che è tale per lavoro, merito, talento. Questo, dice, è ricchezza sana e possiamo dire "borghesia".
C'è un ricco perché sfrutta rendite, posizioni di potere e dominio, privilegi. E questa è casta, come i regnanti di una volta. Non è borghesia, che per definizione (anche marxiana) è legata al lavoro produttivo, non alla rendita.

Poi sul fatto che oggi non ci sia piu' borghesia ma solo ceto medio (e non solo in Italia, sia chiaro) si puo' discutere ma serve solo nel caso si vogliano paragonare lo spirito positivo della borghesia dei secoli scorsi con un certo opportunismo (forse tutto italico) del ceto medio di oggi.

In ogni caso: il declino è responsabilità nostra. Non cerchiamo comodi capri espiatori al di fuori di noi.
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Luca Ricolfi su borghesia, ceto medio etc

Messaggioda franz il 09/01/2012, 0:35

Sunday 18 september 2011
Ricolfi: « La borghesia in Italia è un ceto parassitario»

http://www.linkiesta.it/sites/default/f ... 369_0.jpgL’Italia annaspa, il Governo ci prova quattro volte prima di partorire una manovra che a malapena riesce a seguire le linee imposte dalla Bce. E mentre i ceti produttivi fanno quotidianamente i conti con le conseguenze della crisi economica, c’è chi si domanda che cosa faccia e dove sia la borghesia italiana, soprattutto al Nord. In altra epoca, nel 1980, guidata dalla Fiat, la marcia dei quarantamila a Torino segnò uno spartiacque. Allora erano quadri e dirigenti, guidati da Cesare Romiti. Oggi sarebbe possibile un segnale chiaro da parte della borghesia produttiva? Ne parliamo col professor Luca Ricolfi che non risparmia bordate. «La borghesia italiana? Non è mai stata liberale, è un ceto fortemente parassitario», dice a Linkiesta.

Insomma, professore, partiamo dal principio: quale borghesia e quale ceto medio italiano si sono sentiti rappresentati da Berlusconi e dal leghismo?

Sociologicamente, i professionisti, le partite Iva e i dipendenti privati con livelli di istruzione intermedi. In senso meno sociologico ma più psicologico, direi soprattutto gli insofferenti per la sinistra e, più in generale, per la cultura della solidarietà incondizionata.

E quanto, in questo blocco politico-sociale, è sentita e percepita, secondo lei, la fine della stagione politica che chiamiamo “berlusconismo”? Quali sono le ragioni strutturali, dal punto di vista economico e sociale, di questo scongelamento?

La crisi è molto sentita, ma il consenso per Berlusconi è sempre stato sopravvalutato: anche negli anni migliori, i veri fan sono sempre stati compresi fra il 5 e il 10% del corpo elettorale.

Lo scongelamento ha certamente ragioni strutturali, ma non solo. Le ragioni strutturali si riducono a una: nessuna delle promesse fondamentali di Berlusconi, prima fra tutte l’abbattimento della pressione fiscale con le due aliquote Irpef del 23 e 33% è mai stata mantenuta, neanche quando sarebbe stato possibile farlo.

Ci sono anche ragioni meno strutturali, ma ugualmente importanti: gli italiani amano i vincenti, ma abbandonano al loro destino i perdenti. Di conseguenza i cambiamenti di orientamento politico possono essere anche molto repentini, come alla fine della prima Repubblica e alla fine del Fascismo. Mussolini, Craxi, Berlusconi: in Italia l’inversione del consenso è processo di mesi, non di anni.

E secondo lei quanto le istanze fondative di quel blocco politico-sociale cercano ancora rappresentanza? E quanto, invece, il mondo dell’impresa, delle professioni, della “borghesia” insomma sono cambiati in questi 17 anni? Quali sono i tratti unificanti di questo “nuovo ceto medio”, le loro richieste profonde?

Anche quelle istanze fondative furono largamente sopravvalutate. Forse mi sbaglio, ma io vedo soprattutto continuità dove voi vedete rotture, o evoluzioni. La borghesia italiana non è mai stata liberale, né ha mai cercato sul serio di ridurre il ruolo della politica. La borghesia italiana, specie la grande borghesia, ha semmai sempre cercato di usare la politica, per ottenere favori, esenzioni, posizioni di rendita, informazioni riservate, commesse, sussidi. È un ceto fortemente parassitario, più interessato a pilotare le risorse della politica che ad affrancarsi da essa. La nostra classe dirigente ha sempre avuto paura di scontrarsi con i governi, anche quando era piuttosto chiaro che le loro politiche mandavano a gambe all’aria il Paese, e con esso i produttori di ricchezza.

Non dice niente il fatto che non vi sia mai stata una vera battaglia per la riduzione dell’imposta societaria? E non dice nulla il fatto che i ceti produttivi del Nord non siano riusciti a strappare un federalismo capace di riequilibrare una situazione che dopo il 1995, finite le svalutazioni competitive, era divenuta insostenibile per l’economia regolare? Vi sembra possibile che, in occasione dell’ultima manovra, la Confindustria e Rete Imprese si siano lasciate scippare l’aumento dell’Iva, ossia l’unica carta che gli esportatori avevano per ridare un minimo di fiato alle imprese?

Se si fosse voluto far ripartire la crescita, i 4-5 miliardi dell’aumento dell’Iva avrebbero dovuto e potuto essere usati per abbassare l’Irap e/o l’Ires. Una borghesia coraggiosa avrebbe fatto una battaglia prima, spiegando che aiutare i produttori di ricchezza è la via maestra per tornare a creare posti di lavoro, anziché piagnucolare dopo, lamentandosi di aver perso una battaglia mai combattuta

Nel 1980, il ceto medio si sentì rappresentato dalla marcia dei quarantamila. Oggi la Fiat non è più il catalizzatore simbolico dell’impresa italiana. Cosa può raccogliere e rappresentare attorno a sé la “borghesia produttiva”, quelli che Gabrio Casati nel suo ultimo libro chiama i “contadini”? Quanto il mondo della rappresentanza d’impresa è cambiato mettendosi al passo coi tempi, e quanto invece sconta un ritardo culturale?

La borghesia produttiva esiste, ma è priva di coscienza di classe, come avrebbe detto il buon vecchio Marx. Forse, più che scontare un ritardo, sconta due peccati originali speculari, o di segno opposto. La grande borghesia sconta una scommessa sbagliata sulla politica, la credenza (a mio parere erronea) che sia più conveniente negoziare e venire a patti con il ceto politico piuttosto che combattere per cambiare radicalmente la politica. La piccola borghesia autonoma, invece, sconta la sua presunzione di poter fare a meno della politica, di poter andare avanti senza darsi una rappresentanza forte a livello politico. Ciò vale, in particolare e forse non a caso, per le partite Iva del Triveneto, la patria del “faso tuto mi”.

Lei mi chiede se il mondo della rappresentanza d’impresa si è messo al passo coi tempi… Ma le sembra che, se Rete Imprese Italia, l’organizzazione di rappresentanza dei “piccoli”, fosse al passo con i tempi, durante questa manovra si sarebbe lasciata paralizzare dagli opposti interessi dei commercianti e dei piccoli imprenditori in materia di Iva?

Il tema della pressione fiscale e dell'evasione non ha mai smesso di essere un’urgenza italiana. Una forza politica “moderata” e liberale non potrà non farsene carico. Come riuscirci, in un paese in cui la “civiltà fiscale” non sembra consolidata, nel tempo?


Penso che non ci riusciremo, perché siamo un paese non solo cattolico, ma con una mentalità cattolica. Ogni questione economica – come il problema di aumentare la torta del reddito – viene vissuta in chiave di equità distributiva, con tutto il corredo di pregiudizi contro la ricchezza di cui è imbevuta l’Italia.

Facciamo un esperimento mentale. Siamo in pieno deserto, un manipolo di disperati avanza in groppa a dei cammelli. Se qualcuno si alzasse e dicesse “diamo da mangiare ai cammelli, perché sono loro che ci trasportano, se li lasciamo senza cibo non usciremo mai da questo deserto e finiremo per morire tutti”, immancabilmente si alzerebbe l’egualitarista-solidalista-moralista per spiegare che il poco cibo disponibile va distribuito secondo giustizia. Seguirebbe un’appassionata discussione sui meriti relativi di cammelli e esseri umani, sui bisogni rispettivi di maschi e femmine, giovani e anziani, pastori e contadini. Il gruppo troverebbe immorale dare da mangiare ai cammelli, che dopo tutto “sono solo delle bestie”, il cibo verrebbe diviso secondo principi più o meno sensati di equità, e alla fine nessuno – né i cammelli, né gli umani – uscirebbe vivo dal deserto.

Uno degli altri grandi nodi irrisolti riguarda la strutturale divisione del paese secondo molti indicatori macro e microeconomici. La Lega tornerà a cavalcare la protesta di cui non ha risolto le ragioni? E ancora, tornando al tema principale: può un nuovo soggetto politico “moderato” incorporare in sé quelle istanze, oppure resteranno un’esclusiva di un movimento territoriale come la Lega?

Posso sbagliarmi, ma a me pare che la Lega abbia seppellito il federalismo, e forse anche sé stessa. Hanno fatto così poco, così male, e così tardi che la bandiera del federalismo non potrà più essere agitata credibilmente da nessuno. La sinistra comunista e post-comunista non ci ha mai creduto. I cattolici lo vedono come un peccato mortale contro il sacro dovere della solidarietà. La Lega l’ha barattato con il consolidamento del suo potere governativo e amministrativo, comprese le poltrone nelle società controllate da Regioni ed enti locali. Se la Lega fosse stata veramente federalista non si sarebbe opposta né al taglio delle Province né alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali.

No, il federalismo andrà avanti come mero riordino dei conti pubblici territoriali (opera di trasparenza comunque meritoria), ma l’idea federalista è morta. All’orizzonte non vedo nessuno che possa raccogliere quella bandiera, perché in troppi ormai l’hanno disonorata.

Quello che invece potrebbe succedere, secondo me, è che alcune delle istanze del federalismo precipitino in altro da sé. Nei prossimi anni potremmo assistere – ma è solo un’ipotesi, che non considero particolarmente probabile – a una riscossa dei produttori, ma sganciata da istanze territoriali: una sorta di “marcia dei 40 mila” contro il parassitismo. Un’altra possibilità, forse più realistica, è che quando l’euro si spaccherà in un euro forte (nordico) e un euro debole (mediterraneo) il Nord-Italia, anziché aderire all’euro debole puntando su un nuovo ciclo di svalutazioni competitive, preferisca aderire all’Euro forte riprendendosi i propri soldi (50 miliardi all’anno): uno scenario da incubo, almeno per chi non ama le guerre civili nemmeno quando sono ritenute politicamente o economicamente corrette. ( Fonte: http://www.linkiesta.it)

Autore: Jacopo Tondelli
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Re: Il declino italiano

Messaggioda flaviomob il 09/01/2012, 0:51

No: la definizione marxiana è legata al capitale, non alla produzione. Tant'è che spesso si parla di borghesia parassitaria in riferimento a chi vive di sola rendita. Secondo me è corretto quindi distinguere tra borghesia liberale (illuminata) e borghesia parassitaria (reazionaria), preponderante in molte parti Italia. (Ora noto che hai postato un articolo proprio su questo tema ndr). E comunque spesso e volentieri industriali ed imprenditori hanno scelto le parti politiche più retrive, per contenere e reprimere le ribellioni popolari senza "concedere" riforme sociali e democratiche. Il timore del comunismo non può essere una scusante; casomai l'assenza, la limitatezza o l'arretratezza della stessa borghesia sono state le cause principali del successo delle rivoluzioni socialiste, il che è evidente in Russia ed in Cina. La stessa arretratezza che in Francia portò l'aristocrazia ad essere soppiantata con la violenza nella Rivoluzione francese.

Di fatto, poi, in Europa il regime comunista si sarebbe contenuto in Russia se Hitler non l'avesse attaccata, perdendo poi la guerra e permettendo all'esercito sovietico di occupare l'Europa orientale e Berlino.

Lo stesso Partito Comunista Italiano aveva un seguito ridottissimo alla sua nascita (scissionista dal PSI), mentre dopo gli anni di dittatura fascista e la guerra la radicalizzazione dello scontro lo portò a diventare e restare il primo partito della sinistra italiana.


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Re: Il declino italiano

Messaggioda franz il 09/01/2012, 10:09

Indipendentemente da questo tipo di analisi sulle cause delle rivoluzioni altrui, il risultato finale (il declino) a cosa lo imputiamo? Perché da noi è predominante (dal fascismo in poi) il corporativismo, la rendita parassitaria e l'assistenzialismo (che ha matrice religiosa ed in parte socialista)? Perché è debole la borghesia liberale illuminata?
Dipende tutto da come è finita la prima guerra e la seconda (cause esterne) o ci sono cause soprattutto interne?
Quale è il fattore principale che ci differenzia dall'europa del nord, avanzata, produttiva, non declinante?
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Re: Il declino italiano

Messaggioda ranvit il 09/01/2012, 10:49

flaviomob ha scritto:De Rita sostiene che la borghesia non si identifichi con il ceto abbiente, tu sì (in un tuo precedente intervento). Tutto qua. Chiaro, ora? ;)



Allora, tu hai scritto:

La concezione di borghesia che ha De Rita è piuttosto singolare e parziale. L'errore più grave che compie è dare per scontato l'assioma borghesia=classe dirigente in grado di tutelare il bene comune. La borghesia nasce nei comuni italiani già nel medioevo (ai tempi di Dante), ma in Europa ottiene realmente il potere solo in seguito alla rivoluzione francese, con oltre cinquecento anni di ritardo. Ciò smentisce l'assioma di De Rita che essa debba essere associata per forza a funzioni di classe dirigente.

Insomma, De Rita da per scontato (parole tue :D ) l'assioma borghesia=classe dirigente...come me...o no?
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Re: Il declino italiano

Messaggioda flaviomob il 09/01/2012, 11:00

Relativamente a quanto detto sulla borghesia, il declino italiano è frutto in buona parte del berlusconismo, ovvero di una menzogna al potere (dal milione di posti di lavoro in poi). Buona parte della borghesia ha aderito a questo progetto aberrante, in contrasto con molti principi liberali: dal conflitto d'interesse al monopolio nella comunicazione televisiva privata. Le forze che si opponevano a questo progetto si sono dimostrate disomogenee e spesso l'una contro l'altra armate. Ogni occasione è stata colta per fare vittimismo piuttosto che riforme (il cambio marco/lira alle stelle nel 1994, la crisi seguita all'11 settembre 2001, la crisi del 2007) senza che la borghesia chiedesse a Berlusconi conto dei suoi fallimenti, ma anzi premiandolo elettoralmente per ben tre volte, perché il blocco sociale a suo favore è rimasto quello.
L'unica via d'uscita è creare una forza coesa, una struttura federale in grado di rappresentare il centrosinistra lealmente, con un programma condiviso e definito, primarie per scegliere localmente i candidati parlamentari e discutere di contenuti politici.

NB per Ranvit: l'assioma borghesia=classe dirigente è una cosa, l'assioma borghesia=ceto abbiente un'altra cosa, che tu sostieni e che De Rita contesta.


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Re: Il declino italiano

Messaggioda pianogrande il 09/01/2012, 11:22

Sicuramente c'è una causa storico culturale.
L'Italia è vissuta, fino a tempi più recenti di altri paesi europei sotto tirannie e dominazioni varie.
Questo comporta due atteggiamenti (ben radicati) che sono la non assunzione di responsabilità nei confronti della collettività e la ribellione alle regole vista come un atto di eroismo.

L'arte di arrangiarsi a prescindere dalle istituzioni ed aderire a gerarchie fai da te (quelle gerarchie formate da quelli che una certa scuola manageriale definisce, o definiva, leaders naturali).
Perché di gerarchie c'è comunque un gran bisogno.

Insomma.
Forte consenso popolare per i ribelli e formazione di altrettanto forti organizzazioni non istituzionali.

Al contrario, sarcasmo pesante per chi le regole le segue visto come un incapace, un imbelle se non come un traditore.

A livello popolare, è rimasto ancora l'esempio di quanto sia emarginante se non offensivo l'appellativo di persona seria.

Come se ne esce?

Innanzitutto con una classe dirigente (politica, innanzitutto) che dia il buon esempio.

Se non riusciamo a selezionare una siffatta classe politica, tutto il resto sarà sempre una pia illusione.

Con il governo Monti comincio a vedere qualche possibilità di riuscirci.
Fotti il sistema. Studia.
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